Il divieto di produrre la corrispondenza riservata scambiata con il collega

30 Novembre 2016

Il nuovo codice deontologico forense ha riproposto il precetto deontologico del divieto di produzione della corrispondenza qualificata come riservata fra colleghi. Chi ha avuto esperienza in ambito disciplinare ha certamente potuto costatare come violazioni di tale precetto siano state assolutamente frequenti ...
Abstract

Il nuovo codice deontologico forense ha riproposto il precetto deontologico del divieto di produzione della corrispondenza qualificata come riservata fra colleghi. Chi ha avuto esperienza in ambito disciplinare ha certamente potuto costatare come violazioni di tale precetto siano state assolutamente frequenti. E tuttavia la ratio legis appare chiara e involge due fra i principi/doveri cardine dell'Avvocato: principio d'indipendenza e principio di autonomia nell'adempimento del mandato professionale. Quali novità rispetto alla previgente disciplina? Quali prospettive ermeneutiche ? Con il presente contributo nell'approfondire il precetto deontologico, trattando della casistica del previgente art. 28 cod. deont., si proporranno spunti di riflessione rispetto al nuovo disposto dell'art. 48 codice deontologico forense

Inquadramento

Il tema della corrispondenza riservata è delicato e di primissima rilevanza deontologica soprattutto per la ricaduta pratica che esso quotidianamente assume nell'adempimento dei nostri mandati professionali. Anche per quanto riguarda l'ambito penalistico, le trattative con la controparte persona offesa o già costituita parte civile sono sempre più frequentemente all'ordine del giorno. Superfluo è ricordare come al risarcimento del danno conseguano effetti processuali e sostanziali d'indubbia rilevanza. Così, a titolo puramente esemplificativo, nuovi istituti quali la sospensione del processo per messa alla prova o la stessa causa di estinzione del reato della c.d. irrilevanza del fatto sollecitano il difensore diligente, sin dalla fase procedimentale, alla ricerca di soluzioni conciliative/riparatorie/transattive certamente funzionali al risarcimento del danno.

Il tema della corrispondenza scambiata con il collega è attualmente disciplinato dall'art. 48 del nuovo codice di deontologia forense, nel Titolo IV intitolato Doveri dell'avvocato nel processo. Il Codice deontologico previgente trattava della medesima questione all'art. 28 nel Titolo II intitolato Rapporti con i colleghi.

La mutata collocazione sistematica, come ricordato nella Relazione illustrativa al nuovo codice deontologico, vede l'istituto oggi inserito nel Titolo che, trattando delle previsioni deontologiche connotanti la tipicità della funzione difensiva, rafforza ed esalta la valenza pubblicistica del corredo deontologico dell'avvocato, mantenendo e ribadendo la centralità del perseguimento dell'interesse pubblico al corretto esercizio della professione.

Ratio legis del precetto deontologico

Per autorevole dottrina (DANOVI), il Codice deontologico fra le varie possibili ipotesi di regolamentazione del tema della corrispondenza tra colleghi, ha optato per la terza delle tre possibili soluzioni. Nell'affrontare la materia, tre, infatti, sono le teoriche possibili alternative: a) ritenere producibile tutta la corrispondenza fra colleghi, b) ritenere riservata tutta la corrispondenza, c) ritenere riservata solo la corrispondenza dichiarata espressamente come tale. Quest'ultima soluzione è stata quella confermata e ribadita dal Legislatore deontologico del 2014. Con l'ulteriore specificazione che nemmeno è producibile la corrispondenza contenente proposte transattive, anche se non dichiarata espressamente come riservata.

L'opzione dogmatica recepita, in stretta aderenza ai principi dettati dalla legge professionale nel Titolo I Disposizioni Generali, conferma e sostanzia due importanti connotati dell'attività dell'avvocato:

  • l'avvocato, oltre a svolgere la funzione di difensore tecnico, è anche arbitro della lite e ha il dovere di valutare, nella lealtà del rapporto con il collega e nell'apprezzare in modo terzo l'interesse concreto del dell'assistito, l'utilità e le possibilità di conciliazione della stessa;
  • l'avvocato deve sempre avere una posizione di terzietà, estraneità e autonomia nella lite e non può mai identificarsi, o essere identificato, con il suo assistito così potendo valutare soluzioni che, al netto del “credo” fideistico della parte mandante, possano comporre la vicenda in una sintesi di efficienza di risultato coerente, da un lato, al sistema normativo, da altro lato, all'interesse “obiettivo”, concretamente raggiungibile, del proprio assistito.

