Ricorso per cassazione (Sentenza)Fonte: Cod. Proc. Pen. Articolo 615
29 Giugno 2020
Inquadramento
Il titolo III del Libro IX del codice di procedura penale (artt. 606 – 628) è dedicato alla disciplina del ricorso per cassazione. Quanto seguirà mira ad offrire una descrizione essenziale delle disposizioni sulla relativa sentenza alla luce del diritto vivente rappresentato dalle pronunce delle Sezioni unite della Corte di cassazione e della Corte costituzionale. In altra voce è trattato il ricorso straordinario (art. 625-bis). Deliberazione e pubblicazione della sentenza
Deliberazione e pubblicazione della sentenza sono disciplinate dall'art. 615 c.p.p. La disposizione si occupa solo della sentenza. L'ordinanza è la forma assunta dai provvedimenti definitori dei procedimenti camerali, disciplinati dagli artt. 610 e 611 c.p.p. In tali procedimenti, la decisione di inammissibilità assume la forma dell'ordinanza anche in caso di trasferimento della cognizione e decisione del ricorso dalla apposita sezione di cui all'art. 610, comma 1 alle Sezioni unite, a nulla rilevando la circostanza che tale ordinanza, in quanto definisce il giudizio, abbia nella sostanza natura di sentenza (Cass. S.U. 28 gennaio 2004, n. 5644, Gallo).
a) La corte delibera la sentenza in camera di consiglio subito dopo terminata la pubblica udienza salvo che, per la molteplicità o per l'importanza delle questioni da decidere, il presidente ritenga indispensabile differire la deliberazione ad altra udienza prossima (art. 615, comma 1). Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli artt. 527 e 546 c.p.p. In particolare, l'art. 527 delinea la sequenza della discussione del collegio, sotto la direzione del presidente, in camera di consiglio e l'art. 546 specifica quale debba essere il contenuto della sentenza.
b) I possibili epiloghi sono (art. 615, comma 2):
c) In caso di annullamento senza rinvio, la cancelleria trasmette al giudice che ha emesso la decisione impugnata gli atti e la copia della sentenza (art. 625, comma 3). In caso di annullamento con rinvio, la cancelleria deve trasmettere senza ritardo gli atti del processo con la copia della sentenza al giudice che deve procedere al nuovo giudizio (art. 625, comma 1). In caso di rigetto o di dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la cancelleria trasmette, invece, gli atti e la copia del solo dispositivo (art. 625, comma 2). In ogni caso, la cancelleria esegue annotazione, in margine o in fine dell'originale, della decisione della corte (art. 625, comma 4; v. altresì art. 27 reg. esec.). Infine, la corte, nel caso di annullamento della sentenza d'appello, dispone la cessazione delle misure cautelari (art. 624-bis c.p.p.).
d) La sentenza è pubblicata in udienza subito dopo la deliberazione, mediante lettura del dispositivo (che il presidente sottoscrive prima della lettura) fatta dal presidente o da un consigliere da lui delegato (art. 615, comma 3-4). Spese del procedimento
L'art. 616 c.p.p., che disciplina le spese del procedimento, è espressione del principio di causalità e soccombenza. La disposizione sulla condanna alle spese si riferisce a tutti i procedimenti di legittimità, compresi gli incidenti cautelari. L'ambito operativo della condanna alle spese è indicato da Cass. S.U., 26 giugno 2008, n. 36541, Akimenko, che ne ha fatto applicazione nel caso di mancato accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall'estradando contro la sentenza della corte di appello favorevole all'estradizione.
a) Con il provvedimento (sentenza o ordinanza: Cass. S.U. 28 gennaio 2004, n. 5466, Gallo) che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, la corte condanna l'imputato (o comunque la parte privata (persona offesa dal reato inclusa) che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento. In caso di inammissibilità, la Corte altresì condanna la parte privata al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da euro 258 a euro 2.065, che può essere aumentata, tenuto conto della causa di inammissibilità del ricorso, fino al triplo (6.195 euro). Anche quando rigetta il ricorso la Corte può (raramente lo fa) condannare la parte privata al pagamento della sanzione (art. 616, comma 1). Gli importi sopraindicati sono adeguati ogni due anni con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in relazione alla variazione, accertata dall'Istituto nazionale di statistica, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel biennio precedente (art. 616, comma 1-bis, aggiunto dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, entrata in vigore il 3 agosto 2017) (allo stato non risultano, tuttavia, intervenuti adeguamenti). Con Linee guida adottate il 25 luglio 2017, la Presidenza della Corte di cassazione ha stabilito che l'aumento dell'importo della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende, con riguardo alla causa di inammissibilità del ricorso, si applica solo ai ricorsi proposti e dichiarati inammissibili dopo l'entrata in vigore della legge anzidetta, sulla base di criteri tendenzialmente uniformi con riguardo alle diverse cause di inammissibilità.
La condanna al pagamento di una somma alla cassa delle ammende ha funzione sanzionatoria, comportando l'imposizione di un esborso non commisurato in alcun modo al costo del procedimento. La natura sanzionatoria esige la valutazione della condotta del destinatario della sanzione anche in relazione all'elemento soggettivo, sicché è incompatibile con il principio di eguaglianza una norma che tratti allo stesso modo la posizione di chi abbia proposto il ricorso per cassazione, poi dichiarato inammissibile, ragionevolmente fidando nell'ammissibilità e quella del ricorrente che invece non versi in tale situazione, al punto da essere definito ”temerario”. Così si è espressa C. cost. 13 giugno 2000, n. 186 che ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 616, eliminando l'automatismo inammissibilità-condanna alla sanzione e stabilendo che se la parte privata ha proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la corte di cassazione, nel dichiarare l'inammissibilità, può non pronunciare la condanna al pagamento della sanzione anzidetta.
