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Caso fortuito e forza maggiore

01 Settembre 2015

L'art. 45 c.p. stabilisce che “non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore”. Il caso fortuito è quell'avvenimento imprevisto ed imprevedibile che si inserisce d'improvviso nell'azione del soggetto, e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all'attività psichica dell'agente; la forza maggiore “ostula l'esistenza di una vis maior cui resisti non potest, cioè di un evento derivante dalla natura o dal fatto dell'uomo che non può essere preveduto, o che, anche se preveduto, non può essere impedito. La differenza tra caso fortuito e forza maggiore va individuata nell'imprevedibilità dell'uno, a fronte dell'irresistibilità dell'altra (anche se prevedibile e/o prevista). La giurisprudenza ha individuato quale caso fortuito ...
Inquadramento

L'art. 45 c.p. stabilisce che “non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore”.

Il caso fortuito consiste “in quell'avvenimento imprevisto ed imprevedibile che si inserisce d'improvviso nell'azione del soggetto, e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all'attività psichica dell'agente” (Cass. pen., Sez. IV, 31 maggio 1990, n. 7825).

Diversamente, la forza maggiore “postula l'esistenza di una vis maior cui resisti non potest, cioè di un evento derivante dalla natura o dal fatto dell'uomo che non può essere preveduto, o che, anche se preveduto, non può essere impedito” (Cass. pen., Sez. VI, 22 gennaio 1980, n. 1018).

Rapporto tra caso fortuito e forza maggiore

La differenza tra caso fortuito e forza maggiore va individuata nell'imprevedibilità dell'uno, a fronte dell'irresistibilità dell'altra (anche se prevedibile e/o prevista).

La giurisprudenza ha individuato quale caso fortuito:

(a) il rapido ed incolpevole afflosciamento di un pneumatico determinato da una improvvisa foratura da chiodo (Cass. pen., Sez. IV, n. 5473/83).

Al contrario, si è ritenuto non costituissero casi fortuiti:

(a) il facile sgonfiamento di un pneumatico usurato (Cass. pen., Sez. IV, n. 3988/83);

(b) l'abbagliamento del conducente di un automezzo provocato dai raggi solari (Cass. pen., Sez. IV, n. 10337/89);

(c) il fatto che la strada sia resa sdrucciolevole dal bagnato e dalla presenza di terriccio umido (Cass. pen., Sez. IV, n. 8879/86);

(d) lo sparo involontario di una pistola che non aveva la sicura inserita (Cass. pen., Sez. IV, n. 2728/83);

(e) la deviazione dei pallini da caccia da parte del vento (Cass. pen., Sez. IV, n. 5471/83).

Infine, non si è ravvisata forza maggiore:

(a) nella difficoltà economiche in cui versi un imprenditore, in relazione all'omessa adozione di dispositivi antinfortunistici (Cass. pen., Sez. III, 7779/84);

(b) nel furto del computer contenente tutti i dati della contabilità, in relazione ad una bancarotta documentale ex art. 216 l. fall. (Cass. pen., Sez. V, 18 aprile 1995, n. 5158);

(c) nel fallimento, in relazione all'inadempimento di oneri fiscali (Cass. pen., Sez. III, 18 gennaio 1995, n. 1447);

(d) nell'assenza per ferie del direttore del giornale in relazione alla responsabilità ex art. 57 c.p.: egli ha, infatti, l'onere di richiedere, nel periodo di ferie, la propria sostituzione e, in difetto, di impedire che il giornale continui ad essere pubblicato con la sola parvenza di una sua presenza ma senza che, in effetti, venga esercitato alcun controllo (Cass. pen., Sez. V, n. 5090/1987 e n. 7229/1991).

