La riparazione dell'errore giudiziario

27 Ottobre 2016

Integrando – sotto il profilo materiale – la previsione – operante sul piano morale – di cui all'art. 642 c.p.p. che prevede la pubblicazione della sentenza di accoglimento della domanda di revisione, l'art. 643 c.p.p. disciplina la riparazione dell'errore giudiziario, evidenziato dalla decisione emessa a seguito del procedimento regolato dagli artt. 641 e ss. c.p.p. Si tratta di una estrinsecazione di quanto previsto dall'art. 24, comma 4, Cost. che prescrive al Legislatore di determinare le condizioni e i modi per la riparazione dell'errore giudiziario.
Abstract

Integrando – sotto il profilo materiale – la previsione – operante sul piano morale – di cui all'art. 642 c.p.p. che prevede la pubblicazione della sentenza di accoglimento della domanda di revisione, l'art. 643 c.p.p. disciplina la riparazione dell'errore giudiziario, evidenziato dalla decisione emessa a seguito del procedimento regolato dagli artt. 641 e ss. c.p.p.

Si tratta di una estrinsecazione di quanto previsto dall'art. 24, comma 4, Cost. che prescrive al Legislatore di determinare le condizioni e i modi per la riparazione dell'errore giudiziario.

L'errore giudiziario

La riparazione si sostanzia in un vero e proprio diritto soggettivo che va ben oltre sia il concetto del risarcimento dei danni per fatto illecito, sia il concetto del mero indennizzo da atto illegittimo. Il suo contenuto attiene non solo alla rifusione dei danni materiali ma anche la corresponsione di utilità che compensano la vittima della sofferenza prodotta dall'errore giudiziario.

Il riferimento all'errore giudiziario potrebbe teoricamente ricomprendere qualsiasi statuizione erronea dell'A.G.: in realtà, la locuzione è sempre stata utilizzata in senso restrittivo. Storicamente, viene considerato errore giudiziario solo quello del giudicato penale, ossia quello rappresentato dall'ingiusta – e non invece dall'illegittima – condanna definitiva pronunciata in sede penale; invece, gli errores in iudicando o in procedendo verificatisi nel corso del processo e che vengono corretti con il sistema delle impugnazioni ordinarie sono considerati tradizionalmente non riconducibili alla nozione di errore giudiziario in senso tecnico. Né, tantomeno, è riconducibile a tale nozione l'ipotesi dell'errore che conduce all'imputazione ingiusta, cioè a un'imputazione che si rivela infondata a seguito di sentenza di assoluzione dell'art. 3 del prot. n. 7 della Cedu.

La previsione riconosce alla persona che ha subito una pena il diritto di risarcimento in caso di errore giudiziario soltanto quando la condanna penale definitiva viene annullata o la grazia viene accordata poiché nuovi elementi o nuove rivelazioni comprovano un errore giudiziario […] a meno che non venga provato che il fatto di non aver rivelato in tempo utile gli elementi non conosciuti sia totalmente o parzialmente imputabile alla stessa.

Il diritto alla riparazione

Due sono le condizioni in presenza delle quali si perfeziona il diritto alla riparazione. La prima è costituita dal proscioglimento in sede di revisione; il che significa che assumeranno rilievo, sia l'assoluzione ex art. 530 c.p.p., quale che sia la formula adottata, sia la sentenza di non doversi procedere emessa ai sensi degli artt. 529 e 531 c.p.p. (richiamati dall'art. 631 c.p.p.). Più di qualche problema potrebbe sorgere in relazione all'ipotesi di accoglimento del ricorso straordinario di cui all'art. 625-bis c.p.p.

La seconda condizione ha carattere negativo ed è costituita dal non aver dato causa per dolo o colpa grave all'errore giudiziario. La giurisprudenza ha definito colpa grave, ai sensi dell'art. 643 c.p.p., la condotta di noncuranza, negligenza, incuria indifferenza per quanto dai propri atti possa derivare sul piano penale, in relazione alla quale il sopravvenire della condanna si configuri come evento prevedibile dalla generalità delle persone di ordinaria esperienza.

Dolo e colpa grave costituiscono condizioni ostative alla riparazione solo in quanto l'errore sia imputabile in via esclusiva alla condotta del condannato.

