Riforma della sentenza di assoluzione e condanna in favore della parte civile non appellante

24 Giugno 2015

Il giudice dell'appello che riforma la pronuncia assolutoria deve decidere sulla domanda della parte civile che non abbia autonomamente appellato? La questione continua ad essere controversa ed ha registrato due contrastanti pronunce delle Sezioni unite. Da una parte, si tende a dar rilievo al “giudicato interno”, al principio di domanda ed al devolutum. Dall'altra parte, si richiama il principio di immanenza della costituzione di parte civile e la “struttura” della decisione assolutoria di primo grado che preclude al giudice la pronuncia sulla lite minore.
La tesi della preclusione alla decisione sulla lite minore

La Corte di cassazione (Sez. un. 25 novembre 1998 n. 15, dep. 11 marzo 1999) aveva dapprima statuito che “alla parte civile costituita non può riconoscersi il risarcimento del danno se, assolto l'imputato nel giudizio di primo grado, vi sia stata condanna dello stesso su appello del solo pubblico ministero”.

La sentenza a Sezioni unite in commento costituì un novum rispetto al radicato orientamento giurisprudenziale sul principio di immanenza della costituzione della parte civile (orientamento risalente già nel codice pre-vigente alle pronunce della Consulta: Corte cost. 22 gennaio 1972, n. 1 e 17 febbraio 1972, n. 29).

La decisione del 1998 applicò in via analogica il principio di c.d. acquiescenza previsto dall'art. 329 c.p.c.: la parte civile può appellare autonomamente con la conseguenza che, se rinuncia al gravame, mostra acquiescenza alla pronuncia a sé sfavorevole e non può avvalersi di quello eventualmente proposto dal pubblico ministero. Del resto, il gravame del pubblico ministero mira a salvaguardare, in genere, posizioni di carattere generale e non di parte.

In effetti, la decisione appariva rispettosa del principio di domanda e del devolutum: se al giudice di appello non è trasferita la cognizione sulla questione sulla lite minore, ne è precluso l'esame.

Ma questo orientamento deve ormai ritenersi datato (i precedenti alla pronuncia a Sezioni unite del 1998 sono: Cass. pen., Sez. III, 21 ottobre 1993, n. 11036, dep. 2 dicembre 1993 e Cass. pen., Sez. IV, 21 giugno 1993, n. 7671, dep. 6 agosto 1993) ed è stato, infine, mutato dalle Sezione Unite (Cass. pen., Sez. un., 10 luglio 2002 n. 30327).

La tesi opposta: il giudice di appello è tenuto a decidere sulla domanda della parte civile

Ma le sezioni semplici continuarono a mettere in discussione le conclusioni dell'arresto del 1998, così da provocare un nuovo intervento a Sezioni Unite.

Le Sezioni unite, con la decisione 10 luglio 2002, n. 30327, hanno modificato il loro precedente orientamento ed hanno, infine, affermato che il giudice di appello è tenuto a decidere sulla domanda della parte civile non appellante nel caso di appello del solo pubblico ministero.

Militano a favore di questa rivoluzione copernicana una serie di argomenti.

In primo luogo, la sentenza di assoluzione (art. 530 c.p.p.) non prevede che il giudice si pronunci sulla domanda della parte civile, diversamente da quanto avviene in caso di condanna (art. 538, comma 1 c.p.p.).

In secondo luogo, il codice di procedura penale non prevede un meccanismo di acquiescenza simile a quello codificato all'art. 392 c.p.c. con la conseguenza che, prima dell'interpretazione analogica, deve farsi luogo alla disciplina “interna”. E questa, oltre al silenzio (ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit), appronta una serie di regole sulla revoca della costituzione di parte civile e sugli effetti che ne conseguono (art. 82 c.p.p.), mentre, in assenza di revoca, la costituzione rimane immanente.

Vanno, ancora, considerati gli effetti estensivi dell'impugnazione (art. 587, commi 3 e 4 c.p.p.), in virtù dei quali l'imputato si giova delle impugnazioni del responsabile civile e del civilmente obbligato per la pena pecuniaria e viceversa. Né appare risolutiva l'obiezione secondo la quale un analogo meccanismo estensivo non è previsto a favore della parte civile (nel caso di appello del pubblico ministero), sol che si consideri connaturata al meccanismo devolutivo la relazione tra i motivi di gravame in punto di responsabilità penale e la questione civilistica.

Risolutiva appare, infine, la disciplina sugli effetti del giudicato di condanna. Essi sono destinati ad estendersi dal giudizio penale verso quello civile (art. 651 c.p.p.) e ciò impedisce che la parte civile “subisca” il giudicato assolutorio di primo grado laddove questo sia riformato in appello sul gravame del solo pubblico ministero.

Del resto la parte civile non appellante è citata a comparire nel giudizio di appello e sarebbe ben strano che essa avesse titolo per partecipare e per concludere sugli aspetti penali strettamente connessi alla domanda civile ma non potesse beneficiare degli effetti della riforma assolutoria. Il principio di immanenza della costituzione di parte civile “apre” poi all'interpretazione analogica, se è vero, com'è vero, che ai sensi dell'art. 2909 c.c. la sentenza fa stato tra le parti.

Deve quindi concludersi nel senso indicato dalle Sezioni unite nel 2002: “se l'appello è proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento, il giudice di appello può pronunciare condanna […] e deve decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, anche se la parte civile non ha proposto impugnazione”.

La più recente e consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione (ex multis Cass. pen., Sez. II, 14 febbraio 2014, n. 20652, dep. 20 maggio 2014 e Cass. pen., Sez. V, 7 maggio 2013, n. 28645, dep. 3 luglio 2013) s'è ormai orientata nel senso da ultimo statuito. Sopravvive, tuttavia, qualche isolata pronuncia di segno diverso (Cass. pen., Sez. V, 16 novembre 2012, n. 4356, dep. 29 gennaio 2013) che si segnala perché successiva all'arresto a Sezioni Unite del 2002.

In conclusione

Come s'è visto la questione continua a rimanere controversa e ad alimentare le incertezze hanno contribuito le due opposte decisioni delle Sezioni unite.

La giurisprudenza sembra ormai orientata nel senso di ritenere non necessaria l'autonoma impugnazione della parte civile così che, nel caso di riforma della pronuncia assolutoria, il giudice d'appello è vincolato a pronunciarsi anche sulla questione civile.

Questo orientamento, che pare essersi ormai definitivamente affermato sin dalla decisione a Sezioni unite del 2002, non è però costantemente seguito.

Residua infatti qualche isolata pronuncia delle sezioni semplici che continua ad avallare il diverso orientamento delle Sezioni unite del 1998.

Quest'ultimo appare più conforme alla logica processuale del chiesto/pronunciato ma si scontra con le esigenze di efficienza del sistema processuale e col principio di ragionevole durata del processo.

Il faticoso e contrastante excursus giurisprudenziale che s'è delineato induce a consigliare alla parte civile di impugnare autonomamente ed agli effetti civili la decisione a sé sfavorevole.

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