Le comunicazioni alla persona offesa dopo il d.lgs. 212/2015

Fabio Fiorentin
21 Gennaio 2016

Con il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, l'Italia recepisce la Direttiva 2012/29/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che introduce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/Gai.
Abstract

Con il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, l'Italia recepisce la Direttiva 2012/29/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che introduce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/Gai. Tra le garanzie che la nuova fonte normativa assicura a chi è stato vittima di un reato, particolare rilievo assume il diritto della persona offesa ad essere informata in relazione allo sviluppo del procedimento penale, agli strumenti di tutela assicurati dallo Stato e agli eventuali accadimenti rilevanti che riguardano l'esecuzione della misura cautelare, della pena o della misura di sicurezza nei confronti dell'autore del reato.

I diritti della vittima nella direttiva europea 2012/99

L'art. 1 della direttiva europea 2012/99 indica, tra gli obiettivi primari che intende perseguire, quello di garantire che le vittime di reato ricevano informazione, assistenza e protezione adeguate.

Destinatario delle misure di tutela introdotte dalla direttiva europea è dunque la vittima di un reato, identificata in uno dei seguenti soggetti: i) persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato; ii) un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona (art. 2, direttiva 2012/99), ove per familiari si intendono il coniuge, la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo, i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle, e le persone a carico della vittima.

L'art. 3 della direttiva introduce il diritto di comprendere e di essere compresi, prescrivendo agli Stati membri di adottare misure affinché la vittima fin dal primo contatto e in ogni ulteriore necessaria interazione con un'autorità competente nell'ambito di un procedimento penale, incluso quando riceve informazioni da questa, a comprendere e a essere compresa provvedendo a che le comunicazioni fornite alla vittima siano offerte oralmente o per iscritto in un linguaggio semplice e accessibile. Tali comunicazioni tengono conto delle personali caratteristiche della vittima, comprese eventuali disabilità che possano pregiudicare la sua facoltà di comprendere o di essere compreso.

Funzionale all'esercizio delle facoltà riconosciute dalla direttiva 2012/99 alla vittima è il dovere di attivazione posto dall'art. 4 della direttiva n. 2012/99 in capo alla autorità competente, avente ad oggetto i diritti di protezione che gli Stati membri devono assicurare a chi è stato vittima di un reato.

Con specifico riferimento al focus della presente analisi, il diritto a ricevere informazioni sul procedimento penale comprende, anzitutto, il momento della denuncia o della querela. L'art. 5 della direttiva 2012/99 stabilisce, infatti, che la vittima ottenga un avviso di ricevimento scritto della denuncia formale da essi presentata alla competente autorità di uno Stato membro che indichi gli elementi essenziali del reato interessato eventualmente ottenendo una traduzione gratuita, in una lingua che comprende, dell'avviso di ricevimento scritto della sua denuncia.

Il successivo art. 6 prevede il Diritto di ottenere informazioni sul proprio caso, consistente in una informativa rivolta alla vittima relativa al proprio diritto di ricevere le seguenti informazioni sul procedimento avviato a seguito della denuncia relativa a un reato da essa subito e provvedono a che la stessa ottenga, previa richiesta, tali informazioni:

a) un'eventuale decisione di non esercitare l'azione penale o di non proseguire le indagini o di non perseguire l'autore del reato;

b) la data e il luogo del processo e la natura dei capi d'imputazione a carico dell'autore del reato.

Gli Stati membri provvedono a che, secondo il ruolo nel pertinente sistema giudiziario penale, la vittima sia informata, senza indebito ritardo, del proprio diritto di ricevere le seguenti informazioni sul procedimento penale avviato a seguito della denuncia relativa a un reato da essa subito e provvedono a che la stessa ottenga, previa richiesta, tali informazioni:

a) l'eventuale sentenza definitiva di un processo;

b) le informazioni che consentono alla vittima di essere al corrente dello stato del procedimento, salvo in casi eccezionali in cui tale comunicazione potrebbe pregiudicare il corretto svolgimento del procedimento.

Le informazioni di cui al paragrafo 1, lettera a), e al paragrafo 2, lettera a), includono la motivazione o una breve sintesi della motivazione della decisione in questione>>, salvo il caso di decisione le cui motivazioni siano riservate in base alla legge nazionale.

