Marco Gambardella
23 Maggio 2017

La connessione di procedimenti, disciplinata dagli artt. 12 - 16 c.p.p., è un criterio di attribuzione della competenza del giudice; essa, pertanto, costituisce uno dei criteri, stabiliti dalla legge, finalizzati ad individuare il soggetto al quale è attribuito il potere giurisdizionale sul fatto di reato, in attuazione del principio del giudice naturale previsto dall'art. 25, comma 1, della Carta costituzionale. Quando sussiste la connessione, la legge prevede che vi sia un solo giudice competente a giudicare tutti i reati connessi, per prevalenti ragioni di economia processuale, ed indica i criteri sulla base dei quali individuarlo. Inoltre, la connessione può determinare la riunione dei procedimenti connessi (art. 17 c.p.p.), in quanto il Legislatore favorisce la celebrazione di un unico simultaneus processus ...
Inquadramento

La connessione di procedimenti, disciplinata dagli artt. 12 - 16 c.p.p., è un criterio di attribuzione della competenza del giudice; essa, pertanto, costituisce uno dei criteri, stabiliti dalla legge, finalizzati ad individuare il soggetto al quale è attribuito il potere giurisdizionale sul fatto di reato, in attuazione del principio del giudice naturale previsto dall'art. 25, comma 1, della Carta costituzionale (nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge) e dall'art. 6, par. 1 Cedu (ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata [...] da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge [...]). Quando sussiste la connessione, la legge prevede che vi sia un solo giudice competente a giudicare tutti i reati connessi, per prevalenti ragioni di economia processuale, ed indica i criteri sulla base dei quali individuarlo (v. infra). Inoltre, la connessione può determinare la riunione dei procedimenti connessi (art. 17 c.p.p.), in quanto il Legislatore favorisce la celebrazione di un unico simultaneus processus, anche in deroga agli ordinari criteri di riparto della competenza e qualora la riunione non sia in contrasto con le esigenze di ragionevole durata dei processi (art. 18 c.p.p.).

I casi di connessione

I casi di connessione sono tassativamente indicati dall'art. 12 c.p.p. e si riducono a due fondamentali ipotesi: pluralità di imputati (connessione soggettiva) e pluralità di reati addebitati allo stesso soggetto (connessione oggettiva).

Ai sensi dell'art. 12 c.p.p. vi è connessione di procedimenti di competenza del tribunale e della Corte di assise in tre casi:

a) in primo luogo, si ha connessione soggettiva quando il reato per il quale si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione tra loro (art. 110 c.p.), o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento (art. 113 c.p.);

b) in secondo luogo, si ha connessione oggettiva quando una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale di reati ex art. 81, comma 1, c.p.) ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso (reato continuato, art. 81, comma 2, c.p.);

c) infine, si ha connessione oggettiva altresì quando si procede per più reati, se gli uni sono stati commessi per eseguire od occultare gli altri (nesso teleologico).

L'articolo 12 c.p.p. è stato modificato dalla legge, 1 marzo 2001 n. 63, sul giusto processo, che ha soppresso altri due tipi di connessione: la connessione c.d. occasionale, che si verificava in caso di reati compiuti in occasione di altri, e quella c.d. consequenziale, che era volta a mettere in relazione reati eseguiti per poter conseguire il prodotto, il prezzo o il profitto di altri o per assicurarsi l'impunità. Il Legislatore nel 2001 ha voluto in tal modo limitare le ipotesi di connessione, perseguendo finalità di snellimento dei processi con più imputati per vari reati ed evitando così il trasferimento della competenza ad altri giudici (v. infra). Tuttavia, gli elementi soppressi dal Legislatore nel 2001 sono ancora rilevanti o nella fase delle indagini, ai fini della determinazione del collegamento tra reati (art. 371, lett. b) c.p.p.) o per determinare la riunione dei processi (art. 17 lett. c) c.p.p.).

