Opposizione al decreto penale di condanna con richiesta di “patteggiamento”

Eleonora Pividori
Antonietta Tazza
27 Luglio 2015

L'opposizione a decreto penale di condanna accompagnata da una richiesta di applicazione di pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. (c.d. patteggiamento) porta con sé taluni profili problematici relativi in particolare allo svolgimento dell'iter che può condurre all'afflizione concordata che qui meritano di essere partitamente disaminati.
Abstract

L'opposizione a decreto penale di condanna accompagnata da una richiesta di applicazione di pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. (c.d. patteggiamento) porta con sé taluni profili problematici relativi in particolare allo svolgimento dell'iter che può condurre all'afflizione concordata che qui meritano di essere partitamente disaminati.

Ci si è interrogati, anzitutto, sulle conseguenze prodotte dal mancato accordo con il pubblico ministero e/o dal rigetto della richiesta da parte del giudice per le indagini preliminari, con specifico riguardo alla possibilità o no di reiterare la richiesta in seno al giudizio immediato che ne segue inevitabilmente.

È stato poi approfondito il tema della possibile proponibilità di un'istanza di patteggiamento che preveda una sanzione più elevata di quella irrogata con il decreto penale di condanna opposto, che evidentemente coinvolge tematiche di più ampio respiro quali l'interesse ad impugnare ed il divieto di reformatio in peius.

Il principio cardine del contraddittorio tra le parti ed il carattere necessariamente “contratto” ed eccezionale del rito in parola forniscono, infine, la soluzione al quesito se l'opponente abbia diritto ad essere coinvolto nella determinazione giudiziale sulla pena concordata.

Il quadro normativo

Come noto, ai sensi dell'art. 461, comma 3, c.p.p., con l'atto di opposizione al decreto penale di condanna emesso dal giudice per le indagini preliminari l'imputato può formulare richiesta, fra le altre ipotesi previste, di applicazione della pena di cui all'art. 444 c.p.p.

Il conseguente iter procedimentale è scandito dal successivo art. 464c.p.p., il quale, al riguardo, prevede la fissazione di un termine da parte del giudice per l'espressione dell'eventuale consenso da parte del pubblico ministero, disponendo che la richiesta ed il decreto siano notificati a quest'ultimo da parte dell'opponente.

Ove il pubblico ministero non abbia espresso il consenso nel termine stabilito, il giudice deve invariabilmente disporre il giudizio immediato, registrandosi un'elaborazione giurisprudenziale sul tenore che dovrà avere la “nuova” richiesta.

Eguale disciplina vale per i procedimenti di competenza del tribunale in composizione monocratica, stante il rinvio, tra le altre, all'anzidetta norma operato, in proposito, dall'art. 557, comma 3, c.p.p.

Reiterabilità della richiesta in caso di mancato accordo tra le parti o rigetto della stessa

Un primo profilo di discussione si è posto con riguardo alla possibile reiterabilità della richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. cit. sulla quale non sia stato raggiunto l'accordo con la pubblica accusa ovvero che sia stata respinta dal giudice per le indagini preliminari.

Al proposito, come già ricordato, in caso di esito negativo dell'anzidetta istanza, il giudice è tenuto senz'altro a fissare con decreto l'udienza di celebrazione del giudizio immediato, non potendo più ordinare l'esecuzione del decreto di penale opposto (sul punto, fra le molte, Cass. pen., Sez. V, 18 ottobre 2013, n. 6369). Si tratta, dunque, di valutare se in tale sede, prima dell'apertura del dibattimento, l'interessato possa nuovamente sottoporre al giudice una domanda di applicazione della pena a richiesta.

La giurisprudenza di legittimità sembra aver assunto una posizione favorevole alla riproposizione dell'istanza, a condizione che quest'ultima reiteri esattamente il contenuto di quella precedente avanzata (fra le altre, Cass., Sez. III, 12 maggio 2005, n. 20517; Cass., Sez. IV, 24 ottobre 2007, n. 46367).

