Il nuovo falso in bilancio. Problematiche sull’irrilevanza penale delle valutazioni estimative
20 Novembre 2015
Abstract
Con la legge 27 maggio 2015, n. 69 il legislatore ha nuovamente modificato il reato di falso in bilancio. Le ragioni della riforma sono da ricercarsi nell'esigenza di ripristinare la punibilità del falso in bilancio che di fatto era venuta meno con la legge n. 61/2002. A seguito di tale riforma è stata profondamente trasformata la condotta del reato di falso in bilancio: per la prima volta il legislatore ha escluso la rilevanza penale delle valutazione estimative. Il richiamo espresso fatto dagli articoli 2621 e 2622 c.c. all'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero o alla loro omissione sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società ma soprattutto l'utilizzo da parte del legislatore dell'aggettivo materiali rivela l'esigenza di un'esposizione di dati contabili, ricavati da dati reali, al di fuori di qualsiasi profilo valutativo. Pur tuttavia il nuovo reato di falso in bilancio, che nel richiamarsi all'esposizione di fatti materiali falsi, esclude i profili valutativi dall'operatività della fattispecie, mantiene la rilevanza penale delle valutazioni nel percorso che può portare alle falsità del bilancio come mancata corrispondenza ai criteri valutativi prescelti. La condotta
La condotta del reato di false comunicazioni sociali, viene ancora una volta ad essere costruito in forma alternativa, nel senso che alla condotta commissiva dell'esposizione di fatti non rispondenti al vero, si contrappone la condotta omissiva di fatti materiali la cui comunicazione è imposta dalla legge. Ma mentre l'art. 2621 c.c. parla di fatti materialmente rilevanti sia per l'ipotesi commissiva che per quella omissiva, il requisito della rilevanza viene meno per il delitto di false comunicazioni sociali delle società quotate (art. 2622 c.c.), solo per quanto riguarda l'esposizione di fatti materiali. Entrambe le fattispecie richiedono, inoltre, che le informazioni false o omesse siano concretamente idonee ad indurre i destinatari della comunicazione. L'esposizione di fatti, attraverso i veicoli ordinari del bilancio, delle relazioni o delle altre comunicazioni sociali, esprime la manifestazione di pensiero dei soggetti qualificati, che può rivestire sia la forma scritta che quella orale. Tale esposizione di fatti assumerà rilevanza penale, quando si tratta di fatti non rispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società. Fatti non rispondenti al vero equivale all'espressione di fatti falsi: formula utilizzata dal legislatore sia nel 1882 che nel 1930, che parlava espressamente di fatti falsi. L'esposizione di fatti non rispondenti al vero, che si traduce in una falsità ideologica, investe ogni dato o accadimento riguardante la realtà fenomenica esterna, che risulti privo di riscontro nella realtà oggettiva, o perché inesistente o perché esistente in maniera diversa da quella prospettata dall'agente. L'impatto dirompente che ha avuto l'uso della formula “fatti materiali” nel paradigma del nuovo delitto di falso in bilancio, che sembra azzerare del tutto la rilevanza penale delle valutazioni, ha indotto i primi commentatori a ridimensionare la portata dell'accostamento dell'aggettivo materiali al sostantivo fatti. Si è sostenuto che se è vero che la mancata riproduzione della astrusa formula ancorché oggetto di valutazioni possa determinare l'esclusione delle valutazioni dall'ambito del reato di falso in bilancio, anche se con quella formula il legislatore aveva inteso chiarire che anche le falsità nelle valutazione di bilancio sono rilevanti, lo stesso non può dirsi per il mantenimento dell'aggettivo materiali. L'aggettivo materiali, che segue il sostantivo fatti, sarebbe del tutto ridondante e la sua inserzione nella formula legislativa e sul piano semantico priva di valore specifico. Concetto questo che era già stato avanzato dal relatore