Nuove metodologie scientifiche e giudizio di revisione. Il caso Stasi

18 Aprile 2017

Nel presente contributo si vuole quindi verificare se le nuove prove raccolte dalla difesa di Alberto Stasi dopo la condanna – relative in particolare ad una diversa valutazione dei tracciati elettroforetici elaborati in sede di perizia genetica nel processo di appello bis – possano o meno giustificare la riapertura del processo.
Abstract

Secondo l'interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità, la revisione della sentenza di condanna può essere ammessa anche nel caso in cui la nuova prova che suggerisce l'innocenza del condannato comporti una diversa valutazione tecnico scientifica di dati già valutati nel processo di merito, purché la stessa sia stata prodotta dall'applicazione di nuove metodologie scientifiche. Nel presente contributo si vuole quindi verificare se le nuove prove raccolte dalla difesa di Alberto Stasi dopo la condanna – relative in particolare ad una diversa valutazione dei tracciati elettroforetici elaborati in sede di perizia genetica nel processo di appello bis – possano o meno giustificare la riapertura del processo.

Le nuove metodologie scientifiche

Le nuove metodologie scientifiche e la revisione, pur essendo temi astrattamente ben distinti, si trovano spesso ad essere intrecciate nelle concrete vicende processuali nelle quali sovente si pongono con un rapporto di causa effetto: spesso infatti è proprio l'innovazione tecnologica e scientifica a consentire l'introduzione di strumenti di prova che possono stravolgere il giudicato.

Con il termine nuove metodologie scientifiche in genere ci si riferisce alla c.d. novel science, ossia tutte le prove che, proprio in ragione della loro novità o perché ancora controverse o per il loro elevato contenuto di specializzazione, richiedono una verifica della loro affidabilità. Esse infatti, proprio perché innovative, potrebbero non beneficiare del pieno riconoscimento da parte della comunità scientifica di riferimento o non aver ancora raggiunto un numero elevato di conferme, o non essere state adeguatamente sottoposte a tentativi di falsificazione con esito positivo, o comunque non rispondere adeguatamente ai criteri di validità della prova scientifica generalmente riconosciuti (quali elaborati dalla giurisprudenza statunitense e in parte recepiti dalla giurisprudenza italiana).

Alla luce di quanto precede per nuova metodologia scientifica non dobbiamo intendere soltanto un nuovo strumento di conoscenza su base tecnico scientifica, dove la novità della prova scientifica è correlata all'oggetto stesso dell'accertamento (come è avvenuto allorché è stata generalizzata l'applicazione delle indagini genetiche, o come potrebbe accadere ove venisse inventato un nuovo strumento capace di leggere le ultime immagini registrate dal cervello di un cadavere), ma anche e forse soprattutto, tutte quelle metodologie che vanno ad affinare tipologie di accertamenti già esistenti, estendendone le potenzialità applicative (laddove la novità della prova scientifica è correlata al metodo, scoperto o sperimentato successivamente rispetto ad altro già in uso).

Il problema fondamentale che il giudice (ma, a diverso titolo, anche il P.M. e le altre parti private) deve affrontare di fronte all'introduzione della prova o metodo scientifico da applicare nel processo riguarda, in una parola, la valutazione della sua affidabilità.

La nostra giurisprudenza di legittimità si è occupata molto raramente dei temi connessi alla valutazione di affidabilità della prova scientifica. Da una verifica all'interno della banca dati penale ItalgiureWeb, curata dal CED della Cassazione, alla data del 7 aprile 2017, si trovano solo 165 corrispondenze con la voce prova scientifica, e tra queste solo la minima parte (non più di venti) si riferiscono al tema della sua affidabilità.

Cionondimeno in alcuni casi la suprema Corte ha chiaramente affermato che, ove non siano soddisfatti determinati criteri di ammissibilità della prova scientifica, la stessa non sarebbe comunque esperibile nel processo perché da ritenersi in nuce non valida e non affidabile. Così la Corte, soprattutto allorché chiamata a pronunciarsi in tema di nuove metodologie scientifiche poste a fondamento della domanda di revisione, tende a limitare lo scrutinio sull'affidabilità della prova scientifica alla verifica dell'avvenuto riconoscimento della stessa da parte della comunità scientifica di riferimento. Ad esempio secondo Cass. pen., 8 marzo 2011, n. 12751, Cutaia, le nuove metodologie su cui si fonda la prova nuova quale presupposto per la richiesta di revisione, devono essere accreditate e ritenute pienamente attendibili dalla comunità scientifica; analogamente Cass. pen., 4 luglio 2013, n. 34531, Mazzagatti, in motivazione: […] deve ovviamente trattarsi di applicazioni tecniche accreditate e rese pienamente attendibili dal livello del sapere acquisito dalla comunità scientifica, dato che soltanto tale condizione conferisce un tasso di ragionevole affidabilità ai risultati della nuova indagine. Più recentemente Cass. pen., Sez. IV, 17 settembre 2010 (dep. 13 dicembre 2010), n. 43786, Cozzini, ha intrapreso una vera e propria opera di ricostruzione dei criteri che il giudice di merito deve seguire nella valutazione della validità della prova scientifica, ispirandosi – pur senza farvi esplicito riferimento – alle linee guida dettate dalla giurisprudenza statunitense.