La natura pubblicistica del diritto alla riparazione per errore giudiziario, come premesso, induce a svincolare l'istituto tanto dall'area del risarcimento del danno per fatto illecito, quanto da quella del mero indennizzo per atto illegittimo. In questo quadro di premesse, si è precisato che la riparazione non si traduce nella sola rifusione dei danni materiali subiti ma si concretizza invece nella corresponsione di un'utilità diretta a compensare la vittima della sofferenza morale cagionata dall'errore e a consentire il suo reinserimento sociale in condizioni di tranquillità e di sufficienza per sé e per la propria famiglia.

Il rapporto processuale relativo alla riparazione per l'ingiusta detenzione ha natura civile, anche se inserito in una procedura che si svolge dinanzi al giudice penale, trattandosi di controversia concernente il regolamento di interessi patrimoniali (attribuzione di una somma di denaro) tra il privato, titolare del diritto alla riparazione, e lo Stato. Conseguentemente il carico delle spese va regolato secondo il principio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.p. (Cass. pen., Sez. un., 12 marzo 1999, n. 8)

Si osserva come manchi una perfetta simmetria tra la disciplina in esame e quella relativa alla riparazione per l'ingiusta detenzione, in cui il diritto alla riparazione viene escluso anche nel caso del semplice concorso, in ragione del differente peso specifico relativo all'accertamento giudiziale che risulta completo nel caso della revisione e provvisorio o incidentale nel caso della riparazione per ingiusta detenzione.

In punto di quantificazione della riparazione, i due parametri da impiegarsi per la valutazione del quantum sono innanzitutto quello della durata dell'eventuale espiazione della pena o internamento, valevole per ogni tipo di pena, anche accessoria, con esclusione di quella pecuniaria e, in secondo luogo, quello delle conseguenze personali o familiari derivanti dalla condanna, comprese le sofferenze morali e psicologiche derivanti dalla detenzione (Cass. pen., Sez. I, 17 dicembre 1991, Ruggiero, in Giust. pen., 1993, II, 28). Non possono, invece, essere compresi i costi sostenuti per il giudizio di revisione, che esulano dal concetto di conseguenze personali, né le spese della difesa nel giudizio conclusosi con la condanna, non potendo considerare le stesse derivanti dalla condanna, come richiesto testualmente dall'art. 643 c.p.p. (Cass. pen., Sez. IV, 20 gennaio 2012, n. 10878)

Va esclusa la possibilità di operare una proporzione aritmetica (Cass. pen., Sez. IV, 16 aprile 1996, Tamburrin, in Cass. pen., 1997, 3533) o – data la diversità – ogni ricorso ai parametri previsti all'art. 315 c.p.p. che ha carattere eccezionale (Cass. pen., Sez. IV, 25 novembre 2003, Min. econ. e finanze c. Barillà) e che si giustifica in relazione ad una situazione in cui il titolo privativo della libertà ha carattere provvisorio, soggetto a verifiche successive, ma che non può trovare spazio nel procedimento di riparazione dell'errore giudiziario, le cui conseguenze negative sono ben più gravi, perché provocate da una condanna non più soggetta ad impugnazione e in grado di rimuovere la presunzione di non colpevolezza (Cass. pen., Sez. III, 18 luglio 2014, n. 46170; Cass. pen., Sez. IV,25 novembre 2003, n. 2050).

Il giudice può pertanto utilizzare sia il criterio risarcitorio, con riferimento ai danni patrimoniali e non patrimoniali, sia il criterio equitativo (fra le altre, Cass. pen., Sez. IV, 25 novembre 2003, Min. econ. e finanze c. Barillà), limitandolo alle voci non esattamente quantificabili.

Segnatamente, il criterio aritmetico per la liquidazione del danno da ingiusta detenzione non è vincolante in assoluto ma costituisce il criterio base, che potrà subire deroghe in senso estensivo oppure in senso restrittivo, previa valutazione equitativa del giudice, a condizione che sia fornita congrua e logica motivazione (in applicazione di detto principio la Corte ha ritenuto conforme il comportamento del giudice d'appello che ha incrementato la misura dell'indennizzo a causa dell'ulteriore pregiudizio derivante dal carattere altamente infamante del titolo detentivo) (Cass. pen., Sez. IV, 23 aprile 2009, n. 21492).

Con riguardo ai danni non patrimoniali, la giurisprudenza ha stabilito che vanno risarcite tutte le categorie di danno: quello biologico, quello morale e quello esistenziale, trattandosi di figure autonome, tutte ricomprese nel danno non patrimoniale (Cass. pen., Sez. IV, 25 novembre 2003, Min. econ. e finanze c. Barillà).

