Errore sul fatto ed errore sul precetto: criteri distintivi con particolare riferimento all’errore di diritto su legge extrapenale

Alessio Innocenti
21 Luglio 2015

La profonda differenza di disciplina dei due tipi di errore contemplati negli artt. 5 e 47 c.p., in ordine, rispettivamente, all'errore sul precetto e all'errore sul fatto, impone di individuare i criteri necessari per distinguerli.
Abstract

La profonda differenza di disciplina dei due tipi di errore contemplati negli artt. 5 e 47 c.p., in ordine, rispettivamente, all'errore sul precetto e all'errore sul fatto, impone di individuare i criteri necessari per distinguerli.

La distinzione dei due tipi di errore, in astratto chiara e nitida, diviene assai più complessa quando la falsa rappresentazione consegua, non già ad un errore di fatto (che può dar luogo solo ad un errore sul fatto ex art. 47 c.p.), bensì ad una errata interpretazione (o ignoranza) della legge extrapenale, potendo questa, invece, dare corso sia ad un errore sul precetto (art. 5 c.p.), sia ad un errore sul fatto costituente reato.

La teoria dell'incorporazione

Il comma 3 dell'art. 47 c.p. afferma che “L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”.

La teoria invalsa nella giurisprudenza della S.C. è quella della c.d. “incorporazione”.

In base a questa teoria si dovrebbe distinguere tra:

a) norme extrapenali integratrici del precetto penale, le quali costituendo un vero e proprio presupposto della fattispecie (ed essendo, perciò, in essa incorporate), devono considerarsi pari alla legge penale;

b) norme extrapenali non integratrici del precetto penale, le quali, invece, conserverebbero una loro propria autonomia rispetto al precetto in senso stretto, attenendo al fatto storico in concreto realizzatosi.

Nel primo caso, l'errore, riverberandosi sul precetto penale, non rileverebbe, salve le ipotesi eccezionali di error inevitabile, rimanendo così impregiudicata la punibilità dell'autore; nel secondo caso, invece, l'errore dovrebbe essere ricondotto nell'alveo dell'articolo 47 c.p., scusando così l'autore del fatto.

Seguendo questa teoria, il problema si sposta, evidentemente, sulla natura - integrativa o meno - della norma extrapenale.

Ebbene, sul punto, la Corte di cassazione, con numerose pronunce, anche recenti, ha affermato che la “legge extrapenale” a cui fa riferimento l'articolo 47, comma 3, c.p. sarebbe soltanto quella non espressamente o implicitamente richiamata o incorporata in una norma penale.

Tale teoria poggia le proprie fondamenta su una predisposizione culturale, diffusa tra i giudici, favorevole ad una obbligatorietà pressoché incondizionata della legge penale e su di un'esigenza pratica di non appesantire il giudizio penale di un defatigante accertamento psicologico-soggettivo-cognitivo sulla persona dell'autore che, in concreto, difficilmente potrebbe essere operato dal giudice.

Così, la giurisprudenza ha considerato irrilevante l'errore che ricada sulle qualifiche del soggetto attivo nei reati propri (ad es. sulla qualifica di pubblico ufficiale nei reati contro la p.a.).

Lo stesso dicasi con riferimentoalle c.d. norme penali in bianco (ad es. artt. 329, 650 c.p.), disposizioni caratterizzate da un precetto avente carattere generico, dovendo essere specificato da atti normativi di grado inferiore (quali ad es. i regolamenti o i provvedimenti amministrativi), mentre la sanzione è determinata. Anche con riferimento ad esse, infatti, la S.C., con numerose pronunce, ha ricondotto l'errore ricadente su tali fonti di rango inferiore all'ipotesi di cui all'art. 5 c.p.:

  • Cass., Sez. VI, n. 47028/2009, sentenza resa in ordine al delitto di abusivo esercizio di una professione di cui all'art. 348 c.p. (Fattispecie in cui un massoterapeuta è stato ritenuto responsabile di esercizio abusivo della professione medica e di quella di fisioterapista, per aver improvvisato diagnosi ed esaminato radiografie e referti, eseguendo massaggi per lenire e curare diverse patologie, secondo un proprio programma di sedute);
  • Cass., Sez. III, n. 38087/2009, pronuncia resa in ordine al reato di cui all'art. 15, lett. c) della l. 14 luglio 1965, n. 963 in tema di divieti di pesca marittima (Nella specie, si trattava del Reg. CE 17 giugno 1994, n. 1626 che non consente alcuna deroga al divieto di pesca e commercializzazione del novellame, a differenza della normativa nazionale)”;
  • Cass., Sez. VI, n. 1632/1997, sentenza resa anch'essa in ordine alla fattispecie di esercizio abusivo della professione (Fattispecie riguardante la normativa disciplinante l'attività sanitaria, in ordine alla quale si assumeva da parte della difesa che l'imputato, biologo accusato del predetto reato per avere praticato un prelievo di sangue venoso a fini di analisi, fosse incorso in errore).

