Difesa legittimaFonte: Cod. Pen Articolo 52
22 Settembre 2017
Inquadramento
La difesa legittima rinviene la propria disciplina nell'art. 52 del codice penale. L'istituto rappresenta una delle ipotesi di cause di giustificazione (sul punto, v. infra) più tradizionali e risalenti: un tempo ricondotta al paradigma del moderamen inculpatae tutelae (ossia del “limite alla difesa incolpevole”), essa viene usualmente posta in relazione al brocardo latino vim vi repellere licet (per il quale, dunque, “è lecito respingere la forza con la forza”). Nondimeno, il fondamento politico-criminale della scriminante in oggetto richiede di essere vagliato in modo più articolato. Infatti, la dottrina maggioritaria tende a ricercarne la ratio in quello che viene indicato come l'interesse prevalente: nel senso che, attesa l'ingiustizia dell'aggressione, mediante la difesa legittima l'ordinamento riserva un maggior favore all'interesse dell'aggredito rispetto a quello dell'aggressore (ex plurimis, F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, XIV ed., Milano, 1997, 293; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, VIII ed., Bologna, 2019, 299; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, vol. I, Art. 1-84, III ed., Milano, 2004, 554). Peraltro, va segnalato che talvolta si è attribuito un rilievo anche al fatto che l'ordinamento, quando non è in grado di tutelare tempestivamente il singolo, si trova nella necessità di delegare a questi la potestà di polizia (ad es., V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. II, V ed., Torino, 1981, 378 s.); ed anche di recente si è sottolineato come, per quanto le capacità dello Stato di proteggere i cittadini siano col tempo aumentate, naturalmente residuino situazioni nelle quali il cittadino è costretto a difendersi da solo contro chi aggredisce un suo diritto, così giustificando la sopravvivenza della scriminante de qua (A. CADOPPI, P. VENEZIANI, Elementi di diritto penale. Parte generale, VII ed., Milano-Padova, 2018, 275 s.; analogamente, F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, X ed., Assago-Padova, 249 s.; G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, III ed., Milano, 2009, 238). In ultimo, va pure dato atto dell'opinione di chi attribuisce alla difesa legittima connotati anche sanzionatori, i quali in sintesi si identificherebbero nella “impedibilità” della condotta aggressiva (cfr., per tutti, la ricostruzione di tale impostazione offerta da T. PADOVANI, voce Difesa legittima, in Digesto pen., vol. III, Torino, 1989, 498 ss., ove opportuni rimandi bibliografici; più di recente, anche in termini comparatistici, A. SZEGÖ, Ai confini della legittima difesa. Un'analisi comparata, Padova, 2003, 78 ss.). Natura giuridica
Come anticipato, la difesa legittima rientra nel novero delle cause di giustificazione (o scriminanti). È peraltro noto come il loro inquadramento dogmatico sia diverso nella prospettiva della concezione bipartita, ovvero della concezione tripartita (o quadripartita) del reato: invero, secondo la prima impostazione esse rappresentano elementi negativi della tipicità del fatto, per cui solo in difetto della sussistenza di una scriminante il fatto diviene appunto tipico; secondo la concezione tripartita (così come secondo quella quadripartita), invece, la sussistenza di una causa di giustificazione vale ad escludere non la tipicità, bensì l'antigiuridicità del fatto, sicché in tale ultima prospettiva questo resta sì tipico, ma lecito per l'ordinamento (sul punto, per tutti, M. ROMANO, op. cit., 520 s.). Requisiti della difesa legittima. A) Il pericolo di offesa nei confronti di un diritto proprio od altrui
La scriminante de qua opera in presenza di taluni requisiti, che emergono dal primo comma dell'art. 52 c.p. e che conviene analizzare partitamente. Tale primo comma stabilisce, infatti, che “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa”. Appare allora utile prendere in considerazione, in primo luogo, il versante dell'offesa, rispetto alla quale l'art. 52 c.p. legittima, nel ricorrere delle altre condizioni, la reazione difensiva. Giova al riguardo premettere che l'offesa, postulando il pericolo di un'aggressione, non può che riferirsi ad una condotta umana (cfr., per tutti, F. VIGANÒ, sub art. 52, in Codice penale commentato, a cura di G. Marinucci ed E. Dolcini, vol. I, Artt. 1-384 bis, II ed., Milanofiori Assago, 2006, 585).
