Prostituzione e prostituzione minorile

Angelo Valerio Lanna
14 Settembre 2017

Si tratta come noto di attività diffusa in tutte le epoche e latitudini, che si concretizza nella mercificazione dell'attività sessuale e nello svolgimento della stessa dietro corresponsione di utilità. Il sistema attualmente vigente in materia nel nostro Paese origina dalla legge 20 febbraio 1958, n. 75, c.d. legge Merlin (Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui, così denominata dal cognome della senatrice proponente, Angelina Merlin); a mezzo di tale normativa e all'esito di un pluriennale dibattito ideologico e culturale, si decise di reprimere ogni attività che rivestisse un connotato per così dire di parassitismo, nei confronti dell'altrui attività sessuale retribuita. La principale conseguenza di tale impostazione concettuale fu rappresentata dalla chiusura ...
Inquadramento

Si tratta come noto di attività diffusa in tutte le epoche e latitudini, che si concretizza nella mercificazione dell'attività sessuale e nello svolgimento della stessa dietro corresponsione di utilità. Il sistema attualmente vigente in materia nel nostro Paese origina dalla legge 20 febbraio 1958, n. 75, c.d. legge Merlin (Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui, così denominata dal cognome della senatrice proponente, Angelina Merlin); a mezzo di tale normativa e all'esito di un pluriennale dibattito ideologico e culturale, si decise di reprimere ogni attività che rivestisse un connotato per così dire di parassitismo, nei confronti dell'altrui attività sessuale retribuita. La principale conseguenza di tale impostazione concettuale fu rappresentata dalla chiusura delle c.d. case di tolleranza. Vennero poi delineate figure delittuose specifiche, quali il favoreggiamento, lo sfruttamento della prostituzione e l'induzione alla stessa. La base filosofica sulla quale poggia l'intera normativa è dunque chiarissima; essa infatti si estrinseca attraverso una disciplina che – almeno nelle linee generali – risulta davvero di univoca significazione. Si tende dunque a punire le attività consistenti anzitutto nello sfruttamento dell'altrui meretricio (il fatto di chi a qualunque titolo riceva vantaggi dalla prostituzione di altri); viene poi punito chi recluti una persona allo scopo di favorirne la prostituzione, nonché chi comunque induca altri alla prostituzione, compiendo atti di intermediazione a qualsivoglia titolo e mediante forme anche diverse di organizzazione e predisposizione, ossia di lenocinio (divenendo dunque il pronubo, l'intermediario dell'attività sessuale altrui); è infine prevista la punibilità di chi in qualsiasi modo favorisca – il più delle volte, ovviamente, a scopo di lucro o interesse – l'altrui prostituzione.

Gli obiettivi che erano stati posti a fondamento dell'intera normativa in materia erano allora sintetizzabili nella volontà di giungere alla liberazione del meretricio dal substrato culturale, antropologico e sociale composto di arretratezza e sottomissione, retaggio di epoche storiche ormai trascorse e di relazioni umane di impronta quasi schiavistica, ormai fortunatamente non più consentite. La lunga esperienza giudiziaria, formatasi dall'ormai lontana emanazione della legge, dimostra però come tali nobili obiettivi siano andati incontro ad un sostanziale fallimento. Lungi dall'essere sparito, l'ancestrale fenomeno ha invece assunto un carattere per così dire sotterraneo e nascosto, spesso riconducibile ad una sorta di sottobosco malavitoso; il superamento delle case chiuse ha prodotto purtroppo l'effetto di spostare l'esercizio dell'antica pratica in strade e luoghi pubblici; il soffocante abbraccio della criminalità – soprattutto di quella organizzata – all'attività di prostituzione è stato veramente tentacolare. Tanto che da più parti si levano da tempo voci accorate, che invocano una profonda rivisitazione critica della disciplina vigente.

Di genesi sistematica e intellettuale parzialmente divergente è il reato di prostituzione minorile art. 600-bis c.p. inserito nell'ordinamento penalistico ad opera dell'art. 2, comma 1,l. 3 agosto 1998, n. 269 e novellato dall'art. 4, comma 1, lett. g), l. 1 ottobre 2012, n. 172.

