Atti persecutori e tentato omicidio. Le motivazioni della Cassazione sul caso di Lucia Annibali
25 Novembre 2016
La Cassazione, prima Sezione penale, con sentenza n. 49821, depositata il 23 novembre 2016, ha confermato le condanne nei confronti di Varani Luca e dei due complici da questo assoldati per aver lanciato sul volto della vittima, Lucia Annibali, sostanza ustionante per effetto della quale questa riportava lesioni gravissime. Dichiarando inammissibili tutti i ricorsi proposti dagli imputati, i giudici di legittimità hanno ritenuto corretta la pena, comminata da parte dei giudici di merito, a anni 20 di reclusione nei confronti di Varani Luca, per tentato omicidio e atti persecutori, e a anni 12 di reclusione per i due esecutori dell'attacco con l'acido. Nessun dubbio da parte del supremo Collegio sulla correttezza delle motivazioni che i giudici, sia di primo che di secondo grado, hanno posto alla base delle loro decisioni. Il giudice a quo, si legge nella sentenza, ha dato adeguatamente conto delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, immune da illogicità di sorta e sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione e, pertanto, sottratta ad ogni sindacato in sede di scrutinio di legittimità. La Corte di cassazione, dunque, non rileva nel tessuto motivazionale del provvedimento impugnato né contraddittorietà, né illogicità manifesta che consegua alla violazione di alcuno dei principi della logica formale e/o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell'articolo 192 c.p.p., ovvero alla invalidità, o scorrettezza, per carenza di connessione tra le permesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di interferenza tra le stesse e la conclusione. È stato ampiamente dimostrato che dalla decisone di Lucia Annibali di interrompere la relazione sentimentale con l'imputato, si era generato in questi un comportamento di crescente invasione della vita privata della donna con atti finalizzati, prima al controllo e, successivamente, alla sopraffazione, fino a giungere ad un intento punitivo, per la decisione non revocabile assunta di interrompere la relazione, decisione che il medesimo Varani non aveva accettato. Tale situazione aveva generato nella vittima il peso d'una vera oppressione, con ansia e limitazione della sua libertà di movimento. Lo stato d'ansia conseguito e il timore per la propria incolumità, oltreché una serie di eventi in progressiva sequenza, oltre ad essere invasivi della libertà della donna, aveva indotto ad una serie di modifiche delle sue abitudini di vita. La Corte territoriale ha poi correttamente richiamato, nella sentenza impugnata, la gravità delle lesioni inferte alla persona offesa, il pericolo per la sua vita, la scelta di mezzi commissivi insidiosi, oltre che l'intensità del dolo, nonché, gli aspetti inerenti la persona del colpevole stesso ed afferenti il regime di vita, l'assunzione di stupefacenti, la condotta processuale e l'assenza di pentimento. Confermata anche l'aggravante della premeditazione con riferimento all'episodio della manomissione dell'impianto del gas nell'appartamento della vittima. È, infatti fuor di dubbio che, nell'animo dell'agente fosse permasa una risoluzione ferma ed irrevocabile, evidenziata dalla necessità, di organizzare il piano criminoso, mediante induzione nell'abitazione della vittima e della predisposizione degli strumenti per la materiale esecuzione [...] Proprio dalle modalità commissive si è inferita la ricerca dell'occasione propizia , per l'introduzione nell'appartamento della vittima, al meticolosa organizzazione, mediante la predisposizione degli strumenti necessari per la manomissione, l'accurato studio preventivo delle modalità esecutive, evidenti anche in relazione alla acquisizione di conoscenze tecniche per attuare l'intervento sull'impianto del gas, si è, pertanto, correttamente richiamata la maturazione d'una risoluzione omicida, attraverso lunga riflessione con plurime possibilità di recesso prima del perfezionamento della condotta. |