La condanna alle spese non è esclusa nel caso in cui la proposizione del ricorso inammissibile non sia ascrivibile a colpa della parte privata ricorrente; la disposizione risponde, invero, ai principi di causalità e soccombenza, in forza dei quali occorre distribuire l'onere economico su chi ha dato avvio al giudizio di legittimità, poi palesato inammissibile (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186). Per emendare la sentenza che abbia erroneamente statuito in tema di condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria per l'inammissibilità può farsi ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui all'art. 130, trattandosi di rettifica che non incide sul contenuto intrinseco della decisione ma su una pronuncia consequenziale ed accessoria ad essa, non implicante alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice (Cass. S.U. 31 maggio 2000, n. 15, Radulovic).
b) Il pubblico ministero, parte pubblica (Cass. S.U. 24 marzo 1995, n. 9616, Boido), nel caso di rigetto o di declaratoria d'inammissibilità del ricorso non deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della sanzione. Il giudice ha, invece, l'obbligo di condannare la parte civile al pagamento delle spese del processo, nel caso in cui l'impugnazione da questa proposta contro la sentenza di assoluzione dell'imputato non sia stata accolta, anche quando sia stata proposta e disattesa analoga impugnazione del pubblico ministero (Cass. S.U. 25 ottobre 2005, n. 41476, P.G. e p.c. in proc. Misiano).
c) Il Ministero dell'economia e delle finanze, nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione; va accomunato alla parte privata. L'ordinamento non consente all'Amministrazione di riconoscere ed attribuire autonomamente una somma a titolo di riparazione per ingiusta detenzione; è indispensabile l'intervento del giudice della riparazione, il quale deve operare il controllo di legalità della pretesa avanzata dall'interessato e provvedere alla liquidazione, ove dovuta. Il Ministero dell'economia può non costituirsi nel procedimento, rimettendosi alla valutazione del giudice. Qualora l'Amministrazione finanziaria intenda resistere, l'oggetto del contendere riguarda l'an o il quantum di una pretesa di natura pecuniaria, afferente alla pregressa sottoposizione del richiedente a custodia cautelare. Per queste ragioni, in caso di soccombenza, il Ministero dell'economia deve essere condannato al pagamento delle spese processuali anticipate dall'erario e deve a sopportare anche il carico delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dall'altra parte, ai sensi dell'art. 91 c.p.c. (Cass. S.U. 26 giugno 2002, n. 34559, Ministero del Tesoro in proc. De Benedictis).
d) Non è così, invece, per il Ministero della Giustizia, ricorrente avverso il provvedimento del Tribunale di sorveglianza emesso ai sensi degli artt. 35-bis e 35-ter della legge n. 354 del 1975, nel caso di rigetto o di declaratoria d'inammissibilità del ricorso (Cass. S.U. 21 dicembre 2017, n. 3775/18, Ministero della giustizia in proc. Tuttolomondo). Nel procedimento giurisdizionale delineato dall'art. 35-bis ord. pen., mediante il quale si esplicano i rimedi risarcitori attivati dal detenuto ai sensi dell'art. 35-terord. pen., l'Amministrazione penitenziaria interviene, quale titolare, e responsabile, del trattamento dei detenuti, sicché si deve escludere la natura civilistica degli interessi di cui l'Amministrazione è portatrice. Non sussistono, pertanto, i presupposti sostanziali per accomunare l'Amministrazione penitenziaria alle parti private presenti nel processo penale, diversamente da quanto accade nel giudizio di riparazione per ingiusta detenzione, ove il ruolo assunto dall'Amministrazione finanziaria, in relazione alla pretesa pecuniaria oggetto di quel giudizio, ne giustifica l'assimilazione alle parti private. In particolare, le funzioni svolte dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia hanno natura sostanzialmente pubblicistica. Motivazione e dispositivo della sentenza
L'art. 617 c.p.p. è dedicato a motivazione e dispositivo della sentenza. La motivazione è redatta dal presidente o da un componente del collegio da lui designato. Si osservano le disposizioni concernenti la sentenza nel giudizio di primo grado, in quanto applicabili (art. 617, comma 1). La facoltà di redigere contestualmente la motivazione non è interdetta. Nella sentenza i motivi del ricorso sono enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (art. 173, comma 1 disp. att. c.p.p.). Nel caso di annullamento con rinvio (art. 623), la sentenza enuncia specificamente il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi (art. 173, comma 2 disp. att.).
Quando il ricorso è stato rimesso alle sezioni unite (art. 618), la sentenza enuncia sempre il principio di diritto sul quale si basa la decisione (art. 173, comma 3 disp. att.). La sentenza, sottoscritta dal presidente e dall'estensore, è depositata in cancelleria non oltre il trentesimo giorno dalla deliberazione (art. 617, comma 2). Con decreto del presidente della corte sono stabiliti i criteri per l'individuazione delle sentenze dalle quali devono essere tratte le massime e per la redazione delle stesse (art. 26 reg. esec.).
Qualora il presidente lo disponga, la corte si riunisce in camera di consiglio per la lettura e l'approvazione del testo della motivazione (art. 617, comma 3). Sulle proposte di rettifica, integrazione o cancellazione la corte delibera senza formalità. Alla redazione del testo eventualmente rettificato o integrato provvede la corte in camera di consiglio. Quando ciò non è possibile, provvede un consigliere che può anche essere diverso da quello precedentemente designato per la redazione della motivazione (art. 174 disp. att. c.p.p.). Decisione delle Sezioni unite
L'art. 610, comma 2 c.p.p. attribuisce - come si è detto - al presidente della Corte di cassazione il potere di assegnare, su richiesta delle parti ovvero d'ufficio, il ricorso alle Sezioni Unite quando la questione è «di speciale importanza» oppure nel caso in cui occorre dirimere contrasti insorti tra singole sezioni. Su richiesta di parte o d'ufficio, è, inoltre, possibile che una sezione della corte, che rilevi che la questione di diritto sottoposta al suo esame ha dato luogo, o può dar luogo, a un contrasto giurisprudenziale, rimetta con ordinanza la questione alle sezioni unite (art. 618, comma 1, c.p.p.). Il presidente della corte può restituire alla sezione il ricorso qualora siano stati assegnati alle sezioni unite altri ricorsi sulla medesima questione o il contrasto giurisprudenziale risulti superato (art. 172, comma 1 disp. att. c.p.p.). Come già si è detto, la sentenza delle sezioni unite enuncia sempre il principio di diritto sul quale si basa la decisione (art. 173, comma 3 disp. att.). Il principio di diritto può essere enunciato, anche d'ufficio, quando il ricorso è dichiarato inammissibile per una causa sopravvenuta (art. 618, comma 1-ter), da individuare, in particolare, nella rinuncia al ricorso e nella sopravvenuta mancanza di interesse (in tema Cass. S.U. 28 novembre 2013, n. 9605/14, Seghaier).
