Particolare tenuità del fatto: in sede d'archiviazione, e non solo, prestare “particolare” attenzione processuale
26 Settembre 2016
Massima
Il provvedimento di archiviazione previsto dall'art. 411, comma 1, c.p.p., anche per l'ipotesi di non punibilità della persona sottoposta alle indagini ai sensi dell'art. 131-bis c.p. per particolare tenuità del fatto, è nullo se non si osservano le disposizioni processuali speciali previste dall'art. 411, comma 1-bis, c.p.p., non garantendo il necessario contradditorio sul punto le più generali disposizioni previste dagli artt. 408 e ss. c.p.p. Il caso
Il pubblico ministero, all'esito delle indagini preliminari, formula nei confronti dell'indagato richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato. Avverso tale richiesta la persona offesa, ritualmente avvisata, presenta, nei termini di legge, rituale atto di opposizione. All'esito dell'udienza camerale ex art. 409, comma 2, c.p.p., il giudice per le indagini preliminari, ritiene fondata,e riconducibile all'indagato, l'ipotesi di reato contestata ma, in forza della non gravità dell'addebito e dell'incensuratezza, dispone l'archiviazione del procedimento applicando la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. Ricorre in sede di legittimità la difesa dell'indagato lamentando:
La questione
Con il decreto legislativo 28 del 16 marzo 2015 è stata introdotta nel nostro ordinamento una nuova causa di non punibilità, quella della particolare tenuità del fatto. Lo stesso Titolo V del codice penale, così come il Capo I dello stesso, aventi ad oggetto l'esecuzione della pena, sono stati modificati sin dalla loro denominazione, prevedendo l'introduzione della nuova causa di estinzione a mezzo dell'applicazione dell'art. 131-bis c.p. La novità legislativa – che qui viene trattata esclusivamente sotto il profilo procedurale – ha parallelamente innovato, nella parte d'interesse, sia il procedimento di archiviazione (art. 411, commi 1 e 1-bis, c.p.p.) che quello dell'applicabilità della particolare tenuità in sede predibattimentale (art. 469, comma 1-bis, c.p.p.). Proprio in relazione alla fase dell'archiviazione il Legislatore oltre ad inserire la particolare tenuità del fatto tra le cause che comportano l'estinzione del reato e, quindi, tra quelle che determinano la pronuncia di archiviazione da parte del giudice per le indagini preliminari, ha sentito la necessità di regolamentare a parte tale procedimento richiamando la disciplina degli articoli precedenti espressamente e solo laddove funzionali allo stesso. L'impostazione data alla disciplina codicistica appare predeterminare un itinerario processuale obbligato, vincolante per le parti ed, in principal modo, per il giudice, per cui solo il canonico rispetto della stessa comporta la corretta emanazione della decisione assunta ex art. 411, commi 1 e 1-bis, c.p.p. Quest'ultima, difatti, pur essendo espressamente fuori dall'efficacia di giudicato attribuita, ex art. 651-bis c.p.p., alla sentenza di proscioglimento pronunciata in seguito a dibattimento ovvero a quella di analogo tenore assunta all'esito del giudizio abbreviato comporta, comunque, una decisione del giudice sia in merito alla sussistenza del fatto che alla sua riconducibilità in capo all'imputato. Il profilo affrontato dai giudici di legittimità attiene alla lesione del diritto di difesa laddove il giudice per le indagini preliminari, investito dal pubblico ministero della richiesta di archiviazione per un causa diversa da quella della particolare tenuità del fatto, applichi, ex officio, quest'ultima senza dar modo all'intervento difensivo dell'imputato di interloquire sul punto, sia pure nel contraddittorio camerale dettato dagli artt. 409 e ss. c.p.p. Le soluzioni giuridiche
I giudici di legittimità, con la sentenza in commento, hanno affermato i seguenti principi di diritto:
Osservazioni
In ossequio all'art. 112 della Costituzione (principio dell'obbligatorietà dell'azione penale) l'art. 405 c.p.p. stabilisce che: il pubblico ministero, quando non deve richiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale. Proprio ai fini del controllo dell'obbligatorietà dell'azione penale, e fermo restando il monopolio dell'esercizio della stessa in capo all'ufficio del pubblico ministero, è sancita dal Legislatore la procedura prevista dagli artt. 408 e ss. c.p.p., tant'è che, all'esito della stessa, il giudice per le indagini preliminari può, tra gli altri poteri – e, cioè, sia quello di archiviazione che di svolgimento di ulteriori indagini – ordinare di formulare l'imputazione. Tenuto conto delle peculiarità connesse all'applicazione della causa di estinzione della particolare tenuità del fatto – che necessita sia dell'affermazione della sussistenza di un fatto penalmente rilevante che di una riconducibilità dello stesso in capo ad uno specifico soggetto – il Legislatore ha, opportunamente, optato per un regime procedurale autonomo. La caratteristica principale di tale autonomia – peculiarmente, sottolineata, dai giudici di legittimità nella sentenza in commento – è che, stante il monopolio dell'esercizio dell'azione penale in capo all'ufficio del pubblico ministero, solo il corretto sviluppo di quest'ultimo può innestare il procedimento in quanto, in caso contrario, e cioè laddove il giudice, investito della richiesta di archiviazione per altra causa, la pronunci autonomamente lo violerebbe in modo palese (art. 178, comma 1, lett. b), c.p.p.). Oltre a tale violazione il giudice per le indagini preliminari nel caso pronunciasse un'archiviazione per particolare tenuità del fatto in assenza di una specifica domanda del pubblico