Le novità introdotte dalla l. 103/2017 per impugnare e correggere la sentenza di patteggiamento
Leonardo Iannone
27 Luglio 2017
Con la legge 23 luglio 2017 n. 103 sono state apportate, tra le altre, alcune rilevanti novità in tema di impugnazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (rito inserito tra i Procedimenti speciali di cui al Libro VI, Titolo II, c.p.p.) di concerto con una concomitante espansione della disciplina della correzione di errori materiali (art. 130 c.p.p.) rilevabili in tal tipo di decisione.
Abstract
Con la legge 23 luglio 2017 n. 103, composta da un unico articolo (per effetto della operazione di accorpamento mediante la tecnica c.d. del maxiemendamento) formato da 95 punti-commi (pubblicata in G.U. n. 154 del 4 luglio 2017 e in vigore dal 3 agosto 2017, art. 1, punto 95) sono state apportate, tra le altre, alcune rilevanti novità in tema di impugnazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (rito inserito tra i Procedimenti speciali di cui al Libro VI, Titolo II, c.p.p.) di concerto con una concomitante espansione della disciplina della correzione di errori materiali (art. 130 c.p.p.) rilevabili in tal tipo di decisione.
Il novum nel regime della impugnabilità ed in quello della correzione della sentenza di patteggiamento
In particolare è stato previsto:
attraverso il comma 49, l'inserimento all'articolo 130 del codice di procedura penale dopo il comma 1, del seguente comma: «1-bis. Quando nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti si devono rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di determinazione o di computo, la correzione è disposta, anche di ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento. Se questo è impugnato, alla rettificazione provvede la corte di cassazione a norma dell'articolo 619, comma 2».
attraverso il comma 50,l'inserimento all'articolo 448 del codice di procedura penale dopo il comma 2, del seguente comma: «2-bis. Il pubblico ministero e l'imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza >>;
attraverso il comma 51, la seguente disposizione transitoria: «Le disposizioni del comma 2-bis dell'articolo 448 del codice di procedura penale, introdotto dal comma 50, non si applicano nei procedimenti nei quali la richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale è stata presentata anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge»
La novella, che pur si articola in molteplici e variegati interventi nell'ambito del diritto penale ed in quello del diritto penitenziario, contiene altresì riforme piuttosto incisive in tema di procedura penale.
Tra queste, degna di particolare attenzione si rivela quella apportata implementando la disciplina della correzione degli errori materiali della sentenza con l'innesto della specifica previsione di plurime possibilità di rettificazione della sentenza di applicazione della pena, laddove in essa emerga un errore di denominazione o di computo.
Si tratterà di errori che potranno essere rimossi mediante la risolutiva applicazione della procedura di correzione, così rendendo non più necessaria una impugnazione per tali fini.
Con l'introduzione nell'art. 130 c.p.p. del nuovo comma 1-bis, si potrà procedere a correggere la sentenza di patteggiamento per rettificarla ogni volta in cui la pena con la stessa applicata risulti materialmente errata nella denominazione della specie o nel calcolo quantitativo.
A tanto provvederà, anche d'ufficio, lo stesso giudice che ha deciso salvo che sia stato proposto ricorso per motivi diversi o ulteriori.
In tal caso provvederà, a norma dell'art. 619, comma 2,c.p.p., la Corte di cassazione anche ove si tratti di ricorso inammissibile, dal momento che la nuova norma non contiene una disposizione ad effetto precludente analoga a quella contenuta nel primo comma dell'art. 130 c.p.p.
Lo scopo perseguito dal Legislatore di deflazionare comunque il carico di lavoro della Corte di cassazione operando su più fronti al dichiarato scopo di ridurre comunque il numero dei ricorsi, in questo caso è stato attuato introducendo nell'art. 448 c.p.p. il suddetto congegno attraverso il nuovo comma 2-bis. Con esso, da un canto viene esplicitamente disciplinata la impugnabilità mediante ricorso per cassazione della sentenza di patteggiamento pronunciata al di fuori del dibattimento – ricorribilità sino ad ora non codificata, ma ammessa in forza della regola di garanzia per il controllo della legalità delle decisioni espressa dall'art. 111, comma 7, Cost. e riprodotta nell'art. 568, comma 2, c.p.p. – e, dall'altro, si indicano quattro distinte possibilità di proposizione-ammissibilità del gravame a valenza tipizzante e tassativa, così ponendo un argine ben definito alle costanti oscillazioni fatte registrare dalla pur tendenzialmente restrittiva giurisprudenza di legittimità nella perimetrazione per via giudiziale delle ipotesi di ricorso ammissibile . Restando pur sempre ferma la costante valorizzazione operata in sede di legittimità dell'effetto dispositivo insito nella istanza di applicazione della pena in quanto determinazione di volontà implicante una preventiva rinuncia tacita alla impugnazione, rinuncia alfine validata dalla ratifica giudiziale del negozio processuale.
In conclusione
Pertanto, a mente della nuova previsione:
in primo luogo, le due parti legittimate potranno ricorrere contro la sentenza di patteggiamento ove, nonostante la incertezza conseguente all'ambiguità del termine adoperato, venga in discussione la validità della espressione della volontà dell'imputato, ad esempio perché esternata nel processo dal difensore privo di procura speciale o munito di procura invalida, perché ritenuta incompleta o errata oppure inadeguata.