Se, in seguito, una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, deve rimettere a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso (art. 618, comma 1-bis). Rettificazione di errori non determinanti annullamento
L'art. 619 c.p.p. disciplina la rettificazione di errori non determinanti annullamento. La disposizione trova la propria ratio nell'esigenza di scongiurare l'annullamento della decisione impugnata tutte le volte in cui la corte di cassazione, rimanendo nell'ambito della sua funzione istituzionale e nel rispetto del fatto come ritenuto dal giudice di merito, possa ovviare a errori di diritto, insufficienze motivazionali o cadute di attenzione da parte del giudice a quo, lasciando inalterato l'essenziale del contesto decisorio assunto con la sentenza esaminata (Cass. S.U. 24 giugno 1998, n. 9973, Kremi). Se questa è la ratio della disposizione è coerente ritenere che le ipotesi di rettificazione di errori non determinanti annullamento non sono tassative; ne deriva che, in applicazione estensiva della disposizione, deve ritenersi emendabile ogni irregolarità formale resa palese dal contesto del provvedimento ed improduttiva di effetti giuridici. La corte, se, nella sentenza impugnata, rileva: - errori di diritto nella motivazione che non abbiano avuto influenza decisiva sul dispositivo;
- erronee indicazioni di testi di legge che non abbiano avuto influenza decisiva sul dispositivo; - errori di denominazione o di computo, della specie o della quantità della pena (si pensi all'errore di computo della diminuente di un terzo per il giudizio abbreviato), provvede alla censura o alla rettificazione occorrente, senza annullare la sentenza (art. 619, commi 1-2).
Nello stesso modo provvede nel caso di “legge più favorevole all'imputato”, anche se sopravvenuta dopo la proposizione del ricorso, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto (art. 619, comma 3). L'art. 625, comma 3 stabilisce, poi, che, in caso di rettificazione, la cancelleria trasmette al giudice che ha emesso la decisione impugnata gli atti e la copia della sentenza. La cancelleria esegue annotazione, in margine o in fine dell'originale, della decisione della corte (art. 625, comma 4; v. altresì art. 27 reg. esec.). Annullamento senza rinvio
L'art. 620 c.p.p. elenca i casi in cui la Corte provvede, con sentenza, ad annullare senza rinvio il provvedimento impugnato:
- casi particolarmente previsti dalla legge (v. ad es. artt. 23 e 24 c.p.p.). - irrilevanza penale del fatto, recte fatto non previsto dalla legge come reato (lett. a).
In tal caso, se il fatto è previsto dalla legge solo come illecito amministrativo, la Corte di cassazione dispone sempre la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa competente, in forza della disposizione di carattere generale di cui all'art. 41 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Cass. S.U. 27 ottobre 2004, n. 1327/05, Li Calzi). Allorché, nelle more tra la pronuncia della sentenza di condanna oggetto di ricorso per cassazione e la trattazione di quest'ultimo, sia intervenuta una modificazione legislativa che abbia condotto alla parziale abolizione del reato al quale la condanna si riferisce, al fine di stabilire se gli elementi richiesti dalla legge sopravvenuta per la persistente configurabilità del fatto come reato abbiano costituito oggetto di accertamento giudiziale, la corte di cassazione deve fare riferimento alla decisione impugnata, provvedendo, in caso di esito positivo della verifica, a definire il giudizio e, in caso negativo, ad annullare senza rinvio la decisione medesima, secondo la regola dell'art. 129 che impone l'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità, prevalente anche sull'ipotesi di un'opposta conclusione cui dovessero condurre accertamenti ulteriori esperibili dal giudice di merito in caso di annullamento con rinvio (Cass. S.U. 26 marzo 2003, n. 25887, Giordano).
- avvenuta estinzione del reato (v. artt. 150 ss. c.p.) (lett. a). La circostanza che il reato risulti prescritto all'atto della pronuncia del giudice di legittimità non esclude - qualora si accerti che l'impugnazione esperibile non era il ricorso per cassazione, ma l'appello - l'applicabilità della norma dell'art. 568.5, restando così rimessa al giudice di merito competente la valutazione dell'eventuale sussistenza di taluna delle ipotesi, prevalenti sull'estinzione del reato, previste dall'art. 129 (Cass. S.U. 3 febbraio 1995, n. 7902, Bonifazi).
- mancanza di una condizione di procedibilità, recte azione penale che non doveva essere iniziata o proseguita (lett. a) (v. artt. 345 e 649). - reato non appartenente alla giurisdizione del giudice ordinario (lett. b); in tal caso la corte dispone che gli atti siano trasmessi all'autorità competente, che essa designa (art. 621 c.p.p.) (v. art. 20). - provvedimento impugnato contenente disposizioni eccedenti i poteri della giurisdizione, limitatamente alle disposizioni medesime (lett. c). - decisione impugnata consistente in un provvedimento non consentito dalla legge (lett. d). - nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione (“a norma e nei limiti dell'art. 522”) con riguardo a un reato concorrente (lett. e); in tal caso la corte dispone che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni (art. 621). - nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione (“a norma e nei limiti dell'art. 522”) con riguardo a un fatto nuovo (lett. f); in tal caso la corte dispone che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni (art. 621). - condanna pronunciata per errore di persona (lett. g) (v. art. 68 c.p.p.). - contraddizione fra la sentenza o l'ordinanza impugnata e un'altra anteriore concernente la stessa persona e il medesimo oggetto, pronunciata dallo stesso o da un altro giudice penale (lett. h); in tal caso la corte ordina l'esecuzione della prima sentenza o ordinanza, ma, se si tratta di una sentenza di condanna, ordina l'esecuzione della sentenza che ha inflitto la condanna meno grave determinata a norma dell'art. 669 c.p.p. (art. 621). - sentenza impugnata che ha deciso in secondo grado su materia per la quale non è ammesso l'appello (lett. i); in tal caso la corte ritiene il giudizio qualificando l'impugnazione come ricorso (art. 621). Ciò costituisce ulteriore riscontro alla tesi dell'automatica operatività della disposizione dell'art. 568.5 di fronte ad un atto di gravame diverso da quello previsto e/o proposto dinanzi a giudice incompetente (Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 45371, Bonaventura). Qualora il giudice, cui sia stata presentata richiesta di rimessione del processo ai sensi dell'art. 45, abbia irritualmente provveduto a dichiararne l'inammissibilità, la corte di cassazione, annullata l'ordinanza impugnata, può decidere direttamente nel merito dell'istanza, in applicazione del principio generale, desumibile dagli artt. 620, lett. i), e 621, secondo il quale, nel caso in cui altro giudice abbia pronunciato in materia di sua competenza la Corte procede all'annullamento senza rinvio e ritiene il giudizio (Cass. S.U. 12 maggio 1995, n. 6925, Romanelli).