A tali obblighi informativi non si fa luogo qualora la vittima manifesti la volontà di non ottenere informazioni e tale manifestazione di volontà è vincolante per l'autorità competente, a meno che tali informazioni non debbano essere comunicate a motivo del diritto della vittima a partecipare attivamente al procedimento penale. La vittima, in ogni caso, è libera di modificare un qualunque momento la propria volontà.

L'art. 6, par. 5, della direttiva prevede che gli Stati membri garantiscano alla vittima la possibilità di essere informata, senza indebito ritardo, della scarcerazione o dell'evasione della persona posta in stato di custodia cautelare, processata o condannata (...) Gli Stati membri garantiscono che la vittima riceva altresì informazioni circa eventuali pertinenti misure attivate per la sua protezione in caso di scarcerazione o evasione dell'autore del reato e il successivo par. 6, art. 6, cit. stabilisce, inoltre, che La vittima, previa richiesta, riceve le informazioni di cui al paragrafo 5 almeno nei casi in cui sussista un pericolo o un rischio concreto di danno nei suoi confronti, salvo se tale notifica comporta un rischio concreto di danno per l'autore del reato.

Specifici obblighi informativi sono, altresì, forniti anche dai servizi di assistenza alle vittime di cui all'art. 8, par.1, della direttiva 2012/99, tra cui particolare rilievo assumono:

a) le informazioni in materia di diritti delle vittime, fra cui le possibilità di accesso ai sistemi nazionali di risarcimento delle vittime di reato, e in relazione al loro ruolo nel procedimento penale, compresa la preparazione in vista della partecipazione al processo;

b) le informazioni su eventuali pertinenti servizi specialistici di assistenza in attività o il rinvio diretto a tali servizi (art. 9).

L'art. 11 della Direttiva 2012/99 prevede il diritto della vittima ad essere informata (…) del proprio diritto di ricevere e di ottenere informazioni sufficienti per decidere se chiedere il riesame di una decisione di non esercitare l'azione penale, previa richiesta (salvo il caso in cui la decisione di non esercitare l'azione penale si traduce in una composizione extragiudiziale, sempre che il diritto nazionale disponga in tal senso).

Nel contesto dei servizi di giustizia riparativa, la Direttiva europea prescrive, infine, che l'accesso della vittima ai servizi di giustizia riparativa debba essere libero e informato, ed espresso dopo che la medesima ha ricevuto informazioni complete e obiettive in merito al procedimento stesso e al suo potenziale esito, così come informazioni sulle modalità di controllo dell'esecuzione di un eventuale accordo.

La disciplina introdotta dal d.lgs 212/2015

Nel quadro delineato dalla direttiva 2012/99, il diritto di informazione della vittima del reato è recepito dal d.lgs 212/2015 principalmente mediante un intervento sul codice di procedura penale. In tale contesto, particolare importanza assumono due disposizioni di nuovo conio, introdotte con l'art. 1 del d.lgs cit.: gli artt. 90-bis e 90-ter del codice processuale penale.

La prima norma (art. 90-bis - Informazioni alla persona offesa) elenca le informazioni che devono essere fornite alla persona offesa, in una lingua a lei comprensibile, sin dal primo contatto con l'autorità procedente e che devono riguardare:

a) le modalità di presentazione degli atti di denuncia o querela, al ruolo che assume nel corso delle indagini e del processo, al diritto ad avere conoscenza della data, del luogo del processo e della imputazione e, ove costituita parte civile, al diritto a ricevere notifica della sentenza, anche per estratto;

b) la facoltà di ricevere comunicazione dello stato del procedimento e delle iscrizioni di cui all'articolo 335, commi 1 e 2, c.p.p.;

c) la facoltà di essere avvisata della richiesta di archiviazione;

d) la facoltà di avvalersi della consulenza legale e del patrocinio a spese dello Stato;

e) le modalità di esercizio del diritto all'interpretazione e alla traduzione di atti del procedimento;

f) le eventuali misure di protezione che possono essere disposte in suo favore;

g) i diritti riconosciuti dalla legge nel caso in cui risieda in uno Stato membro dell'Unione europea diverso da quello in cui è stato commesso il reato;

h) le modalità di contestazione di eventuali violazioni dei propri diritti;

i) le autorità cui rivolgersi per ottenere informazioni sul procedimento;

l) le modalità di rimborso delle spese sostenute in relazione alla partecipazione al procedimento penale;

m) la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni derivanti da reato;

n) la possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela di cui all'articolo 152 c.p., ove possibile, o attraverso la mediazione;

o) le facoltà ad essa spettanti nei procedimenti in cui l'imputato formula richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova o in quelli in cui è applicabile la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto;

p) le strutture sanitarie presenti sul territorio, alle case famiglia, ai centri antiviolenza e alle case rifugio.