Qui la ratio della norma è il potenziamento degli strumenti di contrasto all'odiosa piaga dell'impiego di minorenni in pratiche sessuali remunerate; correlativamente, l'interesse tutelato è da ricercare nella conservazione della dignità del soggetto di età minore (e ciò tanto in campo sessuale, quanto sotto il profilo fisico, morale, etico e psichico). La disposizione codicistica detta dunque – come in seguito si andrà ad esaminare più analiticamente – una nutrita serie di condotte illecite, che hanno un carattere complementare e prodromico, rispetto all'esercizio propriamente detto della prostituzione minorile. Il secondo comma della norma sanziona poi anche la condotta del cliente. Sarebbe a dire, del soggetto che compia atti sessuali accompagnati da retribuzione, con soggetto che sia ultraquattordicenne ma infradiciottenne (la punibilità del cliente in effetti rappresenta il tratto differenziale più profondo ed immediatamente percepibile, tra la prostituzione adulta e quella minorile).

L'assetto normativo in tema di prostituzione

Il paradigma legislativo in esame – art. 3 l. 75/1958 – si compone di una pluralità di modelli legali, che sono tra loro indipendenti sotto il profilo strutturale. Una autonomia tra le varie ipotesi che è però talmente marcata ed evidente, da far pensare che le varie fattispecie delittuose siano state tra loro malamente accatastate, fino a comporre un coacervo di previsioni incriminatrici disordinato e sconnesso sotto il profilo concettuale e dogmatico. All'art. 3 l. 58/1975 è dunque punito chiunque: «[…] trascorso il termine indicato nell'art. 2, abbia la proprietà o l'esercizio, sotto qualsiasi denominazione, di una casa di prostituzione, o comunque la controlli, o diriga, o amministri, ovvero partecipi alla proprietà, esercizio, direzione o amministrazione di essa; […] avendo la proprietà o l'amministrazione di una casa od altro locale, li conceda in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione; […] essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze, o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all'interno del locale stesso, si danno alla prostituzione; […] recluti una persona al fine di farle esercitare la prostituzione, o ne agevoli a tal fine la prostituzione; […] induca alla prostituzione una donna di età maggiore, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità; […] induca una persona a recarsi nel territorio di un altro Stato o comunque in luogo diverso da quello della sua abituale residenza al fine di esercitarvi la prostituzione, ovvero si intrometta per agevolarne la partenza; […] esplichi un'attività in associazioni ed organizzazioni nazionali od estere dedite al reclutamento di persone da destinate alla prostituzione od allo sfruttamento della prostituzione, ovvero in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo agevoli o favorisca l'azione o gli scopi delle predette associazioni od organizzazioni; […] in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui».

La condanna per una delle ipotesi sub art. 3, comma 2, n. 3) l. 75/1958 comporta ex lege la perdita della licenza d'esercizio e, facoltativamente, l'ordine di chiusura definitiva dell'esercizio. L'art. 4 della medesima disposizione normativa prevede circostanze aggravanti speciali ad effetto speciale, alla cui ricorrenza la pena viene raddoppiata. Segnaliamo infine la previsione secondo la quale i delitti tipizzati sub art. 3 nn. 4) e 5) l. 75/1958 – laddove perpetrati da un cittadino italiano in territorio estero – sono punibili solo se ciò sia previsto da convenzioni internazionali.