Inoltre, l'offesa può essere posta in essere anche mediante una condotta omissiva (in argomento, diffusamente, T. PADOVANI, La condotta omissiva nel quadro della difesa legittima, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1970, 675 ss.; v. inoltre M. ROMANO, op. cit., 556). Ciò detto, seguendo la lettera della legge, va poi evidenziato che tale offesa deve essere rivolta ad un “diritto proprio od altrui”. Normalmente, si ritiene che il legislatore abbia fatto ricorso ad una siffatta locuzione per indicare, in realtà, ogni situazione giuridica soggettiva attiva, anche consistente in un interesse legittimo (sul punto, tra gli altri, G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., 300; C.F. GROSSO, Difesa legittima e stato di necessità, Milano, 1964, 122 s.; T. PADOVANI, op. cit., 501). Peraltro, si ha cura di specificare che restano in ogni caso esclusi dall'ambito di operatività della difesa legittima gli interessi giuridicamente protetti quali beni collettivi (ad es., F. MANTOVANI, op. cit., 250; T. PADOVANI, Diritto penale, X ed., Milano, 163 s.; S. CANESTRARI, L. CORNACCHIA, G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale. Parte generale, II ed., Bologna, 2017, 608): infatti, si argomenta, “l'estensione della difesa a questi casi (se ed in quanto il soggetto non ne sia a sua volta direttamente riguardato) rappresenterebbe un'indebita intromissione del privato nei compiti dello Stato e dei suoi organi” (M. ROMANO, op. cit., 555). In ogni caso, appare pacifico che la formulazione dell'art. 52 c.p. contempli un novero più ampio - rispetto a quella cui faceva riferimento il previgente Codice Zanardelli - di diritti difendibili: nella nozione rientrano ora tanto diritti o interessi di natura personale, quanto di natura patrimoniale (cfr., a mero titolo esemplificativo, G. BETTIOL, L. PETTOELLO MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, XII ed., Padova, 1986, 383; A. CADOPPI, P. VENEZIANI, op. cit., 276; M. ROMANO, op. cit., 554 s.; in giurisprudenza, ex plurimis, Cass. pen., Sez. V, 14 marzo 2003, n. 20727, nonché Cass. pen., Sez. IV, 12 febbraio 2004, n. 16908).
Ancora, si è specificato come debbano escludersi dall'ambito di operatività dell'art. 52 c.p. mere situazioni di fatto dalle quali il cittadino possa semplicemente trarre una qualche utilità, tuttavia sguarnite di tutela giuridica (in tal senso, Cass. pen., Sez. II, 17 novembre 1999-3.3.2000, n. 2692, la quale ha escluso la sussistenza della scriminante in un caso in cui un automobilista aveva danneggiato il veicolo altrui, asserendo di avere il “diritto” di posteggiare in un parcheggio in un'area di proprietà pubblica, previamente occupato dalla moglie; ciò “a meno che il detto comportamento non fosse preordinato a ledere un vero e proprio diritto soggettivo della persona interessata all'occupazione”).
Detto, dunque, che nell'ottica dell'art. 52 c.p. l'offesa deve essere rivolta ad un diritto proprio o altrui, nel senso sopra precisato, vanno ora analizzate le caratteristiche che l'aggressione deve possedere onde legittimare la reazione difensiva.