Insomma, nella liquidazione della somma per la riparazione dell'errore giudiziario, si deve tener conto dei pregiudizi riconducibili al processo penale promosso nei confronti dell'istante e non soltanto di quelli riferibili alla ingiusta condanna (Cass. pen., Sez. III, 21 giugno 2011, n. 26739) e di tutte le peculiari sfaccettature di cui il danno non patrimoniale si compone nella sua globalità, avendo, in particolare, riguardo all'interruzione della attività lavorativa e ricreativa, dei rapporti affettivi e degli altri rapporti interpersonali, e al mutamento radicale, peggiorativo e non voluto, delle abitudini di vita. È altresì risarcibile anche il danno da perdita di chances, quale perdita di una concreta occasione favorevole al conseguimento di un bene determinato o di un risultato positivo; situazione soggettiva diversa rispetto a quella relativa al danno cagionato dalla mancata realizzazione del medesimo risultato (Cass. pen., Sez. IV, 23 febbraio 2006, n. 24359).

Non si esclude, come nel passato, la possibilità che la riparazione avvenga anche attraverso forme diverse (alternative e non cumulative: Cass. pen., Sez. IV, 16 aprile 1996, n. 1114, Tamburrin, in Cass. pen., 1997, 3533) come la corresponsione di una somma di danaro o la costituzione di una rendita vitalizia (Cass. pen., Sez. IV, 20 gennaio 2012, n. 10878) o – si pensi – all'ospitalità presso una struttura a spese dello Stato.

In caso di morte del condannato, anche prima del procedimento di revisione, l'art. 644 c.p.p. indica i soggetti tutelati dal diritto alla riparazione (coniuge, discendenti, ascendenti, fratelli, sorella, affini entro il primo grado, persone legate da vincoli di azione, purché non indegne ex art. 463 c.c.): in quanto titolari di un diritto proprio. Su di essi incombe l'onere di dimostrare di aver patito essi stessi conseguenze dannose dall'errore giudiziario. Quello rivendicato è un diritto proprio, escluso nel caso di comportamenti dolosi o gravosamente colposi del defunto, che abbiano cagionato l'errore.

In caso di decesso dell'autore della domanda di riparazione nelle more del giudizio, gli eredi sono legittimati a proseguirlo poiché, dato il carattere economico del petitum, si applica la disciplina processualcivilistica, la quale ricollega l'estinzione del processo, non alla morte della parte ma alla mancata prosecuzione o riassunzione (in termini) dello stesso da parte dei successori.

Rispetto al quantum si prevede che non possa essere assegnata, a titolo di riparazione, una somma maggiore di quella che sarebbe stata liquidata al prosciolto.

L'entità verrà calcolata dal giudice facendo ricorso ai parametri equitativi, sulla base delle conseguenze sofferte dai legittimati. Analogamente, in caso di concorso fra più aventi diritto, la ripartizione della somma verrà effettuata secondo equità, in ragione delle conseguenze derivanti dall'errore a ciascun avente diritto, nonostante la “graduazione legale” fra i familiari.

La domanda, il procedimento e la decisione

La domanda di riparazione è proposta, a pena di inammissibilità, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di revisione ed è presentata per iscritto, unitamente ai documenti ritenuti utili (che ai sensi dell'art. 76 disp. att. c.p.p. sono rilasciati dai competenti uffici) personalmente o per mezzo di procuratore speciale (a pena d'inammissibilità: v. Cass. pen., Sez. unite, 26 novembre 1997, Gallaro, in Dir. pen. e proc., 1998, 989), nella cancelleria della corte di appello che ha pronunciato la sentenza.

In particolare, la domanda di riparazione per ingiusta detenzione, costituendo atto personale della parte che l'abbia indebitamente sofferta, può essere proposta soltanto da questa personalmente o dal soggetto munito della procura speciale prevista dall'art. 122 c.p.p., da intendersi quale atto concettualmente distinto dal mero mandato di rappresentanza e difesa in giudizio. (Cass. pen., Sez. IV, 14 gennaio 2014, n. 7372; Cass. pen., Sez. IV, 5 maggio 2011, n. 36619, nel caso di specie, la Corte ha escluso la legittimazione del difensore, nominato con un mandato a margine del ricorso che non conteneva uno specifico riferimento alla volontà della parte di trasferire il potere di esercitare l'azione riparatoria de qua).