L'Avvocato deve svolgere la propria attività consentendo al collega di svolgere del pari la sua funzione, senza ritorcere (l'uno all'altro) proposte conciliative, ammissione o consapevolezza di torti; ciò che si ottiene appunto con la riservatezza della corrispondenza fra colleghi (obbligo particolare, rispetto al dovere più generale di segretezza e riservatezza). Invero, se tale principio non esistesse, si disincentiverebbero gli avvocati a ricorrere ad atti scritti mortificando ogni possibilità di iniziative conciliative, e conseguentemente i principi di collaborazione (DANOVI).

Sia nel vecchio sia nel nuovo codice deontologico forense, il divieto di produzione di corrispondenza scambiata con il collega mira a salvaguardare il corretto svolgimento dell'attività professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra colleghi possano dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione defensionale, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengano ammissioni o consapevolezze di torti ovvero proposte transattive. Il divieto soddisfa infatti la necessità di una ampia e totale libertà per gli avvocati di svolgere la loro attività professionale nei rapporti con i colleghi con la consapevolezza e l'affidamento sulla totale riservatezza delle proposte transattive scambiate con i colleghi anche al fine di reperire possibili ipotesi di transazione extragiudiziali delle controversie. Ciò al fine di evitare la mortificazione dei principi di collaborazione che per contro sono alla base dell'attività legale. Il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra professionisti contenente proposte transattive assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario, nel senso che il primo, quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non deve essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in giudizio contro le ragioni del suo cliente, mentre il secondo deve essere portatore di un indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di ogni avvocato (C.N.F., 10 giugno 2014, n. 92).

Quanto all'art. 48 del codice deontologico forense, in particolare, giova osservare come, e la relazione illustrativa del Consiglio nazionale forense lo conferma, la norma in questione abbia la finalità di tipizzare i doveri di riservatezza (art. 13), i doveri di lealtà e correttezza nei confronti dei colleghi (art. 19) e, nello stesso tempo, il corretto e leale svolgimento del contraddittorio processuale.

La ratio del divieto di produzione della corrispondenza scambiata con il collega è stata, dunque, correttamente e definitivamente individuata nella necessità di garantire un'ampia libertà e autonomia agli avvocati, per l'adempimento del mandato, nei rapporti con i colleghi controparti con la consapevolezza e l'affidamento della certa riservatezza delle proposte transattive scambiate.

È appena il caso di ricordare come la pregnanza e il significato del precetto deontologico siano tali da non renderlo “negoziabile” o “trattabile” in un'ottica di bilanciamento con altri principi propri dell'etica professionale. In particolare nemmeno con il dovere di difesa: la produzione in giudizio di una lettera contenente proposta transattiva configura per ciò solo la violazione della norma deontologica di cui all'art. 28 c.d. (ora, 48 ncdf), precetto che non soffre eccezione alcuna, men che meno in vista del pur commendevole scopo di offrire il massimo della tutela nell'interesse del proprio cliente (C.N.F. 10 giugno 2014, n. 92).

L'articolo 48: novità rispetto al codice deontologico previgente

La norma in esame riprende sostanzialmente i contenuti dell'art. 28 del codice deontologico del 1997, introducendo contestualmente alcune novità contenute nei commi 1 e 4.

L'avvocato, per quanto disposto nell'art. 48, comma 1 non deve:

  1. produrre,
  2. riportare in atti processuali,
  3. riferire in giudizio

la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualificata formalmente come riservata, nonché la corrispondenza contenente proposte transattive e relative risposte.

Non vi è dubbio che vi sia una novità rispetto al dettato dell'art. 28, primo periodo, del vecchio codice deontologico.

La nuova norma, infatti, aggiunge un'ulteriore condotta vietata rispetto al passato: quella di riportare in atti processuali.

Tale specificazione, in un codice deontologico Forense fondato sul principio di tassatività della fattispecie disciplinarmente rilevante, appare certamente significativa dell'attenzione avuta dal Legislatore deontologico al tema trattato.