È stato, infatti, al proposito evidenziato che la preclusione dettata dall'art. 464, comma 3, c.p.p., secondo cui, a seguito delle modifiche realizzate con l'art. 37, comma 4, della l. 16 dicembre 1999, n. 479, nel giudizio conseguente all'opposizione l'imputato non può chiedere, tra l'altro, l'applicazione della pena su richiesta - non riguardi la rinnovazione della domanda già presentata e non accolta, ma operi limitatamente alla formulazione della richiesta intervenuta,per la prima volta, in apertura del dibattimento introdotto dal decreto che dispone il giudizio immediato.

Risulta in tal modo pienamente consentito un sindacato da parte del giudice del dibattimento sul rigetto della richiesta; ciò che la succitata modifica legislativa non aveva inteso precludere, essendo questa finalizzata, piuttosto, alla creazione di uno “sbarramento” temporale alla proposizione, per la prima volta, di una richiesta di riti alternativi, al precipuo scopo di realizzare la deflazione avuta di mira con l'ideazione e previsione di questi ultimi.

D'altronde, una parte della letteratura e della giurisprudenza hanno sostenuto che tale soluzione ermeneutica sia da preferire anche da un punto di vista eminentemente sistematico.

Difatti, non consentire all'interessato di sottoporre al giudice del dibattimento la domanda di patteggiamento avanzata ma respinta corrisponderebbe, infatti, a privare quest'ultimo del controllo sul dissenso del pubblico ministero e sulla repulsa della domanda da parte del giudice per le indagini preliminari: ciò che integrerebbe, oltre ad una violazione del diritto di difesa, un'illegittima disparità di trattamento fra imputato sottoposto a procedimento per decreto e quello rinviato a giudizio nelle forme ordinarie, stante il disposto dell'art. 448, comma 1, c.p.p.

Tale ultima osservazione, tuttavia, non è condivisa da quell'orientamento giurisprudenziale (Cass. pen., Sez. VI, 24 settembre 2014, n. 42775) che, pur pervenendo alle medesime conclusioni di cui sopra relativamente all'art. 464, comma 3, cit. c.p.p., ha interpretato il termine “rinnovare” di cui all'art. 448 c.p.p. nel senso che la riproposizione dell'istanza debba prevedere una nuova negoziazione delle parti e non limitarsi ad una mera reiterazione della richiesta in precedenza formulata. Ciò in quanto il termine "rinnovare" - a differenza di quello "riproporre" utilizzato per la nuova richiesta di giudizio abbreviato - evoca il significato precipuo ed univoco di una vera e propria "nuova domanda". In senso conforme, anche sul punto Cass. pen., Sez. VI, 24 settembre 2014 n. 42775; Cass. pen., Sez.VI, 19 gennaio 2010, n. 20794 e Sez. III, 28 maggio 2009, n. 28641.

Pena richiesta più elevata rispetto a quella inflitta nel decreto?

Un'ulteriore questione emersa con riferimento alla richiesta di applicazione della pena formulata ai sensi dell'art. 461, comma 3, c.p.p. “a valle” di un decreto penale di condanna attiene alla proponibilità di un'istanza di patteggiamento che preveda una sanzione più elevata di quella comminata con il decreto penale di condanna opposto.

La tematica va considerata alla luce di quelle di più ampio respiro concernenti l'interesse ad impugnare e l'eventuale applicabilità, nel giudizio di opposizione, del divieto di reformatio in peius.

Più nel dettaglio, ci si è chiesti se sia ravvisabile un interesse concreto dell'opponente a richiedere una pena concordata maggiormente afflittiva di quella irrogata nel decreto e se una sentenza che recepisse tale diversa e più penalizzante convenzione sulla sanzione possa o no configurare una violazione del divieto di cui sopra.

Espressasi sul punto, la Corte suprema di cassazione (fra le altre, Cass. pen., Sez. III, 12 maggio 2005, n. 20517; Cass. pen., Sez. III, 4 marzo 2003, n. 18085) ha anzitutto affermato il principio secondo cui l'interesse ad opporsi non debba essere considerato coincidente con il mero ottenimento di un trattamento sanzionatorio più lieve (anche in termini di benefici), dovendo questo essere interpretato estensivamente, alla luce delle varie conseguenze prospettabili a seguito dell'opposizione.

