Autoriciclaggio e rilevanza delle condotte antecedenti all'entrata in vigore dell'art. 648-ter.1 c.p.

Ciro Santoriello
25 Settembre 2017

Tale pronuncia costituisce la prima occasione nella quale la Cassazione può sottoporre ad approfondita analisi il reato di autoriciclaggio. Tale delitto, infatti, è stato oggetto già di due decisioni della Corte di legittimità ma in entrambi i casi l'esame della fattispecie criminosa è stato piuttosto sommario.
Massima

Il delitto di autoriciclaggio, al pari di quello di riciclaggio, pur essendo a consumazione istantanea, è reato a forma libera e può anche atteggiarsi a reato eventualmente permanente quando il suo autore lo progetti ed esegua con modalità frammentarie e progressive.

Il caso

In un procedimento penale veniva adottata un'ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di un imprenditore cui, dopo essere stato contestato in altro procedimento penale il reato di bancarotta fraudolenta, era formulata l'imputazione per il reato di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter.1 c.p., con riferimento all'adozione di complesse operazioni societarie e articolati movimenti bancari intese a gestire le somme di provenienza delittuosa essendo il profitto del reato di bancarotta ed ostacolando l'accertamento della loro origine. In particolare, l'indagato avrebbe trasferito tali somme su conti correnti accesi presso istituti di credito esteri ed intestati a società tutte a lui riconducibili; successivamente, aveva fatto rientrare le stesse in Italia secondo diverse modalità.

La difesa ricorreva in Cassazione avverso questa ordinanza, contestando diversi profili del provvedimento. In particolare, veniva discusso la delimitazione dell'ambito temporale di applicazione della fattispecie di autoriciclaggio, con particolare riferimento alla possibilità di ritenere tale reato esistente anche in relazione a condotte poste in essere anteriormente all'introduzione della fattispecie di cui all'art. 648-ter.1 c.p.

La questione

Il profilo attinente la possibile efficacia retroattiva del delitto di autoriciclagigo apparentemente non avrebbe ragione di porsi: l'art. 648-ter.1 c.p. ha introdotto introduce una nuova figura delittuosa e quindi dovrebbe operare senz'altro il principio di irretroattività delle norme incriminatrici, con il che la citata disposizione non potrebbe essere applicata che a comportamenti assunti dopo la sua entrata in vigore nell'ordinamento italiano.

Tuttavia, il problema attiene proprio alla ricostruzione, con riferimento al reato di autoriciclaggio, del concetto di comportamenti di laudering tenuti in antecedenza. In particolare, i dubbi investono due profili: in primo luogo ci si deve domandare se l'art. 648-ter.1 c.p. citato si applica in relazione a reati commessi prima della sua entrata in vigore, ovvero, ammesso che la condotta di riciclaggio che deve essere stata assunta dopo il 1 gennaio 2015 – data di entrata in vigore della disposizione che disciplina il nuovo reato –, il suddetto limite temporale vale anche per i reati presupposto da cui provengono i profitti che si intende riciclare? Detto altrimenti, la nuova incriminazione può essere applicata all'autoriciclaggio da “reati pregressi” o vale solo in relazione all'autoriciclaggio dai reati futuri, cioè quelli commessi dopo l'entrata in vigore dell'art. 648-ter.1 c.p.?

In secondo luogo, la condotta di autoriciclaggio ha evidentemente effetti permanenti, nel senso che se i proventi di un delitto vengono investiti un'attività imprenditoriale, l'investimento del denaro si esaurisce uno actu ma gli effetti benefici per l'impresa medesima – si pensi alla maggiore capitalizzazione della stessa, alla sua maggiore capacità di investimento, alla minore necessità di far ricorso al credito bancario ecc. – permangono nel tempo. Orbene, tale circostanza impone di domandarsi se l'art. 648-ter.1 c.p. si applica con riferimento a condotte di riciclaggio commesse prima della sua entrata in vigore ma i cui effetti permangono tuttora.