- la corte ritiene di poter decidere, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto (lett. l). La Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando perciò necessari ulteriori accertamenti di fatto (Cass. S.U. 30 novembre 2017, n. 3464/18, Matrone). L'annullamento della sentenza di condanna va disposto senza rinvio allorché un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata (Cass. S.U. 30 ottobre 2003, n. 45276, Andreotti). Nel caso di radicale mancanza della motivazione, in ordine alla necessaria sussistenza della concreta finalità probatoria perseguita in funzione dell'accertamento dei fatti, del decreto di sequestro di cose qualificate come corpo di reato, che, sebbene non integrato sul punto dal p.m. neppure all'udienza di riesame, sia stato confermato dall'ordinanza emessa all'esito di questa procedura, la Corte di cassazione deve pronunziare sentenza di annullamento senza rinvio di entrambi i provvedimenti (Cass. S.U. 28 gennaio 2004, n. 5876, p.c. Ferazzi in c. Bevilacqua). Nell'ipotesi di sentenza d'appello pronunciata de plano in violazione del contraddittorio tra le parti, che, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, dichiari l'estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all'art. 129, comma 2 (Cass. S.U. 27 aprile 2017, n. 28954, Iannelli).
- la corte ritiene di poter di rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito (lett. l). In tal caso procede alla determinazione della pena (art. 621). In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti per più reati unificati dalla continuazione, qualora sia sopravvenuta per uno dei reati satellite abolitio criminis, la Corte di cassazione, senza annullare l'intera sentenza, può procedere alla eliminazione della porzione di pena inflitta per il reato abrogato nella misura determinata dall'accordo (Cass. S.U. 19 luglio 2018, n. 40256, F.). Qualora l'aumento per la continuazione determinato dal giudice di merito superi il limite massimo del triplo della pena inflitta per la violazione ritenuta più grave, la Corte di cassazione, nell'annullare la sentenza senza rinvio, ridetermina direttamente la sanzione fissandola nel valore triplo di quella inflitta per il reato-base (Cass. S.U. 24 settembre 2003, n. 47289, Petrella). Allorché il giudice di merito, nell'infliggere la pena per il reato continuato, non abbia suddiviso la pena irrogata per i reati satelliti e la suddivisione o distinzione rilevi per il calcolo dei termini di durata massima della custodia cautelare o per l'accertamento dell'avvenuta espiazione della pena, il giudice della misura cautelare deve porsi il relativo problema e determinare, ai soli fini della misura, la pena per ciascun reato in continuazione, non potendo l'omessa suddivisione o distinzione essere di ostacolo al riacquisto della libertà, se di questo riacquisto ricorrono le condizioni. E la suddivisione o distinzione della pena può essere fatta anche dalla Corte di cassazione allorché i reati satelliti siano altrettanti episodi della medesima figura criminosa commessi, in tempi diversi, in danno di persone diverse e non risulti o non sia allegato un diverso grado di gravità dei vari fatti-reato. (Nella specie, relativa ad indiscriminato aumento di quattro anni di reclusione per cinque episodi di estorsione, la S.C. ha ritenuto di poter imputare a ciascuno di essi la pena di mesi nove e giorni 18 di reclusione, ottenuta dividendo per cinque l'aumento complessivo) (Cass. S.U. 26 febbraio 1997, n. 1, Mammoliti).
- la corte ritiene di poter adottare i provvedimenti necessari (lett. i); in tal caso dà i provvedimenti che occorrono (art. 621).
- la corte ritiene superfluo il rinvio (lett. l). Si tratta di disposizione di chiusura della norma. Superfluità che si associa alla situazione nella quale la completezza degli elementi raccolti e valutati nel giudizio di merito non consentirebbe di pervenire con il rinvio ad una decisione diversa da quella che il giudice di legittimità è in grado di pronunciare (Cass. S.U. 30 novembre 2017, n. 3464/18, Matrone). Tali elementi dovranno pertanto essere desumibili dalla motivazione del provvedimento impugnato ed eventualmente di quello di primo grado; conformemente, peraltro, al riferimento della norma in discussione alle "statuizioni" del giudice di merito, termine che, pur nella significazione ampia che è stata in precedenza ad esso attribuita, evoca i risultati di accertamenti esposti contestualmente ad argomentazioni decisorie. Va peraltro rimarcato che tanto pone a carico dei giudici di merito, perché si possano realizzare le finalità deflative proprie della nuova normativa, con particolare riguardo al contenimento dei rinvii dalla cassazione e dei conseguenti ulteriori giudizi, un onere di chiarezza e completezza delle motivazioni dei provvedimenti, sotto il profilo della puntuale indicazione di tutti gli elementi sui quali si fondano le decisioni. L'annullamento, in sede di legittimità, della sentenza di patteggiamento che abbia recepito un accordo delle parti fondato sull'erronea qualificazione giuridica del fatto va disposto senza rinvio, con trasmissione degli atti al giudice di merito, perché proceda a nuovo giudizio (Cass. S.U. 28 marzo 2001, n. 22902, Tiezzi).