Anche con riguardo all'errore che ricada su un elemento normativo della fattispecie la giurisprudenza appare rigida ed orientata univocamente a ricondurlo alla categoria dell'errore sul precetto:

  • Cass., Sez. III, n. 22813/2004, secondo cui “L'errore sulla qualifica demaniale di un'area o terreno non esclude l'elemento psicologico del reato di occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo, in quanto ai sensi dell'art. 47 c.p., la punibilità è esclusa solo in riferimento all'errore su "legge diversa da quella penale", intendendosi per legge diversa solo quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non implicitamente richiamata in una norma penale, mentre, in relazione alla indicata fattispecie, tale legge risulta incorporata in via esplicita nella disposizione penale”;
  • Cass., Sez. IV, n. 37590/2010 e Cass., Sez. IV, n. 14011/2015, che in ordine alla fattispecie di cui all'art. 95, d.P.R. 115/2002, hanno uniformemente affermato che “Deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per << legge diversa dalla legge penale >> ai sensi dell'art. 47 c.p. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente. (Nella specie, la Corte ha affermato che l'art. 76, d.P.R. n. 115 del 2002, che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all'art. 95 stesso d.lgs., non costituisce legge extrapenale)”.

Nell'ambito di questo pacifico orientamento giurisprudenziale può collocarsi anche Cass., Sez. VI, n. 33875/2014, secondo cui “Non esclude il dolo del delitto di detenzione illegale di arma l'erroneo convincimento dell'agente circa l'obbligo di denunciare il possesso dell'arma all'autorità competente, trattandosi di errore su norme che integrano il precetto penale e non possono quindi essere ricondotte alla disciplina di cui all'art. 47, comma 3, c.p.

La teoria degli effetti psicologici ultimi e dell'oggetto finale dell'errore

Per una diversa impostazione, affermata da autorevole dottrina (Mantovani, Diritto penale, parte generale, pp. 370-377), la soluzione alla vexata quaestio non potrebbe ricavarsi sulla base di aprioristiche ed astratte concezioni e distinzioni tra norme, come invece fatto dalla granitica giurisprudenza di legittimità.

Si osserva, infatti, che un simile approccio, oltre a fondarsi su discutibili basi logico-giuridiche, finirebbe, sul piano pratico, per operare un'inammissibile interpretatio abrogans dell'articolo 47, comma 3, c.p.

Secondo i sostenitori di questo diverso orientamento, invece, l'ambito operativo delle due norme (artt. 5 e 47 c.p.) dovrebbe distinguersi sulla base “degli effetti psicologici ultimi e dell'oggetto finale dell'errore”.

Si tratta, di un giudizio in concreto, da svolgersi non già una volta per tutte sulla base della natura e del carattere delle norme coinvolte, bensì, tenendo di conto dell'atteggiamento soggettivo, della volontà del soggetto agente.

Questa teoria prende le mosse da una considerazione fondamentale, ovvero che quando l'errore extrapenale non si esaurisce in un errore sul precetto, ma comporta invece un errore sul fatto ex art. 47, comma 3, c.p., esso è sostanzialmente sovrapponibile, se non addirittura identico, negli effetti psicologici ultimi, all'errore sul fatto determinato da un errore di fatto previsto all'art. 47, comma 1, c.p.: infatti, in entrambi i casi l'autore del fatto vuole, persegue, un fatto diverso da quello incriminato dalla fattispecie penale; l'agente, quindi, agisce senza la coscienza dell'offensiva del fatto, ponendo in essere una condotta non sorretta da un'effettiva ed autentica volontà.

Al contrario, chi invece opera in base ad un errore sulla legge extrapenale che si riverbera sul precetto, sulla norma penale in senso stretto, vuole un fatto che è identico a quello previsto dalla fattispecie incriminatrice, ma che egli crede, per ignoranza o per un'erronea interpretazione, che questo non sia penalmente illecito.