La casa di prostituzione

Il concetto di casa di prostituzione non esige che sia creata una struttura particolarmente complessa, né che vi sia una capillare organizzazione; è invece richiesto che vengano apprestate attrezzature e condizioni elementari (dunque, il minimo indispensabile) perché sia consentito in modo permanente – anche a poche persone – lo svolgimento di convegni di natura sessuale dietro retribuzione. È infine necessario che la profferta sessuale sia rivolta ed accessibile ad un numero indifferenziato e potenzialmente anche piuttosto vasto di soggetti. La norma è evidentemente pensata in relazione alla preesistenza – al momento dell'entrata in vigore – di immobili all'interno dei quali legittimamente veniva esercitata la prostituzione; tanto vero che era in primo luogo dettato un termine, entro il quale era obbligatorio provvedere alla chiusura di tali locali. Sotto il profilo tecnico-giuridico, la disposizione in esame è strutturata – nonostante l'utilizzo del termine chiunque per indicarne l'autore – quale reato proprio (come si evince dal fatto che essa postuli, nel soggetto agente, la sussistenza della posizione giuridica o fattuale di proprietario o di esercente la casa). Trattasi inoltre di norma caratterizzata da plurime previsioni incriminatrici, fra loro ovviamente non cumulabili (il reato resterà quindi unico, se per ipotesi commesso da soggetto attivo che rivesta, nel contempo, la duplice veste di proprietario e di gestore della casa). Il riferimento alla proprietà è qui pacificamente effettuato non all'immobile in quanto tale – materialmente inteso - bensì alla casa di prostituzione concepita quale luogo di svolgimento dell'attività di meretricio. Nessun dubbio vi è mai stato, inoltre, circa il fatto che il termine adoperato dal legislatore (casa di prostituzione) si riferisca indifferentemente alla prostituzione maschile e a quella femminile. Questa ipotesi delittuosa ha poi carattere permanente e si consuma con l'inizio dell'attività di meretricio; sebbene di difficile realizzabilità e nonostante l'incombente pericolo di una forse esagerata anticipazione della soglia di punibilità, non vi sono infine ostacoli teorici, rispetto alla configurabilità del tentativo (si immagini il caso dell'allestimento di una casa destinata alla prostituzione, con attività materialmente poi non intrapresa per ragioni non riconducibili al reo).

La locazione

Qui sarà bastevole richiamare gli ancoraggi teorici sopra esposti, con riferimento al concetto di casa di prostituzione. La previsione normativa ex art. 3, comma 2, n. 2 l. 75/1958, infatti, altro non fa se non ampliare l'alveo previsionale e la tutela già delineata mediante la disposizione che la precede. Vengono così assoggettate alla medesima sanzione lì prevista anche quelle attività preliminari e preparatorie, rispetto all'esercizio propriamente detto della casa di prostituzione. Il soggetto che abbia un titolo giuridico che lo legittimi a concedere in locazione un immobile, infatti, viene punito per il mero fatto di aver locato lo stesso allo scopo di consentire ad altri l'attività di meretricio. Trattasi quindi di reato istantaneo, che si consuma con la mera conclusione del negozio giuridico e che non pretende l'effettivo inizio dell'attività sessuale mercenaria; in ragione di ciò, non si ritiene configurabile il tentativo. Aggiungiamo che la forte componente soggettivistica della fattispecie (la locazione deve come detto avvenire, testualmente, «a scopo di esercizio di una casa di prostituzione») determina la necessità che il locatore abbia piena consapevolezza, circa l'utilizzo che dell'immobile si andrà a fare.

La tolleranza

Anche in relazione a tale previsione incriminatrice – nonostante l'uso del termine chiunque – viene chiaramente delineato un reato proprio, posto che il soggetto attivo può essere soltanto chi sia proprietario, gerente o preposto ad un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, oppure luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze, o qualunque locale aperto al pubblico o utilizzato dal pubblico. La figura delittuosa in commento si realizza mediante la abituale tolleranza nei confronti anche di una sola persona che, all'interno di locali riconducibili alle sopra dette categorie, concretamente eserciti la prostituzione. Viene quindi punita una condotta omissiva, consistente in pratica nel fatto di astenersi dall'impedire l'attività di meretricio. Si tratta poi – attenendosi appunto alla lettera della legge – di un reato abituale, che pertanto esige una condotta reiterata nel tempo e in un apprezzabile numero di occasioni; una condotta, insomma, che non rivesta una connotazione sporadica o occasionale. Il fatto deve infine esser realizzato in pubblici esercizi che nulla abbiano a che fare con la casa di prostituzione, ossia che non ne occultino l'esistenza; deve allora trattarsi di locali aperti al pubblico, che siano effettivamente destinati alla semplice accoglienza, all'interno dei quali venga poi tollerata l'altrui prostituzione.

In evidenza

L'abituale tolleranza realizzata da parte di chi – all'interno dei pubblici esercizi indicati dalla norma – espleti funzioni meramente subordinate (il riferimento è ad esempio a chi vi lavori come facchino o cameriere), che non siano dunque assimilabili a quelle del proprietario, del gerente o del preposto, non concretizza la condotta punita, a meno che non si incorra in un'ipotesi concorsuale con il titolare dell'esercizio stesso oppure di favoreggiamento (PIOLETTI, Digesto Italiano, voce Prostituzione, 1995; LEONE, Delitti di prossenetismo ed adescamento, Milano, 1964).