In ogni caso il gravame si incentrerebbe su di un atto ritenuto nullo in quanto la richiesta dell'imputato o l'espressione del suo consenso alla proposta formulata dal pubblico ministero apparirebbero non sicuramente riconducibili ad una sua inequivoca espressione di volontà. Si è in tal modo inteso recepire sul piano normativo quanto da tempo veniva costantemente affermando in proposito la Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. IV, 11 aprile 2008, n. 16832, Karafi; Cass. pen., Sez. V 29 dicembre 1999, Ben Hamidi; Cass. pen., Sez. V, 23 giugno 1998, n. 4129, Cieri).
In secondo luogo, il ricorso diverrà possibile quelle volte in cui risulti che la decisione non corrisponda alla richiesta oggetto dell'accordo formatosi tra le parti anche in termini di specificazione di ciascuna delle condizioni che la compongono; per esempio, il mancato riconoscimento, a pena quantitativamente inalterata, di taluna delle circostanze attenuanti concordate o la omessa concessione della sospensione condizionale della pena o la applicazione della sanzione sostitutiva laddove specificamente richieste.
In terzo luogo, si potrà ricorrere dolendosi per l'erronea qualificazione giuridica del fatto, ipotesi questa che dovrebbe ritenersi estensibile ai casi in cui risulti essere stato impropriamente ritenuto di rilevanza penale un fatto costituente illecito amministrativo (si pensi, ad esempio, alle ipotesi di cui all'art. 316-ter, comma 2, c.p.).
Dovrebbe trattarsi di errori inficianti la corretta qualificazione giuridica del fatto ovvero di talune delle circostanze riconosciute.
Sembrerebbe essere stato codificato anche in questo caso l'orientamento da tempo espresso dalle Sezioni unite, intervenute per comporre un perdurante contrasto giurisprudenziale al riguardo, secondo cui la qualificazione giuridica del fatto non può essere imposta al giudice dalle parti con l'accordo, essendo materia sottratta alla loro disponibilità e perciò l'errore sulla stessa costituisce errore di diritto denunciabile e rilevabile in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p..
Tuttavia per questa ipotesi occorrerà pur sempre l'allegazione da parte dell'impugnante di avervi interesse. Mentre questo è sempre riconosciuto al pubblico ministero rientrando tra le sue funzioni quella per la vigilanza della corretta applicazione della legge, l'interesse sotteso al ricorso dell'imputato va sempre verificato in concreto avendo riguardo agli esiti possibili del ricorso stesso in termini di quantità od anche di qualità della sanzione applicabile (Cass. pen., Sez. unite, 19 gennaio 2000, n. 5, Neri; cui hanno fatto seguito, tra molte: Cass. pen., Sez. V, 29 gennaio 2010, n. 14314, Sinatra; Cass. pen., Sez. IV, 8 luglio 2002, Dapi).
Ad ogni modo dovrà trattarsi di errore manifesto rinvenibile in casi nei quali emerga che l'assetto negoziale abbia simulato un accordo sul reato. Sarebbe quindi da ritenersi inammissibile un ricorso per quei casi in cui la diversa qualificazione giuridica presenta dei margini di opinabilità, ovvero il ricorso stesso sottenda aspetti sia in punto di fatto che sul piano probatorio non emergenti con immediatezza della contestazione (in tal senso, da ultimo: Cass. pen., Sez. VII, 10 settembre 2015, Casarin; Cass. pen., Sez. III 24 giugno 2015, n. 34902, Brughitta; Cass. pen., Sez. VI, 27 novembre 2011, Bisignani).
In quarto luogo, si può proporre ricorso avverso la sentenza di patteggiamento allegando l'illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza irrogata.
Si tratta di una ultima categoria che non presenta particolari difficoltà interpretative dovendosi ritenere possibile l'impugnazione oltre che per una pena che risulti in contrasto con disposizioni di legge vigenti, anche nel caso di illegittima applicazione di una pena accessoria, ovvero per la omessa irrogazione di questa. Già in passato si era ritenuto che trattandosi di una pena accessoria non applicata dal giudice del patteggiamento, avrebbe potuto porvi rimedio la Corte di cassazione mediante la procedura della correzione degli errori materiali, ma solo nella ipotesi di pena accessoria non rimessa, quanto a specie e durata, alla discrezione del giudice di merito; giacché in tal caso è stato ritenuto inevitabile procedere all'annullamento parziale della sentenza impugnata rinviando al giudice del patteggiamento (Cass. pen., Sez. VI, 26 marzo 2009, n. 47339 Binaj).
Guida all'approfondimento
BARGIS, Primi rilievi sulle proposte di modifica in materia di impugnazioni nel recente d.d.l. governativo, Dir Pen Cont – Riv. Trim. 2015, I, 4;
BARGIS, I ritocchi alle modifiche in tema di impugnazioni nel testo del d.d.l. n. 2798 approvato dalla Camera dei deputati, Dir pen Cont, 19.10.2015;
BARGIS-BELLUTA, Rimedi per i mali della corte di cassazione: ovvero “Carta Napoli” e dintorni, in M. BARGIS – H. BELLUTA, Impugnazioni penali. Assestamenti del sistema e prospettive di riforma, Torino, 2013;
CANZIO, Il processo penale: le riforme “possibili”, Criminalia 2013, 505;
SPANGHER, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, in Dir Pen Cont, 2016, 1, 88;
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