Iniziando dal primo aspetto, un autorevole autore ha fornito una risposta negativa al quesito, escludendo l'applicazione della nuova fattispecie con riferimento al reimpiego del profitto ricavato a mezzo di delitti commessi prima dell'entrata in vigore dell'art. 648-ter.1 c.p. (BRUNELLI, Autoriciclaggio e divieto di retroattività: brevi note a margine del dibattito sulla nuova incriminazione, in Dir. pen. cont.)e ciò in quanto nel caso dell'autoriciclaggio reato presupposto e condotta di riciclaggio sono riferiti alla stessa persona, sicché «la messa a reddito dei proventi è il verosimile e frequente risultato avuto di mira con la commissione del reato “a monte”, non solo dal punto di vista criminologico e comunque nella prospettiva del singolo agente; esso lo è (sempre) anche dal punto di vista obiettivo-strutturale. Infatti, attraverso l'incriminazione dell'autoriciclaggio e la formulazione della nuova fattispecie, è il Legislatore a cristallizzare tale rapporto, a prendere in considerazione il legame strumentale tra la commissione del reato produttivo di utilità economicamente rilevanti e la condotta di impiego di tali risorse, in vista della loro “ripulitura” e del loro incremento».

Questa tesi pare difficilmente recepibile in quanto essa si pone in insanabile contrasto con un dato normativo ben preciso, dato normativo peraltro rinvenibile nello stesso testo di legge che ha introdotto il reato di autoriciclaggio.

Nella legge 186 del 2014 che ha introdotto la nuova fattispecie di cui all'art. 648-ter.1 c.p. è presente anche una nuova forma di procedura di collaborazione volontaria finalizzata all'emersione di capitali detenuti all'estero nel quadro del potenziamento della lotta all'evasione fiscale: in particolare, si riconosce al contribuente, in relazione alle omesse dichiarazioni ex art. 4, comma 1, d.l. 167 del 1990 realizzate fino al 30 settembre 2014, la possibilità di procedere ad una sorta di 'autodenuncia' entro il 30 settembre 2015 con versamento all'Erario di quanto dovuto. Orbene in base al nuovo art. 5-quinquies d.l. 167 del 1990 – introdotto con la stessa legge 186 del 2014 – si prevede che “limitatamente alle attività oggetto di collaborazione volontaria, le condotte previste dall'articolo 648-ter.1 del codice penale non sono punibili se commesse in relazione ai delitti di cui al comma 1, lettera a), del presente articolo sino alla data del 30 settembre 2015, entro la quale può essere attivata la procedura di collaborazione volontaria” (BRICCHETTI, Per il passato la certezza dell'impunità, in Guida Diritto, 2015, 4, 41).

Come si vede, dunque, è lo stesso Legislatore ad indicare chiaramente che l'attività di autoriciclaggio rileva anche quando tenuta in relazione a proventi derivanti da reati posti in essere ben prima dell'entrata in vigore del relativo art. 648-ter.1 c.p. Tale dato evidentemente esclude in radice la possibilità di adottare soluzioni diverse – salvo denunciare di incostituzionalità la previsione codicistica nella misura in cui attribuisce rilevanza anche a comportamenti di laudering inerenti delitti commessi prima della sua entrata in vigore, ma si tratta di eventualità che allo stato ci pare assai poco probabile – ed impone di applicare la nuova incriminazione anche a fatti di autoriciclaggio per reati pregressi, non dovendo l'intero fatto (comprensivo del «delitto non colposo») descritto nell'art. 648-ter.1 c.p. essersi verificato dopo l'entrata in vigore della norma.

Tale conclusione impone però di rispondere al secondo dei quesiti cui avevamo fatto cenno e derivante dalla circostanza che la condotta tipica del nuovo reato – descritta, secondo un'ampia gamma di forme e combinazioni, come «impiego, sostituzione o trasferimento, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative» dei proventi illeciti – può durare nel tempo, dando luogo ad un reato che per certi aspetti parrebbe potersi qualificare come reato permanente, sicché è ben possibile che una delle condotte descritte nella nuova disposizioni risulti iniziata prima dell'entrata in vigore della nuova legge e prosegua in un momento successivo. Quid iuris in tale ipotesi?

La domanda va esaminata sotto tre distinti punti di vista, da analizzare separatamente perché diverse sono le effettive circostanze della vicenda. Procederemo a tale analisi aiutandoci con degli esempi.

Una prima ipotesi è la seguente: Tizio partecipa ad una serie di estorsioni da cui ricava un significativo profitto; parte dello stesso è investito in attività economiche prima del gennaio 2015 (data di entrata in vigore della nuova fattispecie di autoriciclaggio), la parte rimanente è invece investita o reimpiegata dopo tale data. È la fattispecie di più semplice inquadramento, giacché nulla pare precludere l'applicazione del nuovo reato alla parte di condotta che si posiziona dopo l'entrata in vigore della legge.