La seconda disposizione (art. 90-ter - Comunicazioni dell'evasione e della scarcerazione), prevede che, fermo quanto previsto dall'art.299 c.p.p., nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona sono immediatamente comunicati alla persona offesa che ne faccia richiesta, con l'ausilio della polizia giudiziaria, i provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva, ed è altresì data tempestiva notizia, con le stesse modalità, dell'evasione dell'imputato in stato di custodia cautelare o del condannato, nonché della volontaria sottrazione dell'internato all'esecuzione della misura di sicurezza detentiva, salvo che risulti, anche nella ipotesi di cui all'art.299 c.p.p., il pericolo concreto di un danno per l'autore del reato.

La perimetrazione dell'ambito di operatività delle nuove disposizioni

Una prima questione interpretativa che la nuova disposizione pone è quella inerente alla precisa identificazione dell'area di operatività dell'obbligo di comunicazione posto in capo alla pubblica autorità dalle due disposizioni processuali introdotte dal d.lgs. 212/2015, il quale si riferisce testualmente ai procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona. Si tratta, in effetti, dei medesimi profili di dubbio già postisi agli interpreti con riferimento alla disposizione di cui all'art.299, comma 3, c.p.p., novellato dal decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n.119, che stabilisce, anch'esso, alcuni obblighi informativi nei casi di subprocedimenti di revoca e sostituzione delle misure cautelari personali previste agli artt.282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 c.p.p., qualora si proceda, appunto, per delitti commessi con violenza alla persona.

Assumendo che in entrambi i testi normativi si alluda alla medesima tipologia di delitti, si può, allora, considerare – in accordo con autorevoli opinioni dottrinarie – che il d.l.93/2013 e il d.lgs 212/2015 facciano riferimento principalmente alle ipotesi di fatti-reato consumatisi in ambito familiare o comunque tra soggetti (vittima e reo) legati da vincoli affettivi, come tali caratterizzati da una relazione molto stretta tra autore del reato e persona offesa dal medesimo. In altri termini, si può ritenere che il campo di operatività di elezione delle tutele assicurate dall'ordinamento riformato sulla matrice europea concerna principalmente – anche se certamente non soltanto - le vittime della c.d. violenza di genere.

In ogni caso, la legge individua nella violenza alla persona il discrimine tra sussistenza, o no, del dovere in capo alla pubblica autorità di provvedere alle comunicazioni alla persona offesa. Si pone, allora, l'ulteriore quesito se, tra i delitti commessi con violenza alla persona rientrino solo quelli in cui, accanto alla condotta violenta, sussista altresì un rapporto di relazione o, comunque, affettivo tra il reo e la vittima e dunque se appartengano a tale tipologia rilevante ai fini del d.lgs.212/2015 solo le offese inferte ad una persona determinata per ragioni legate al pregresso rapporto autore/vittima, ovvero se sia sufficiente che il fatto-reato consista in una offesa alla persona tout court, indipendentemente da ogni pregresso rapporto (dunque, qualificherebbe il reato ai fini della protezione di cui agli artt. 90-bis e 90-ter c.p.p., anche la violenza del tutto occasionale). Per certi aspetti, potrebbe opinarsi che la ratio della disposizione in esame miri ad assicurare alla persona offesa una serie di tutele contro i rischi di una reiterazione nei suoi confronti di condotte aggressive da parte dell'autore dell'offesa per cui pende il procedimento penale e tale ricostruzione sembrerebbe condurre alla prima soluzione interpretativa affacciata. Tuttavia, se si riflette che la persona offesa è comunque potenzialmente esposta ai rischi di vittimizzazione secondaria (a es. per il fatto di avere denunciato l'aggressione subita), appare forse preferibile considerare la seconda e più ampia prospettiva ermeneutica proposta, così da assicurare le informative previste dalle disposizioni processuali sopra evocate anche in favore delle vittime occasionali di un reato perpetrato con violenza alla persona.

Con riguardo alle caratteristiche della violenza, invero, non pare consentita alcuna lettura che distingua la tipologia di violenza (fisica o morale) mediante la quale si realizza l'azione delittuosa.