In una delle rare ipotesi nelle quali è stata configurata una (sia pur limitata) ipotesi di forza maggiore, la giurisprudenza ha ritenuto che, nelle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, ricorre un'ipotesi di forza maggiore, che scusa l'inosservanza degli adempimenti cui è condizionata l'estinzione del reato ad esito della procedura di cui all'art. 24, d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, esclusivamente nel caso in cui l'interessato versi in uno stato patologico di tale gravità da determinarne, per tutta la durata, un'assoluta incapacità di intendere e di volere, in grado di impedirgli anche solo di dare disposizioni ad altri per l'adempimento (Cass. pen., Sez. VII, n. 10083/2017: fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto insufficiente ad integrare l'invocata causa di forza maggiore, che avrebbe in ipotesi impedito il versamento della somma dovuta in sede amministrativa ex artt. 21, comma secondo, e 24, comma primo, d.lgs. cit., la mera deduzione della diagnosi di una periartrite con deficit motori, senza allegazione e prova dell'incidenza della stessa sulla capacità di intendere e di volere dell'imputato, che peraltro aveva dato ottemperato alle prescrizioni dell'organo di vigilanza).

Natura giuridica

Tradizionalmente dubbia, in dottrina e giurisprudenza, è la natura giuridica del caso fortuito e della forza maggiore:

(a) l'orientamento prevalente in dottrina considera sia il caso fortuito che la forza maggiore come cause di esclusione ad un tempo del rapporto di causalità (e, con esso, della responsabilità oggettiva) e della colpevolezza: “concettualmente il caso fortuito e la forza maggiore stanno, infatti, ad esprimere il mondo degli avvenimenti obiettivamente […] ritenuti conseguenza non probabile o addirittura non possibile di quel tipo di condotta […]. Pertanto, entrambi escludono, innanzitutto, il rapporto di causalità tra condotta ed evento e, mediatamente ed a fortori, anche la colpevolezza, quale riflesso soggettivo del fatto che l'agente non poteva prevedere come probabilità ciò che non era tale” (Mantovani; per la valenza ambivalente del solo caso fortuito, Fiandaca e Musco);

(b) l'orientamento prevalente in giurisprudenza considera il caso fortuito come causa di esclusione del dolo e della colpa: “la rilevanza giuridica del fortuito è inesorabilmente legata ad un'azione umana, come riconosce la dottrina assolutamente prevalente e come è rilevato dalla stessa formulazione dell'art. 45 c.p. che, adoperando l'espressione “commettere” suppone la presenza di un comportamento umano, attivo o negativo. Dall'incrocio di questo con l'avvenimento causale deriva la produzione dell'evento, nel senso che questo, secondo il principio dell'equivalenza delle cause, è eziologicamente riconducibile alla condotta dell'uomo, il quale tuttavia non ne risponde per l'intervento del fattore causale imprevedibile. Dunque, il caso fortuito presuppone l'integrità del rapporto di causalità materiale tra la condotta e l'evento, collocandosi come causa (soggettiva) di esclusione della punibilità. Questa concezione è contrastata da quella, oggettiva, secondo la quale il fortuito escluderebbe il rapporto materiale. In linea di principio […] la concezione soggettiva risponde compiutamente alla logica del sistema normativo, sia perché l'art. 45 c.p., pur non definendo il fortuito, si riferisce a questo come ad un evento (imprevedibile) che si inserisce nel corso di un'azione umana, sia perché la tesi che esclude il rapporto di causalità fisica è costretta a riconoscere, nelle sue estreme deduzioni, carattere pleonastico all'art. 45, che sarebbe un duplicato dell'art. 41, cpv., c.p.: il che sembra inammissibile, per la presunzione di coordinata razionalità che deve pur assistere la redazione di un testo normativo improntato a sistematicità. D'altro canto, questa medesima teoria finisce per ammettere che il caso fortuito esclude la colpevolezza, sia pure come conseguenza riflessa del venir meno del rapporto di causalità materiale” (Cass. pen., Sez. un., 14 giugno 1980; Cass. pen., Sez. III, n. 1814/1998).

In sintesi:

(a) se il sopravvenire del caso fortuito produce un evento lesivo del tutto imprevedibile, nessun rimprovero potrà muoversi all'agente;

(b) se l'evento era, nonostante il verificarsi del caso fortuito, prevedibile, sussiste la responsabilità (quanto meno a titolo di colpa) dell'agente.

La forza maggiore viene, invece, generalmente qualificata dalla giurisprudenza come causa di esclusione della c.d. suitas.