La seconda situazione che merita attenzione si connota per la circostanza che la condotta di laudering risulta tenuta prima dell'entrata in vigore della fattispecie di reato in discorso ma gli effetti della stessa permangono nel tempo e sono, per così dire, percepibili ed operanti dopo l'introduzione del delitto di autoriciclaggio. Tizio nell'ottobre 2014 reinveste il profitto delle estorsioni nella sua azienda e, con il tempo, utilizza tali importi per pagare i fornitori, effettuare investimenti ecc.: come si vede, la condotta descritta dalla norma è tenuta prima dell'entrata in vigore dell'art. 648-ter.1c.p., ma i suoi effetti – ed in particolare l'alterazione del regolare svolgimento dei traffici commerciali – hanno concreto svolgimento solo in un momento successivo ed in particolare in un momento storico in cui la condotta di autoriciclaggio è sanzionata penalmente essendo entrata in vigore la nuova fattispecie.

Anche in questo caso la soluzione non ci pare di soverchia difficoltà, se solo si mettono da parte le esigenze di punizione – che spingerebbero evidentemente per ritenere applicabile in tali ipotesi l'art. 648-ter.1. c.p. in tali ipotesi – e ci si rifà alle costruzioni dogmatiche in tema di teoria del reato. L'individuazione della corretta risposta al quesito, infatti, passa per il recupero della distinzione fra reato permanente e reato ad effetti permanenti: nel primo caso l'offesa commessa dall'agente al bene giuridico tutelato si protrae nel tempo per effetto di una sua condotta persistente e volontaria, sicché il reato si compone di una fase inizialein cui il soggetto agente realizza la condotta vietata ed una successiva fase che, secondo la giurisprudenza prevalente, consiste nel persistere, da parte del soggetto agente, nel comportamento illecito, sicché il reato cessa solo nel momento in cui il reo mette fine alla condotta volontaria di mantenimento dello stato antigiuridico (Cass. pen., Sez. III, 9 ottobre 2014, n. 45931, Cifaldi, in Mass. Uff., n. 260873); di contro, nel reato ad effetti permanenti, la consumazione dell'illecito è istantanea, ovvero si verifica al momento dell'assunzione della condotta vietata, ma gli effetti deleteri della stessa permangono anche molto tempo dopo la cessazione del reato. Come si vede, la distinzione fra le due figure di reato è sufficientemente chiara, sotto un profilo definitorio e concettuale, ma è altresì possibile rinvenire un criterio discretivo di facile applicazione nelle singole circostanze: per comprendere se si è in presenza di un reato permanente o di un illecito istantaneo con effetti permanenti è sufficiente verificare se il soggetto responsabile ha la possibilità di fare cessare l'attività antigiuridica in qualsiasi momento, giacché mentre tale possibilità è sicuramente presente nei reati permanenti, non altrettanto può dirsi con riferimento ai reati istantanei ad effetti permanenti i quali – pur residuandone le conseguenze – si consumano (e terminano) uno actu, al momento dell'adozione del comportamento incriminato.

Orbene, posta questa distinzione, è evidente che il delitto di autoriciclaggio è un reato istantaneo con effetti permanenti, che si consuma nel momento in cui viene realizzata una delle condotte descritte dall'art. 648-ter.1 c.p., senza che possa assumere rilevanza il permanere della situazione antigiuridica conseguente alla condotta criminosa (e d'altronde in questo senso si è pronunciata la cassazione con riferimento al delitto – evidente assai simile – di cui all'art. 12-quinquies d.l. 396 del 1992: Cass. pen., Sez. VI, 27 maggio 2014, n. 24657 Lauritano, in Mass. Uff., n. 262045), sicché nell'esempio che abbiamo fatto non potrà farsi ricorso all'applicazione dell'art. 648-ter.1 c.p. (BRICCHETTI, Per il passato la certezza dell'impunità, in Guida Diritto, 2015, 4, 41).

L'ultima situazione che va considerata è la seguente: Tizio, autore di una serie di illeciti di vario tipo, investe ed impiega il relativo profitto in un'impresa negli anni 2013 e 2014; l'azienda che ha beneficiato di tali investimenti di denaro nel tempo produce considerevoli utili, Tizio beneficia di tali utili e nel 2015 – ovvero dopo che è entrata in vigore la nuova fattispecie di autoriciclaggio – reinveste tali utili nella medesima azienda o in altre attività imprenditoriali. Siamo in presenza di una fattispecie di autoriciclaggio ed alla nuova condotta di reimpiego è applicabile l'art. 648-ter.1 c.p.?