La Corte di cassazione deve annullare senza rinvio la sentenza di patteggiamento basata su un accordo nulla. In particolare, nella sentenza di patteggiamento l'illegalità sopraggiunta della pena - concordata sulla base dei parametri edittali dettati per le cosiddette "droghe leggere" dall'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990,n. 309 come modificato dalla legge n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto ma dichiarato successivamente incostituzionale con la sentenza n. 32 del 2014, determina la nullità dell'accordo (Cass. S.U. 26 febbraio 2015, n. 33040, Jazouli). Nel giudizio che segue ad annullamento senza rinvio della sentenza di patteggiamento (nella specie determinato dall'illegalità della pena conseguente a erronea valutazione di prevalenza di circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, pur ritenuta sussistente) le parti sono rimesse dinanzi al giudice nelle medesime condizioni in cui si trovavano prima dell'accordo annullato e pertanto non è loro preclusa la possibilità di riproporlo, sia pure in termini diversi (Cass. S.U. 27 maggio 2010, n. 35738, P.G., Calibé e altro). In tema di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis c.p., quando la sentenza impugnata è anteriore alla entrata in vigore del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, l'applicazione dell'istituto nel giudizio di legittimità va ritenuta o esclusa senza rinvio del processo nella sede di merito e se la Corte di cassazione, sulla base del fatto accertato e valutato nella decisione, riconosce la sussistenza della causa di non punibilità, la dichiara d'ufficio, ex art. 129, annullando senza rinvio la sentenza impugnata, a norma dell'art. 620, comma 1 lett.l) c.p.p. (Cass. S.U. 25 febbraio 2016, n. 13681, Tushaj). Annullamento con rinvio ai soli effetti civili
Passando all'annullamento con rinvio, se la sentenza (anche inappellabile) è annullata ai soli effetti civili la Corte, quando occorre (in particolare, quando non deve annullare senza rinvio), rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello (art. 622 c.p.p.). Ciò può verificarsi, fermi gli effetti penali della sentenza (di condanna o di proscioglimento dell'imputato), se la Corte ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l'azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato. Ai fini di una corretta interpretazione dell'art. 622, deve tenersi conto della previsione dell'art. 578in base al quale, qualora nei confronti dell'imputato sia stata pronunciata condanna al risarcimento dei danni a favore della parte civile, «il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili». Nel caso, ad es., in cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato senza motivare in ordine alla responsabilità dell'imputato ai fini delle statuizioni civili, l'eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall'imputato impone l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (Cass. S.U. 18 luglio 2013, n. 40109, Sciortino). D'altra parte, in presenza di una causa di estinzione del reato, anche se il giudice di merito non compie alcuna valutazione sulla esistenza di cause di proscioglimento nel merito, la sentenza non può essere annullata con rinvio (agli effetti penali), perché lo vieta l'art. 129, comma 1 (Cass. S.U. 21 ottobre 1992, n. 1653/93, Marino; Cass. S.U. 3 febbraio 1995, n. 1827, Proietti; Cass. S.U. 28 maggio 2009, n. 35490, Tettamanti; Cass. S.U. 30 settembre 2010, n. 43055, Dalla Serra). Si aggiunga che, pur in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice della impugnazione, nel decidere su questa agli effetti della responsabilità civile a norma dell'art. 578, ne deve conseguentemente trarre le relative conclusioni con riguardo al capo relativo alla responsabilità penale (Cass. S.U. 28 maggio 2009, n. 35490, Tettamanti). Il senso della previsione in esame sarebbe quello di evitare ulteriori interventi del giudice penale ove non si faccia questione dell'accertamento della responsabilità. In tale prospettiva, ad es., il rinvio al giudice penale nel caso dell'accoglimento del ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento nella parte relativa alla condanna alla rifusione delle spese di parte civile, è stato ritenuto incongruo (Cass. S.U. 14 luglio 2011, n. 40288, Tizzi).
Annullamento con rinvio
Dell'annullamento con rinvio al giudice penale si occupa l'art. 623 c.p.p., stabilendo che la Corte di cassazione: a) se è annullata un'ordinanza, dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento.
La Corte costituzionale, con una dichiarazione di parziale illegittimità dell'articolo in esame e dell'art. 34, comma 2 c.p.p., ha stabilito che il giudice che ha pronunciato (o concorso a pronunciare) ordinanza di accoglimento o di rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva, ai sensi dell'art. 671 c.p.p., della disciplina del reato continuato o del concorso formale di reati non può partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento (C. cost. 9 luglio 2013, n. 183).
b) se è annullata una sentenza di condanna nei casi previsti dall'art. 604, comma 1 c.p.p. (condanna per un fatto diverso applicazione di una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di una circostanza aggravante ad effetto speciale, sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti), 604, comma 4 (che accerta e dichiara una delle nullità indicate nell'art. 179 o nell'art. 180 che non sia stata sanata, da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado) e 604, comma 5-bis (che dichiara la nullità della sentenza e dispone il rinvio degli atti al giudice di primo grado nei casi in cui si sia proceduto in assenza dell'imputato, se vi è la prova che si sarebbe dovuto provvedere ai sensi dell'art. 420-ter o dell'art. 420-quater), dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di primo grado.
c) se è annullata la sentenza di una corte di assise di appello o di una corte di appello ovvero di una corte di assise o di un tribunale in composizione collegiale, rinvia per il nuovo giudizio rispettivamente a un'altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini.
Per determinare ai fini del giudizio di rinvio la corte di appello, la corte di assise d'appello, la corte di assise o il tribunale più vicino, si tiene conto della distanza chilometrica ferroviaria, e se del caso marittima, tra i capoluoghi del distretto o, rispettivamente, del circolo o del circondario (art. 175 disp. att. c.p.p.). Ove si susseguano più annullamenti con rinvio nell'ambito dello stesso procedimento, il giudice che ha emesso la sentenza oggetto del primo annullamento ben può essere competente per il nuovo giudizio di rinvio che scaturisce dall'annullamento della seconda sentenza, pronunciata da altro giudice.
d) se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale, ma il giudice del rinvio deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata. Ai sensi dell'art. 33-octies, comma 1 c.p.p., la corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice di primo grado quando ritiene l'inosservanza delle disposizioni sull'attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale in composizione collegiale o monocratica, purché la stessa sia stata tempestivamente eccepita e l'eccezione sia stata riproposta nei motivi di impugnazione. Annullamento parziale
In caso di annullamento parziale, vale a dire se l'annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, si ha giudicato parziale, recte la sentenza haautorità di cosa giudicata nelle parti che non “che non hanno connessione essenziale” con la parte annullata (art. 624, comma 1 c.p.p.). Anche nel giudizio penale, sensibile allo sviluppo dinamico del rapporto processuale, il giudicato può, dunque, avere una formazione non simultanea, bensì progressiva.
a) Per "parti della sentenza" si intende qualsiasi statuizione avente una sua autonomia giuridico-concettuale e, quindi, non solo le statuizioni che concludono il giudizio in relazione ad un determinato capo d'imputazione, ma anche quelle che, nell'ambito di uno stesso capo d'imputazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame (Cass. S.U. 23 novembre 1990, n. 373/91, P.G. in proc. Agnese; Cass. S.U. 11 maggio 1993, n. 6019, Ligresti). Per "connessione essenziale" tra parti annullate e parti non annullate della sentenza si intende la necessaria interdipendenza logico-giuridica tra le parti suddette, nel senso che l'annullamento di una di esse provochi inevitabilmente il riesame di altra parte della sentenza seppur non annullata (Cass. S.U. 19 gennaio 1994, n. 4460, Cellerini).