a) In primo luogo, va allora evidenziato che il pericolo rilevante ai fini della difesa legittima deve essere un pericolo attuale. L'attualità del pericolo consente di escludere che possano venire in discorso un pericolo futuro o cessato: talché, si tende parimenti a negare - salvo quanto si dirà di qui a breve - la configurabilità della difesa legittima “anticipata” e di quella “posticipata” (per tutti, G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., 300; in giurisprudenza, di recente, Cass. pen., Sez. V, 22 dicembre 2015, n. 7119). Nondimeno, non si è mancato di sottolineare, in dottrina, come vi siano casi nei quali la difesa legittima “anticipata” può ammettersi: si tratterebbe, in particolare, dei casi nei quali un soggetto sia esposto ad un pericolo futuro e l'attesa lo conduca ad una situazione nella quale sia troppo tardi per agire (per un'analisi della questione, v. A. CADOPPI, G. BILLO, op. cit., 330; F. PALAZZO, op. cit., 391 s.; VIGANÒ, op. cit., 583 s.). Da tali casi vanno tenuti distinti, invece, quelli in cui il pericolo si caratterizza per l'essere perdurante e che, dunque, si può dire ancora “attuale” ai sensi dell'art. 52 c.p.: si tratta, in sostanza, delle ipotesi di reato permanente e, più in generale, di quelle situazioni nelle quali, non ancora esauritasi l'offesa, non si sia ancora verificato il passaggio dal pericolo al danno (cfr. G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., 300; A. CADOPPI, G. BILLO, op. cit., 330; nella giurisprudenza di legittimità, v. Cass. pen., Sez. I, 15.10.1968, n. 1322, nonché Cass., 10.3.1992, n. 5429, per la cui massima “nella formula ‘pericolo attuale' rientrano non soltanto le situazioni statiche di minaccia di offesa ingiusta, bensì anche le ipotesi nelle quali la situazione di pericolo si protrae nel tempo, per non essersi esaurita in un solo atto l'offesa portata dall'aggressore; ma in questi ultimi casi non si può prescindere dal postulare che la condotta dell'aggressore manifesti apertamente la sua decisione all'offesa - e non sia, quindi, soltanto subdola o equivoca - e si protragga quindi con continuità di comportamenti minacciosi, non interrotta da intervalli innocui”).
b) Inoltre, per quanto la lettera dell'art. 52 c.p. taccia sul punto, va segnalato come appaia pacifico in giurisprudenza - e condiviso anche da una parte della dottrina - che il pericolo, oltre che attuale, debba essere anche involontario: nel senso che non deve essere volontariamente generato dall'agente (cfr. ad es. Cass. pen., Sez. I, 20 dicembre 2011, n. 12740, secondo la cui massima “L'uso della parola ‘necessità' nella formulazione legislativa dei requisiti della legittima difesa di cui all'art. 52 c.p., ha una portata perentoria che esclude, dal suo rigoroso orizzonte applicativo, qualsiasi caso di volontaria determinazione di una situazione di pericolo, ivi compreso quello in cui l'agente abbia contribuito ad innescare una sorta di duello o sfida contro il suo avversario o attuato una spedizione punitiva nei suoi confronti”; v. altresì Cass. pen., Sez. I, 9 novembre 2011, n. 2654; in dottrina, sul punto, L. PETTOELLO MANTOVANI, Volontarietà del pericolo e legittima difesa, in Riv. pen., 1955, 886 ss.). In senso contrario, parte della dottrina ritiene che non sia in realtà necessario riconoscere l'involontarietà del pericolo quale vero e proprio presupposto per l'applicazione della scriminante de qua. Secondo tale opinione, la mancata previsione normativa dell'involontarietà del pericolo nel caso dell'art. 52 c.p. - a differenza di quanto avviene per lo stato di necessità ex art. 54 c.p. – costituirebbe la più chiara riprova della volontà del legislatore di non attribuirvi rilievo ai fini della difesa legittima (F. MANTOVANI, op. cit., 252; in argomento, cfr. anche C.F. GROSSO, voce Legittima difesa (dir. pen.), in Enc. dir., vol. XXIV, Milano, 1974, 45 s.). Piuttosto, in quest'ottica si sostiene che il fatto che il pericolo non possa derivare dalla volontà dell'agente si desume dalla stessa ratio della causa di giustificazione: ragionando sull'esempio della sfida tra contendenti, fatta ed attuata, si rimarca come costoro “non si trovano nella medesima situazione di chi non può invocare tempestivamente il soccorso dell'autorità, per la semplice ragione che concorrono a creare un pericolo che sarebbe stato in loro potere non fare sorgere” (G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., 301 s., segnatamente 302).