Il reclutamento e l'agevolazione, anche all'interno di associazioni o organizzazioni.

Il concetto di reclutamento adoperato dal legislatore all'art. 3, comma 2, n. l. 75/1958è da intendersi in senso ampio e ovviamente non sovrapponibile al significato strettamente militare del termine. L'accezione propria è dunque quella dell'assunzione di soggetti aderenti e di proseliti, che vengano arruolati in una data compagine, proprio perché poi esercitino la prostituzione. La norma pretende qui che si venga a creare – in dipendenza appunto dell'attività di reclutamento – un (illecito) rapporto di lavoro subordinato; la prostituta deve quindi porre le proprie prestazioni sotto la vigilanza e disponibilità di altro soggetto (che non necessariamente deve essere il reclutatore), impegnandosi ad esercitare il meretricio dietro corresponsione di una retribuzione. La fattispecie è a dolo specifico; si connota per essere un reato istantaneo, che si consuma con la conclusione dell'assunzione. Il fatto può peraltro concernere anche persone già aduse alla prostituzione, non essendo richiesta alcuna condotta di persuasione. Non pare però configurabile il tentativo.

Anche la condotta di agevolazione – prevista in via alternativa dalla medesima disposizione normativa – è sorretta, sotto il profilo psicologico, dal dolo specifico, visto che essa deve avvenire proprio al fine dell'esercizio del meretricio. Il termine agevolare sta qui ad indicare il fatto di chi – serbando una condotta omissiva o commissiva – crei una situazione propizia rispetto all'esercizio della prostituzione, eliminando eventuali impedimenti o complicazioni e rendendo maggiormente agevole l'attività.

Infine, il fatto tipico cristallizzato nell'art. 3, comma 2, n. 7, l. 75/58 (esplicare una attività in associazioni o organizzazioni nazionali o estere dedite al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione, ovvero in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo agevolare o favorire l'azione o gli scopi delle predette associazioni o organizzazioni) non sanziona la semplice appartenenza ad associazioni o organizzazioni di tal genere. Al contrario, punisce quelle condotte di reclutamento, agevolazione o favoreggiamento, che siano poste in essere stando all'interno di tali gruppi malavitosi (si veda Cass. pen., Sez. I, n. 11748/2012).

In evidenza

Allorquando il reclutamento sia seguito dall'effettivo esercizio di attività sessuale remunerata, che si svolga all'interno di una casa di prostituzione gestita dal medesimo soggetto che aveva proceduto all'ingaggio, le fattispecie ex artt. 1 e 4 dell'art. 3 l. 20 febbraio 1958, n. 75 concorrono. Il reclutamento, infatti, non costituisce momento strumentale e prodromico necessario, rispetto alla tenuta di una casa di prostituzione (Cass. pen., Sez. III, n. 2730/1999).

L'induzione

L'art. 3 l. 75/1958, ai numeri 5) e 6), delinea due diverse figure di induzione alla prostituzione: al n. 5) sono infatti in generale previsti sia il fatto di chi induca alla prostituzione una donna maggiore di età, sia il compimento di atti di lenocinio (che possono essere perpetrati tanto personalmente, purché in luogo pubblico o aperto al pubblico, quanto con il mezzo della stampa); al n. 6) è invece sanzionato il fatto di indurre una persona a recarsi fuori dal territorio nazionale (o comunque in luogo diverso da quello di abituale residenza), al fine di esercitarvi la prostituzione.

L'induzione alla prostituzione si concretizza nel consigliare, suggerire, proporre, raccomandare ad altri lo svolgimento dell'attività di meretricio. Tale opera di convincimento può indifferentemente esser compiuta facendo sorgere ex novo il proposito, ovvero rinvigorendo una intenzione nata in epoca antecedente; essa può materializzarsi in promesse, blandizie, oltre che in una adulazione o nella prospettazione di vantaggi di tipo economico. A patto però che vi sia una condotta che non si arresti al mero suggerimento e che tale incitamento abbia poi una diretta efficacia causale, sulla determinazione della vittima di darsi alla prostituzione. Trattasi di ipotesi che raggiunge lo stadio della consumazione al momento dell'effettivo inizio dell'attività sessuale remunerata. Il coefficiente psicologico richiesto consiste nel solo dolo generico. La ratio della norma risiede nell'esigenza di tutelare la sfera della dignità sessuale della prostituta.