del disegno di legge nel corso della seduta al Senato del 19 marzo 2015 (seduta pubblica, giovedì 19 marzo 2015, intervento del relatore D'Arvola) che definiva la formula fatti materiali come espressione enfatica e caratterizzata sostanzialmente da superfetazioni nel senso che il fatto è inevitabilmente materiale. Ma se le cose stanno così, se il fatto è inevitabilmente materiale non si comprende per quale ragione il legislatore avrebbe dovuto insistere e far seguire l'aggettivo “materiali” al sostantivo “fatti”, se non per rafforzare la concretezza del fatto con l'inevitabile conseguenza dell'esclusione della rilevanza penale degli aspetti valutativi. L'utilizzo da parte del legislatore dell'aggettivo materiali rivela l'esigenza di una esposizione di dati contabili ricavati da dati reali, al di fuori di qualsiasi profilo valutativo. Né può essere condivisa la soluzione che tende ad attribuire all'aggettivo materiali il significato di rilevante, facendo ricorso al prestito linguistico material fact che compare nella legislazione inglese ed americana e che viene utilizzato nel linguaggio giuridico contabile per rappresentare un giudizio di rilevanza o di significatività. Questa soluzione, che peraltro è stata avanzata alla Camera nel corso del dibattito parlamentare sul falso in bilancio, si rivela in contrasto con la formula richiamata dall'art. 2621 c.c. che parla di fatti materiali rilevanti (anche se la stessa formula non è stata adottata dall'art. 2622 c.c. che parla solo di “fatti materiali”) in cui i diversi aggettivi (materiali e rilevanti che seguono il sostantivo “fatti”) verrebbero ad assumere lo stesso significato. Si tratterebbe di una formula che finirebbe per essere “grottescamente ripetitiva”. Soprattutto se si tiene presente che in più occasioni la Securities Exchange Commission (Sec) ha evidenziato che il vero significato di materiali consiste nell'idoneità a cagionare l'errore nel senso che rientrano nel suo ambito solo le informazioni che incidono sui destinatari, concetto espresso non solo dall'aggettivo rilevanti ma anche dall'ulteriore requisito richiamato dalla norma dell'idoneità ingannatoria della falsa informazione. Com'è facile intuire dalla semplice lettura della norma il legislatore ha utilizzato l'aggettivo materiali secondo il significato proprio della lingua italiana, intendendosi così marcare maggiormente il riferimento al fatto come oggetto dell'esposizione falsa o reticente. Altra parte della dottrina, muovendo dal presupposto del rapporto inscindibile che passa tra il bilancio e le valutazioni, in quanto il bilancio consiste per lo più in giudizi di natura tecnica, ritengono che l'aggettivo materiali serva esclusivamente ad escludere dall'area del falso in bilancio le opinioni, le previsioni, le congetture presentate come tali, cioè come valutazioni di tipo soggettivo, che nella lettura aziendalistica vengono definite come stime di bilancio congetturale. Anche questa soluzione non sembra convincente né condivisibile, perché l'accostamento dell'aggettivo “materiali” alle opinioni, alle congetture, cioè ad ipotesi fondate su dati generici, incompleti o inesatti non ne giustifica la presenza nel paradigma del falso in bilancio. Per escludere la rilevanza delle opinioni o delle congetture appare più che sufficiente il riferimento che la norma fa all'esposizione di fatti, sostantivo che risulta essere inconciliabile con l'esposizione nel bilancio di opinioni o congetture. Con il richiamo all'esposizione di fatti materiali falsi il legislatore intende marcare significativamente il riferimento al fatto, in modo da determinare l'esclusione dall'area di punizione del falso in bilancio non le congetture o le semplici opinioni ma le valutazioni estimative, che pur rappresentando un elemento inscindibile del bilancio, ne rimangono fuori sotto il profilo della rilevanza penale. Ancora una volta valgono le considerazioni espresse in tema di riforma della frode fiscale (art. 4 lett. f), d.l. 429/1982, conv. legge 516/1982 riformato nel 1991), secondo le quali il riferimento ai soli fatti materiali consente di escludere la rilevanza penale di qualsiasi processo valutativo. La Corte di Cassazione non ha perso tempo e pochi giorni dopo l'entrata in vigore della legge 27 maggio 2015, la quinta Sezione penale, con la sentenza del 16 giugno 2015 n. 2151 ha risolto immediatamente il tema delle valutazioni estimative, escludendone la rilevanza penale e sottolineando:
La lettura delle parti più rilevanti della sentenza evidenzia che l'interpretazione ermeneutica della norma svolta dalla Corte di cassazione, che si sviluppa nell'analisi dei passaggi più significativi della nozione di fatti materiali, segna un punto fermo su uno degli aspetti più rilevanti del falso in bilancio, sancendo, in maniera definitiva, l'irrilevanza penale delle valutazioni estimative. L'esposizione di fatti materiali falsi si verifica ogni qual volta i fatti risultino privi di riscontro nella realtà oggettiva o perché oggettivamente non esistenti o perché esistenti in forma diversa da quella rappresentata dall'agente. Il richiamo all'esposizione di fatti materiali non corrispondenti al vero, che tende ad escludere la rilevanza penale dei profili valutativi, non fa che riaffermare il principio secondo il quale una valutazione può essere non corretta, ma mai falsa, poiché il falso consiste nella sua non corrispondenza tra un fatto e la sua descrizione. Probabilmente può essere questa una delle ragioni, anche se non è stato spiegato, che ha indotto il legislatore ad escludere la rilevanza penale delle valutazioni dall'operatività del falso in bilancio, nel senso che l'esposizione di fatti materiali falsi non si concilia con la valutazione scorretta. Per quanto attiene direttamente ai bilanci l'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero si verificherà, ogni qual volta si iscriveranno attività o passività inesistenti o verranno indicati dati oggettivamente differenti dalla realtà. Volendo esemplificare rientrano nel paradigma del falso in bilancio l'iscrizione in bilancio di un bene immobile inesistente, oppure l'iscrizione in bilancio di un bene immobile esistente che nella nota integrativa si afferma falsamente essere stato ristrutturato e quindi suscettibile di interessanti prospettive urbanistiche, quando invece si tratta di un immobile fatiscente e privo di concreta utilizzazione. In quest'ultimo caso — com'è facile intuire — siamo in presenza di una valutazione falsa e non di una valutazione non corretta, perché il valore dell'immobile si fonda su un dato falso, ossia su un dato storico oggettivo inesistente. Altro esempio di esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero potrà verificarsi quando venga iscritto tra le attività dello stato patrimoniale un impianto non più esistente oppure ne viene mantenuto il valore in bilancio, anche quando tale impianto risulti non più idoneo all'attività produttiva rappresentata. Lo stesso può dirsi per l'iscrizione di crediti inesistenti o comunque di fatto non esigibili, come quelli vantati verso un cliente dichiarato fallito. Una voce interessante è quella dell'accantonamento per rischi ed oneri che riguarda il passivo dello stato patrimoniale. Gli accantonamenti rischi ed oneri devono essere stanziati a fronte di perdite o di debiti, allorquando i presupposti per le perdite o per i debiti si siano verificati. I fondi per rischi ed oneri, derivanti da passività potenziali, possono presentarsi di rilevanza tale da condizionare la reale situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società. I fondi per rischi ed oneri possono interessare il trattamento di quiescenza o obblighi simili, imposte anche differite oppure altre situazioni quali ad esempio l'accantonamento per vertenze in corso. In quest'ultimo caso il fondo deve essere istituito in caso di prevedibili passività derivanti