La legge a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari e dei loro singoli componentiFonte: L. 3 luglio 2017 n. 105
19 Luglio 2017
Abstract
Recependo le conclusioni della Commissione d'inchiesta del Senato sulle intimidazioni agli amministratori locali (26 febbraio 2015), è stata approvata la legge 3 luglio 2017, n. 105, recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari e del loro singoli componenti. Vengono modificate od introdotte alcune disposizioni penali e processuali nonché stabilite misure di prevenzione e di controllo del fenomeno. Il Senato aveva istituito una Commissione d'inchiesta sulle intimidazioni agli amministratori locali, la quale, dopo un anno di intenso lavoro, aveva approvato la sua Relazione conclusiva nella seduta del 26 febbraio 2015. La relazione fornisce un quadro molto dettagliato del fenomeno delle intimidazioni, della pluralità di motivazioni che ne sono alla base e delle diverse modalità attraverso le quali si manifesta: una realtà per tanti anni forse sottovalutata, nonostante l'elevatissimo numero di casi che emerge dall'analisi degli ultimi quarant'anni e dati che assumono ancora più significato se si tiene conto del fatto che moltissimi episodi non vengono denunciati per paura di possibili ritorsioni ed è spesso difficile per magistratura e forze di polizia effettuare le indagini in ragione proprio della scarsa collaborazione da parte dei diretti interessati. Fra le varie proposte operative della Commissione, in modo da delineare una serie di interventi, di natura organizzativa e normativa, che potrebbero contribuire a ridurre i rischi da parte degli amministratori locali, e sulle quali non possiamo soffermarci in questa sede, una particolare attenzione viene rivolta alla legislazione penale, prevedendo modifiche della relativa normativa per garantire una tutela al delicato ruolo che ricopre l'amministratore locale e, al tempo stesso, favorire le indagini da parte della magistratura. In particolare, viene rilevato come le fattispecie previste dal codice penale (lesioni personali, ingiuria, diffamazione, danneggiamento e via dicendo) fanno riferimento all'incolumità individuale del singolo o al suo patrimonio, mentre appare indispensabile introdurre il nuovo reato di Attentato contro i pubblici amministratori, a tutela del buon andamento dell'amministrazione. A tale proposito, l'art. 338 del codice penale (Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario) potrebbe essere modificato rendendolo applicabile anche alle intimidazioni nei confronti di un amministratore locale e a quelle volte a ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l'adozione di un qualsiasi provvedimento ovvero determinate dall'adozione dello stesso. Ciò permetterebbe di applicare anche le aggravanti previste dall'art. 339 del codice penale nonché il ricorso alle misure cautelari, oltre che ampliare gli strumenti di indagine (intercettazioni e altri strumenti di ricerca della prova). Il Senato ha discusso la relazione della Commissione il 20 maggio 2015 e nella stessa data è stata presentata anche una proposta di legge, prima firmataria Doris Lo Moro, che recepisce le indicazioni della Commissione. A seguito del consueto iter parlamentare, il provvedimento è stato infine approvato: trattasi della legge 3 luglio 2017, n. 105, recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari e del loro singoli componenti (in Gazz. Uff. 7 luglio 2017, n. 157). Attuando la proposta della Commissione, l'art. 1 della legge in oggetto modifica, innanzi tutto, il primo comma dell'art. 338 c.p., estendendo punibilità per la violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso o ad una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio anche ai suoi singoli componenti. Si noti che il Legislatore non ha modificato la rubrica di tale disposizione nel senso indicato dalla Commissione, ossia come Attentato ai pubblici amministratori, ma ha preferito completarla nel senso che ora deve leggersi come Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti. Invero, se la dizione originale della norma si riferiva al Corpo, alla rappresentanza o al collegio, la giurisprudenza, per quanto sparuta sul tema, non era del tutto concorde. Infatti, accanto alla interpretazione letterale che si riferiva unicamente ad un organo collegiale nel suo complesso e non ai suoi singoli componenti (Cass. pen., Sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 2636) anche nell'ipotesi di una “campagna di aggressione mediatica” rivolta ai singoli componenti (nella fattispecie: magistrati), si era anche sostenuto che il delitto in oggetto è configurabile anche nei casi in cui l'agente abbia minacciato un solo componente dell'organo collegiale (nella fattispecie, il sindaco), non in presenza dello stesso organo collegiale riunito, essendo sufficienti la coscienza e volontà dell'agente di minacciare, attraverso il singolo componente, l'intero organo collegiale allo scopo di impedirne o turbarne l'attività (Cass. pen., Sez. II, 17 gennaio 2012, n. 5611). Inoltre, all'art. 338 c.p. è stato aggiunto un secondo comma, in forza del quale alla stessa pena del primo comma (reclusione da uno a sette anni) «soggiace chi commette il fatto per ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l'adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo, ovvero a causa dell'avvenuto rilascio o adozione dello stesso»
Pertanto la disposizione è attualmente vigente nel seguente testo: Art. 338 - Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti – 1. Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ai singoli componenti o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio o ai suoi singoli componenti, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l'attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni. 2. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l'adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo, ovvero a causa dell'avvenuto rilascio o adozione dello stesso. 3. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l'organizzazione o l'esecuzione dei servizi.