c) Ciò detto quanto al pericolo, questo deve riguardare un'offesa (al diritto proprio o altrui) connotantesi come “ingiusta”: varie sono, tuttavia, le opzioni interpretative circa tale requisito. Il dibattito dottrinale appare essenzialmente polarizzato attorno a due impostazioni: secondo una prima, tradizionale, lettura dovrebbe considerarsi ingiusta ai sensi dell'art. 52 c.p. l'offesa che si ponga contra ius e che sia, cioè, antigiuridica (tra gli altri, F. ANTOLISEI, op. cit., 294; F. CARNELUTTI, Lezioni di diritto penale. Il reato, Milano, 1943, 115 s.; A. CADOPPI, P. VENEZIANI, op. cit., 276); a parere dell'opinione alternativa, invece, il requisito in oggetto sarebbe integrato laddove l'aggressione non sia espressamente facoltizzata dall'ordinamento giuridico, ovvero sia non iure (ad es., G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., 302 s.; F. MANTOVANI, op. cit., 251; A. PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, VIII ed., Milano, 2003, 441). Ci si chiede, inoltre, se la difesa legittima possa riconoscersi anche in caso di aggressioni non colpevoli (ad es., perché commesse da soggetto non imputabile o sotto l'effetto di una coazione morale di cui all'art. 54, comma 3, c.p.). A tale riguardo, si osserva infatti che per parte della dottrina l'ingiustizia dell'offesa sottende sempre un coefficiente soggettivo di “ribellione alla norma”, sicché l'aggressione potrebbe rilevare unicamente ai sensi dello stato di necessità (e non, appunto, della difesa legittima); al contrario, secondo altra parte - più recente - della letteratura, ogni elemento soggettivo sarebbe irrilevante ai fini dell'art. 52 c.p., dovendosi considerare “ingiusta” l'offesa che obiettivamente si ponga contra ius o comunque si connoti per l'essere oggettivamente non iure (per una ricostruzione, cfr. per tutti F. VIGANÒ, op. cit., 589). Unanimemente, invece, si ritiene invocabile la difesa legittima laddove l'aggressione provenga da un soggetto immune.
Esaminate, dunque, le caratteristiche essenziali dell'offesa capace di fondare una situazione di difesa legittima, occorre ora occuparsi dell'altro versante, quello della reazione difensiva: pure essa, infatti, per consentire l'applicazione della scriminante di cui all'art. 52 c.p. deve rispondere a determinati requisiti.
a) Anzitutto, deve osservarsi come la difesa debba connotarsi come necessaria. Tradizionalmente, la dottrina tende a leggere il requisito della “necessità” della difesa alla luce del concetto di “inevitabilità” della reazione (cfr., nella manualistica più recente, S. CANESTRARI, L. CORNACCHIA, G. DE SIMONE, op. cit., 610; G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., 303). In tal senso, si osserva come l'inevitabilità debba essere vagliata in concreto, ossia tenendo in considerazione tutte le circostanze del caso specifico (ad es., F. ANTOLISEI, op. cit., 297): in questo solco, si segnala che il giudizio sulla necessità-inevitabilità della reazione difensiva assuma un carattere non assoluto, bensì relativo in quanto appunto calato nelle peculiarità del singolo caso. Allo stesso tempo, si sottolinea altresì come la reazione difensiva possa dirsi davvero inevitabile solamente quando venga posta in essere secondo le modalità difensive meno dannose per l'aggressore, tra quelle idonee a tutelare l'aggredito (sul punto, v. F. MANTOVANI, op. cit., 253 s.; T. PADOVANI, voce Difesa legittima, cit., 511 s.).