Nell'intento del Legislatore, presumibilmente, a tale risposta si dovrebbe rispondere in termini affermativi, tant'è che secondo molti uno dei principali atout dell'innovazione (SGUBBI, Il nuovo delitto di autoriciclaggio: una fonte inesauribile di effetti perversi dell'azione legislativa, in Dir. pen. cont.) sarebbe rappresentato dalla possibilità di un'indefinita applicazione dell'art. 648-ter.1 c.p., rimediandosi così alla falcidia che la prescrizione impone per i procedimenti inerenti i reati presupposto. Detto altrimenti, la ratio della riforma sarebbe, fra l'altro, quella di consentire la repressione del reo in relazione al reinvestimento dei proventi della sua attività delittuosa anche quando per i crimini da cui il profitto deriva non si può procedere per intervenuta prescrizione: vi sarebbe infatti un'ipotesi penalmente rilevante di autoriciclaggio anche laddove il reimpiego non riguardi utilità ricavate direttamente da un precedente reato ma anche denaro ottenuto a mezzo di un'antecedente attività di laudering.

La lettera della legge non pare presentare alcun elemento che possa condurre a negare validità a tale conclusione: il delitto presupposto dell'attività di riciclaggio deve essere un qualsiasi delitto non colposo e quindi non si vede perché escludere che il profitto reinvestito o impiegato occultandone la provenienza non possa derivare da una precedente attività di autoriciclaggio. D'altronde, già con riferimento alle fattispecie di cui agli artt. 648-bis e 648-ter c.p. giurisprudenza (in tema di riciclaggio mediato o indiretto cfr. Cass. pen., Sez. II, 6 novembre 2009, n. 47375, Di Silvio, in Mass. Uff., n. 246434, per la quale «Integra la fattispecie criminosa di riciclaggio “mediato” il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da uno ad altro conto corrente diversamente intestato ed acceso presso differente istituto di credito») e dottrina (ZANCHETTI, Riciclaggio, in Digesto pen., XII, Torino, 1997, 211; LIGUORI, Rapporti tra condotte principali e reato-presupposto: cause di estinzione del reato o della pena, cause di esclusione dell'antigiuridicità, cause di non punibilità o non imputabilità, abolitio criminis, dichiarazione di incostituzionalità, in MANNA (a cura di), Riciclaggio e reati connessi all'intermediazione mobiliare, Torino, 2000,100. Contra, PECORELLA, Denaro (sostituzione di), in Digesto Pen., II, Torino 1989, 376) si sono espresse nel senso della rilevanza penale del cosiddetto riciclaggio indiretto, configurabile qualora le operazioni poste in essere siano relative ad utilità a loro volta già oggetto di forme di dissimulazione dell'illecita provenienza dei proventi: in particolare, secondo questa tesi, il momento in cui si può configurare una nuova condotta di riciclaggio andrebbe individuato nel momento in cui il soggetto agente decide di provvedere ad un nuovo investimento, sempre nell'intento di occultare la provenienza originaria del denaro, dal che ne deriverebbe che, per quanto mediata rispetto al reato originario possa essere la provenienza dei proventi, vi è continuo riciclaggio di tale profitto fino a che il singolo che provvede al laudering è consapevole della derivazione delittuosa dei beni su cui esercita il suo agire.

Le soluzioni giuridiche

Per più profili la Cassazione, che ha rigettato il ricorso, ha ripreso i concetti sopra sviluppati sostenendo che il delitto di cui all'art. 648-ter.1 c.p., pur essendo a consumazione istantanea, è reato a forma libera e può anche atteggiarsi a reato eventualmente permanente quando il suo autore lo progetti ed esegua con modalità frammentarie e progressive. Tali principi sono stati affermati dalla giurisprudenza con riferimento alla fattispecie di riciclaggio di cui all'art. 648-bis c.p. (Cass. pen., Sez. II, 27 aprile 2016, n. 29611; Cass. pen., Sez. VI, 3 ottobre 2013, n. 13085 dove la precisazione che qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, e dunque anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario ad un altro diversamente intestato e acceso presso un diverso istituto di credito, assume autonoma rilevanza penale, non potendo essere considerato come post factum non punibile) ma sono sicuramente applicabili anche al reato di auto riciclaggio; ciò significa, dunque, che può ipotizzarsi la sussistenza del reato in parola anche quando parte della vicenda complessiva si sia svolta prima dell'entrata in vigore del citato art. 648-ter.1.