Le possibili criticità

L'assolvimento dei doveri di comunicazione introdotti dagli artt.90-bis e 90-ter c.p.p., non è assistito da alcuna sanzione processuale per il mancato assolvimento dei medesimi, a differenza di quanto avviene in relazione ad analoghi oneri imposti in relazione alle vicende delle misure cautelari (es. la sanzione della inammissibilità prevista dall'art.299, comma 4-bis, c.p.p.).

Non è, inoltre, dettata una specifica disciplina nel caso di irreperibilità della persona offesa (ipotesi non del tutto infrequente nel caso di vittime apolidi o stranieri).

Con riguardo ai doveri di informazione contenuti nell'art.90-bis, c.p.p., il rischio concreto – giustamente rilevato dalla dottrina (Bouchard) – è che il relativo adempimento si risolva sul piano puramente formale (e formalistico), con la consegna all'interessato di un foglio contenente l'elenco mutuato dalla disposizione di nuovo conio, vanificando così in gran parte l'obiettivo avuto di mira dalla direttiva europea. Nella medesima prospettiva si osserva, inoltre, che la disposizione processuale di nuova vigenza pare eccessivamente generica circa il contenuto delle informazioni che devono essere fornite alla persona offesa, prestandosi, anche per questo profilo, a prassi applicative poco attente alla realizzazione dell'obiettivo di assicurare alla vittima un diritto effettivo ad avere conoscenza di elementi essenziali per la propria difesa.

Tali non secondarie criticità restituiscono il profilo di una disciplina affetta da alcune criticità, che potranno tuttavia – secondo una condivisibile opinione – essere, almeno in parte, superate in via interpretativa mediante il richiamo alla Direttiva europea distribuendo diritti partecipativi là dove al silenzio del legislatore non corrisponda un implicito divieto (Belluta).

Quanto alla disciplina introdotta dall'art.90-ter, c.p.p., non è chiaro, anzitutto, se la richiesta della persona offesa sia condicio sine qua non in entrambe le ipotesi (quindi, sia per il caso di emissione di provvedimenti di scarcerazione o di cessazione della misura di sicurezza detentiva, quanto per l'ipotesi di evasione o volontaria sottrazione dell'internato alla misura di sicurezza), affinché scattino i doveri di comunicazione stabiliti dalla medesima disposizione.

Sono, in effetti, astrattamente percorribili tanto l'interpretazione per cui, in entrambi i casi sopra indicati, il dovere di comunicazione in capo alla pubblica autorità viene in rilievo soltanto in corrispondenza ad una specifica richiesta della persona offesa; quanto la lettura che collega la necessità di un'espressa istanza della vittima alla sola prima ipotesi (cioè alla eventuale scarcerazione o cessazione della misura di sicurezza detentiva), laddove, nel secondo caso l'autorità dovrebbe comunque dare notizia alla persona offesa, a prescindere, quindi, da una richiesta della stessa. Alla luce del tenore della disposizione in esame, nulla induce a ritenere che la condizione integrata dalla richiesta in esame sia stata introdotta soltanto con riferimento alla prima fattispecie sussunta, né del resto si rinviene alcuna logica motivazione per differenziare sotto tale profilo le due ipotesi previste dalla norma. Del resto, sembrano giocare a favore della prima soluzione interpretativa alcuni significativi elementi: anzitutto, la circostanza che il testo della norma è stato oggetto di una specifica valutazione parlamentare proprio relativamente alla condizione della richiesta della persona offesa per l'attivazione del dovere di informazione, che è stata mantenuta nel testo normativo definitivamente licenziato dal Parlamento, nonostante il parere contrario della Commissione giustizia, che aveva invece proposto la soppressione dell'inciso relativo alla richiesta espressa della vittima (su tale profilo si rimanda alle osservazioni critiche di Bouchard). In secondo luogo il testo vigente della disposizione dell'art.90-ter, c.p.p., appare testualmente più aderente al tenore della direttiva europea (vedasi l'art. 6 par. 5 della direttiva, cit.). Ma c'è anche una terza – per chi scrive, decisiva - ragione che dovrebbe far inclinare per la prima lettura proposta: l'argomento per cui, accanto al diritto ad essere informati, l'ordinamento deve altresì tutelare il diritto a non essere informati, espressione del più generale diritto all'oblio: dimenticare ed essere dimenticati. Di tale profilo si fa, pour cause, carico la direttiva europea che condiziona, infatti, l'esercizio del diritto all'informazione della vittima ad una sua esplicita richiesta.