b) Come ancora una volta si evince dalla lettera stessa dell'art. 52, comma 1, c.p., la reazione difensiva deve inoltre essere proporzionata all'offesa. I criteri elaborati, nel corso del tempo, ai fini della valutazione della proporzione sono diversi. Il criterio più risalente è quello che fa riferimento ai mezzi a disposizione dell'aggredito, pure al di là del puro raffronto tra il male minacciato e quello inflitto: in tal senso, la proporzione andrebbe riconosciuta anche nei casi in cui l'offesa perpetrata dall'aggredito risulti maggiore rispetto a quella minacciata nei suoi confronti, purché il mezzo utilizzato fosse l'unico disponibile al momento dell'aggressione (tra gli altri, V. MANZINI, op. cit., 414 s.). Tuttavia, una simile visione è stata oggetto di critiche (per le quali, sinteticamente, v. G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., 304 s.) che hanno portato all'elaborazione del diverso criterio, secondo il quale nell'ambito in oggetto deve venire in considerazione il rapporto tra beni o interessi in conflitto (ad es., F. ANTOLISEI, op. cit., 299). Peraltro, si sottolinea da più parti (A. CADOPPI, P. VENEZIANI, op. cit., 280; S. CANESTRARI, L. CORNACCHIA, G. DE SIMONE, op. cit., 611; F. MANTOVANI, op. cit., 256; M. ROMANO, op. cit., 559) come, in realtà, occorra certamente operare un raffronto tra i beni in gioco, ma si debbano considerare altresì tutte le circostanze oggettive contingenti, e dunque anche i mezzi a disposizione dell'aggredito.
Da ultimo, sul punto, va segnalato che mentre in giurisprudenza risulta diffusa l'affermazione per cui il giudizio di proporzione debba essere svolto secondo un'ottica ex ante (ad es., Cass. pen., Sez. IV, 4 luglio 2006, n. 32282), la dottrina non appare concorde sul punto (per l'opinione contraria, ad es., F. VIGANÒ, op. cit., 604). Come noto, con l. 13 febbraio 2006, n. 59, sono stati aggiunti due commi all'art. 52 c.p., con l'intento, essenzialmente, di offrire più ampie possibilità di difesa in ambito domiciliare o, comunque, in luoghi deputati all'esercizio di attività commerciali, professionali e imprenditoriali (secondo G. MARINUCCI, E. DOLCINI, op. cit., 245, gli intenti del legislatore “erano ben compendiati nella formula, non solo mediatica, ‘licenza di uccidere': una licenza largamente accordata ai cittadini ‘onesti' contro i ‘malfattori'”): in tal modo, è stata inserita nella disciplina dell'art. 52 cit. la figura della difesa legittima c.d. domiciliare (o allargata). Peraltro, a tale intervento legislativo ha fatto seguito una nuova riforma, operata dalla l. 26 aprile 2019, n. 36, con la quale - tra l'altro - sono stati modificati i due commi aggiunti nel 2006 ed è stato introdotto un nuovo quarto comma. Per illustrare, nei tratti essenziali, la portata della più recente riforma dell'art. 52 c.p. conviene tuttavia muovere proprio da un richiamo dei problemi interpretativi che già il precedente intervento del 2006 aveva provocato. Ebbene, i commi secondo e terzo inseriti dalla l. 59/2006 prevedevano che: “Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.
Dunque, la novella del 2006 introduceva una presunzione di proporzione tra difesa ed offesa, relativa a reazioni difensive poste in essere con un'arma o “altro mezzo idoneo”, nella ricorrenza di una serie di requisiti: (i) un'aggressione integrante, al contempo, una situazione di violazione di domicilio; (ii) una reazione proveniente da un soggetto legittimamente presente nei luoghi indicati dall'art. 614, commi 1 e 2, c.p., oppure in quelli indicati dal terzo comma dell'art. 52 medesimo; (iii) la detenzione legittima dell'arma da parte del difensore; (iv) una difesa posta in essere al fine di difendere la propria o altrui incolumità, ovvero i beni propri o altrui (in quest'ultimo caso, però, in presenza degli ulteriori requisiti della non desistenza e del pericolo d'aggressione). La portata di tale modifica dell'art. 52 è stata oggetto di discussione, ma in realtà si è ben presto fatta strada l'opinione che la differenza tra la difesa legittima “tradizionale” e quella domiciliare non fosse particolarmente marcata. In effetti, anche grazie ad un'elaborazione giurisprudenziale consolidatasi nel corso del tempo, si è giunti a ritenere pacifico che la difesa legittima domiciliare