Al giudice, così come alle parti del processo, si chiede di essere in grado di valutare a quali condizioni una tecnica investigativa possa essere ritenuta dotata di validità scientifica e di informarsi sui presupposti di validità del metodo o prova scientifica utilizzati nel processo, ossia in altri termini di comprendere la “sintassi” del ragionamento o del percorso seguito dall'esperto per giungere alle sue conclusioni: deve assumere cioè quel ruolo che la giurisprudenza americana ha definito di gatekeeper.

La revisione del processo

In caso di revisione di una sentenza di condanna (artt. 629 ss. c.p.p.), la questione posta dai nuovi metodi di indagine scientifica, è quella della loro idoneità a costituire nuova prova ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p. e giustificare quindi l'ammissibilità della richiesta di revisione.

La revisione è stata negli ultimi anni oggetto di riflessione da parte della dottrina, soprattutto a seguito di alcune aperture della giurisprudenza di legittimità, che hanno inteso allargare le maglie del concetto di prova nuova, ampliandone l'ambito operativo. Il riferimento è in particolare a Cass. pen. 6 ottobre 1998, n. 4837, Bompressi (secondo cui: Ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione, nel caso previsto dall'art.630, comma 1, lett.c), c.p.p., per "prove nuove" possono intendersi anche quelle che, pur se entrate a far parte del materiale acquisito nel precedente giudizio di cognizione, non siano comunque state oggetto di valutazione […]), e alle successive sentenze della suprema Corte che hanno confermato tale orientamento (Vds. ex alios Cass. pen., Sez. unite, 26 settembre 2001,n. 624, Pisano e Cass. pen., 15 aprile 2003, n. 26734).

In particolare la Corte di cassazione aveva sempre ribadito il principio secondo cui potessero costituire un novum solo gli elementi di prova diversi da quelli già acquisiti nel precedente processo di cognizione.

Successivamente tuttavia la Corte è parsa voler superare l'orientamento in parola, ammettendo il carattere di novità – richiesto per l'ammissibilità della revisione – alle prove che non fossero già state oggetto di valutazione nel precedente processo, a prescindere che esse fossero o meno già confluite nel materiale probatorio a disposizione dei giudici (Cass. pen., Sez. unite, 26 settembre 2001,n. 624, Pisano; conf. ex alios Cass. pen., 20 gennaio 2003, n. 12826, Trovato; Cass. pen., 26 marzo 2003, n.20266, Capogrosso).

Si scorge in tale nuovo orientamento giurisprudenziale una sorta di favor revisionis, dove la volontà di assicurare piena tutela ai diritti fondamentali (in primis la libertà personale) prevale sull'esigenza di stabilità del giudicato penale e, conseguentemente, della certezza del diritto.

Occorre ora chiarire se e in quale misura una nuova prova offerta dal progresso scientifico possa aprire le porte della revisione.

La suprema Corte, sulla scorta delle riflessioni sopra brevemente riportate, è giunta ad ammettere che anche nuove metodologie scientifiche possano costituire prova nuova rilevante ex art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., ai fini dell'ammissibilità del giudizio di revisione, ogniqualvolta le stesse siano in grado di portare a risultati nuovi e diversi rispetto a quelli raggiunti nel processo già definito attraverso il ricorso ad altri mezzi tecnici e, dunque, a prescindere dal fatto che l'oggetto delle nuove metodologie fosse stato già sottoposto a valutazione nel corso del processo di cognizione. La richiesta di revisione appare dunque ora ammissibile, oltre che nel caso di nuove emergenze fattuali sulle quali verte l'indagine peritale, anche quando l'accertamento sia basato su nuove metodologie scientifiche (ex multis: Cass. pen., 8 marzo 2011, n. 15139, Ghiro; Cass. pen.,n. 4837/1998, Bompressi, cit.; Cass. pen. 7 maggio 2002, n. 25810, Gucci, e Cass. pen.,n. 12751/2011, Cutaia, cit.).