b) Il giudicato parziale si forma:
c) Il riconoscimento della autorità di cosa giudicata non si riferisce né al giudicato c.d. sostanziale, né alla intrinseca idoneità della decisione ad essere posta in esecuzione, ma soltanto all'esaurimento del potere decisorio del giudice della cognizione. Ci si muove nel quadro di un fenomeno preclusivo che mira ad impedire che su di uno stesso tema possa intervenire una serie indeterminata di pronunce, così da assegnare i connotati della intangibilità a quella porzione di risultato raggiunta nel processo (Cass. S.U. 21 giugno 2012, n. 28717, Brunetto; Cass. S.U. 27 marzo 2014, n. 16208, C.). Con la locuzione "parti non annullate della sentenza" il legislatore ha inteso riferirsi a quelle in ordine alle quali si è ormai del tutto esaurita ogni possibilità di decisione del giudice di merito e, contestualmente, completato l'iter processuale e che hanno, così, acquistato, perché definitive, autorità di cosa giudicata (Cass. S.U. 19 gennaio 1994, n. 4460, Cellerini).
d) Il giudicato parziale, vale a dire l'autorità di cosa giudicata attribuibile a una o più statuizioni contenute in una sentenza di condanna, non va confuso con l'eseguibilità della stessa. La eseguibilità della sentenza di condanna va posta in relazione alla formazione di un vero e proprio titolo esecutivo e, quindi alla materiale e giuridica possibilità della esecuzione della sentenza nei confronti di un determinato soggetto, mentre l'autorità di cosa giudicata attribuita ad una o più statuizioni contenute nella stessa sentenza di annullamento parziale è conseguente all'esaurimento del relativo giudizio e prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato. In altre parole, una cosa è la irrevocabilità della pronuncia in relazione allo sviluppo del rapporto processuale (giudicato parziale), altra cosa è la possibilità dell'attuazione delle definitive decisioni contenute in una sentenza (Cass. S.U. 23 novembre 1990, n. 373/91, P.G. in proc. Agnese; nello stesso senso Corte cost. 30 ottobre 1996, n. 367). Vi possono, quindi, essere decisioni aventi autorità di cosa giudicata senza essere in tutto o in parte eseguibili. In ogni caso, da un lato, è legittimo il differimento della "eseguibilità" della sentenza anche nelle parti non annullate ad un tempo successivo - ossia a quello in cui la sentenza sia divenuta definitiva in ogni sua parte (Cass. S.U. 19 gennaio 1994, n. 4460, Cellerini); dall'altro, la competente autorità giudiziaria (id est, il giudice del rinvio) può legittimamente porre in esecuzione il titolo penale per la parte divenuta irrevocabile, nonostante il processo, in conseguenza dell'annullamento parziale, debba proseguire in sede di rinvio per la nuova decisione sui capi annullati (Cass. S.U. 9 ottobre 1996, n. 20, Vitale).
e) L'art. 624, comma 1 non rappresenta l'espressione di un principio applicabile al di fuori della specifica situazione disciplinata; detta, in altre parole, una regolamentazione particolare attinente unicamente ai limiti obiettivi del giudizio di rinvio (Cass. S.U. 19 gennaio 2000, n. 1, Tuzzolino); disciplina i soli casi in cui la decisione oggetto del ricorso non sia stata annullata dalla Corte di cassazione nel suo integrale contenuto dispositivo (Cass. S.U. 17 ottobre 2006, n. 10251, Michaeler). È da escludere che la disposizione in esame possa essere utilmente richiamata per sovvertire i principi generali in materia di impugnazioni penali. Ne deriva che in caso di condanna la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità dell'imputato fa sorgere la preclusione su tale punto (i punti possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all'effetto devolutivo del gravame e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni), ma non basta a far acquistare alla relativa statuizione l'autorità di cosa giudicata (la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza), quando per quello stesso capo l'impugnante abbia devoluto al giudice l'indagine riguardante la sussistenza di circostanze e la quantificazione della pena, sicché la res iudicata si forma solo quando tali punti siano stati definiti e le relative decisioni non siano censurate con ulteriori mezzi di gravame (Cass. S.U. 19 gennaio 2000, n. 1, Tuzzolino).
f) Tale conclusione si armonizza con la natura ed i limiti del giudizio di rinvio. Il giudizio di rinvio non si identifica nella pura e semplice rinnovazione del giudizio conclusosi con la sentenza annullata, ma rappresenta una fase a sé stante, caratterizzata dal condizionamento che scaturisce dalla sentenza della corte di cassazione che lo ha disposto. Il giudice di rinvio non solo deve uniformarsi alla sentenza della corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa, ma non può neppure attrarre al suo potere decisorio statuizioni diverse ed autonome rispetto a quelle dovutegli. I limiti oggettivi del giudizio di rinvio sono, dunque, conseguenti agli effetti preclusivi propri della intangibilità del giudicato (Cass. S.U. 23 novembre 1990, n. 373/91, P.G. in proc. Agnese). Ne consegue, ad es., che, nel caso di annullamento che abbia ad oggetto statuizioni diverse dall'accertamento del fatto-reato e della responsabilità dell'imputato (ad es. il negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche) la pronuncia di condanna diviene irrevocabile (quanto alla sussistenza del reato ed alla attribuibilità all'imputato), con conseguente preclusione per il giudice di rinvio di dichiarare prescritto il reato, non solo quando la causa estintiva sia sopravvenuta ma anche quando, eventualmente, tale causa fosse preesistente e non sia stata valutata dalla Corte di cassazione. (Cass. S.U. 23 novembre 1990, n. 373/91, P.G. in proc. Agnese; Cass. S.U. 11 maggio 1993, n. 6019, Ligresti). La possibilità di applicare l'art. 129 c.p.p. nel giudizio di rinvio, in particolare con riferimento a cause estintive sopravvenute all'annullamento, sussiste solo nei limiti della compatibilità con la decisione adottata in sede di legittimità e col conseguente spazio decisorio attribuito in via residuale al giudice di rinvio: formatosi il giudicato sull'accertamento del reato e della responsabilità dell'imputato, dette cause sono inapplicabili non avendo possibilità d'incidere sul decisum. Se, dunque, l'annullamento colpisce soltanto la parte di sentenza relativa al quantum (non all'an) della pena, che dovrà essere rideterminata ma non potrà essere eliminata, la parte concernente l'affermazione della responsabilità resta intangibile. Essa, infatti, lungi dal porsi in "connessione essenziale con la parte annullata", ha ormai acquistato "autorità di cosa giudicata" e, proprio su questo irretrattabile presupposto (qual è appunto la declaratoria di colpevolezza e punibilità), consente la riapertura del giudizio, in sede di rinvio, limitatamente alla parte annullata della sentenza (quoad poenam) e solo a quella (Cass. S.U. 26 marzo 1997, n. 4904, Attinà).