Altro elemento di novità è l'utilizzo dell'espressione corrispondenza, intesa in senso lato, espressione linguistica che dunque riconosce i nuovi ormai quotidiani strumenti di comunicazione informatica. In tal modo è stato così superato l'uso più restrittivo del termine lettere contenuto nella norma previgente.

Ancora, non ultroneo è ricordare come, recependo interpretazioni e chiarimenti della giurisprudenza disciplinare degli ultimi anni, il precetto deontologico che si sostanzia nel divieto di produzione possa inevitabilmente riguardare solo le comunicazioni, qualificate riservate e quelle aventi contenuto di proposte transattive, intercorse tra colleghi impegnati nell'adempimento di un mandato. E infatti, art. 4, comma 4, legge professionale, solo l'avvocato, nell'esercizio della sua attività al dovere, è soggetto alla legge e alle regole deontologiche. Il che in sostanza significa che il precetto vincola solo avvocati iscritti albo e nell'esercizio della funzione difensiva nell'adempimento di un mandato.

Infine, il principio di riservatezza applicabile, come peraltro in vigenza della precedente norma, alla proposta transattiva si estende, con la nuova norma espressamente anche alla risposta da parte del collega destinatario della comunicazione, in modo tale da fugare ogni dubbio sulla portata del divieto come si legge nella relazione illustrativa.

Ai sensi dell'art. 48, comma 2, è unicamente consentita la produzione della corrispondenza intercorsa con il college qualora:

  1. costituisca perfezionamento e prova di un accordo;
  2. assicuri l'adempimento delle prestazioni richieste.

La nuova disposizione, sostanzialmente riprende e riunisce quanto già previsto dall'art. 28 ai commi 1 e 2 del vecchio codice.

Peraltro, sarà parimenti ostensibile in giudizio la corrispondenza che riporti espressamente l'indicazione dell'essere producibile qualora il mittente lo ritenga necessario ai fini della difesa. E infatti, in specie nella difesa penale non è infrequente che il difensore possa aver interesse, ancorché la trattativa non sia andata a buon fine, a rappresentare al giudicante l'esservi stato un comportamento della parte funzionale alla composizione conciliativa della vicenda risarcitoria sottesa alla imputazione del fatto reato.

In tali casi, ben diversi da ipotesi di c.d. offerte reali, è certamente necessario che la corrispondenza non faccia riferimento a contenuti di corrispondenze precedenti pervenuti dal collega di controparte qualificati come riservati o contenenti proposte transattive.

Il terzo comma dell'art. 48, nel riproporre il dettato dell'art. 28 del codice deontologico del 1997, ribadisce quindi, in perfetta coerenza al disposto dell'art. 33, comma 1, in tema di restituzione di atti, documenti e corrispondenza, che l'avvocato in caso di revoca del mandato o in caso di rinuncia al mandato non può, rectius non deve, consegnare al cliente e alla parte assistita la corrispondenza qualificata riservata tra colleghi o quella parimenti beneficiante questo particolare regime normativo.

Sciolto il vincolo professionale con l'assistito, l'avvocato potrà e dovrà consegnare la corrispondenza riservata solo al collega che gli succeda nella difesa. Solo a quel punto la ratio ispiratrice del precetto sulla corrispondenza riservata potrà esplicare i propri effetti vincolando il nuovo difensore all'osservanza del medesimo dovere di riservatezza (art. 48, comma 3) impedendo in tal modo che a questa particolare categoria di corrispondenze possa esser riconosciuto rilevanza e/o efficacia giuridica anche solo probatoria.

Novità assoluta rispetto al precedente impianto normativo è costituita dal comma 4 dell'art. 48, ove si prevede come autonomo illecito disciplinare, l'abuso della clausola di riservatezza.

Frequentissime erano e sono, infatti, nella prassi di tutti i giorni le comunicazioni che, pur avendo la dicitura riservata (o nelle versioni impropriamente enfatizzate riservata personale, riservata personale non producibile, riservata personale non producibile in giudizio) di fatto di riservato nei contenuti nulla abbiano.

Tale censurabile prassi insisteva ed insiste in un contesto normativo così stringente tale per cui, come confermato dal Consiglio nazionale forense, in tema di corrispondenza tra colleghi, la qualificazione della riservatezza, che rende operativo il divieto di produrla in giudizio ex art. 28 cdf, è lasciata all'insindacabile giudizio del mittente (C.N.F., 29 novembre 2012, 159).