In evidenza

Sia il caso fortuito che la forza maggiore presuppongono che l'agente abbia tenuto una condotta diligente.

La giurisprudenza ritiene, infatti, che non costituisce caso fortuito, tale da escludere la punibilità del soggetto agente, quello cui il predetto abbia dato causa con la sua condotta negligente o imprudente (Cass. pen., Sez. IV, n. 36883/2015: in applicazione del principio, la S.C. ha escluso che costituisse caso fortuito l'esplosione di un colpo da parte di un agente di polizia nel corso di un inseguimento a piedi (che aveva attinto l'inseguito, cagionandone la morte), essendo egli tenuto, nel corso di detta attività, a riporre la pistola precedentemente impugnata nella fondina, ovvero a metterla altrimenti in sicurezza).

E, con riguardo alla forza maggiore, si è precisato che essa è configurabile in tutti i casi nei quali il soggetto agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge, ma, per cause indipendenti dalla sua volontà, non vi era la possibilità di impedire l'evento o la condotta antigiuridica (Cass. pen., Sez. V, n. 23026/2017: in applicazione del principio, la S.C. ha rigettato il ricorso dell'imputato, condannato per l'allaccio abusivo alla rete di distribuzione dell'energia elettrica, il quale aveva invocato la forza maggiore, da lui individuata nel fatto che non era riuscito ad ottenere un regolare contratto di fornitura elettrica, malgrado i plurimi solleciti, e che inoltre aveva subito un guasto del generatore di cui si era munito per far fronte alle esigenze del suo locale commerciale).

Il costringimento fisico

Alla forza maggiore va ricondotto il costringimento fisico (art. 46 c.p.), che comporta “la coartazione assoluta della volontà dell'agente, al quale è tolta ogni libertà di scelta. Non avendo la possibilità di resistere alla violenza, né di sottrarsi ad essa, il coartato diviene una specie di longa manus, uno strumento del coartatore, ed a costui esclusivamente va attribuita la responsabilità del reato commesso” (Antolisei).

Ricorrendone gli estremi, non sarà punibile l'autore materiale del reato, bensì il soggetto che lo abbia costretto a compierlo mediante violenza fisica irresistibile (art. 46 c.p.): si pensi al caso di scuola della sentinella che non dà l'allarme perché stordita e legata da alcuni rivoltosi. Peraltro, a riprova della non estrema rilevanza pratica della fattispecie, l'ultima massima giurisprudenziale reperibile in tema della Corte di Cassazione risale al 1992 (ed ha escluso che la vittima della concussione – costretta dai concussori a concorrere nella realizzazione di truffe – verso cui venga esercitata una mera vis compulsiva, possa invocare l'intervenuto costringimento fisico: Cass. pen., Sez. VI, n. 4437/1992).

Malore improvviso e colpo di sonno

Il sopravvenire di un malore improvviso, se imprevedibile, costituisce causa di esclusione della c.d. suitas del reato: esso non è pertanto riconducibile né alla forza maggiore (concretizzandosi, tra l'altro, in una situazione interna, non esterna, all'agente) né al caso fortuito: invero, l'art. 42 c.p. indica le condizioni minime necessarie perché un fatto umano, astrattamente corrispondente ad un fatto-reato tipico, sia attribuibile all'agente ed assuma rilevanza penale: cosa che, ricorrendo ipotesi di malore improvviso, non ricorre. Diversamente, l'art. 45 c.p. postula il già intervenuto verificarsi di un fatto riferibile all'agente, rispetto al quale sopravvenga un fattore imprevedibile, che rende l'agente non punibile. Conseguentemente, in presenza di un malore improvviso del conducente di un autoveicolo si determina una situazione in cui difetta un'azione umana cosciente e volontaria, deve cioè escludersi che ricorrano i caratteri tipici della condotta, ai sensi dell'art. 42 c.p. (Cass. pen., Sez. un., 14 giugno 1980; in dottrina, Romano).