Il nuovo primo comma dell'art. 338 c.p. viene così a punire gli atti intimidatori (violenza o minaccia) che, rivolti al singolo amministratore, specie in relazione alla sua incolumità o ai suoi beni, vengono a minacciare il buon andamento e l'imparzialità del collegio e, in definitiva, della pubblica amministrazione, in violazione dei princìpi di cui all'art. 97 della Costituzione. Il novello secondo comma dell'art. 388 c.p. viene, invece, a delineare quegli atti intimidatori che tendono a piegare la volontà dell'amministrazione, ossia: a) prima dell'adozione del provvedimento:
b) dopo l'adozione del provvedimento:
Sempre il secondo comma dell'art. 388 c.p. si riferisce ad «un qualsiasi provvedimento, anche legislativo». Tale ultimo inciso ha una portata dommatica di rilievo. Infatti, la dottrina tradizionale, nell'interpretare nella norma la dizione Corpo politico, peraltro alquanto oscura, riteneva che tali collegi istituzionali devono essere diversi dal Governo, dalla Corte costituzionale, dal Senato, dalla Camera e dalle assemblee regionali, in quanto tali organi sono direttamente tutelati da apposita disposizione, quale l'art. 289 c.p. (sul punto cfr., volendo, PITTARO, sub art. 338, in PADOVANI (a cura di), Codice penale, VI ed., Milano, 2014, p. 2072 s.). L'aver, con tale novellazione, fatto riferimento a qualsiasi provvedimento, anche legislativo, viene ora ad allargare la portata della norma, estendendo la tutela da atti intimidatori anche ai parlamentari nazionali ed ai consiglieri regionali, posto che le fonti di produzione del Parlamento e delle Regioni sono, per l'appunto, leggi (rispettivamente: statali e regionali). L'entità della pena edittale, essendo superiore nel massimo ai cinque anni, consente sia la custodia cautelare in carcere (art. 274 c.p.p.) sia la disciplina delle intercettazioni (art. 266 c.p.p). Inoltre, il secondo comma della legge in commento ha modificato l'art. 380 del codice di procedura penale, laddove al capoverso dispone che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria procedono all'arresto di chiunque è colto in flagranza di alcuni delitti non colposi, consumati o tentati elencati nel dettaglio. Infatti, proprio nel contesto di tale elencazione, viene inserita la lettera: a-bis) delitto di violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi componenti previsto dall'art. 338 del codice penale. Ovviamente nella nuova formulazione (rectius: integrazione) dell'art. 338 c.p. valgono le circostanze aggravanti previste dall'art. 339 c.p., ossia:
Ciò premesso, l'art. 3 della legge 105 del 2017 introduce nel codice penale l'art. 339-bis, rubricato Circostanza aggravante. Atti intimidatori di natura ritorsiva ai danni di un componente di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario. In forza di tale disposizione, salvo che il fatto costituisca più grave reato, viene stabilita l'aggravante ad effetto speciale dell'aumento della pena da un terzo alla metà se la condotta ha natura ritorsiva ed è commessa ai danni di un componente di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario a causa del compimento di un atto nell'adempimento del mandato, delle funzioni o del servizio, in riferimento ai seguenti delitti:
A questo punto, tuttavia, si impone una riflessione in ordine al rapporto fra tali fattispecie aggravate e quella del secondo comma dell'art. 338 c.p., posto che ai sensi dell'art. 339-bis siamo siamo in presenza di un provvedimento già emanato e che la condotta è di natura ritorsiva proprio nei confronti della sua adozione, mentre l'art. 338 cpv. c.p. delinea il fatto commesso a causa dell'avvenuto rilascio o adozione dello stesso. La questione si pone nel senso: concorso apparente o concorso reale di norme? Invero, a nostro avviso, le due disposizioni stanno in un rapporto di specialità ai sensi dell'art. 15 c.p., ove la fattispecie dell'art. 339-bis c.p. è speciale rispetto a quella, generale, dell'art. 338 c.p., posto che, in un processo di astrazione, se non ci fosse la prima, la fattispecie concreta verrebbe comunque disciplinata dalla seconda: concorso apparente, quindi, e non reale di norme. Una diversa soluzione non ci sembra accettabile. Già dal profilo della ragionevolezza di pena (e della stessa politica criminale) l'ipotesi del concorso reale conduce ad una soluzione abnorme: concorso di norme e, quindi di reati, solo nell'ipotesi