La revisione del caso Stasi

Nel procedimento di revisione inerente la condanna a 16 anni di Alberto Stasi pronunciata dalla Corte d'assise d'appello di Milano (sentenza, Sez. I, n. 55 del 17 dicembre 2014, confermata dalla Corte di cassazione con sent. n. 25799 del 12 dicembre 2015), tra le altre questioni, si è posto il problema dell'ammissibilità della richiesta di revisione fondata essenzialmente su una nuova valutazione scientifica di dati già conosciuti e valutati nel processo definito, ed oggetto di una perizia conferita nel corso di quel processo.

A dicembre del 2016 i legali di Stasi hanno presentato una istanza alla procura generale presso la Corte d'appello di Milano nella quale gli stessi, dopo aver dato atto dell'attività di indagine difensiva svolta avvalendosi di una società di investigazione privata, e ritenendo sussistenti gli elementi di cui all'art. 630, comma 1, lett. c) c.p.p. (sopravvenienza di nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto), chiedevano al procuratore generale di Milano, tra le altre cose, di valutare l'opportunità di avanzare direttamente istanza di revisione alla Corte d'appello di Brescia, quale Corte competente ai sensi dell'art. 633, comma 1, c.p.p. (secondo cui la richiesta di revisione deve essere proposta nella cancelleria della Corte d'appello individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p.).

La procura generale, il 20 dicembre, senza svolgere alcun approfondimento investigativo (che del resto non le competeva) disponeva, da un lato, la trasmissione di copia dell'istanza al procuratore della repubblica di Pavia per lo svolgimento delle indagini necessarie e, dall'altro lato, la trasmissione della stessa istanza e degli atti allegati alla Corte d'appello di Brescia, per diretta competenza.

Nel caso in esame Stasi non risulta aver presentato direttamente alcuna istanza di revisione.

Ed infatti il 24 gennaio 2017 la Corte d'appello di Brescia, prendendo atto dell'assenza di alcuna richiesta in tal senso, emetteva ordinanza nella quale dichiarava non luogo a provvedere in ordine alla revisione della sentenza irrevocabile di condanna emessa dalla Corte di assise di appello di Milano in data 17 dicembre 2014.

A prescindere dalla (pienamente condivisibile) pronuncia della Corte d'appello di Brescia, quel che interessa rilevare è se gli elementi portati dalla difesa Stasi, siano o meno astrattamente idonei a giustificare l'ammissione di una eventuale (futura) istanza di revisione.

Vediamo allora sinteticamente quali sono gli elementi a sostegno presentati dai difensori di Stasi i quali, analizzando tutto il materiale del processo, hanno evidenziato aspetti non approfonditi in fase di indagine, implicanti alcuni lati oscuri:

  • un certo soggetto – che per motivi di riservatezza chiameremo Tizio (seppur consapevoli che il suo nominativo è stato ripetutamente e arbitrariamente menzionato dai media) – amico di Marco Poggi, fratello di Chiara, risultava aver effettuato due telefonate dal suo cellulare, nel pomeriggio del 7 e dell'8 agosto 2007, a casa di Chiara, ritenute sospette in quanto il medesimo avrebbe dovuto sapere che l'amico Marco era in villeggiatura.
  • L'alibi di Tizio era fondato su uno scontrino di parcheggio che, assai stranamente, lo stesso aveva conservato intonso per oltre un anno.
  • La perizia disposta nel corso del processo di appello bis, aveva evidenziato la presenza di un profilo genetico maschile sui margini ungueali di Chiara Poggi, tuttavia i risultati erano stati ritenuti non attendibili, anche perché la prova era stata ripetuta e non era stato possibile ottenere conferma dei dati. In ogni caso, secondo la difesa di Stasi, era possibile riconoscere un identico aplotipo Y (profilo genetico, relativo al cromosoma Y), rinvenuto su due unghie delle dita delle mani di Chiara Poggi, per l'esattezza il quinto dito mano dx e il primo dito mano sin.
  • Venivano quindi acquisiti campioni di confronto (cucchiaino e bottiglietta d'acqua usati da Tizio) e conferito incarico a un genetista per ricavarne il profilo genetico: o meglio il profilo ricavabile dal cromosoma Y. Ciò in quanto in sede di perizia nel processo di merito, l'analisi genetica aveva fornito esclusivamente un profilo biologico, quello della vittima. L'analisi del cromosoma Y aveva consentito invece di isolare e mettere a fuoco la presenza di un DNA maschile. Ecco perché l'analisi si è orientata sul cromosoma Y, che peraltro offre risultati meno decisivi, in quanto il profilo genetico da esso ricavabile è lo stesso che si tramanda da padre in figlio (per cui nello stesso nucleo familiare tutti i soggetti maschi, discendenti da un comune capostipite, avranno lo stesso profilo del cromosoma Y). Il che fa anche capire come tale risultato abbia una capacità identificativa più limitata.
  • Successivamente la difesa Stasi ha conferito incarico ad un secondo genetista al fine di confrontare il profilo genetico di Tizio con i profili del cromosoma Y ricavati dalla perizia disposta dalla Corte d'assise d'appello. Il confronto è stato effettuato con i profili ricavati dalla seconda delle tre prove svolte dal perito, il quale infatti, a seguito di una prima amplificazione con 1 solo microlitro, ne ha effettuata una seconda con 5 microlitri, ed una terza, con la parte residua di estratto, non quantificata; è interessante notare peraltro che dopo aver effettuato la seconda analisi, la quale aveva dato risultati più interessanti rispetto alla prima – che parevano promettenti secondo il perito (v. verbale di stenotipia, udienza 8 ottobre 2014) – quest'ultimo ha chiamato Stasi per prelevare dal medesimo un campione di confronto. La comparazione dei profili ha permesso di evidenziare una perfetta compatibilità genetica (profili identici) per le regioni interpretabili tra il profilo del cromosoma Y estrapolato dal perito nominato dalla Corte d'assise d'appello nel processo di merito (sul 5° dito della mano dx e sul 1° dito della mano sin) con il profilo genetico aploide del cromosoma Y ottenuto dal cucchiaino e dalla bottiglia d'acqua. La sequenza così tipizzata, in altre parole, risulterà conforme a quella estrapolata dai margini ungueali di due dita della vittima.
  • La conclusione cui giunge il genetista incaricato di effettuare il confronto è dunque quella della presenza del DNA del ceppo familiare di Tizio sulle unghie di Chiara Poggi.

Corre l'obbligo osservare come il tracciato elettroforetico relativo ai margini ungueali di Chiara Poggi non abbia dato affatto risultati scarsamente leggibili, bensì risultati ben nitidi (i picchi degli alleli registrati per ciascun marcatore esaminato sono infatti molto alti, talvolta pari a 800 RFU [Relative fluorescence unit], collocandosi ben al di sopra della soglia di 50 RFU fissata dal perito quale limite di attendibilità del risultato).

Ad ogni buon conto si riporta di seguito la tabella, estrapolata dall'elaborato di consulenza svolto dal genetista nominato dalla difesa Stasi, dal quale si evince in maniera più immediata quanto sopra riferito.

A questo punto la domanda da porsi è: tali nuovi elementi possono costituire nuova prova rilevante ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p.?

  • la tecnica di lavaggio usata per recuperare il maggior quantitativo di materiale possibile per le analisi non consente di definire se il materiale si trovasse sopra o sotto le unghie;
  • non è possibile stabilire se il DNA maschile rilevato sui margini ungueali di Chiara Poggi derivi dal contatto diretto tra la persona offesa e il corpo della persona contraddistinta da quel DNA ovvero da un contatto mediato da un oggetto toccato in precedenza dall'individuo di genere maschile e successivamente dalla stessa persona offesa (secondo il perito comunque “…è molto più verosimile che sia a contatto diretto. A quanto tempo risalga, se sia coeva o sia antecedente, e di quanto eventualmente antecedente, nessuno è in grado di dirlo” – p. 31, verb. sten.);
  • la prima analisi, effettuata su un microlitro (un millesimo di millilitro), è stata effettuata in via meramente esplorativa, per verificare se era possibile ottenere dati utili; alla luce dei risultati, ancorché sporadici, ottenuti, si sono effettuate, di comune accordo tra i consulenti e il perito, due successive ripetizioni;
  • i risultati ottenuti devono essere considerati incostanti – solamente pochi caratteri sono presenti in almeno due delle tre prove eseguite; e sono inoltre gravati da artefatti - gli artefatti sono dati inattesi rispetto al contesto generale che sono conseguenti a una possibile degradazione e a possibili contaminanti anche ambientali (p. 19 elaborato peritale);
  • la degradazione è dimostrata dalla mancanza di risultati in alcuni marcatori che evidenzia la non integrità della molecola di DNA;
  • la contaminazione è evidenziata dal fatto che più di una volta in marcatori in cui dovrebbe esserci un unico risultato ce ne sono due, talvolta anche diversi nelle singole ripetizioni;
  • naturalmente anche il tempo trascorso (sette anni) prima dell'effettuazione delle analisi, ha favorito la degradazione del DNA che, essendo già poco, è diventato ancor meno leggibile; plasticamente il perito ha affermato che difficilmente le analisi avrebbero prodotto risultati peggiori se eseguite precedentemente! (p. 24 verb. sten.);
  • non si può escludere una contaminazione post mortem (p. 30 verb. sten.);

