La mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ai fini della perizia volta ad accertare l'imputabilità
23 Agosto 2016
Massima
È possibile innescare, attraverso la formulazione di uno specifico motivo d'impugnazione, la facoltà officiosa del giudice nel disporre la perizia sull'imputabilità del prevenuto anche in fase di gravame ai sensi dell'art. 603, comma 3, c.p.p. e, proprio in forza di tale officiosità, non può ritenersi ostacolo all'ammissibilità il fatto che tale motivo sia stato proposto con i motivi aggiunti. Il caso
La Corte di appello di Potenza, con sentenza del 18 dicembre 2014, confermava la sentenza emessa dal tribunale di Potenza con la quale si dichiarava la responsabilità penale del signor S.V. per il reato di cui agli artt. 81 cpv, artt. 609-bis e 609-ter, comma 1, n. 1 c.p., per avere, nella qualità di insegnante presso un Istituto Alberghiero, usato violenza sessuale – consistita nel toccare le cosce, anche in prossimità delle zone intime, e proferendo frasi di apprezzamento estetico e di offerta di prosecuzione di tale condotta – nei confronti di sue diverse alunne, alcune di anni 14 e una di anni 13, abusando dell'autorità connessa alla sua funzione e condannandolo alla pena di anni sei e mesi di reclusione, non ritenendo il fatto qualificabile come fattispecie attenuata ex art. 609-bis c.p. e non concedendo le attenuanti generiche. La questione
L'imputato proponeva ricorso avanti la Corte di cassazione motivando, in via preliminare, la nullità della sentenza per mancata correlazione tra l'imputazione e la sentenza medesima poiché inizialmente contestata la violazione degli artt. 609-bis e 609-quater c.p., sebbene poi la condanna era stata comminata ritenendolo responsabile per i delitti pp. e pp. dagli art. 609-bis c.p. aggravato ai sensi dell'art. 609-ter, comma 1, n. 1 c.p.; si contestava, altresì, la valutazione dei giudici di merito circa le condotte poste in essere come integranti la fattispecie di violenza sessuale e la motivazione della sentenza nella parte in cui, pur essendo presenti certificazioni mediche che ne attestavano lo stato di sofferenza psichiatrica, tuttavia non si era ritenuto di dover procedere a perizia psichiatrica per valutare l'imputabilità; infine, si contestava la sentenza perché ritenuta carente di motivazione e violativa di norme di legge laddove escludeva la concedibilità della circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità e delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di cassazione, ritenuto il ricorso fondato, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata. Le soluzioni giuridiche
I giudici di legittimità, affrontato il primo motivo di gravame e ritenendolo inammissibile stante il costante principio giurisprudenziale in merito alla correlazione tra accusa e sentenza per il quale è importante la descrizione del fatto, anche sommaria purché esauriente, e non è essenziale riportare gli articoli di legge violati, sviluppano, con dovizia di approfondimento giuridico, da una parte, il tema sulla mancata integrazione probatoria richiesta con i motivi aggiunti e non con i motivi principali dell'atto di appello; dall'altra parte, essi affrontano la mancata qualificazione dei fatti attribuiti nei limiti della minore gravità. Specificamente, si sviluppano, in motivazione, le contrapposte correnti giurisprudenziali sulla cognizione del giudice di secondo grado e sull'obbligatorietà – o meno – di limitare il devoluto solo ai punti della decisione ai quali riferiscono i motivi principali, con le relative conseguenze sull'ammissibilità – o inammissibilità – del motivo aggiunto sulla richiesta d'integrazione probatoria della perizia psichiatrica sulla capacità di intendere e volere. La Corte di cassazione, nella sentenza in commento, dichiara manifestamente di dissentire dai precedenti che limitano tale richiesta ai soli motivi principali di appello, evidenziando che l'accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato non necessita della richiesta di parte ma può essere compiuto anche d'ufficio dal giudice del merito allorché vi siano elementi per dubitare dell'imputabilità, non essendo tale accertamento condizionato alla richiesta delle parti. (anche Cass. pen., Sez. VI, 11 settembre 2012, n. 34570; Cass. pen., Sez. III, 25 maggio 2010, n. 19733). A tal proposito, occorre evidenziare che, nel dibattito giuridico italiano, sin dall'entrata in vigore dell'attuale codice di rito, erano state riscontrate delle stonature all'interno del sistema processuale penale con riferimento ai rapporti tra i primi due gradi di giudizio: il primo, ispirato al principio del contraddittorio e concretizzato nel totale rispetto dei canoni di oralità e immediatezza attraverso la formazione della prova davanti al giudice, mentre il giudizio d'appello nel quale il giudice forma, di regola, il proprio convincimento attraverso la mera rilettura del materiale probatorio formato nel grado precedente, facendo