Distinzione tra maltrattamenti in famiglia e atti persecutori nei confronti del coniuge
28 Settembre 2016
Le condotte assillanti commesse in danno del coniuge o del convivente rientrano nel delitto di maltrattamenti o nel reato di atti persecutori aggravati?
Se gli atti persecutori sono rivolti contro il coniuge, anche se separato legalmente o di fatto, o contro il convivente, sempre che ricorrano tutte le componenti che contribuiscono a delinearne la figura tipica del delitto di cui all'art. 612-bis, commi 1 e 2, c.p., vi è concorso apparente di norme tra quest'ultimo e l'art. 572 c.p. avendo la l. 119 del 2013 esteso l'ambito di applicazione dell'art. 612-bis c.p. anche al coniuge o convivente, pur mantenendo ferma la clausola salvo che il fatto costituisca più grave reato. Infatti, non è pacifico che l'art. 572 c.p. sia fattispecie più grave perché punito con una pena edittale massima meno elevata rispetto a quella dell'ipotesi aggravata dell'art. 612-bis, comma 2, c.p. Ciononostante si ritiene che allorchè gli atti persecutori siano commessi contro il coniuge o il convivente si applichi il solo art. 572 c.p., perché più grave non tanto e non solo per la pena edittale, sia nel minimo che nel massimo, rispetto all'art. 612-bis, comma 1, c.p.; quanto perché procedibile d'ufficio. I due reati concorrono se gli atti persecutori hanno avuto inizio durante il rapporto coniugale (572 c.p.) e sono proseguiti dopo la cessazione di questo (612-bis, comma 2, c.p.), come avviene nel caso in cui il marito maltrattante protragga i comportamenti violenti anche dopo la definitiva chiusura di ogni rapporto con la vittima. Se gli atti persecutori si consumano in danno del coniuge divorziato si applica il solo reato di atti persecutori nella forma aggravata e non quello di maltrattamenti in ragione della cessazione definitiva del vincolo coniugale o della relazione affettiva. |