non derogasse, a tutti i requisiti della difesa legittima “tradizionale”: la presunzione introdotta dal legislatore del 2006 risultava in grado d'investire, appunto, il solo aspetto della proporzionalità e non anche gli altri, tra cui quello della necessità della difesa (ex plurimis, A. CADOPPI, P. VENEZIANI, op. cit., 282; F. MANTOVANI, op. cit., 257 s.; F. PALAZZO, op. cit., 400; sul punto, cfr. tuttavia G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., 310, per i quali la necessità non potrebbe in questo caso intendersi come condotta difensiva non sostituibile da altra meno lesiva; nella giurisprudenza di legittimità, ad es., Cass. pen., Sez.V, 14 maggio 2008, n. 25653; Cass. pen., Sez. I, 27 maggio 2010, n. 23221; Cass. pen., Sez.I, 25 febbraio 2014, n. 28802). Partendo da una osservazione siffatta, si è messo in evidenza come, in realtà, la portata innovativa della riforma del 2006 sia stata affatto esigua: e ciò pare confermato anche dalla prassi delle aule di giustizia. La conclusione emerge del resto in modo chiaro prendendo in esame le diverse ipotesi contemplate dalla lett. a e dalla lett. b dell'art. 52, comma 2, c.p. Nel primo caso, si richiede che l'offesa risulti in concreto pericolosa per “la propria o la altrui incolumità”: ebbene, una qualche portata innovativa del comma 2, rispetto al comma 1, dell'art. 52 c.p. sembra potersi ravvisare solamente accogliendo una lettura del requisito della proporzione basato sulla mera comparazione dei beni in conflitto, poiché in tal caso risulterebbe scriminata, in ambito domiciliare, anche una reazione difensiva svincolata dall'ordinario raffronto tra gli interessi in gioco; al contrario, paiono ridotti al minimo i margini di novità laddove si accolga il criterio di valutazione della proporzione debba comprendere anche i mezzi a disposizione (cfr. A. CADOPPI, P. VENEZIANI, op. cit., 283 s.; S. CANESTRARI, L. CORNACCHIA, G. DE SIMONE, op. cit., 613). Nel caso, poi, della potenziale offesa ai “beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione”, la prospettiva non cambia di molto. Presupposto è che vi sia il pericolo di un'offesa nei confronti di beni propri o altrui, ma ciò non basta: infatti, (i) non vi deve essere desistenza (e pare che dunque chi si difende debba intimare la desistenza all'aggressore: in senso contrario, v. però G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., 311 s.) e (ii) vi deve essere un pericolo di aggressione. Ora, proprio il requisito - da ultimo richiamato - del pericolo di aggressione, sottendendo una progressione offensiva, suggerisce che il pericolo debba trascendere la sfera dei beni patrimoniali e rivolgersi, invece, alla vita o all'incolumità individuale dell'aggredito (tra gli altri, A. CADOPPI, La legittima difesa domiciliare(cd. “sproporzionata” o “allargata”): molto fumo e poco arrosto, in Dir. pen. e processo, 2006, 439; contra, E. DOLCINI, La riforma della legittima difesa: leggi “sacrosante” e sacro valore della vita umana, in Dir. pen. e processo, 2006, 432): del resto, tale interpretazione è parsa quella più conforme alla Costituzione ed alla CEDU (il riferimento è in particolare all'art. 2 di quest'ultima, il quale non considera illecita la morte soltanto quando essa costituisce l'esito di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario “per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale”), giacché “sia per l'una che per l'altra un pericolo riferito al solo patrimonio, e non coinvolgente i beni personali dell'aggredito o delle altre persone minacciate all'interno del domicilio violato, non potrebbe (…) mai giustificare una reazione difensiva armata” (G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., 312). In giurisprudenza, si segnala a tale riguardo Cass. pen., Sez. I, 25 febbraio 2014, n. 28802, massimata nel senso per cui “in tema di legittima difesa, le modifiche apportate all'art. 52 c.p. dalla l. 13 febbraio 2006 n. 59, anche nella formulazione della cosiddetta legittima difesa domiciliare, hanno riguardato solo il concetto di proporzionalità, fermi restando i presupposti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso delle armi come mezzo di difesa della propria o dell'altrui incolumità. Di conseguenza, la reazione a difesa dei beni è legittima solo