Si riportano di seguito le tabelle, redatte dal perito, riassuntive dei risultati prodotti dalle analisi, quali emersi dai tracciati elettroforetici relativi ai margini ungueali delle nove dita esaminate.

Alla luce di quanto precede, secondo il perito, il DNA estratto non è assolutamente utilizzabile per effettuare alcun confronto al fine di identificare ovvero escludere. Il perito concluderà quindi nel senso che: L'unica conclusione sostenibile concretamente, in considerazione dei risultati di laboratorio sopra riportati, è che i dati ottenuti indichino la presenza di DNA maschile nel materiale sottungueale prelevato in sede autoptica dal cadavere di Chiara Poggi. Per quanto attiene alla identificazione di appartenenza, con le premesse appena accennate della constatazione di artefatti da degradazione e contaminazione, non è possibile definire una ipotesi di identità”,spingendosi peraltro ad affermare: “così come non vi è la possibilità di una indicazione positiva di identità, non si può escludere che nel materiale subungueale prelevato nel corso dell'autopsia di Chiara POGGI sia presente anche DNA riferibile ad Alberto STASI.

In conclusione
La perizia espletata durante la fase processuale del caso Stasi richiedeva l'impiego di una metodologia innovativa: le analisi genetiche erano infatti state eseguite su quantitativi estremamente ridotti di DNA, come tali riconducibili alla categoria Low copy number, o Low Template, tradizionalmente considerati insufficienti per garantire un risultato attendibile.Per l'utilizzabilità processuale dei dati acquisiti, sarebbe occorso dunque un attento vaglio di affidabilità della metodologia scientifica impiegata.In ogni caso, volendo comunque dare credito alla tesi sostenuta dal consulente della difesa Stasi, e ritenere quindi l'attribuibilità a Tizio del DNA rinvenuto sui frammenti ungueali del 5° dito mano dx e 1° dito mano sin della vittima, dovremmo comunque verificare preliminarmente se la nuova prova, che in effetti comporta una diversa valutazione tecnico scientifica di dati già valutati nel processo di merito, sia stata prodotta dall'applicazione di nuove metodologie scientifiche oppur no: il giudice a tal fine, nel valutare l'ammissibilità della richiesta di revisione, secondo la già citata sentenza della Cassazione n. 15139 del 2011, Ghiro, dovrà stabilire se il nuovo metodo scientifico posto a base della richiesta, scoperto e sperimentato successivamente a quello applicato nel processo ormai definito, sia in concreto produttivo di effetti diversi rispetto a quelli già ottenuti e se i risultati così conseguiti, da soli o insieme con le prove già valutate, possano determinare una diversa decisione rispetto a quella, già intervenuta, di condanna; solo in caso positivo infatti sarebbe ammissibile il giudizio di revisione della precedente condanna.Stando alla ricostruzione difensiva, vi sono dunque due elementi di novità:
  1. l'individuazione di un ben definito profilo genetico, laddove il perito ne aveva esclusa la possibilità;
  2. l'individuazione di un soggetto, rientrante nella cerchia delle conoscenze della vittima, avente unprofilo genetico corrispondente.
Tali elementi introducono il suggerimento che quel soggetto possa essere l'autore materiale dell'aggressione mortale alla vittima.Tale nuova e diversa valutazione dei dati emersi dal processo già definito potrebbe forse mettere in dubbio la ricostruzione degli avvenimenti accertata processualmente, giungendo ad insinuare un legittimo dubbio sulla effettiva colpevolezza di Stasi.Tuttavia, non risultando essere stata effettivamente impiegata alcuna nuova metodologia scientifica (i risultati conseguiti dal consulente derivano infatti da una rilettura critica delle conclusioni raggiunte dal perito, senza l'esperimento di alcuna prova scientifica), l'istanza di revisione – sia pur tenendo conto delle aperture mostrate dai più recenti orientamenti giurisprudenziali – non potrebbe allo stato essere dichiarata ammissibile.
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