Si stabilizza la nozione di durata indeterminata della pena accessoria
22 Settembre 2016
Abstract
È questione controversa se la durata delle pene accessorie stabilita tra un minimo e un massimo edittale sia da ritenersi indeterminata e come tale soggetta al disposto dell'art. 37 c.p. Tuttavia, la controversia è forse superata in considerazione dei più recenti arresti della suprema Corte (Cass. pen., Sez. III, 20 aprile 2016, n. 19219, Cass. pen.,Sez. III,17 settembre 2015, n. 40360) che hanno ribadito la soluzione positiva, già affermata dalle Sezioni unite (n. 6240 del 27 novembre 2014). La questione disputata: la durata della pena accessoria stabilita tra un minimo e un massimo è determinata?
È dubbio se nella nozione di durata espressamente determinata, richiamata (in negativo) dall'art. 37 c.p., rientrino i casi in cui la cui durata della pena accessoria sia prevista tra un minimo ed un massimo edittale. Le conseguenze di una soluzione piuttosto che di un'altra sono di non poco momento. Se infatti si risolve positivamente il quesito, il giudice potrà determinare la sanzione satellite entro la “forbice” prevista dal Legislatore, non trovando luogo il principio di equivalenza tra pena principale e pena accessoria, che ex art. 37 c.p. si applica soltanto per le pene accessorie la cui durata non sia determinata. Sicché, ad esempio, a fronte di una pena principale per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte comminata in misura pari a mesi sei, la pena accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese potrebbe essere comminata anche nel suo massimo pari ad anni tre. Se invece si predilige l'interpretazione avversa, secondo cui le sanzioni satelliti determinate tra un minimo e un massimo sono da ritenersi di durata indeterminata, troverà applicazione il principio di equivalenza poc'anzi richiamato. Di talché nell'esempio prima formulato l'interdizione non potrà che avere una durata di sei mesi, pari alla pena principale inflitta. Un primo indirizzo: le pene accessorie la cui sanzione è prevista tra un minimo e un massimo hanno una durata determinata
Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale la durata delle pene satellite indicata nel modo antea descritto è espressamente determinata, con conseguente esclusione della applicabilità del principio dell'uniformità temporale tra pena accessoria e pena principale, ex art. 37 c.p. (tra le altre, Cass. pen., Sez. feriale, 1 agosto 2013, n. 35729; Cass. pen., Sez. III, 5 dicembre 2012, n. 17702; Cass. pen., Sez. III, 15 ottobre 2008, n. 42889; Cass. pen., Sez. III, 17 aprile 2008, n. 25229; Cass. pen., Sez. V, 21 settembre 1989, n. 759; Cass. pen., Sez. V, 23 febbraio 1978, n. 9019; Cass. pen., Sez. V, 25 febbraio 1972, n. 3885; implicitamente, anche, Cass. pen., Sez. III, 2 luglio 1984, n. 9991 nonché Cass. pen., Sez. V, 23 gennaio 1984, n. 1762). Eppertanto la concreta durata della pena satellite sarà determinata dal Giudice, applicando i parametri di cui all'art. 133 c.p., norma di carattere generale in tema di quantificazione della pena. Siffatto indirizzo richiama a proprio suffragio i principi costituzionali della individualizzazione e della funzione rieducativa della sanzione. All'indirizzo prima richiamato se ne è contrapposto altro, secondo cui la durata della pena accessoria prevista tra un minimo e un massimo deve ritenersi non espressamente determinata, con conseguente applicazione del principio di equivalenza (ex multis Cass. pen., Sez. III,2 aprile 2014, n. 20428; Cass. pen., Sez. V, 30 giugno 2010, n. 29780; Cass. pen., Sez. III, 9 ottobre 2008, n. 41874; Cass. pen., Sez. V, 30 maggio 1975, n. 9198). Tale orientamento ritiene che militi a favore della propria tesi la lettera dell'art. 37 c.p., che nel porre il principio di uniformità tra le due sanzioni, prevede che in ogni caso la pena accessoria vada contenuta entro il limite minimo e quello massimo stabilito per la stessa. Sul nodo interpretativo è intervenuto il massimo consesso della suprema Corte (Cass. pen., Sez. unite, 27 novembre 2014, n. 6240), investito della diversa ma correlata questione della rimediabilità in executivis della erronea