Particolarmente rilevante in tal senso appare la circostanza che la sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. produca gli effetti previsti dall'art. 445 c.p.p., quali, fra gli altri, la mancata efficacia di questa nei giudici civili o amministrativi eventualmente istauratosi per i medesimi fatti di cui al decreto penale opposto e della pronuncia che recepisca il patteggiamento.

Di contro, secondo la linea interpretativa formatasi in sede di legittimità, nel caso di opposizione ai sensi dell'art. 461 c.p.p., non potrebbe parlarsi di interesse a conseguire un provvedimento più favorevole, dovendosi pertanto escludere l'operatività del divieto di reformatio in peius.

Diritto dell'opponente all'instaurazione del contraddittorio

Un terzo momento di approfondimento – decisamente interconnesso con i precedenti – attiene alle modalità con cui il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., possa pervenire a “ratificare” l'accordo.

Al riguardo, occorre muovere in termini generali dalla tesi per cui, con riguardo all'opposizione al decreto penale di condanna, l'interesse ad impugnare consiste nello stesso incardinarsi di un giudizio, in considerazione delle peculiarità che connotano il procedimento per decreto, con riguardo, specificamente, al c.d. “contraddittorio differito”.

Come noto, infatti, il principale effetto dell'opposizione consiste per l'appunto nel «riportare nell'ambito della normale dialettica processuale un procedimento che, nella prima fase, è affidato alla unilaterale determinazione del Giudice», essendo il decreto emesso inaudita altera parte (così, Cass. pen., Sez. III, 20 marzo 2003, 18085 cit.).

Tale principio, enunciato relativamente ad una problematica cui si è fatto meramente cenno nel presente articolo (in particolare, con riguardo all'ipotesi in cui il giudice ritenga di non accogliere la richiesta di patteggiamento), è espressione della centralità accordata ad assicurare il contraddittorio nella fase conseguente all'opposizione.

Nella stessa posizione appaiono porsi quelle pronunce (nello specifico, Cass. pen., Sez. III, 22 dicembre 2010, n. 805; Cass. pen.,Sez. I, ord.15 dicembre 2004, n. 804; Cass. pen.,Sez. IV, 15 ottobre 1997, n. 2519; Cass. pen. Sez. I, 27 settembre 1994, n. 3955) che, nel confermare e riconoscere la necessità di consentire una interlocuzione fra le parti nella fase del procedimento istaurata a seguito di opposizione, hanno ravvisato un'ipotesi di nullità di ordine generale ed insanabile a norma degli artt. 178 e 179 c.p.p., allorquando l'imputato, oppostosi al decreto ed avanzata domanda di patteggiamento, non sia stato citato a giudizio ed il giudice per le indagini preliminari abbia pronunciato de plano sentenza di applicazione di pena richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p.

Risulterebbe così salvaguardato il diritto dell'opponente - non altrimenti conseguibile - di interloquire su elementi di estremo rilievo concernenti il quadro sanzionatorio nel suo complesso (così Cass. pen., Sez. III, 22 dicembre 2010, n.805; infine, rileva la necessità di fissare l'udienza camerale di cui all'art. 447 c.p.p., sebbene implicitamente, Cass. pen., Sez. un., 27 novembre 2008, n. 47803).

Sul piano normativo, tale conclusione risulterebbe imposta dalla circostanza che ai sensi dell'art. 464 c.p.p. è prevista, come unica ipotesi di assenza di giudizio, quella di richiesta di oblazione, e quale esclusiva deroga all'ordinario iter conseguente alla proposizione dell'opposizione, il giudizio immediato.

Invece, per tutti gli altri sbocchi processuali consentiti – trattandosi di disposizione in deroga al generale principio secondo cui i provvedimenti del giudice debbano essere presi in contraddittorio fra le parti e, pertanto, inevitabilmente soggetta ad una lettura restrittiva - il giudice sarebbe comunque tenuto all'instaurazione del contradditorio e, in particolare,con specifico riguardo alla richiesta di patteggiamento, a fissare l'udienza di cui all'art. 447, comma 1, c.p.p.