Peraltro, dall'asserzione secondo cui il reato di autoriciclaggio è a forma libera e può quindi consumarsi anche mediante più atti e comportamenti assunti nel corso degli anni, la Cassazione sembra far conseguire la considerazione secondo cui tale illecito non ha mai termine e non si prescrive mai, nel senso che quand'anche in un primo momento vengano poste in essere condotte idonee di per sé a occultare la provenienza delittuosa del denaro ed ad investirlo in attività economiche e finanziarie, se il soggetto, successivamente, torna a tenere comportamenti analoghi, il momento di consumazione del reato di autoriciclaggio si sposta in avanti e quindi si sposta in avanti il relativo termine di prescrizione.

Osservazioni

In sede di commento della decisione, va innanzitutto sottolineato come tale pronuncia sia la prima occasione nella quale la Cassazione può sottoporre ad approfondita analisi il reato di autoriciclaggio. Tale delitto, infatti, è stato oggetto già di due decisioni della Corte di legittimità ma in entrambi i casi l'esame della fattispecie criminosa è stato piuttosto sommario.

Con una prima decisione, infatti, venne esclusa la sussistenza del reato di cui all'art. 648-ter.1 c.p. per la mancanza del requisito dell'idoneità ad occultare la provenienza di denaro (Cass. pen., sez. II, 28 luglio 2016, n. 33074, in Mass. Uff., n. 267459). Nella successiva decisione (Cass. pen., sez. III, 11 aprile 2017, n. 18308), invece, il delitto di autoriciclaggio venne ritenuto sussistente in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta, ma nell'occasione la Cassazione cadde in un significativo equivoco, posto che ritenne perfezionato il reato di money laudering senza avvedersi che all'epoca dei fatti non era stato ancora commesso il delitto presupposto, giacché non era stata ancora presentata la dichiarazione fraudolenta che rappresentava l'illecito il cui profitto doveva essere oggetto del riciclaggio.

Quanto alle considerazioni che possono svolgersi con riferimento alla presente sentenza, il profilo più interessante presumibilmente è rappresentato – oltre all'affermazione secondo cui può ipotizzarsi la sussistenza del reato in parola anche quando parte della vicenda complessiva si sia svolta prima dell'entrata in vigore del citato art. 648-ter.1, tesi che, come abbiamo detto, è sostanzialmente condivisa dalla dottrina e dalla giurisprudenza – dalla tesi secondo cui quand'anche in un primo momento vengano poste in essere condotte idonee di per sé a occultare la provenienza delittuosa del denaro ed ad investirlo in attività economiche e finanziarie, se il soggetto, successivamente, torna a tenere comportamenti analoghi, il momento di consumazione del reato di autoriciclaggio si sposta in avanti e quindi si sposta in avanti il relativo termine di prescrizione.

Trattasi di una considerazione di deciso rilievo ma non sappiamo fino a che punto essa possa dirsi consolidata nella giurisprudenza. Va sottolineata in senso contrario una decisione della Cassazione (Cass. pen., Sez. III, 18 febbraio 2015, n. 9392, Chiavaroli) la quale, sia pure in maniera nient'affatto esplicita, sembra concludere in senso diverso.

Nel caso deciso dalla sentenza in parola, un imprenditore aveva omesso di fatturare cessioni di beni e le somme incassate quali corrispettivo delle vendite erano state poi immesse all'interno della medesima azienda nel cui ambito era stata realizzata l'evasione fiscale. Peraltro, prima di provvedere a tale reinvestimento i contanti derivanti dalle cessioni non fatturate erano stati convertiti in assegni e vaglia circolari, a loro volta versati nel patrimonio della persona giuridica come “finanziamento soci”: in questo modo da un lato si ostacolava l'accertamento sulla provenienza delittuosa di tali importi ed al contempo gli imputati si appropriavano in via definitiva delle somme derivanti dal delitto di dichiarazione infedele, giacché versando le stesse nelle casse della società maturavano un credito nei confronti della stessa.