Diversa è l'impostazione della questione in ordine alla remissione di querela: essa, infatti, estingue il reato anche se intervenuta nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento relativo soltanto al punto della determinazione della pena (Cass. S.U. 25 febbraio 2004, n. 24246, Chiasserini). Altra eccezione vale per la causa estintiva della morte del reo, che ha natura processuale, incidente sul rapporto processuale per il venir meno di uno dei soggetti necessari.
g) La abolitio criminis intervenuta nelle more del giudizio di rinvio limitato alla determinazione della pena è evenienza che fa venir meno l'esistenza del reato, così minando in radice la pretesa punitiva statuale e caducando il rapporto punitivo nei confronti di un soggetto ormai divenuto autore di un fatto non antigiuridico dal punto di vista penalistico: vien meno la legittimità dell'affermazione della responsabilità e quindi della condanna (an) sicché vien posta nel nulla la pronuncia pregiudiziale alla punibilità, tanto che è prevista la revoca della sentenza di condanna (art. 673 c.p.p.) finanche ad opera del giudice dell'esecuzione: per il principio dell'economia dei giudizi non può non riconoscersi analogo potere in sede cognitiva al giudice di rinvio, in ogni caso, in applicazione del principio contenuto nell'art. 2, comma secondo, c.p,. secondo il quale nessuno può essere "punito" per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. Se, invece, in pendenza del giudizio di rinvio sopravviene una legge più favorevole quoad poenam, non essendo intervenuto il giudicato su tale parte, si applica il terzo comma (n.d.A.: ora quarto) dell'art. 2 c.p. (Cass. S.U. 26 marzo 1997, n. 4904, Attinà). La lex mitior intervenuta dopo la pronuncia rescindente della Corte di cassazione che ha determinato la irrevocabilità della decisione sulla responsabilità penale e sulla qualificazione giuridica dei fatti ascritti all'imputato non può, invece, trovare applicazione (Cass. S.U. 27 marzo 2014, n. 16208, C.).
h) Nei commi 2 e 3 vengono disciplinati sia i poteri della corte di cassazione di dichiarare "quali parti della sentenza diventano irrevocabili", sia la procedura da utilizzare ai fini di pervenire a tale dichiarazione. La corte, quando occorre, dichiara nel dispositivo quali parti della sentenza siano divenute irrevocabili (art. 624, comma 2) Il legislatore ha impiegato la locuzione "parti della sentenza" che "diventano irrevocabili", esplicativa sul piano tecnico - giuridico della volontà del legislatore di riconoscere alle stesse autorità di giudicato. (Cass. S.U. 19 gennaio 1994, n. 4460, Cellerini). Nel caso in cui la sentenza, pur documentalmente unica, ricomprenda una pluralità di capi e di imputazioni a carico dello stesso imputato, dalla autonomia di ciascuno di essi deriva il passaggio in giudicato di quei capi della sentenza non investiti dall'annullamento con rinvio a seguito della sentenza della corte di cassazione, sicché la competente autorità giudiziaria può porre legittimamente in esecuzione il titolo penale per la parte divenuta irrevocabile, nonostante il processo, in conseguenza dell'annullamento parziale, debba proseguire, in sede di rinvio, per la nuova decisione capi annullati" (Cass. S.U. 9 ottobre 1996, n. 20, Vitale). La disposizione prevede un subprocedimento di riparazione: l'omissione di tale dichiarazione, quando è necessaria, va riparata dalla corte stessa in camera di consiglio con ordinanza da trascriversi in margine o in fine della sentenza (e di ogni copia di essa posteriormente rilasciata). Detta ordinanza può essere pronunciata di ufficio ovvero su domanda, che si propone senza formalità, del giudice competente per il rinvio, del pubblico ministero presso il medesimo giudice o della parte privata interessata. La Corte di cassazione provvede in camera di consiglio de plano, vale a dire senza l'osservanza delle forme previste dall'art. 127 (art. 624, comma 3). Effetti della sentenza sui provvedimenti di natura personale o reale
Gli effetti della sentenza sui provvedimenti di natura personale o reale sono indicati nell'art. 626 c.p.p. Quando, in seguito alla sentenza della corte di cassazione, deve cessare:
la cancelleria ne comunica immediatamente il dispositivo al procuratore generale presso la corte medesima perché dia i provvedimenti esecutivi occorrenti (v. altresì art. 28 reg. esec.).
La disposizione può ritenersi applicabile anche ai casi in cui, a seguito della sentenza della Corte di cassazione, debba cessare:
Giudizio di rinvio
L'art. 627 c.p.p. detta regole sul giudizio di rinvio dopo l'annullamento.
a) Stabilisce, anzi tutto, che nel giudizio di rinvio non è ammessa discussione sulla competenza attribuita con la sentenza di annullamento, salvo quanto previsto dall'art. 25, salvo cioè che risultino nuovi fatti comportanti una diversa definizione giuridica da cui derivi la competenza di un giudice superiore (art. 627, comma 1). La irrilevanza di questioni che tendono a rimettere in discussione la competenza attribuita nel caso concreto discende dall'autorità di giudicato delle decisioni della corte di cassazione in materia: ogni ulteriore indagine sul punto deve ritenersi definitivamente preclusa (C. Cost. 3 luglio 1997, n. 222).
b) I poteri decisori del giudice di rinvio sono gli stessi che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge (come, ad es., la limitazione sopra indicata e l'obbligo di uniformarsi alla sentenza della corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa, di cui tra breve si dirà). In altre parole, il giudice del rinvio è investito di pieni poteri di cognizione e può — salvi i limiti nascenti da eventuale giudicato interno — rivisitare il fatto con pieno apprezzamento ed autonomia di giudizio e, in esito alla compiuta rivisitazione, può addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito o condividerne le conclusioni, purché motivi il proprio convincimento sulla base di argomentazioni diverse da quelle ritenute illogiche o carenti in sede di legittimità.
c) Se è annullata una sentenza di appello e le parti ne fanno richiesta, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per l'assunzione delle prove rilevanti per la decisione (art. 627, comma 2), secondo i parametri di cui all'art. 603 c.p.p.