La giurisprudenza, pur affermando in linea di principio la riconducibilità del caso fortuito all'imputabilità, fa evidente riferimento, in motivazione, alla suitas, osservando che “in tema di circolazione stradale e di responsabilità del conducente di autoveicolo, il malore del guidatore repentinamente ed improvvisamente insorto è pur sempre una infermità, ovvero uno stato morboso, ancorché transitorio, ascrivibile alla previsione di cui all'art. 88 c.p.: esso non incide sulla potenzialità intellettiva e volitiva del soggetto ma, con la perdita o il grave perturbamento della coscienza, spezza il collegamento tra il comportamento del soggetto medesimo e le funzioni psichiche che allo stesso presiedono, determinando così movimenti o stati di inerzia corporei inconsapevoli ed automatici, cioè privi dei caratteri tipici della condotta, secondo lo schema dell'art. 42 c.p. Ne consegue che il malore improvviso non è ascrivibile alla categoria del caso fortuito, giacché questo presuppone pur sempre un'azione umana cosciente e volontaria, mentre il malore improvviso esclude tali connotazioni di coscienza e volontarietà, non realizzando così quelle condizioni minime che l'art. 42 c.p. richiede perché un fatto umano, astrattamente costitutivo di reato, divenga penalmente rilevante” (Cass. pen., Sez. IV, 29 luglio 2004, n. 32931).

Successivamente, in relazione ad un omicidio colposo determinato dalla perdita di controllo di un autoveicolo, la giurisprudenza ha osservato che, nel caso in cui la difesa dell'imputato prospetti la tesi del malore improvviso, il giudice di merito può correttamente disattenderla qualora manchino elementi concreti capaci di renderla plausibile e siano presenti elementi idonei a far ritenere che la perdita di controllo del veicolo sia stata determinata da un altro fattore non imprevedibile, che avrebbe dovuto indurre il conducente a desistere dalla guida (Cass. pen., Sez. IV, n. 11142/2015: in applicazione del principio, la S.C. ha affermato che la dedotta crisi ipoglicemica, dovuta al diabete mellito di tipo 2 di cui era affetto l'imputato, non poteva condurre all'esclusione della responsabilità per il sinistro occorso, essendo al medesimo ascrivibile la responsabilità di essersi posto alla guida proprio nelle ore in cui era più alto il rischio del verificarsi delle menzionata crisi ipoglicemica, tra l'altro viaggiando anche a velocità elevata).

In evidenza

Con riguardo alla possibile incidenza del colpo di sonno, occorre distinguere:

(a) il sonno fisiologico (conseguente a stanchezza, abusi alimentari, caldo eccessivo od altro) non esclude mai la colpa dell'agente, poiché, con ordinaria diligenza, prevedibile (in tema di responsabilità per reati colposi commessi nel corso della circolazione stradale, Cass. pen.,Sez. IV, 20 maggio 2004, n. 32931);

(b) il sonno patologico è, al contrario, equiparabile al malore improvviso (Cass. pen., Sez. IV, n. 1729/1985).

Aspetti processuali

L'inequivoco riferimento alla non punibilità dell'agente in presenza del caso fortuito e della forza maggiore incide, comunque, sulla tipicità del fatto, facendola venir meno, di tal che, spettando certamente al P.M. dar prova del verificarsi di un fatto corrispondente a quello tipizzato dalla norma incriminatrice, tale onere comporterà necessariamente anche quello di dimostrare l'insussistenza dei fattori ricorrendo i quali la tipicità del fatto verrebbe meno.

In evidenza

Quale che sia l'orientamento accolto, in relazione ad istituti di collocazione sistematica estremamente problematica (tanto da indurre qualcuno a dubitare in toto della loro utilità: Romano), l'onere della prova, ovvero di dimostrare l'insussistenza del caso fortuito o della forza maggiore grava sul P.M. ed in caso di dubbio il giudice dovrà pervenire ad una pronuncia assolutoria.

La giurisprudenza ha, in proposito, osservato che, nell'ordinamento processuale penale, non è previsto un onere probatorio a carico dell'imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l'imputato è tenuto a fornire all'ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore, fra i quali possono annoverarsi le cause di giustificazione, il caso fortuito, la forza maggiore, il costringimento fisico e l'errore di fatto (Cass. pen., Sez. II, 7 febbraio 2013, n. 20171: nella specie, la Corte di cassazione ha confermato la sentenza della Corte di appello che aveva respinto la richiesta di considerare il fatto ascritto cagionato da costringimento fisico per assenza di allegazione di elementi significativi a sostegno).