emergere, nel caso di una rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, l'eccezionalità della medesima rispetto all'ordinarietà del grado d'appello. Rileva particolarmente, quindi, come nella sentenza in commento venga esaltata la discrezionalità positiva e propositiva del giudice di appello laddove, a prescindere dall'attività svolta dalle parti o meno, valuti in via autonoma l'essenzialità della questione per l'ammissibilità della richiesta di perizia psichiatrica sullo stato d'imputabilità, essenziale ai fini della prosecuzione del processo. Per quanto attiene, poi, all'imputabilità e al suo accertamento processuale, la Corte si sofferma sul fatto che, se il vizio di mente deriva da uno stato morboso, a sua volta dipendente da una alterazione patologica tale da rendere certo che l'imputato, nel momento della commissione del reato, è da ritenersi in uno stato mentale da scemare grandemente o da escludere la capacità di intendere e di volere, ne consegue che il giudice di merito, al fine ritenerlo sussistente, deve disporre un'apposita perizia. In effetti, nella sentenza oggetto di commento, si legge: […] premessa l'acquisita rilevanza in termini di infermità di interesse psichiatrico della cosiddetta sindrome bipolare, costituendo essa una forma di possibile manifestazione della psicosi maniaco depressiva, il linea di principio la diagnosi di un siffatto disturbo esula rispetto ai confini di un generico disturbo della personalità, come tale di per sé non valutabile ai fini della mancanza di imputabilità, ove non accompagnato da manifestazioni di gravità e consistenza tale da determinare in concreto una situazione psichica che impedisca al soggetto di gestire le proprie azioni e di percepirne il disvalore, potendo, invece, ridondare in una vera e propria malattia e che secondo la risalente ma non contraddetta giurisprudenza di questa Corte è da annoverare fra i fattori potenzialmente idonei a costituire causa di mancanza di imputabilità” (sempre sul punto: Cass. pen., Sez. VI, 5 giugno 2003, n. 24614, Cass. pen.. Sez. I, 19 dicembre 2014, n. 52951). Sull'accoglimento, poi, del motivo inerente alla mancata valutazione dei fatti di lieve entità e alla mancata concessione delle attenuanti generiche, osserva la suprema Corte che sia necessario valutare in maniera atomistica le varie condotte, atteso che la lesività della condotta, stante la diversità dei soggetti passivi di volta in volta interessati ad essa, non presenta alcun profilo di progressività e che non rileva come ostativo alla concessione dell'attenuante della lieve entità il fatto l'episodio di violenza sessuale commesso dall'insegnante in ambiente scolastico quando, peraltro, già valutato quale integrativo della fattispecie penale dell'abuso della posizione di autorità. Inoltre, la Corte di cassazione, ritiene che la negazione operata dalla Corte di appello territoriale della concessione delle circostanze attenuanti generiche sia palesemente contraddittoria giacché motivata sulla non particolare rilevanza penale del fatto contestato e dall'irrogazione della pena al minimo edittale. Viene, quindi, conclusivamente ribadito il seguente principio di interpretazione sistemica: Essendo possibile innescare la facoltà officiosa del giudice di disporre la perizia sulla imputabilità del prevenuto anche in fase di gravame ai sensi dell'art. 603 c.p.p. comma 3, il mezzo attraverso il quale la parte può attivare siffatto potere, salva ovviamente la valutazione del giudicante in ordine alla assoluta necessità della riapertura dell'istruttoria, non può essere altro che la formulazione di un relativo motivo di impugnazione della sentenza deliberata in assenza del mezzo istruttorio del quale si chiede lo svolgimento; alla ammissibilità di esso non può che essere di ostacolo, trattandosi di sollecitazione di un potere che comunque comporterebbe al giudicante anche autonomamente, il fatto che siffatta operazione sia stata compiuta solamente in sede di proposizione di motivi aggiunti di impugnazione, non potendosi opporre ragionevolmente, stante la possibile officiosità della attivazione del relativo potere istruttorio, alcuna preclusione. Osservazioni
La suprema Corte, con varie pronunce, ha chiarito di ritenere l'art. 603 c.p.p. assolutamente compatibile con l'art. 6 Cedu, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo e cioè come condizione di equità del processo ogniqualvolta il giudice d'appello finisca per stravolgere il contenuto della sentenza di primo grado, sulla base delle stesse prove dichiarative assunte nel medesimo, così certificando la decisività della rivalutazione delle prove stesse, indipendentemente dal risultato che si otterrà, sia esso una condanna oppure una pronuncia assolutoria. Proprio con sentenza delle Sezioni unite del 28 aprile 2016, depositata il 6 luglio 2016, sono stati enunciati i principi di diritto specifici all'integrazione probatoria, anche se in relazione alle prove dichiarative. |