Sulla base di questo criterio, da applicarsi caso per caso, i sostenitori della tesi in parola risolvono i principali problemi di individuazione e distinzione dell'ambito operativo delle richiamate norme.

Degna di nota è la soluzione individuata con riferimento all'errore sulle qualifiche del soggetto attivo nei reati propri in relazione al quale dovrebbe distinguersi tra diverse categorie di reati propri: a) reati propri non esclusivi - costituiti da fatti che, senza la qualifica soggettiva costituirebbero pur sempre un illecito extrapenale e resterebbero, quindi, offensivi di interessi altrui, sebbene non presidiati penalmente- in relazione ai quali l'errore sulla qualifica del soggetto attivo configurerebbe un errore sul precetto ex art. 5 c.p.; b) reati propri semiesclusivi -ovvero fatti che senza la qualifica soggettiva in questione, costituirebbero comunque un illecito penale- in relazione ai quali la falsa rappresentazione in ordine alla qualifica costituirebbe un errore sul fatto ex art. 47, comma 3, c.p., che, tuttavia, lascerebbe aperta la punibilità per il reato diverso (art. 47, comma 2, c.p.); c) reati propri esclusivi -costituiti da fatti che, senza la qualifica soggettiva ignorata o erroneamente rappresentata dal soggetto agente, sarebbero giuridicamente leciti e inoffensivi- nel qual caso l'errore sulla qualifica soggettiva rivestita dal soggetto agente si ripercuoterebbe inevitabilmente sul fatto costituente reato ex art. 47, comma 3, c.p.

Conclusioni

La distinzione tra errore su legge extrapenale che integra un errore sul precetto (art. 5 c.p.) ed errore sulla medesima fonte normativa che invece configura un errore sul fatto che costituisce reato (art. 47 c.p.), rappresenta uno dei temi più delicati e controversi ed attualmente irrisolti nell'ambito della teoria generale del reato.

Sul punto deve prendersi atto di un insanabile contrasto tra l'impostazione fatta propria dalla granitica giurisprudenza -che riconduce la quasi totalità dei casi di errore su legge extrapenale ad un errore sul precetto ex art. 5 c.p.- e la più garantista dottrina che, invece, ritiene necessaria una approfondita e concreta indagine sull'atteggiamento psicologico ultimo del soggetto agente.

Con riguardo alla teoria dell'incorporazione, sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità assolutamente granitica, se da un lato, può comprendersi (e, forse, condividersi) la tensione verso la ricerca di soluzioni concretamente e agilmente percorribili in sede processuale, dall'altro, non v'è chi non veda come la stessa riduca drasticamente l'ambito di operatività dell'art. 47, comma 3, c.p. -in favore, invece, di un'estensione del disposto dell'articolo 5 c.p.- quasi fino a giungere alla sua abrogazione.

Sotto questo aspetto, la teoria dottrinale che si fonda sugli effetti psicologici ultimi dell'errore, appare decisamente più aderente ai principi costituzionali di colpevolezza e personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.).

Tale soluzione –che certamente grava il processo penale di una non semplice indagine di ordine soggettivo, volta ad acclarare l'effetto finale della falsa rappresentazione della realtà normativa da parte dell'autore del fatto- appare, tuttavia, come l'unica in grado di preservare le garanzie e i principi fondamentali posti dalla Costituzione.

D'altronde, le innegabili difficoltà conseguenti ad un simile accertamento giudiziale, in realtà, non costituisce affatto un unicum nel panorama del diritto e della procedura penale: basti pensare -per rimanere nell'ambito della colpevolezza- alle indagini in ordine alla sussistenza o meno dell'elemento soggettivo del reato (dolo o colpa; art. 43 c.p.), alla distinzione tra il dolo eventuale e la colpa cosciente (art. 61 n. 3 c.p.), alla intensità del dolo o al grado della colpa (art. 133, comma 1, n. 3 c.p.).

Dunque, non possono condividersi -nemmeno a fronte di un'esigenza pratica certamente rilevante e sussistente- soluzioni aprioristiche, specie ove queste non si mostrino in linea con i principi e le garanzie costituzionali. Tanto più che le denunciate difficoltà ed incongruenze applicative possono essere elise o, quanto meno, contenute osservandosi che l'indagine in ordine agli effetti ultimi dell'errore deve essere condotta, non già direttamente attraverso un'analisi (incerta e decisamente opinabile) della psiche dell'autore del fatto, bensì sulla sua volontà, induttivamente, ricostruibile sulla base degli elementi e circostanze fattuali concretamente emersi nel corso del giudizio penale.

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