Casistica

Nozioni

Il caso fortuito consiste in quell'avvenimento imprevisto ed imprevedibile che si inserisce d'improvviso nell'azione del soggetto e non può in alcun modo, nemmeno a titolo di colpa, farsi risalire all'attività psichica dell'agente, per cui esso non ricorre quando l'agente stesso si sia posto in condizioni di illegittimità, tenendo una condotta non conforme alle norme di legge o ai fondamentali principi di comune prudenza quale una velocità eccessiva in relazione anche alle particolari condizioni della strada resa sdrucciolevole dalla pioggia caduta (Cass. pen., Sez. IV, n. 10314/1986).

L'esimente della forza maggiore postula l'esistenza di una vis maior cui resisti non potest, cioè di un evento derivante dalla natura o dal fatto dell'uomo che non può essere preveduto o che, anche se preveduto, non può essere impedito (Cass. pen., Sez. VI, n. 1018/1980).

Caso fortuito e sinistri stradali

In tema di responsabilità da sinistri stradali, la strada sdrucciolevole, a causa di pioggia caduta poco prima della perdita di controllo del veicolo da parte del suo conducente, non integra gli estremi del caso fortuito, il quale si verifica quando sussiste il nesso di causalità materiale tra la condotta e l'evento, ma fa difetto la colpa, in quanto l'agente non ha causato l'evento per sua negligenza o imprudenza; questo, quindi, non è in alcun modo riconducibile all'attività psichica del soggetto. Ne consegue che, qualora una pur minima colpa possa essere attribuita all'agente, in relazione all'evento dannoso realizzatosi, automaticamente viene meno l'applicabilità della disposizione di cui all'art. 45 c.p. (Cass. pen., Sez. IV, n. 6291/1989).

Caso fortuito, forza maggiore ed infortuni sul lavoro

Non sono riconducibili a caso fortuito gli incidenti sul lavoro determinati da colpa del lavoratore, poiché le prescrizioni poste a tutela dei lavoratori mirano a garantire l'incolumità degli stessi anche nell'ipotesi in cui, per stanchezza, imprudenza, inosservanza di istruzioni, malore od altro, essi si siano venuti a trovare in situazione di particolare pericolo (Cass. pen., Sez. IV, 1° dicembre 2009, n. 4917).

Il sopravvenuto stato di liquidazione societaria (anche se determinato da difficoltà finanziarie), non costituisce causa di forza maggiore idonea a giustificare il mancato adempimento alle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza nell'ambito della procedura di estinzione prevista, in materia di infortuni sul lavoro, dal d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 (Cass. pen., sez. III, 5 aprile 2011, n. 24410).

Forza maggiore: le difficoltà economiche

In tema di cause di esclusione del dolo e della colpa, le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente non sono riconducibili al concetto di forza maggiore che, postulando la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, esula del tutto dalla condotta dell'agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell'evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente (Cass. pen., Sez. I, 5 aprile 2013, n. 18402: fattispecie in tema di configurabilità del reato di cui all'art. 650 c.p. per violazione di ordinanza sindacale in tema di smaltimento di rifiuti).

Forza maggiore: la violazione degli obblighi assistenziali

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l'indisponibilità da parte dell'obbligato dei mezzi economici necessari ad adempiere si configura come scriminante soltanto se perdura per tutto il periodo di tempo in cui sono maturate le inadempienze e non è dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell'obbligato (Cass. pen., Sez. VI, n. 41697/2016: fattispecie in cui la S.C. ha escluso che lo stato di detenzione dell'obbligato integrasse una causa di forza maggiore idonea a scriminarne l'inadempimento rilevando che tale condizione era a questi imputabile e che, comunque, lo stato detentivo si era protratto per pochi mesi in relazione alla durata di oltre cinque anni dell'inadempimento).

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