La seconda ipotesi – alternativa rispetto alla prima, tanto da comporre una norma a più fattispecie – consiste nell'effettuazione di atti di pubblico lenocinio. Questo può compiersi secondo una pluralità di modalità realizzative, le quali sono comunque tutte accomunate dalla attitudine diffusiva della condotta. Tanto che il bene giuridico protetto deve qui essere individuato nell'esigenza di apprestare tutela alla moralità pubblica (una virtù che il legislatore ritiene potenzialmente scalfibile, se aggredita da un'intermediazione che colleghi le persone dedite alla prostituzione ed i potenziali clienti, nonché dalla correlata pubblicizzazione dell'attività sessuale a pagamento). L'atto di pubblico lenocinio si consuma non al compimento del convegno sessuale retribuito, bensì mediante il mero operato del soggetto che si renda paraninfo, ossia con il diffondersi dell'opera di intermediazione. L'elemento soggettivo è il dolo generico; il tentativo – sebbene di difficile realizzabilità – è in astratto ipotizzabile.

Il delitto di induzione a spostarsi per esercitare la prostituzione è pure costruito secondo plurime modalità tra loro alternative, senza che però ciò incida sull'unitarietà della fattispecie. Viene qui tutelata la dignità della persona destinata alla prostituzione, volendosene impedire lo sradicamento dal proprio ambiente per l'esercizio dell'attività sessuale a pagamento. La norma postula il dolo generico ed ammette il tentativo. La consumazione avviene con la semplice induzione al trasferimento, non essendo necessario l'effettivo spostamento fisico della persona; nel caso invece di intromissione – previsto nell'ultimo periodo del numero 6) - la lettera della legge esige esclusivamente che sia realizzata una condotta in grado di facilitare il trasferimento.

In evidenza

Ciò che è vietato dalla norma non è il mero elogio della prostituzione, bensì la pubblicizzazione e l'intermediazione che, in qualche modo, colleghino persone dedite alla prostituzione e potenziali clienti; laddove la pubblicizzazione avvenisse invece ad opera proprio della persona che si prostituisce, si verificherebbe l'ipotesi - ormai depenalizzata – dell'adescamento ex art. 5 l. 75/1958. Il reato resta poi integrato anche laddove l'attività svolta dal prosseneta non ottenga il risultato di convincere i clienti ad incontrarsi con la prostituta (in dottrina si veda Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Milano, 1994).

Il favoreggiamento

L'art. 3, comma 2, n. 8) l. 75/58 rappresenta una ipotesi a consumazione alternativa, delineando figure fra loro distinte e quindi in grado di concorrere. La ratio della previsione incriminatrice concernente il favoreggiamento consiste in una precisa volontà legislativa, tesa ad ampliare la tutela nei confronti delle possibilità di espansione del fenomeno del meretricio; viene quindi colpita – quasi in via preventiva - ogni condotta comunque atta ad agevolare tale attività. Sotto il profilo strutturale trattasi di reato comune, come agevolmente evincibile dall'utilizzo del termine chiunque per indicarne l'autore. Il reato giunge a consumazione già con la costituzione della situazione atta a favorire l'altrui prostituzione, senza che sia poi necessaria l'effettiva realizzazione di tale attività; la configurabilità del tentativo non pone soverchi problemi. Il paradigma legislativo è infine sorretto dal solo dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà di creare le condizioni favorevoli allo svolgimento dell'attività suddetta, senza però che sia preteso alcuno scopo ulteriore (ad esempio, di concupiscenza o lucro).