Le persone indicate nell'articolo 644 c.p.p. (cioè, i soggetti legittimati in caso di morte del condannato) possono presentare la domanda nello stesso termine, anche per mezzo del curatore indicato nell'articolo 638 c.p.p. ovvero giovarsi della domanda già proposta da altri. Se la domanda è presentata soltanto da alcuna delle predette persone, questa deve fornire l'indicazione degli altri aventi diritto.

Sulla domanda di riparazione decide la Corte di appello. Il procedimento davanti alla Corte d'appello si svolge in camera di consiglio con le forme dell'art. 127 c.p.p., integrate da alcune previsioni funzionali ad assicurare la completezza del contraddittorio nei confronti dello Stato.

A tal fine, la domanda, con il provvedimento che fissa l'udienza, è comunicata al pubblico ministero ed è notificata (almeno 10 giorni prima della data fissata per l'udienza), a cura della cancelleria, al ministro del tesoro presso l'avvocatura dello stato che ha sede nel distretto della corte e a tutti gli interessati, compresi gli aventi diritto che non hanno proposto la domanda.

L'ordinanza che decide sulla domanda di riparazione è comunicata al pubblico ministero e notificata a tutti gli interessati, i quali possono ricorrere per cassazione.

Stante la natura essenzialmente civilistica della procedura de qua, opera, in punto di mandato alla lite, il combinato disposto degli artt. 83 e 365 c.p.c. Ne deriva che il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza adottata dalla Corte d'appello è proponibile solo da un difensore abilitato al patrocinio dinnanzi alle magistrature superiori e munito di procura speciale, rilasciata nelle forme prescritte per i processo civile.

Si ricorda come la mancata notifica della relativa domanda con il provvedimento che fissa l'udienza, al competente Ministero, ai sensi dell'art. 646, comma 2, c.p.p., determina la nullità della stessa e di tutti i successivi atti del procedimento, per violazione del principio del contraddittorio (Cass. pen., Sez. IV, 22 dicembre 2011, n. 4730; Cass. pen., Sez. IV, 19 febbraio 2003, n. 15140, secondo cui, stante la natura civilistica del procedimento di riparazione, la mancata notificazione dell'istanza di parte, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza camerale, equivale alla mancata notificazione dell'atto di citazione e dunque a vizio di instaurazione del contraddittorio per mancata indicazione di due elementi tipici della domanda, ovvero la causa petendi ed il petitum (nello stesso senso, in precedenza, Cass. pen. Sez. IV, 30 aprile 1993, n. 551). La conseguente sanzione della nullità dell'atto introduttivo e di tutti i successivi atti del procedimento per mancata vocatio in judicium è stata affermata anche dalle Sezioni unite, 9 luglio 2003, n. 1060, in Cass. pen., 2003, p. 3721, dove si precisa che la mancata notifica comporta una nullità generale a regime intermedio ai sensi degli artt. 180, comma 1, e 178, comma 1, lett. c), c.p.p., rilevabile anche d'ufficio dal giudice e comunque deducibile entro la deliberazione conclusiva della medesima camera di consiglio, ove la parte vi abbia partecipato oppure, in caso contrario, tramite ricorso per cassazione.

Gli interessati che, dopo aver ricevuto la notificazione della data dell'udienza non formulano le proprie richieste nei termini e nelle forme previsti dall'art. 127, comma 2, c.p.p., decadono dal diritto di presentare la domanda di riparazione successivamente alla chiusura del procedimento stesso.

La decisione può essere d'inammissibilità; di rigetto o di accoglimento. Qualora ne ricorrano le condizioni, il giudice può assegnare all'interessato una provvisionale a titolo di alimenti.

Avverso le decisioni può essere proposto ricorso per cassazione. L'atto deve essere proposto con l'assistenza di un avvocato iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione, e se proposto personalmente dalla parte va dichiarato inammissibile (Cass. pen., Sez. unite., 27 giugno 2001, n. 34535).