Sotto altro profilo, con riguardo al presupposto indicato dall'art.90-ter, c.p.p., relativo alla possibilità che dalla comunicazione degli eventi ivi indicati derivi un pericolo concreto per l'autore del reato, non è chiaro se tale rischio deve essere valutato in entrambe le fattispecie sussunte dalla disposizione, ovvero solo nell'ipotesi di evasione dell'imputato o del condannato, nonché di volontaria sottrazione dell'internato alla misura di sicurezza detentiva.

In relazione a tale secondo ordine di dubbi, sono ipotizzabili due soluzioni analoghe a quelle formulate sul quesito precedente essendo possibile ipotizzare che soltanto nella seconda ipotesi (evasione o sottrazione all'esecuzione della misura di sicurezza detentiva) la notizia sia data alla persona offesa previa valutazione della sussistenza di un concreto pericolo per l'autore del reato, laddove nella prima evenienza (emissione di provvedimento di scarcerazione o cessazione della misura di sicurezza detentiva), tale profilo non dovrebbe essere preso in considerazione dall'autorità su cui incombe il dovere di comunicazione. Anche in questo caso, non pare sussistere alcuna ragione per differenziare le due ipotesi, dal momento che le ragioni di tutela dell'autore del reato (tipicamente: il pericolo di ritorsioni) sono potenzialmente rilevanti in entrambe le fattispecie sussunte dalla disposizione in esame. Inoltre, pare doversi attribuire valenza generale alla doverosa valutazione delle esigenze di tutela del reo alla luce del richiamo alla direttiva europea 2012/29 che, con il già evocato art. 6, par.6, stabilisce La vittima, previa richiesta, riceve le informazioni di cui al paragrafo 5 [si tratta delle notizie relative alla scarcerazione o all'evasione dell'autore del reato, n.d.a.] (…) almeno nei casi in cui sussista un pericolo o un rischio concreto di danno nei suoi confronti, salvo se tale notifica comporta un rischio concreto di danno per l'autore del reato, non ponendo dunque alcuna distinzione sotto il profilo qui in considerazione.

Un altro delicato aspetto lasciato in ombra dalla nuova disciplina concerne l'individuazione dell'autorità pubblica chiamata ad adempiere alle comunicazioni di cui all'art.90-ter, c.p.p. Sembra abbastanza agevole individuare nel pubblico ministero l'autorità incaricata di tali informative, sia perché si tratta della magistratura che ha la disponibilità della polizia giudiziaria (quest'ultima, espressamente attributaria, secondo la disposizione di nuova introduzione, del ruolo di ausilio negli adempimenti ivi indicati), sia perché si tratta dell'organo incaricato di curare l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza anche nella fase esecutiva (art.659 c.p.p.) e si tratta, altresì, dell'autorità cui perviene con immediatezza l'eventuale notitia criminis inerente alla commissione del delitto di evasione o della fuga dell'internato.

Infine, il P.M. è l'unica autorità giudiziaria in grado di accertare con immediatezza se nel fascicolo risulti la richiesta della persona offesa di essere informata e se vi siano, pertanto, doveri di comunicazione derivanti dall'art.90-ter, c.p.p.

In conclusione

Le disposizioni in tema di comunicazioni alla persona offesa del reato, introdotte dal d.lgs 212/2015 in attuazione della direttiva europea 2012/29/Ue rappresentano certamente un passo importante nella giusta direzione della valorizzazione degli strumenti processuali ed extraprocessuali volti alla tutela della vittima. Pur nell'apprezzamento per il – sia pure tardivo – recepimento delle regole di matrice europea, resta la motivata insoddisfazione per una disciplina attuativa non pienamente rispondente agli obiettivi che la fonte europea intendeva raggiungere e segnata, purtroppo, da alcune opacità sul piano interpretativo che rischiano di comprometterne l'efficacia sotto il profilo della tutela effettiva di chi ha subito le conseguenze di un reato e che dovrebbe - per questo solo motivo – godere di una speciale protezione da parte dello Stato.

Guida all'approfondimento

H.BELLUTA, Per piccoli passi: la vittima di reato cerca spazio nel procedimento penale, in Dir. pen. cont. 3 marzo 2014;

M.BOUCHARD, Prime osservazioni al decreto legislativo sulle vittime di reato, in Quest. Giust., 14 gennaio 2016.

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