In evidenza

Trattasi di delitto solo eventualmente abituale, non apparendo essenziale per la sua concretizzazione che venga posta in essere una moltitudine di atti di agevolazione. Il modello legale in esame, infatti, non postula una reiterazione di condotte, intendendo invece contrastare l'attività agevolatrice in qualsiasi modo compiuta (così in dottrinaVASSALLI, Le norme penali a più fattispecie e l'interpretazione della «legge Merlin», Studi Antolisei, III, Milano, 1965)

Lo sfruttamento

Trattasi di figura delittuosa che – così come l'ipotesi precedente del favoreggiamento – svolge una funzione per così dire di chiusura, consentendo la punibilità davvero ad ampio raggio di ogni attività in qualche modo ausiliatrice o parassitaria rispetto al fenomeno della prostituzione. Anche in questo caso si è in presenza di un reato comune, che si consuma con l'ingiustificata percezione – da parte del soggetto agente – dei proventi dell'altrui attività sessuale a pagamento. Il termine provento deve qui essere inteso veramente nella più vasta accezione; dunque non solo quale corresponsione di somme di denaro, bensì anche quale beneficio fornito mediante ospitalità, vitto, sostentamento in genere e quant'altro rappresenti comunque un vantaggio direttamente collegabile all'altrui attività sessuale mercenaria. Nessun ostacolo teorico sembra infine esservi, in ordine alla ipotizzabilità del tentativo.

In evidenza

Secondo i Giudici di legittimità, il delitto di sfruttamento della prostituzione non deve necessariamente rivestire il carattere della abitualità. Esso si realizza infatti mediante ogni consapevole e volontaria adesione e condivisione – pur se di natura meramente episodica - al ricavato ottenuto dalla persona che percepisca una retribuzione in cambio di prestazioni sessuali. Nessun dubbio può poi residuare, in ordine alla possibilità che tale figura di reato possa concorrere con l'ipotesi del favoreggiamento della prostituzione, divergendo tanto l'elemento materiale ed il bene giuridico protetto, quanto il profilo psicologico (Cass. pen., Sez. III, n. 12919/1998).

Forme di manifestazione

L'art. 4 l. 75/1958 contiene una nutrita serie di ipotesi circostanziali speciali, che possono essere catalogate secondo che esse rampollino dalla valorizzazione delle qualità del soggetto attivo o della vittima (o dal numero di persone offese), ovvero dalle particolari modalità realizzative della condotta. Alla prima categoria - circostanze fondate sulla qualità dell'agente - sono ascrivibili le ipotesi dettate dai numeri 3) [fatto commesso dall'ascendente, o dall'affine in linea retta ascendente, ovvero dal marito, dal fratello, dalla sorella, dal padre o madre adottivi o infine dal tutore]; 4) [fatto commesso dall'affidatario della vittima per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia]; 6) [fatto commesso dal pubblico ufficiale, evidentemente nell'esercizio delle sue funzioni]. Vi è poi un secondo gruppo di ipotesi circostanziali, che sono fra loro assimilate per le qualità o per il numero delle vittime. A tale insieme appartengono le previsioni di cui ai numeri 2) [fatto perpetrato in danno di persona che si trovi in stato di infermità o minorazione psichica, sia essa di origine naturale o provocata (il previgente riferimento a persona di età minore degli anni ventuno è stato abrogato, ad opera dell'art. 18 della l. 3 agosto 1998, n. 269)]; 5) [fatto commesso in danno di persona legata al soggetto agente da rapporti d'impiego o servizio]; 7) [fatto commesso in danno di più persone] e 7-bis) [prostituta tossicodipendente]. Vi è infine una previsione – contenuta nel n. 1) della disposizione normativa in commento – che ritiene aggravato il caso in cui una delle condotte punite dall'articolo precedente venga perpetrata mediante violenza, minaccia o inganno. Qui pacificamente violenza e minaccia sono modalità alternative di concretizzazione della medesima ipotesi di coercizione; la loro contemporanea realizzazione non muterà allora l'unicità dell'ipotesi circostanziale. L'inganno è invece una modalità realizzativa aggravata che – postulando non la coercizione, bensì la maliziosa captazione della volontà – risulta inconciliabile con la forma di manifestazione violenta o minacciosa.

In evidenza

La circostanza aggravante dettata dal n. 4 dell'art. 4 resta integrata allorquando la persona che si prostituisce è affidata al reo per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o di custodia; essa ha natura soggettiva (essendo tale ipotesi fondata sulla relazione esistente fra il colpevole e la prostituta) ed unitaria, nonostante la plurima genesi delle fonti dell'affidamento (in dottrina LA CUTE, voce Prostituzione, in Enciclopedia del diritto, XXXVII, Milano, 1988).