ministero, incorrerebbe anche nella lesione del diritto di difesa (artt. 24 Cost. e 178, comma 1, lett. c), c.p.p.) atteso che l'indagato verrebbe pretermesso dalla possibilità di potere intervenire in proposito. Invero, le ragioni del dissenso in merito all'applicazione della causa di estinzione della particolare tenuità del fatto ex officio da parte del giudice non risiedono, sotto il profilo della lesione del diritto di difesa, unicamente in capo all'indagato bensì anche della persona offesa, tant'è che la domanda declinata in tali sensi va comunicata ad entrambe ed è in relazione ad essa che le stesse possono esercitare il loro diritto di opposizione. È solo in assenza di entrambe le opposizioni che il giudice può provvedere de plano essendo, in caso contrario, e salvo eventuali inammissibiltà, tenuto alla fissazione dell'udienza camerale onde poter consentire alle parti di sviluppare le proprie argomentazioni. Nell'eventualità da ultimo menzionata il giudice, essendo stato proceduralmente investito in modo corretto ed avendo assicurato il contraddittorio pieno, potrà assumere ogni decisione in qualsiasi direzione avendo ricevuto un “mandato pieno”: ulteriori indagini; ordine di formulare l'imputazione; archiviazione per particolare tenuità del fatto; archiviazione per qualsiasi altra causa. Le conclusioni assunte in sede di legittimità, pienamente condivisibili, aprono lo spettro, però, ad ulteriori riflessioni. Può accadere, difatti, che la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero per cause diverse da quelle dettate dall'art. 131-bis c.p. giunga in sede camerale ed in quella occasione il pubblico ministero – eventualmente sollecitato dal giudice – prenda in considerazione la possibile applicazione di tale causa di non punibilità: ebbene, anche in questo caso, alcun ostacolo a tale decisione può frapporsi, attesa l'iniziativa assunta dall'organo della pubblica accusa ma resta ferma la necessità che la stessa, ove le parti siano assenti, vada loro notificata onde poter esercitare il diritto di opposizione. Nel caso in cui, invece, la richiesta di archiviazione sia innestata dal pubblico ministero, nel rispetto del procedimento dettato dall'art. 411, comma 1-bis, c.p.p., occorre chiedersi se il giudice può provvedere – de plano ovvero a seguito dell'udienza camerale in caso di opposizione di una delle parti – all'archiviazione uscendo dal perimetro delineato ed accedendo anche alle formule di cui all'art. 409 c.p.p. Ad avviso di chi scrive nessun impedimento pare prospettarsi a che, nella situazione da ultimo menzionata, il giudice per le indagini preliminari, a prescindere dalla forma e cioè, de plano, con decreto motivato – in assenza di opposizioni – ovvero con ordinanza, all'esito dell'udienza camerale, ove quest'ultime siano state presentate, si determini diversamente dalla richiesta dell'ufficio del pubblico ministero essendo stato rispettato il principio della domanda in capo allo stesso ed essendo state le parti, tutte, messe in grado di confrontarsi in sede di contraddittorio. Di ben più rilevante spessore è la tematica riguardante l'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. in sede d'udienza preliminare. Occorre, premettere, che in sede di approvazione del decreto legislativo 28/2015 il Legislatore si è, precipuamente, occupato del procedimento di archiviazione e della sentenza pre-dibattimentale, ignorando sia la sentenza ex art. 129 c.p.p. (si pensi, in proposito, all'incidenza che essa può svolgere in sede di richiesta di emissione del decreto penale, ex art. 459, comma 3, c.p.p.) che quella ex art. 425 c.p.p. Se da un lato, difatti, tra le formule della sentenza di non luogo a procedere dettate dall'art. 425 c.p.p. vi è quella, generale, della non punibilità per qualsiasi causa, che senz'altro include anche quella “nuova” dell'art. 131-bis c.p., occorre chiedersi se il giudice dell'udienza preliminare può pronunciarla pur non essendo stato investito di tale richiesta. Non può, in tali casi, non osservarsi che anche in questo caso l'imputato potrebbe risultare “pregiudicato” da un'eventuale sentenza ex art. 425 c.p.p. del giudice dell'udienza preliminare in relazione alla quale gli sia stata preclusa la possibilità di interloquire sul punto, e lo stesso è a dirsi sia per la persona offesa (casomai, costituitasi parte civile) che per il pubblico ministero, i quali, sia pure in modo opposto, sono potenzialmente rappresentanti di interessi configgenti con tale tipo di definizione. Interesse dell'imputato alternativo alla dichiarazione del non doversi procedere per una delle cause diverse dettate dall'art. 425 c.p.p. può essere, difatti, quello di dimostrare la propria estraneità in sede dibattimentale, estraneità che, paradossalmente, passa, in questo caso, attraverso l'emissione, nei propri confronti, del decreto di rinvio a giudizio ex art. 429 c.p.p. e non della sentenza di non luogo a procedere. È per tale ragione che può ritenersi impedito al giudice dell'udienza preliminare l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in assenza di un'espressa richiesta in tali sensi da parte dell'ufficio del pubblico ministero. A conclusioni opposte occorre, invece, giungere laddove in sede di conclusioni la difesa dell'imputato chieda, in via principale o subordinata, l'applicazione della particolare tenuità del fatto: in questi casi, sulla scia della decisione dei giudici di legittimità, occorre mettere le parti – ivi compreso il pubblico ministero d'udienza – nella condizione di potere, eventualmente, opporvisi esercitando un potere ostativo al riguardo (Cass., Sez. II, n. 12305/2016, v. nota di TRINCI,). |