Casistica

Quantificazione.
1. Nel procedimento di riparazione dell'errore giudiziario, il giudice può utilizzare per la liquidazione del danno sia il criterio risarcitorio con riferimento ai danni patrimoniali e non patrimoniali, sia il criterio equitativo limitatamente alle voci non esattamente quantificabili. (Cass. pen, Sez. IV, 20 gennaio 2012, n. 10878). Analogamente, la liquidazione dell'indennizzo per la riparazione dell'ingiusta detenzione è svincolata da parametri aritmetici o comunque da criteri rigidi, e si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà. (In applicazione di detto principio la Corte ha confermato la legittimità della liquidazione dell'indennizzo per l'ingiusta detenzione effettuata tenendo conto non soltanto dei parametri aritmetici, ma anche delle sofferenze morali patite e della lesione della reputazione conseguente allo strepitus fori) (Cass. pen., Sez. IV, 6 ottobre 2009, n. 40906).

2. In tema di detenzione ingiusta il giudice, nello svolgimento del calcolo relativo alla liquidazione dell'indennizzo, non deve utilizzare obbligatoriamente un criterio matematico, potendosi basare anche su una valutazione equitativa che comprenda non solo la durata della detenzione, ma anche le conseguenze personali e familiari subite, e si reputa che tale criterio prevalga sul primo nel caso in cui le conseguenze familiari e personali patite siano preponderanti, costituendo dunque una base utile per sottrarre la determinazione dell'indennizzo ad un'eccessiva discrezionalità del giudice e potendo quindi variare in presenza di specifiche circostanze (Cass. pen., Sez. IV, 7 marzo 2015, n. 17843).

3. In tema di quantificazione della somma dovuta per ingiusta detenzione, il danno biologico non deve necessariamente essere liquidato mediante applicazione del criterio tabellare adottato dalla giurisprudenza civile, dovendosi ritenere che la natura non patrimoniale di questo tipo di danno consenta di ricorrere anche a criteri equitativi, purché essi non risultino illogici e conducano ad un risultato che non si discosti in modo irragionevole e immotivato dai menzionati parametri tabellari. (Cass. pen., Sez. IV, 23 maggio 2013, n. 36442).

4. È illegittima la decisione con cui il giudice riduce automaticamente l'importo da liquidarsi per l'ingiusta detenzione, determinato secondo il criterio aritmetico, per il solo fatto che il soggetto abbia già subito precedenti periodi di sottoposizione a regime carcerario. (In motivazione, la Corte, nell'annullare l'ordinanza che aveva operato detta riduzione, ha precisato che in ogni caso l'allontanamento in riduzione dai criteri liquidatori standard in ragione della constatazione dell'esistenza di precedenti condanne necessita di uno specifico riferimento alle esperienze detentive subite dall'istante e alla loro idoneità a determinare una rilevante compromissione dell'immagine sociale e/o una certa assuefazione all'ambiente carcerario tali da giustificare la presunzione di una minore afflittività della successiva ingiusta detenzione) (Cass. pen., Sez. IV, 16 aprile 2014, n. 18604 ).

Quantificazione: sindacato in Cassazione.
Il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione é sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non sindacare la sufficienza o insufficienza dell'indennità liquidata, a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta (confermata la decisione dei giudici del merito che, partendo dal dato base, avevano innalzato la somma giornaliera in considerazione del regime di isolamento patito dal detenuto, respingendo, però, la richiesta di riconoscimento di ulteriori danni, ed in particolare dei danni derivanti dalla perdita di lavoro, dallo stato depressivo, dal costo sostenuto per i farmaci, dal danno biologico ed esistenziale, avendoli ritenuti pregiudizi non strettamente ed inscindibilmente collegati alla privazione della libertà personale ma riconducibili alla lunga durata delle indagini preliminari inevitabili per procedimenti come quello di specie relativo ad un omicidio) (Cass. pen., Sez. IV, 30 gennaio 2015, n. 5886. V., anche, Cass. pen., Sez. IV, 20 gennaio 2006 n. 8144).

Limiti.
In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, la colpa grave, ostativa al riconoscimento dell'indennità, può ravvisarsi anche in relazione ad un atteggiamento di connivenza passiva quando, alternativamente, detto atteggiamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell'agente riguardo alla consumazione del reato ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l'agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell'attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell'agente, benché il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova positiva che egli fosse a conoscenza dell'attività criminosa dell'agente . (da ultimo, Cass. pen., Sez. IV, 19 febbraio 2015, n. 15745).