Le pene accessorie

L'art. 6 l. 75/1958, derogando ai limiti di pena dettati dagli artt. 28 e 29 c.p., sancisce che coloro i quali siano stati riconosciuti responsabili di uno dei delitti, consumati o tentati, indicati dalle disposizioni precedenti – quale che sia stata la pena riportata ed una volta che quest'ultima sia stata interamente espiata – debbano essere assoggettati alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, per un periodo variabile da due a venti anni. È altresì prevista la ulteriore pena accessoria dell'interdizione dagli uffici della tutela e della curatela.

In evidenza

Le pene accessorie previste dall'art. 6 l. 75/1958 trovano applicazione anche nel caso di condanna per il delitto di prostituzione minorile tipizzato dall'art. 600-bis c.p., rappresentando quest'ultimo niente altro, se non una ipotesi aggravata – in quanto perpetrata in danno di persona minore di età - dei reati attinenti alla prostituzione (Cass. pen., Sez. III, 17844/2008).

Casistica in tema di prostituzione

Casa di prostituzione

art. 3, comma 2, n. 1) l. 20 febbraio 1958, n. 75

Il Supremo Collegio ha chiarito come il modello legale ex art. 3 n. 1) l. 75/1958 postuli l'esistenza di una casa di prostituzione, da intendersi anzitutto quale luogo caratterizzato dalla compresenza di più persone che ivi esercitino l'attività del meretricio, con la correlata possibilità – per una moltitudine indifferenziata di fruitori – di entrare liberamente in tale luogo (Cass. III, n. 13005/2014).

In una risalente pronuncia, la Corte aveva altresì già delineato la nozione di casa di prostituzione, precisando la non necessità sia di strutture organizzate, sia della predisposizione di locali; aveva infatti chiarito la sufficienza – ai fini dell'integrazione del reato – dell'esistenza di un luogo chiuso e noto, all'interno del quale fosse consentito a chiunque accedere e ottenere prestazioni sessuali dietro corresponsione di una mercede (Cass. pen., Sez. III, n. 2796/1997).

Locazione di immobile al fine di esercizio di casa di prostituzione.

Art. 3, comma 2, n. 2) l. 20 febbraio 1958, n. 75

Il delitto consistente nel concedere in locazione un immobile destinato all'esercizio della prostituzione è connotato dal dolo generico; la norma infatti non postula che l'esercizio della prostituzione rientri fra gli scopi della condotta del locatore, bensì unicamente che quest'ultimo si risolva a porre i locali nella disponibilità altrui, pur essendo ben a conoscenza dell'utilizzo che poi degli stessi si andrà a fare (Cass. pen.,Sez. VI, n. 27976/2014).

Il reato de quo però non si realizza, nel caso in cui il soggetto agente, avendo la proprietà o l'amministrazione di un immobile, lo conceda in locazione – pur nella consapevolezza dell'uso al quale esso sarà adibito – ad una sola meretrice; ciò in quanto il concetto di casa di prostituzione postula comunque una struttura organizzativa anche minimale della prostituzione, alla quale è inevitabilmente connessa l'esistenza di una moltitudine di persone dedite a tale attività (Cass. pen., Sez. III, n. 8600/1999; in motivazione la Corte ha però spiegato come il locatore possa eventualmente essere incolpato dell'ipotesi di favoreggiamento della prostituzione, ex art. 3 n. 8).

La tolleranza della prostituzione

Art. 3 comma 2 n. 3) l. 20.2.1958, n. 75

Perché si possa configurare il reato di tolleranza abituale dell'altrui prostituzione in capo al gestore di un albergo, non è richiesto che la condotta rivesta un connotato di abitualità. È infatti solo necessario che vi sia un comportamento permissivo – da parte del titolare dell'esercizio alberghiero – e che tale condotta si ripeta in un congruo numero di casi; è poi indispensabile che tale tolleranza si riveli causalmente efficiente a consentire che persone ospiti dell'albergo possano esercitare il meretricio (Cass. III, n. 8037/2012).

Non risponde del reato in esame colui che tolleri pur abitualmente l'attività di prostituzione, svolta all'interno di appartamenti privati, rilevando esclusivamente l'acquiescenza rispetto al meretricio svolto in immobili aperti al pubblico o comunque utilizzabili da una comunità indistinta di soggetti (Cass. pen., Sez. III, n. 7076/2012).

Il reclutamento e l'agevolazione.