Secondo l'ufficio inquirente, tale articolata condotta dava luogo a diverse ipotesi di responsabilità per diversi titoli di reato: l'amministratore della società rispondeva ovviamente del delitto di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74 del 2000; il medesimo soggetto rispondeva altresì del delitto di cui all'art. 648-ter c.p. di reimpiego di denaro di provenienza illecita; i soci della società che avevano proceduto alla conversione in assegni dei contanti rispondevano del delitto di riciclaggio ex art. 648-bis c.p.; infine, gli altri soci che – senza partecipare alla conversione delle somme in titoli di credito – avevano proceduto all'aumento di capitale si sarebbero resi responsabili dell'illecito di cui all'art. 648-ter c.p.. Sulla scorta di tale ricostruzione accusatoria, a dire dell'ufficio inquirente si sarebbe dovuto a procedere a sequestro preventivo a fini di confisca: l'importo da sottoporre a vincolo, però, secondo il pubblico ministero non andava individuato nella mera imposta evasa, dovendosi anche considerare il profitto che gli imputati avevano tratto dalle attività di riciclaggio e reimpiego successive all'evasione fiscale; in sostanza, secondo la Procura occorreva procedere a sequestro di un importo pari non all'imposta evasa bensì di una somma corrispondente al valore delle cessioni non fatturate in quanto tali somme sarebbero state reimmesse nell'azienda sotto forma di finanziamento, rappresentando così il profitto del reato di riciclaggio.

Della ricostruzione della pubblica accusa la Cassazione non accoglie nessun profilo e motiva la sua decisioni con argomentazioni nient'affatto innovative. In primo luogo, la Suprema Corte evidenzia l'erroneità della richiesta – sorprendentemente – avanzata dall'organo inquirente di procedere per il delitto di riciclaggio o di reimpiego anche nei confronti di colui che aveva posto in essere il reato presupposto, ovvero l'infedele dichiarazione, ostando all'accoglimento di tale impostazione – posto che al momento dei fatti non era ancora entrato in vigore l'art. 648-ter.1 c.p. – la clausola di riserva presente negli artt. 648-bis e 648-ter c.p.. In secondo luogo, anche in questo caso con conclusione che non può dirsi certo sorprendente, la Cassazione esclude che ai fatti di causa – che, come detto, erano antecedenti all'entrata in vigore, il 1 gennaio 2015, del delitto di autoriciclaggio – possa applicarsi l'art. 648-ter.1 c.p. essendo preclusa l'applicazione retroattiva di tale disposizione criminosa dal principio costituzionale di cui all'art. 25, comma 2, della Carta fondamentale.

Esaminati questi due profili, la Cassazione arresta il suo argomentare e pare non affrontare in alcun modo il quesito inerente il trattamento giuridico da riservare a condotte che tornino a reimpiegare e/o riciclare, dopo l'entrata in vigore del nuovo illecito di cui al citato art. 648-ter.1, somme già oggetto di una precedente attività di riciclaggio. Tuttavia, leggendo con attenzione la predetta decisione ci si avvede che nella stessa sono presenti – sia pur formulate in modo tutt'altro che chiaro – alcune considerazioni che farebbero propendere per la tesi negativa.

Infatti, nel definire il quantum da sottoporre a sequestro in relazione alla vicenda illecita oggetto del procedimento penale, la Corte di legittimità afferma che il profitto della condotta delittuosa di riciclaggio deve ricalcarsi – nel senso che il suo importo equivale al – sul profitto derivato dal reato presupposto. Perché la Cassazione approdi a tale conclusione non è affatto esplicitato – né è precisato se la stessa vale solo con riferimento all'ipotesi in cui il reato presupposto sia un illecito tributario o abbia una valenza generale; tuttavia, sembra quasi che la Suprema Corte ritenga che per i reati cui agli artt. 648-bis e 648-ter c.p. (ed ora anche per il 648-ter.1 c.p.) non sia possibile rinvenire un profitto ulteriore e diverso rispetto a quello che viene ad acquisirsi con la realizzazione del reato presupposto. Se tale ipotesi fosse corretta – ma, ripetiamo, è un tentativo di esplicitare un ragionamento che la sentenza lascia assolutamente inespresso – pare evidente che non vi sarebbe spazio per un riciclaggio di un precedente riciclaggio: le condotte di cui agli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p. hanno come oggetto materiale il denaro, i beni o le altre utilità provenienti da delitto non colposo, ma se i reati di riciclaggio e simili non producono alcun provento - ulteriore rispetto a quello ricavato dal reato presupposto – non può parlarsi, appunto, di reimpiego del profitto del precedente riciclaggio.

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