quando non vi sia desistenza e sussista un pericolo attuale per l'incolumità fisica dell'aggredito o di altri. (Nella specie, la Corte ha ritenuto corretto il ragionamento dei giudici di merito che, nel pronunciare condanna per il reato di omicidio volontario, avevano escluso l'esimente della legittima difesa, apprezzando che l'imputato aveva esploso i colpi attingendo mortalmente un soggetto che stava sottraendogli l'autovettura, in assenza delle condizioni per poter ravvisare un pericolo di aggressione, giacché il ladro e il complice si stavano allontanando)”. Si evince allora agevolmente come la reale incidenza della riforma del 2006 sia stata assolutamente contenuta: ed anzi, in un recente bilancio si è osservato che - invero - “Di assoluzioni pronunciate per effetto dell'art. 52, co. 2 c.p., a conti fatti, non se ne ha notizia” (G.L. GATTA, Legittima difesa nel domicilio: considerazioni sui profili di legittimità costituzionale, a margine della lettera con la quale il Presidente della Repubblica ha comunicato la promulgazione della legge n. 36 del 2019, in Dir. pen. cont., 6.5.2019). Ebbene, come anticipato, la disciplina della difesa legittima è stata oggetto di ulteriori innovazioni, operate con l. 36/2019 ed appunto informate - almeno nelle intenzioni - all'obiettivo di ampliare l'operatività della difesa legittima domiciliare. In tal senso, il dettato dell'art. 52 è stato modificato, incidendo sulla formulazione dei commi secondo e terzo, nonché introducendo un nuovo quarto comma. A parte il primo comma della disposizione, rimasto immutato, il testo dell'art. 52, commi 2-4, risulta attualmente il seguente: “Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione. Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”.
Ora, al netto dell'adeguamento della formulazione del terzo comma dell'art. 52 c.p. in virtù dell'inserimento del nuovo quarto comma, vanno qui segnalati soprattutto due interventi: in primo luogo, (i) all'art. 52, comma 2, si è inteso rafforzare la presunzione di proporzionalità mediante l'inserimento dell'avverbio “sempre” (“…sussiste sempre il rapporto di proporzione…”); in secondo luogo, (ii) il nuovo quarto comma contiene una presunzione di difesa legittima, che sembrerebbe coinvolgere - stando al mero tenore letterale della disposizione - tutti i requisiti della scriminante (e, dunque, anche la necessità), per le ipotesi di violazione del domicilio operate con violenza. Probabilmente, l'effettiva portata delle recenti innovazioni introdotte nel corpo dell'art. 52 c.p. potrà essere chiarita solamente alla luce della prassi. Tuttavia, preme notare che i primi commentatori della riforma del 2019 hanno sottolineato come - invero - l'istituto della difesa legittima, anche nella sua configurazione “allargata”, non possa prescindere dal riferimento alla necessità (sul punto, già in sede di elaborazione della riforma, v. ad es. R. BARTOLI, Verso la “legittima offesa”? Brevi considerazioni sulla riforma in itinere della legittima difesa, in Dir. pen. cont., 2019, 1, 20 ss.). In tal senso, si osserva che “la necessità della reazione, per la difesa del diritto aggredito, è elemento della definizione del concetto stesso di difesa” e la necessità della difesa è infatti scolpita nel primo comma dell'art. 52 c.p., citato espressamente dal secondo comma, a sua volta richiamato dal nuovo quarto comma della disposizione (D. PULITANÒ, Legittima difesa. Ragioni della necessità e necessità di ragionevolezza, in Dir. pen. cont., 2019, 5, 206). E del resto, anche sulla scorta delle osservazioni fornite dal Presidente della Repubblica in sede di promulgazione della novella de qua, si tende a rimarcare come l'esistenza di una condizione di necessità rappresenti lo stesso fondamento costituzionale della scriminante: sicché si ritiene, in definitiva, che - ad onta del tenore letterale del nuovo quarto comma - “una ragionevole interpretazione della nuova legge esclude che il presupposto della necessità sia stato toccato” (D. PULITANÒ, op. cit., 205 s.; analogamente, v. le osservazioni di G.L. GATTA, Legittima difesa nel domicilio, cit., § 5, secondo il quale - peraltro - è possibile che a fronte del nuovo quarto comma dell'art. 52 c.p. il giudice si trovi nella condizione di interpretare la disposizione in modo