Esclusione.
È manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 643 c.p.p., per contrasto con art. 3 e 24, comma 4, cost., nella parte in cui non prevede il diritto alla riparazione anche in relazione alla revoca della misura di prevenzione personale o patrimoniale, con effetto "ex tunc", in rapporto al diverso trattamento sanzionatorio previsto per i casi di revisione della condanna penale, trattandosi di situazioni diverse, non comparabili, e non essendo irragionevole una scelta legislativa differenziata (Cass. pen., Sez. IV, 16 gennaio 2015, n. 4662); v., anche, Cass. pen., Sez. unite., 19 dicembre 2006, n. 57.

Morte dell'avente diritto: eredi.
In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, l'indennizzo spettante, in ipotesi di morte dell'avente diritto, iure proprio e non iure hereditario ai prossimi congiunti elencati nell'art. 644 comma 1 c.p.p., deve essere commisurato nel suo complesso al pregiudizio sofferto dalla persona defunta, mentre l'ammontare così determinato deve essere ripartito equitativamente dal giudice in ragione delle conseguenze derivate dall'errore a ciascuna persona. (Cass. pen., Sez. II, 11 gennaio 2015, n. 4257; Cass. pen., sez. IV, 22 novembre 2012, n. 76; Cass. pen., Sez. IV, 9 aprile 2008, n. 23913; Cass. pen., Sez. IV, 16 febbraio 2005, n. 19322).

Onere degli eredi.
In tema di riparazione per ingiusta detenzione, non sussiste, nel caso di morte dell'avente diritto, l'onere dei congiunti subentrati, ex art. 644, comma primo, c.p.p., di provare il pregiudizio subito nella propria sfera a causa dell'ingiusta detenzione del congiunto, in quanto essi subentrano nel diritto all'indennità dovuta a quest'ultimo e non già ad una nuova e diversa indennità commisurata alle ripercussioni di detta ingiusta detenzione nella propria sfera personale. Ne consegue che i prossimi congiunti del de cuius - pur essendo legittimati in proprio e non iure hereditario a presentare la relativa istanza - possono far valere in giudizio il danno subito dal defunto (Cass. pen., sez. IV, 22 novembre 2012, n. 76).

Presentazione della domanda.
In tema di riparazione per ingiusta detenzione, non può costituire causa di inammissibilità della relativa richiesta il fatto che essa non sia stata presentata nella cancelleria della corte d'appello competente, come previsto dall'art. 645 c.p.p. (facente parte di quelli richiamati dall'art. 315, comma 3, c.p.p.), ma sia stata fatta pervenire a mezzo del servizio postale, sempre che risulti garantita la certezza della sua provenienza e fermo restando che in detta ipotesi la tempestività della presentazione dovrà essere riferita al momento della ricezione del plico da parte dell'ufficio e non a quello della spedizione (Cass. pen., IV, 6 ottobre 2011, n. 2013, in ANPP, 2012, 27). La domanda di riparazione per ingiusta detenzione, al pari di quella di riparazione dell'errore giudiziario, se presentata a giudice incompetente, non è per ciò solo da dichiarare inammissibile (come invece si verifica, ai sensi dell'art. 634 c.p.p. nel caso di incompetenza del giudice a cui venga presentata la richiesta di revisione), dovendosi al contrario limitare, in detta ipotesi, il giudice che rilevi la propria incompetenza, a disporre soltanto la trasmissione degli atti dal giudice ritenuto competente (Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 1999, n. 271).

In conclusione

Oltre al procedimento previsto dagli artt. 643 ss. c.p.p. sono ammessi altri strumenti di tutela come l'azione risarcitoria disciplinata all'art. 2043 c.c. esperibile nel caso previsto dall'art. 630, comma 1, lett. d) c.p.p., qualora il reato, riconosciuto con sentenza irrevocabile, abbia costituito l'antecedente causale determinante l'ingiusta condanna. Qualora la revisione consegua all'ipotesi di cui all'art. 630, comma 1, lett. d) c.p.p. lo Stato, se ha corrisposto la riparazione, si surroga, fino alla concorrenza della somma pagata, nel diritto al risarcimento dei danni contro il responsabile (art. 647 c.p.p.).

In ogni caso, azione riparatoria e azione risarcitoria costituiscono strumenti alternativi e non cumulabili, pena, altrimenti, la violazione dell'indebito arricchimento della vittima dell'errore giudiziario. Su un piano differente si colloca, infine, l'azione risarcitoria esercitabile nei confronti del magistrato, rectius, dello Stato, ai sensi della l. 18 del 2015.

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