di lesioni, violenza, minaccia o danneggiamento come ritorsione per il provvedimento già emanato e non, ad esempio, per impedirne l'emanazione, ove si applicherebbe solamente l'art. 338 c.p. E non a diversa soluzione si addiverrebbe scindendo l'ipotesi dell'art. 582 c.p. da quelle degli artt. 610, 612 e 635 c.p., posto che queste tre ultime fattispecie contengono in sé già le condotte di violenza o minaccia (si ricordi, a tale proposito, l'attuale definizione del danneggiamento, come modificato dal d.lgs. 8 del 2016). Si avrebbe, pertanto, un concorso materiale fra l'art. 338 c.p. e l'art. 582 c.p. (lesioni) aggravato ex art. 339-bis c.p., mentre nelle altre ipotesi avremmo solo la violenza e la minaccia di cui agli artt. 610 (violenza), 612 (minaccia) e 635 (danneggiamento) c.p.: soluzione parimenti inaccettabile, posto che non si comprende il concorso di reati nell'ipotesi delle lesioni (e solo di esse) come ritorsione e non per impedire l'adozione del provvedimento. In punto sta tutto nella specialità dell'art. 339-bis c.p. rispetto all'art. 338 c.p.: gli atti intimidatori di natura ritorsiva si pongono come elemento specializzante rispetto al fatto commesso a causa dell'avvenuto rilascio o adozione dello stesso. Tale soluzione potrebbe sembrare inappagante o criticabile, ma trattasi di una scelta del Legislatore e non di una particolare opzione ermeneutica. L'art. 4 della legge in oggetto ha modificato l'art. 393-bis c.p., inserendo la fattispecie dell'art. 339-bis c.p. nell'elenco di quelle ivi previste. Siamo, dunque, in presenza dell'istituto della reazione legittima agli atti arbitrari, ove la condotta reattiva viene ad essere non punibile, essendo in presenza di una causa di giustificazione, quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni. E la condotta ritorsiva di cui all'art. 339-bis viene ad aggiungersi a quelle di cui agli articoli 336 (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale), 337 (resistenza a un pubblico ufficiale), 338 (violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti), 339 (circostanze aggravanti), 341-bis (oltraggio a pubblico ufficiale), 342 (oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario) e 343 (oltraggio a un magistrato in udienza) c.p. L'art. 5 della legge 105 del 2017 viene a modificare il Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali di cui al d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, il quale, all'art. 90, comma 1, dispone che «Chiunque, con minacce o con atti di violenza, turba il regolare svolgimento delle adunanze elettorali, impedisce il libero esercizio del diritto di voto o in qualunque modo alteri il risultato della votazione, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 309 ad euro 2065». Ebbene, la norma in oggetto ha inserito, dopo tale comma, un secondo comma, il quale dispone che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, alla stessa pena soggiace chiunque con minacce o con atti di violenza ostacola la libera partecipazione di altri alle competizioni elettorali previste dal presente testo unico». Deve notarsi, inoltre, che l'art. 1, comma 6, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, prevede che per la elezione dei consigli regionali si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, e successive modificazioni: quindi anche le citate sanzioni per la loro alterazione od impedimento. Per inciso, per quanto riguarda le elezioni per il Parlamento, si ricordi che il primo comma dell'art. 100 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, sancisce che «chiunque, con minacce o con atti di violenza, turba il regolare svolgimento delle adunanze elettorali, impedisce il libero esercizio del diritto di voto o in qualunque modo altera il risultato della votazione, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 309 a euro 2065». Misure di prevenzione e controllo
Infine, l'art. 6 della legge n. 105 del 2017 affida all'Osservatorio sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali, istituito con Decreto del Ministro dell'interno del 2 luglio 2015, il compito di:
In definitiva: una serie di misure di prevenzione e di controllo, che si pongono accanto alle fattispecie penali come modificate o introdotte dalle precedenti disposizioni. In conclusione
In conclusione, schematizzando, la legge 3 luglio 2017, n. 105:
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