Dall'attuale formulazione della norma si ricava che la connessione trova il suo fondamento sempre nell'oggettività dell'azione o dell'evento, che collega tra loro gli autori del fatto penalmente rilevante o i diversi reati attribuiti ad un solo soggetto. Eventuali esigenze probatorie, pertanto, non rilevano ai fini della connessione, essendo le stesse risolte dalla legge mediante meccanismi di utilizzazione delle prove nei diversi (e distinti) procedimenti (si veda l'art. 238 c.p.p.).

In evidenza

La giurisprudenza di legittimità ha precisato che la connessione fondata sull'astratta configurabilità del vincolo della continuazione è idonea a determinare lo spostamento della competenza soltanto quando l'identità del disegno criminoso sia comune a tutti i compartecipi, in quanto l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al proprio giudice naturale (da ultimo, Cass. pen., Sez. I, n. 8526/2013). A parere di chi scrive, tale principio va esteso anche all'ipotesi prevista dalla lett. c) dell'art. 12 c.p.p., dovendosi privilegiare una lettura della norma ispirata al principio costituzionale del giudice naturale, espresso dall'art. 25, comma 1,Cost. e fondamento di tutta la normativa in tema di competenza.

Gli effetti della connessione sulla competenza

Il giudice competente in caso di connessione di procedimenti viene determinato in base ai seguenti criteri.

La prima regola è stabilita dall'art. 15 c.p.p. e disciplina gli effetti della connessione sulla competenza per materia: se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza della Corte di assise ed altri a quella del tribunale, è competente per tutti la Corte di assise. La legge pertanto prevede che la competenza per materia, conseguenziale alla connessione, venga determinata mediante l'attribuzione al giudice di competenza superiore (la Corte di assise) della cognizione di tutti i reati connessi.

Qualora più giudici siano egualmente competenti per materia ed abbiano quindi una diversa competenza per territorio, si applica la regola prevista dall'art. 16 c.p.p., che disciplina gli effetti della connessione sulla competenza per territorio: la competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono competenti per materia appartiene al giudice competente per il reato più grave (criterio qualitativo). In caso di pari gravità, soccorre il criterio suppletivo del reato commesso per primo (criterio cronologico).

L'art. 16, comma 3, c.p.p. elenca gli indici sulla base dei quali stabilire quale sia il reato più grave; in particolare, i delitti si considerano più gravi delle contravvenzioni. Fra delitti e contravvenzioni, si considera più grave il reato per il quale è prevista la pena più elevata nel massimo ovvero, in caso di parità della pena massima, la pena più elevata nel minimo. Infine, se trattasi di reati puniti con pene detentive e pene pecuniarie, di queste ultime si tiene conto soltanto qualora le pene detentive siano di eguale entità. La giurisprudenza di legittimità ha inoltre chiarito che, al fine di stabilire quale sia il reato più grave, deve farsi riferimento all'imputazione contestata dal pubblico ministero, a meno che la stessa non contenga rilevanti errori macroscopici ed immediatamente percepibili (Cass. pen., Sez. I, n. 11047/2010).

In evidenza

La Corte di cassazione, a Sezioni unite, ha stabilito che nel caso in cui non risulti possibile individuare, a norma degli artt. 8 e 9, comma 1, c.p.p., il luogo di commissione del reato commesso più grave, la competenza per territorio spetta al giudice del luogo nel quale risulta commesso, in via gradata, il reato successivamente più grave fra gli altri reati. Qualora sia impossibile determinare il luogo di commissione per tutti i reati connessi, la competenza spetta al giudice competente per il reato più grave, individuato applicando i criteri suppletivi indicati dall'art. 9, commi 2 e 3, c.p.p. (Cass.pen., Sez. unite, n. 40537/2009)

Un'ulteriore regola di attribuzione della competenza per ragioni di connessione è stabilita dall'art. 33-quater c.p.p. e riguarda i casi in cui alcuni procedimenti connessi appartengono alla cognizione del tribunale collegiale ed altri a quella del tribunale in composizione monocratica; qualora sussista un legame di connessione, i procedimenti sono tutti attribuiti alla competenza del tribunale collegiale.