all'impresa da vertenze promosse da dipendenti, clienti o fornitori. Questa voce è estremamente discrezionale e rimessa al prudente apprezzamento dell'imprenditore, il quale, da un lato, può ritenere che la vertenza si possa chiudere positivamente e che il fondo non debba essere stanziato, dall'altro può procedere all'accantonamento ma l'importo da accantonare è rimesso alla valutazione dell'amministratore. La voce fondo per rischi ed oneri risulta essere una voce che si caratterizza per l'aspetto valutativo che esula dalla nozione di esposizione di fatti materiali ma può assumere i profili della falsità ogni qual volta nella nota integrativa si assumono circostanze non vere: come ad esempio l'affermazione che la vertenza si possa chiudere positivamente, quando gli elementi fattuali sono chiaramente contrari a tale esito. Ed ancora secondo la Cassazione (Cass. pen., Sez. V, 16 giugno 2015, n. 2151) sono da ritenere fatti materiali falsi i ricavi gonfiati, i costi effettivamente sostenuti, ma sottaciuti, oppure le falsità aventi ad oggetto l'esistenza di conti bancari o rapporti contemplati da fatture emesse per operazioni inesistenti. Parimenti debbono essere ritenute rilevanti condotte scaturenti da fatti storici: quali ad esempio l'iscrizione di crediti lasciati in bilancio, sebbene ormai definitivamente inesigibili per il fallimento senza attivo del debitore. È un fatto materiale anche la mancata svalutazione di una partecipazione, nonostante l'intervenuto fallimento della società controllata. Ciò che conta ai fini della falsità dei fatti materiali è che nel bilancio o meglio negli elementi che lo compongono, quali stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa, siano rappresentati fatti in contrasto con i dati storici oggettivi: solo il rilevamento storico dei dati che non corrisponde al vero può essere oggetto di falsità. La giurisprudenza prevalente, formatasi nel vigore della disciplina del R.d. 16 marzo 1942, n. 262, tendeva ad equiparare le valutazioni irragionevoli alle valutazioni false, riconducendo il concetto di valutazioni a quello di fatti. Nei casi in cui la discrezionalità degli amministratori nella stima delle poste contabili avesse oltrepassato il limite di ragionevolezza, degenerando in mero arbitrio, non saremo in presenza di una valutazione ma di una falsità macroscopica che genera un fatto (v. Cass. pen., 19 giugno 1982; Cass. pen., 16 dicembre 1994). L'esclusione delle stime valutative dalla rilevanza penale del falso in bilancio, introdotta con la riforma del 2015, potrebbe indurre a recuperare quell'orientamento giurisprudenziale, ormai risalente nel tempo, secondo il quale la valutazione irragionevole può essere equiparata ad un fatto materiale falso. Questa possibile soluzione urta in primo luogo con il rilievo che le valutazioni, anche se eccedono i limiti della ragionevolezza, restano sempre valutazioni e non possono tradursi in fatti. Inoltre il criterio della irragionevolezza delle valutazioni che le equipara ad un fatto falso presenta una serie di limiti, primo fra tutti quello della sua indeterminatezza. Infatti non è facile definire una valutazione ragionevole o individuare i criteri in base ai quali definire la ragionevolezza della valutazione, ed inoltre — come rileva Musco — porre una soglia al di là della quale si dovrebbe verificare un salto qualitativo capace di trasformare le valutazioni stesse in un vero e proprio mendacio significa compiere un'operazione intellettuale dai contenuti decisamente ambigui. Comunque se secondo l'orientamento giurisprudenziale richiamato, per valutazioni irragionevoli si devono intendere quelle che degenerano in mero arbitrio, sicché saremmo in presenza non di una valutazione ma di una falsità macroscopica, la valutazione irragionevole verrebbe ad identificarsi con il falso innocuo. Il destino delle valutazioni nel reato di falso in bilancio