L'abuso dunque si concretizza proprio nei casi in cui le comunicazioni, pur obbligando il destinatario alla non comunicabilità delle stesse, non contengono alcunché di realmente riservato.

Ecco perciò la necessità di sanzionare tali comportamenti per limitare l'uso della clausola di riservatezza.

Infine, a concretizzare l'ulteriore principio ispiratore del nuovo codice deontologico forense di tassatività della risposta disciplinare, la norma prevede che tutte le violazioni dei divieti indicate dall'articolo 48 comportino l'applicazione della sanzione disciplinare della censura.

Il precetto deontologico in una prospettiva comparata

Non tutti gli Stati aderenti all'Unione europea hanno identiche norme in materia di riservatezza della corrispondenza fra colleghi.

Autorevole dottrina si è spesa nel riportare alcuni esempi (RICCIARDI) di diversa disciplina.

Le comunicazioni fra colleghi sono considerate confidenziali e riservate in Belgio, Spagna, Francia, Grecia, Lussemburgo e Portogallo: se fatte per iscritto portano, di norma, la menzione confidenziale o sous foi du palais.

Nel Regno Unito, Irlanda e Danimarca è diritto-dovere dell'avvocato mantenere il segreto sulle pratiche a lui affidate, e le comunicazioni fra colleghi, al fin di comporre una controversia, non devono essere usate dagli avvocati e non sono accettate dai Tribunali. La comunicazione confidenziale di un avvocato deve portare l'indicazione senza pregiudizio, cioè con riserva dei diritti del cliente.

Nei Paesi Bassi le comunicazioni fra avvocati sono considerate tutte riservate e non producibili in giudizio, senza il consenso del collega mittente. In generale, l'avvocato può trasmettere al suo cliente copia della corrispondenza.

In Germania le comunicazioni fra avvocati non hanno carattere confidenziale, l'avvocato ha l'obbligo di trasmetterle al cliente e possono essere utilizzate come prova.

Al fine di evitare equivoci fra gli avvocati di stati diversi il codice deontologico degli avvocati europei (recepite anche le modifiche apportate allo Statuto del CCBE e approvate nella sessione plenaria straordinaria del 20 agosto 2007), per gli esercenti le professioni legali ha espressamente regolamentato la materia. Nella sessione 5, rubricata Rapporti tra avvocati, all'art. 5.3.1 sancisce che l'avvocato che intende inviare a un collega di un altro Stato membro una comunicazione che desidera rimanga riservata o con riserva di tutti i diritti (without prejudice) dovrà esprimere chiaramente tale volontà al momento dell'invio della prima di tali comunicazioni. La norma prosegue (5.3.2) affermando che qualora il destinatario delle comunicazioni non sia in grado di garantirne la riservatezza o con riserva di tutti i diritti (without prejudice”, dovrà informarne immediatamente il mittente.

In conclusione

Con riferimento alla nuova disposizione di cui all'art. 48 non si è ancora in grado di disporre di una “giurisprudenza” significativa.

Da un lato, il principio di rilevanza costituzionale del divieto di retroattività, da altro lato l'essere “entrata” a regime da solo pochi mesi l'operatività dei consigli distrettuali di disciplina, sono elementi che non consentono di presentare una nuova casistica sulla nuova norma.

Come esposto, tuttavia, la nuova fattispecie non pare differire nei contenuti tipici da quella previgente. Seppur “modificata” nella sistematica del codice, seppur arricchita da alcune specificazioni (cfr. il divieto di “recupero” di stralci o parti di corrispondenza riservata riproposti in atti e soprattutto il divieto di condotte abusanti rispetto all'uso del termine “riservata”), seppur, infine, “vincolata” alla sanzione della censura, la nuova norma riceve in modo ideale il testimone dall'art. 28 del codice del 1997 per proseguire nella disposizione del nuovo art. 48.

Appare dunque realistico ritenere l'attività interpretativa formatasi con il codice deontologico del 1997 non destinata all'oblio, potendo la casistica proposta mantenere rilevanza nell'orientare l'interprete e così l'avvocato nello svolgimento quotidiano della propria attività rispetto al delicato tema del divieto di produzione di corrispondenza riservata.

Guida all'approfondimento

DANOVI, Codice deontologico forense, Milano, 2006, 466 e ss.;

RICCIARDI, Lineamenti dell'ordinamento professionale forense, Milano, 2006, p. 361 e ss.

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