Per i reati di competenza del tribunale per i minorenni (cioè per i reati commessi da minori di diciotto anni), la connessione determina effetti solo sulla competenza per territorio e, quindi, esclusivamente per procedimenti che siano minorili sin dall'origine. L'art. 14 c.p.p., infatti, prevede che la connessione non opera fra procedimenti relativi a imputati che al momento del fatto erano minorenni e procedimenti relativi a imputati maggiorenni e non opera altresì fra procedimenti per reati commessi quando l'imputato era minorenne e procedimenti per reati commessi dal medesimo imputato quando era maggiorenne. La ratio di tale deroga si rinviene nella volontà del Legislatore di affidare in via esclusiva al tribunale per i minorenni i procedimenti relativi a reati commessi dagli stessi al fine di valorizzare gli istituti propri del processo minorile e volti al recupero ed al reinserimento sociale del minore che delinque.

In evidenza

La connessione dispiega effetti anche in tema di giurisdizione. Infatti, ai sensi dell'art. 13, comma 2, c.p.p., nella giurisdizione del giudice ordinario vengono attratti i reati appartenenti alla giurisdizione del giudice militare, qualora il reato comune sia più grave di quello militare, sulla base dei criteri indicati dall'art. 16, comma 3 c.p.p.

Inoltre, l'art. 13, comma 1, c.p.p., se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla giurisdizione di un giudice ordinario ed altri a quella della Corte costituzionale, a quest'ultima è attribuita la cognizione per tutti.

La connessione nel rito dinanzi al giudice di pace

Le regole precedentemente descritte non operano nel rito dinanzi al giudice di pace. Dagli artt. 6 e 7 del d.lgs. 274/2000 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace) si ricava infatti una regola generale di irrilevanza della connessione tra procedimenti. Le eccezioni a tale regola sono tassativamente previste.

In primo luogo, l'art. 6 del d.lgs. 274/2000 prevede che quando un procedimento è di competenza del giudice di pace ed un altro è di competenza del giudice ordinario (tribunale o Corte di assise), la connessione sussiste unicamente qualora si tratti di reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale di reati) e sia possibile la riunione dei procedimenti. In tal caso, la competenza spetta al giudice superiore (tribunale o Corte di assise).

In secondo luogo, ai sensi dell'art. 7 del d.lgs. 274/2000, quando i procedimenti sono tutti di competenza del giudice di pace, la connessione opera soltanto in due casi: quando il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione tra loro, ovvero quando una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale di reati). In tali casi, se i reati sono stati commessi in luoghi diversi, ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. 274/00, la competenza per territorio appartiene per tutti al giudice di pace del luogo in cui è stato commesso il primo reato. Qualora non sia possibile determinare in tal modo la competenza, la cognizione per tutti i reati appartiene al giudice di pace del luogo in cui è iniziato il primo dei procedimenti connessi.

In evidenza

In relazione all'ipotesi prevista dall'art. 6 d.lgs. 274/2000, il successivo art. 63 stabilisce che il giudice ordinario deve applicare le norme relative alle sanzioni irrogabili dal giudice di pace e, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 33, 34, 35, 43, e 44 dello stesso decreto legislativo. Va evidenziato che il richiamo all'art. 34 d.lgs. 274/2000, che disciplina l'esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto, deve ora coordinarsi con l'istituto della non punibilità per particolare tenuità dell'offesa, introdotto nel codice penale (art. 131-bis) dal d.lgs. 28 del 16 marzo 2015. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 25/2015, ha evidenziato la differenza tra i due istituti: la causa di non punibilità introdotta nel 2015 è una « disposizione sensibilmente diversa da quella dell'art. 34 del d.lgs. 274 del 2000, perché configura la particolare tenuità dell'offesa come una causa di non punibilità, invece che come una causa di non procedibilità, con una formulazione che, tra l'altro, non fa riferimento al grado della colpevolezza, all'occasionalità del fatto (sostituita dalla non abitualità del comportamento), alla volontà della persona offesa e alle varie esigenze dell'imputato ».