La nuova formula adottata dal legislatore con la legge n. 69/2015, che fa riferimento espresso all'esposizione di fatti materiali non corrispondenti al vero, escludendo dal reato di falso in bilancio le valutazioni, limita l'oggetto della falsità ai soli dati meramente oggettivi. La soluzione adottata dal legislatore, nel ridurre la rilevanza penale del bilancio ai soli fatti materiali falsi, si pone in contrasto con la funzione ed i principi che regolano la redazione del bilancio che non si riferisce soltanto all'esattezza aritmetica dei dati rappresentati ma anche alla correttezza economica che viene ottenuta dall'applicazione corretta dei procedimenti valutativi. Il bilancio ha una funzione informativa che contiene la completa esposizione dei fatti inerenti la gestione della società ed è per questo che l'art.2423 c.c., la norma che regola la redazione del bilancio, stabilisce che il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economico dell'esercizio. Il richiamo fatto dalla norma alla rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società testimonia la duplice funzione che svolge la redazione del bilancio all'interno del quale alcune indicazioni possono essere oggetto di un semplice rilevamento storico dei dati (rappresentazione veritiera), mentre altre presuppongono determinate valutazioni (rappresentazione corretta). Nel primo caso la rilevazione si limita al dato oggettivo (tre immobili) e quindi si articola in termini di verità, nell'ipotesi di valutazione (valore degli immobili) le poste di bilancio sono verificate in termini di correttezza, che è il metro per giudicare un'attività eminentemente valutativa. Il legislatore, nel prevedere che il falso in bilancio riguardi esclusivamente fatti materiali falsi, riduce i profili di falsità, nel rispetto dell'autonomia del precetto penale, ai soli casi di rappresentazione non veritiera che riguardano il rilevamento storico dei dati, escludendo dall'operatività del reato il requisito della correttezza, previsto dall'art. 2423 c.c., che attiene alle stime valutative. Ciò sembra porsi in contrasto con i principi che regolano la redazione del bilancio, secondo i quali il bilancio deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, in quanto il legislatore del 2015, in deroga all'art. 2423 c.c., assegna rilevanza penale solo alla rappresentazione veritiera. Probabilmente il legislatore ha cercato di ricondurre il falso in bilancio ai canoni tipici del falso ideologico che si esaurisce nell'obbligo di dire la verità e non anche nell'obbligo di dire in modo chiaro e corretto la verità. L'aggettivazione “materiali” che segue il sostantivo fatti ribadisce il principio della rilevanza penale dei soli dati oggettivi, mantenendo fuori dal paradigma del falso in bilancio la cosiddetta verità legale, che nel vigore della precedente disciplina costituiva uno dei criteri di verifica della correttezza delle valutazioni. In conclusione
Non poche sorprese ha suscitato la riforma del falso in bilancio nella parte in cui il legislatore ha fatto espresso riferimento all'esposizione di fatti materiali per tipizzare il mendacio. È noto il dibattito che, soprattutto nel vigore della legge del 1942, aveva suscitato il richiamo dell'art. 2621 c.c. all'esposizione di fatti non rispondenti al vero, sulla possibilità o meno di ricomprendere anche le valutazioni estimative nella nozione di fatti. Dibattito che, com'è noto, si era risolto nel ritenere positivamente che anche le valutazioni potessero rientrare nel concetto di fatti. Il richiamo della nuova norma sul falso in bilancio al fatto che l'esposizione non rispondente al vero debba riguardare esclusivamente fatti materiali rappresenta un ostacolo alla possibilità di ricomprendere le valutazioni nella nozione di fatti materiali. Il che appare incomprensibile se si tiene presente che la redazione del bilancio riguarda, per lo più, voci la cui determinazione non può prescindere dalle valutazioni. Escludere le valutazioni dal paradigma