In conclusione

La richiesta di concordamento sulla pena in sede di rito alternativo per decreto pone, in definitiva, una serie di interrogativi teorici ed operativi assieme che hanno tutti come denominatore comune il delicato equilibrio tra esigenze deflattive e di rapidità di definizione dei procedimenti e tutela dei diritti e delle prerogative dell'opponente anche in una dimensione, a sua volta, derogatoria e speciale come quella delineata dagli art. 444 c.p.p. e ss.

Guida all'approfondimento

In ordine all'invalidità (nullità a regime intermedio) del provvedimento di rigetto del G.I.P. che abbia provveduto de plano, ossia senza fissare udienza camerale ex art. 447 c.p.p., Sez. III, 12 dicembre 2007, n. 4743, in C.E.D. Cass., n. 239248; sez. III, 13 ottobre 2005, n. 2634, in Dir. pen. proc., 2006, p. 457 con nota di PERONI, Udienza camerale in caso di rigetto della domanda di pena in indagini preliminari; Sez. VI, 13 maggio 1998, n. 1737, in questa rivista, 2000, p. 143.

In ordine alla celebrazione dell'udienza camerale per la pronunzia della sentenza di patteggiamento formulata nel corso delle indagini, o successiva ad opposizione a decreto penale di condanna, con conseguente impossibilità, per l'offeso, di costituirsi parte civile, S.U., 27 novembre 2008, n. 47803, in questa rivista, 2009, p. 2313, con nota di PISTORELLI, Per le Sezioni unite non è possibile la costituzione di parte civile nell'udienza fissata ex art. 447 c.p.p., ivi, 2009, p. 3901, con nota di PINNA, Il ruolo della parte civile nel patteggiamento: tutelare l'aspettativa ad una decisione sulla domanda risarcitoria, in Dir. pen. proc., 2009, p. 1131, con nota di BRUNO, Esclusa la parte civile all'udienza per decidere sulla pena negoziata, in Giust. pen., 2010, c. 207, con nota di GUERRERIO, Le spese: solo per costituzioni di parte civile ragionevoli; Sez. IV, 28 giugno 2007, n. 39122, in Riv. pen., 2008, p. 809; Sez. V, 22 aprile 2005, n. 19925, ivi, 2006, p. 837; Sez. V, 5 aprile 2004, n. 22681, ivi, 2005, p. 332; Sez. III, 22 gennaio 2004, n. 5872, ivi, 2005, p. 505; Sez. V, 11 gennaio 2002, n. 7802, in Arch. n. proc. pen., 2002, p. 270.

Difformi, relativamente, però, alla possibilità di costituirsi parte civile, qui riconosciuta, Sez. V, 28 maggio 2008, n. 37671, in C.E.D. Cass., n. 240162; Sez. III, 26 marzo 2008, n. 19188, ivi, n. 239860; Sez. II, 24 gennaio 2008, n. 8047, Morelli, ivi, n. 239548; Sez. V, 8 maggio 2007, n. 20600, in Riv. pen., 2008, p. 187; Sez. II, 28 settembre 2006, n. 41263, ivi, 2007, p. 1044; Sez. V, 7 maggio 2004, n. 27980, ivi, 2005, p. 1112.

In dottrina sul tema: Alma M.M.,Decreto penale di condanna, in Trattato di procedura penale, a cura di Spangher G., Milano, 2009, 4, I; Aprile E., Gli esiti alternativi al giudizio: la negoziazione sul rito, sulla prova e sulla pena, in Cass. Pen., 2000, 3520; Paolozzi G., Il processo penale dopo la “Legge Carotti”, Commento all'art. 37, Dir. pen. e processo 2000, 309; Piziali G., Il procedimento per decreto, in I procedimenti speciali in materia penale, a cura di Pisani M., Milano, 2003.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.