d) Il giudice di rinvio ha il dovere di uniformarsi alla sentenza della corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa (art. 627, comma 3). Il vincolo scaturente dal principio di diritto enunciato dalla corte di cassazione rappresenta una conseguenza necessaria del modello della separazione del giudizio rescindente da quello rescissorio, il quale implica che il secondo debba essere fondato sui risultati del primo (C. cost. 17 novembre 2000, n. 501). Non viola, peraltro, l'obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l'annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all'affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità.
e) L'obbligo di uniformarsi è assoluto e inderogabile anche se sia intervenuto un mutamento di giurisprudenza dopo la sentenza annullata (Cass. S.U. 19 gennaio 1994, n. 4460, Cellerini). Nel giudizio di rinvio non può neppure trovare applicazione la legge penale modificativa più favorevole entrata in vigore dopo la sentenza della corte di cassazione che dispone l'annullamento con rinvio ai soli fini della determinazione della pena, ma prima della definizione di questa ulteriore fase del giudizio, poiché i limiti della pronuncia rescindente determinano l'irrevocabilità della decisione impugnata in ordine alla responsabilità penale ed alla qualificazione dei fatti ascritti all'imputato (Cass. S.U. 27 marzo 2014, n. 16208, C.). Si aggiunga che la mancata rilevazione da parte della corte di cassazione, in un precedente giudizio conclusosi con sentenza di annullamento con rinvio, di un vizio procedurale che, se individuato, avrebbe imposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso (nella specie perché proposto personalmente dalla parte nel procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione), non impedisce che il medesimo vizio, ove reiterato nel gravame proposto avverso la sentenza di rinvio, venga rilevato nel successivo giudizio di legittimità, non potendosi invocare al riguardo la formazione del giudicato sul punto, giacché quest'ultimo copre il dedotto e il deducibile, ma non può proiettare la sua efficacia oltre i limiti delle attività processuali che esso ha concluso fino a precludere l'accertamento dei vizi formali analoghi a quelli già verificatisi nel corso del procedimento e sfuggiti al giudice (Cass. S.U. 27 giugno 2001, n. 34535 Petrantoni).
Di recente, tuttavia, in relazione al tema dell'illegalità della pena scaturente dalla dichiarazione di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte cost. n. 32/2014 e alla reviviscenza del trattamento sanzionatorio stabilito per le droghe leggere, si è sostenuto che l'obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per quanto riguarda ogni questione di diritto con essa decisa non opera nel caso in cui, nelle more, sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima, con efficacia ex tunc, la normativa sulla cui base il principio di diritto era stato affermato, dovendo il giudice del rinvio riconsiderare la questione alla luce della reviviscenza del previgente trattamento sanzionatorio. Nel giudizio di rinvio conseguente ad annullamento di decisione del tribunale del riesame per vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, non costituisce violazione dell'obbligo di uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza della Corte di cassazione la rilevazione del sopravvenuto decreto dispositivo del giudizio e della sua eventuale incidenza sul quadro indiziario (Cass. S.U. 30 ottobre 2002, n. 39915, Vottari)
f) È consentito, tuttavia, al giudice di rinvio sollevare dubbi di legittimità costituzionale coinvolgenti l'interpretazione della norma, quale risultante dal principio di diritto enunciato dalla corte di cassazione, dovendo la norma stessa ricevere ancora applicazione nel giudizio rescissorio, cosicché il giudice di tale fase, essendo vincolato al detto principio di diritto, non ha soluzione diversa, per contestare la regula iuris additata dal giudice della corte, da quella di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma che sarebbe tenuto ad applicare, proprio perché così interpretata; e ciò sia ove tale principio costituisca la conseguenza di una linea ermeneutica del tutto isolata sia, a maggior ragione, ove il detto principio rappresenti l'adeguamento all'indirizzo interpretativo se non consolidato almeno prevalente (Corte cost. 12 gennaio 1999, n. 11).
g) Non possono rilevarsi nel giudizio di rinvio nullità, anche assolute (art. 179 c.p.p.) o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari. La scelta legislativa espressa dall'art. 627, comma 4 risulta rispondente all'obiettivo di evitare la perpetuazione dei giudizi, contribuendo così a realizzare un interesse fondamentale dell'ordinamento (C. cost. 17 novembre 2000, n. 501). La pronuncia di annullamento con rinvio, come ogni altra sentenza della Corte di cassazione, costituisce atto di valore definitivo, che opera quindi la sanatoria di tutte le nullità verificatesi fino a quel momento.
Con riguardo alle inutilizzabilità patologiche si è, invece, ritenuto (Cass. S.U., 2000, n. 16, Tammaro) che il divieto di utilizzazione della prova operi in assoluto, con la conseguenza che l'inosservanza del divieto posto dall'art. 191 non è affatto sanabile ed è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (può essere rilevato « ;addirittura nel giudizio di rinvio dopo annullamento ex art. 627, comma 4, a differenza della nullità anche assoluta e dell'inammissibilità, beninteso salvo che sul punto non si sia formato il giudicato parziale secondo il disposto dell'art. 624, comma 1»).
h) Il divieto di reformatio in pejus opera anche nel giudizio di rinvio e con riferimento alla decisione del giudice di appello se il ricorso per cassazione è stato proposto dall'imputato, essendo irrilevante, per il verificarsi di questi effetti, che la sentenza di primo grado sia stata appellata dal pubblico ministero (Cass. S.U. 27 marzo 2014, n. 16208, C.). Non opera, invece, nel nuovo giudizio conseguente all'annullamento della sentenza di primo grado - impugnata dal solo imputato - disposto dal giudice di appello o dalla Corte di cassazione per nullità dell'atto introduttivo ovvero per altra nullità assoluta o di carattere intermedio non sanata; in generale, il divieto di reformatio in peius non può trovare applicazione a seguito dell'annullamento della precedente condanna ai sensi dell'art. 604, comma 4 (Cass. S.U. 11 aprile 2006, n. 17050, Maddaloni).
i) Se taluno degli imputati, condannati con la sentenza annullata, non aveva proposto ricorso, l'annullamento pronunciato rispetto al ricorrente giova anche al non ricorrente, salvo che il motivo dell'annullamento sia esclusivamente personale. L'imputato che può giovarsi di tale effetto estensivo deve essere citato e ha facoltà di intervenire nel giudizio di rinvio (art. 627, comma 5). All'impugnabilità della sentenza del giudice di rinvio è dedicato l'art. 628 c.p.p. La sentenza del giudice di rinvio può essere impugnata:
In ogni caso può, tuttavia, essere impugnata soltanto:
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