o omessa applicazione di una pena accessoria da parte del giudice della cognizione. Le Sezioni unite hanno aderito all'indirizzo da ultimo illustrato. Ed invero i giudici della nomofilachia hanno anzitutto rilevato che non riveste carattere decisivo l'argomento secondo cui il Legislatore, prevedendo una “forbice” edittale per la pena accessoria, abbia inteso dar applicazione ai principi costituzionali della individuazione e funzione rieducativa della pena. Al riguardo la Corte regolatrice ha osservato che tali principi sono comunque applicati dal giudice nel determinare la pena principale e quindi di riflesso la pena accessoria equivalente. Ciò che invece pare rivestire carattere decisivo per sciogliere il nodo interpretativo è la formulazione letterale dell'art. 37 c.p. Invero, per come già rilevato, la norma in questione, nel porre il principio di equivalenza tra la durata della pena principale e quella non espressamente determinata della pena accessoria, dispone che in nessun caso la durata della sanzione secondaria possa “oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria. Dunque una sanzione accessoria la cui durata è determinata entro un range ha durata indeterminata. A sostegno della tesi prescelta, le Sezioni Unite hanno anche fatto riferimento al disposto dell'art. 183 disp. att. c.p.p. che consente al Giudice della esecuzione di applicare la pena accessoria omessa da quello della cognizione. Il richiamo alla norma di attuazione è parso assolutamente in tema, giacché essa fa riferimento alla pena accessoria “predeterminata dalla legge nella specie e nella durata”. Orbene, è evidente secondo le Sezioni Unite che il Giudice della esecuzione nell'applicare una sanzione accessoria non possa godere di alcun margine di discrezionalità e dunque non possa che comminare una pena accessoria la cui misura sia fissa. Dunque la locuzione pena predeterminata per legge nella durata ha riguardo soltanto a tale tipo di sanzione. Per inciso deve considerarsi che sebbene la Corte ricorra all'art. 183 disp. att. per confermare la sua tesi, essa finisca poi per impiegare la nozione di durata predeterminata in modo differente in sede di cognizione ed in sede di esecuzione. Infatti, in sede di cognizione è da ritenersi determinata la durata della pena accessoria originariamente stabilita in misura fissa, lì dove in sede di cognizione deve ritenersi tale anche la durata inizialmente prevista tra un limite minimo e un limite massimo, ma poi precisata in virtù del principio di equivalenza di cui all'art. 37 c.p..
Il principio statuito dalle Sezioni uniti è stato poi ribadito da quelle semplici. Ed invero la Corte regolatrice (cfr. Cass. pen., Sez. III, 20 aprile 2016, n. 29397) ha recentemente annullato senza rinvio una sentenza che aveva comminato le pene accessorie di cui all'art. 12 d.lgs. 74/2000 in misura maggiore rispetto a quella principale. Il ricorso all'art. 37 c.p. ha reso irrilevante la mancanza motivazione, pur censurata dal ricorrente, in ordine al quantum di pena accessoria inflitta. Anzi quale corollario della tesi dispiegata in sentenza vi è da ritenere che non necessiti alcuna motivazione in ordine all'entità della pena satellite comminata, perché all'evidenza essa è determinata di diritto in misura pari alla pena principale. Tra le più recenti applicazioni del principio di equivalenza si segnala l'arresto di Cass. pen., Sez. III, 17 settembre 2015, n. 40360. Infatti in tal caso la Corte, pur rilevando che talune delle pene accessorie previste dall'art. 12 cit. erano state comminate nel minimo edittale, ha ritenuto di dovere ridurre le stesse in misura pari alla pena principale. In conclusione
Le più recenti sentenze sembrano dimostrare che, dopo l'intervento delle Sezioni unite, la nozione di pena accessoria la cui durata sia da intendersi determinata si sia stabilizzata. Epperò, per come testimoniato dall'ultima sentenza segnalata, la soluzione prescelta suscita interrogativi in tutti quei casi in cui il range edittale previsto per la pena principale e quello relativo alla pena accessoria non sembrano sovrapponibili, così come avviene per la gran parte dei reati tributari. |