Aspetti processuali

Come si è visto, gli articoli 15 e 16 del codice di rito stabiliscono le regole secondo cui viene determinata la competenza in caso di procedimenti connessi. L'inosservanza di tali regole determina l'incompetenza del giudice per connessione; ai sensi dell'art. 21, comma 3, c.p.p. questa deve essere rilevata dal giudice o eccepita dalla parte, a pena di decadenza, entro gli stessi termini previsti dal precedente secondo comma per l'incompetenza per territorio (prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa non abbia luogo, nel corso delle questioni preliminari al dibattimento di cui all'art. 491, comma 1, c.p.p.. Entro tale ultimo termine deve essere altresì riproposta l'eccezione di incompetenza respinta nell'udienza preliminare).

Va peraltro evidenziato che tale regime si applica anche nei casi in cui la connessione incida sulla competenza per materia. La giurisprudenza di legittimità ha infatti evidenziato che, nell'impianto normativo del codice di rito, vi è una netta distinzione tra il regime della competenza per connessione e quello della competenza per materia (ai sensi del primo comma dell'art. 21 c.p.p., infatti, l'incompetenza per materia è rilevabile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo); pertanto, la questione dell'incompetenza derivante da connessione, anche nei casi in cui la connessione incida sulla competenza per materia affidando tutti i procedimenti connessi alla cognizione del giudice superiore, può essere eccepita o rilevata, a pena di decadenza, entro i termini previsti dal secondo comma dell'articolo 21 c.p.p. (da ultimo, Cass. pen., Sez. II, 21 gennaio 2014, n. 2662).

Casistica

Effetti della connessione sulla competenza

Ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall'art. 12, lett. c), cod. proc. pen., non è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo (Cass. pen., 12838/2013)

In tema di reati commessi da più autori in concorso, non si verifica lo spostamento della competenza per connessione prevista dall'art. 12 lett. b) c.p.p., qualora non ricorra l'identità di tutti i compartecipi, difettando, in caso contrario, l'unità del processo volitivo (Cass.pen., 23591/2008)

L'art. 264 c.p.m.p., nella parte in cui stabilisce che, in caso di connessione tra procedimenti di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria e procedimenti di competenza dell'autorità giudiziaria militare, è competente per tutti l'autorità giudiziaria ordinaria, non può ritenersi abrogato per incompatibilità con lo jus superveniens costituito dall'art. 13, comma 2, c.p.p., essendosi quest'ultimo limitato a stabilire che la vis actractiva della giurisdizione ordinaria operi soltanto a condizione che il reato comune sia più grave di quello militare, per cui, in caso contrario, i procedimenti debbono restare separati.

La connessione nel rito dinanzi al giudice di pace

La connessione tra procedimenti di competenza del giudice di pace e quelli di altro giudice determina, ai sensi dell'art. 6 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, l'attribuzione della competenza per materia al giudice superiore opera soltanto in caso di concorso formale di reati, dovendo escludersi l'operatività degli altri casi di connessione previsti dall'art. 12 c.p.p., in quanto la menzionata disposizione speciale prevale sulle norme generali del codice di procedura penale; ne consegue che la connessione non opera nel caso in cui più persone abbiano commesso reati in danno reciproco (Cass.pen., 14679/2008)

In tema di procedimento davanti al giudice di pace, l'incompetenza derivante da connessione tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di altro giudice – sussistente, ex art. 6, comma 1, d.lgs. 274 del 2000, solo nel caso di concorso formale di reati – può essere rilevata o eccepita, ex art. 21, comma terzo, c.p.p. – applicabile, ex art. 2d.lgs. 274 del 2000, anche ai procedimenti davanti al giudice di pace – a pena di decadenza, solo entro i termini previsti dall'art. 21, comma 2, c.p.p., e cioè prima della conclusione dell'udienza preliminare o se questa manchi, come nei procedimenti davanti al giudice di pace, subito dopo aver compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti (Cass. pen., 13827/2007)