conforme alla Costituzione, così vanificando la presunzione di sussistenza della necessità, oppure di sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale innanzi alla Consulta: ivi, § 3; nonché, dello stesso Autore, La nuova legittima difesa nel domicilio: un primo commento. Sul disegno di legge di “Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa”, approvato definitivamente dal Senato il 28 marzo 2019, in Dir. pen. cont., 1.4.2019, § 5.1). Quanto, poi, all'intenzione di rafforzare la presunzione di proporzionalità mediante il ricorso all'avverbio sempre, si è ancora una volta evidenziato come una interpretazione letterale possa apparire poco coerente con il dettato costituzionale e convenzionale (il riferimento è nuovamente all'art. 2 Cedu) (in tal senso, prima dell'approvazione della l. 36/2019, ancora R. BARTOLI, op. cit., 19 s.). Peraltro, l'avverbio ricorre anche nel nuovo quarto comma: sicché, in dottrina ci si chiede quale incidenza abbia tale scelta legislativa anche con riferimento al requisito della proporzione. In effetti, si segnala, una volta accolta la tesi per cui il requisito della necessità della difesa non possa che rimanere intatto anche in questo caso - come già a seguito della riforma del 2006 -, la novella riguarderebbe solamente il problema della proporzione: e, in tal senso, si auspica che la sopravvivenza dei presupposti del pericolo attuale e della necessità consenta di “evitare applicazioni eccessivamente slabbrate della nuova normativa” (D. PULITANÒ, op. cit., 209 s.). Da ultimo, va aggiunto che, sempre con l. 36/2019 è stato modificato l'art. 55 c.p., con l'inserimento di un'ipotesi di eccesso colposo non punibile quando - nei casi di cui al secondo, terzo e quarto comma dell'art. 52 c.p. - il fatto sia commesso, in condizioni di minorata difesa o grave turbamento, per la salvaguardia della propria o altrui incolumità. La minorata difesa ex art. 61, comma 1, n. 5 c.p. (di cui approfitta l'aggressore) ovvero il grave turbamento psichico derivante dalla situazione di pericolo in atto vengono in considerazione in via alternativa, sul presupposto che si debba salvaguardare la sola incolumità personale (non dunque beni patrimoniali; cfr. G.L. GATTA, La nuova legittima difesa nel domicilio, cit., § 5.3). Sul punto, conviene qui osservare come da parte dei primi commentatori si tenda soprattutto a richiamare l'attenzione sulla portata obiettiva del “grave turbamento”, il quale infatti - lungi dal risultare modellato sulla sola soggettività dell'aggredito - risulta ancorato ad una “situazione di pericolo in atto” da accertare giudizialmente, così come dovrà essere verificato il nesso causale tra tale situazione e l'eccesso difensivo, peraltro sempre inerente a reazioni a difesa della propria o altrui incolumità (in argomento, F. BACCO, Il “grave turbamento” nella legittima difesa. Una prima lettura, in Dir. pen. cont., 2019, 5, 53 ss. e, segnatamente, 71). Invero, come è stato osservato, in questo caso non è stato spostato “il confine della obiettiva legittimità, ma della responsabilità penale, per ragioni relative al profilo soggettivo: si tiene conto della difficoltà di reagire in modo corretto in situazioni di minorata difesa, e/o della condizione di grave turbamento psichico derivata dalla situazione di pericolo in atto” (così D. PULITANÒ, op. cit., 207 s.). Dal punto di vista dell'inquadramento dogmatico dell'eccesso colposo non punibile, sembra in ogni caso di trovarsi al cospetto di una scusante, che fa perno sul concetto di inesigibilità (così per esempio, con argomentazioni affatto condivisibili, G.L. GATTA, La nuova legittima difesa nel domicilio, cit., § 5.3). L'ordinamento “non se la sente” di punire chi non è stato in grado di valutare correttamente la situazione e la propria reazione difensiva, causa la “minorata difesa” di cui si è avvantaggiato l'aggressore ovvero il grave turbamento psichico provocato dall'aggressione stessa. Il fatto tipico commesso da chi reagisce in tale situazione è dunque antigiuridico, ma non rimproverabile al soggetto (che dunque non realizza una fattispecie di reato, facendo difetto la colpevolezza): con le relative conseguenze sul piano della disciplina generale applicabile. Casistica
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