del reato di falso in bilancio significa abrogare in concreto questa fattispecie. Ciò sorprende e lascia perplessi soprattutto se si tiene conto che fino al 1 aprile 2015 (ironia di una data), allorquando venne approvata dal Senato la proposta di legge n. 3008, nessun disegno di legge, presentato fino ad allora sul falso in bilancio, aveva fatto riferimento all'esposizione di fatti materiali. Il disegno di legge n. 19 di iniziativa del Senatore Grasso, che rappresentava la prima seria proposta articolata del reato di falso in bilancio, individuava il mendacio nell'esposizione di “informazioni false”, consentendo anche alle valutazioni di rientrare a buon diritto nella nozione di informazione. Anche altri disegni di legge, che si erano occupati del reato di falso in bilancio, quali il disegno di legge n. 711, di iniziativa del Senatore Di Cristoforo o il disegno di legge n. 868, di iniziativa del Senatore Buccarella, mantenevano la formula introdotta dalla legge 61/2002 che faceva riferimento all' esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazione, consentendo di ricomprendere anche le valutazioni nell'oggetto del mendacio. Senza che vi fosse stato alcun segnale, anche perché — come osservato — in nessuno dei disegni di legge che avevano affrontato il tema mai era stato prospettato di circoscrivere l'oggetto del mendacio ai fatti materiali, il legislatore, improvvisamente, ha adottato una formula che non consente facili letture alternative all'esclusione delle valutazioni dalla nozione di fatti penalmente rilevanti. Peraltro non esiste un documento, una relazione, che giustifichi questa scelta legislativa, salvo l'osservazione del relatore di maggioranza per il quale fatti materiali non stanno a significare fatti oggettivi ma rilevanti.
Tratto da Il nuovo falso in bilancio A. ALESSANDRI, Diritto penale ed attività economiche, Bologna, 2010; A. BARTULLI, Tre studi sulla falsità in bilancio, Milano, 1980; R. BRICCHETTI – L. PISTORELLI, Escluse le valutazioni delle due nuove fattispecie, in Guida al dir., n. 26, 20 giugno 2015, 62; R. BRICCHETTI – L. PISTORELLI, Un intervento sulle “comunicazioni” che suscita imbarazzo, in Guida dir., 26, 2015, 58; D. CULTRERA, Le false comunicazioni sociali, in Diritto penale delle società, a cura di G. Canzio – L. D. Cerqua, L. Luparia, Padova, 2014; A. DI AMATO, Diritto penale dell'impresa, Milano, 1995; M. GAMBARDELLA, Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali: tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen., 2015, 1073; F. M. IACOVELLO, Il falso in bilancio nei gruppi di società: come il processo penale modifica il diritto penale, in Cass. pen., 1995, 3155; A. LANZI, Le false comunicazioni sociali nella giurisprudenza degli ultimi cinque anni (1960-1974), in Indice penale, 1975; G. LUNGHINI, La nuova disciplina penale delle false comunicazioni sociali, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2002, 1007 ss. N. MAZZACUVA, Il falso in bilancio, Padova, 2004; F. MUCCIARELLI, Le “nuove false comunicazioni sociali”: note in ordine sparso, in Dir. Pen. contemporaneo, 22 giugno 2015 F. MUCCIARELLI, “Ancorchè” superfluo. Ancora un commento sparso sulle nuove comunicazioni sociali, in Dir. Pen. cont. 6 luglio 2015; E. MUSCO, Diritto penale societario, Milano, 1991; V. NAPOLEONI, I reati societari, III, Falsità nelle comunicazioni sociali e aggiotaggio societario, Milano, 1996; P. NUVOLONE, Il bilancio delle società di fronte alla legge penale, in Il diritto penale degli anni 70, Milano, 1982; A. PERINI, I “fatti materiali non rispondenti al vero”. Harakiri del futuribile “falso in bilancio”, in Dir. pen. contemporaneo, 27 aprile 2015; S. SEMINARA, False comunicazioni sociali, falso in prospetto e nella revisione contabile ed ostacolo alla funzione dell'autorità di vigilanza, in Dir. pen. proc., 2002, 680; S. SEMINARA, La riforma dei reati di false comunicazioni sociali, in Dir. pen. cont., 2015, 7, 814 |