Art. 3 comma 2 n. 4) l. 20.2.1958, n. 75

Il delitto di reclutamento di prostituta postula che il soggetto agente provveda a collocare la vittima nella disponibilità di chi voglia poi ricevere un vantaggio dall'attività prostitutiva; tale profilo vare a differenziare l'ipotesi del reclutamento da quella della induzione, nella quale è invece richiesto che l'agente espleti – onde convincere la persona a prostituirsi – un'opera di persuasione ovvero di rinsaldamento un preesistente proposito (Cass. pen., Sez. III, n. 11835/2007).

La condotta di chi attivi utenze radiomobili e provveda ad inviare materiale erotico (segnatamente, si trattava di video ritraenti la moglie dell'imputato), in cambio della ricezione di ricariche telefoniche effettuate dai clienti, in precedenza indotti a chattare con la donna ed a richiedere l'invio del materiale pornografico, non integra gli estremi del reato di agevolazione della prostituzione (Cass. pen., Sez. III, n. 1164/2012).

Induzione alla prostituzione

Art. 3 comma 2 n. 5) l. 20.2.1958, n. 75

Il tentativo di induzione alla prostituzione è astrattamente configurabile. Posto infatti che la fattispecie in esame resta integrata attraverso il compimento di condotte volte a far scemare la naturale ritrosia di ordine morale, che funge da freno inibitore rispetto allo svolgimento dell'attività sessuale remunerata, l'iter criminis deve reputarsi scindibile in una pluralità di atti singoli, tra loro legati da una pur minimale forma di continuità. Nel corso dunque di tale frazionata opera di consiglio e convincimento, non vi sono ostacoli teorici, nel riscontrare la possibile sussistenza di atti idonei diretti in modo non equivoco al compimento del reato (Cass. pen., Sez. III, 5866/2013).

Induzione a recarsi all'estero – o comunque in luogo diverso da quello di abituale residenza – al fine di esercitare la prostituzione.

Art. 3 comma 2 n. 6) l. 20.2.1958, n. 75

Secondo il Supremo Collegio, integra gli elementi costitutivi del reato di reclutamento di prostitute qualsivoglia condotta – pur se di scarsa diffusività – che si riveli comunque atta a individuare e ingaggiare persone, che vengano persuase a trasferirsi in luoghi diversi, onde esercitarvi il meretricio; la condotta di persuasione ovviamente postula che vengano rappresentati, alle persone interessate al reclutamento, i vantaggi derivanti dall'attività sessuale mercenaria (Cass. pen., Sez. III, n. 12999/2014; nella concreta fattispecie trattavasi di donne avviate all'esercizio della prostituzione in una nazione diversa da quella di origine).

Si concretizza il reclutamento allorquando taluno ponga la vittima nella disponibilità di altri soggetti, i quali si prefiggano di trarre vantaggio dall'attività di meretricio. La norma esige dunque la realizzazione di una attività – pur se di modesta entità – di individuazione e convincimento delle persone, che vengano in tal modo convinte a recarsi all'estero (o anche in luogo diverso da quello di residenza), al fine di fornire a pagamento prestazioni sessuali ad una pluralità indistinta di soggetti (Cass. pen., Sez. III, n. 15217/2016)

Attività svolta all'interno di associazioni o organizzazioni.

Art. 3 comma 2 n. 7) l. 20.2.1958, n. 75

Il reato di associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di delitti attinenti alla prostituzione e l'ipotesi di cui all'art. 3, n. 7 l. 75/1958 possono concorrere. Quest'ultima fattispecie, infatti, non integra un delitto di tipo associativo, bensì postula che siano poste in essere attività di agevolazione o favoreggiamento operando all'interno di una preesistente organizzazione delinquenziale. Vengono dunque tipizzate condotte che incrementano l'operatività di una associazione criminosa già esistente (Cass. pen., Sez. IV, n. 39052/2016).

Il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione

Art. 3 comma 2 n. 8) l. 20.2.1958, n. 75

Il delitto di favoreggiamento della prostituzione è ravvisabile in ogni condotta avente un carattere non occasionale e che sia tale da favorire comunque l'altrui prostituzione; trattasi di fattispecie solo eventualmente abituale, potendosi essa realizzare anche attraverso un unico episodio di agevolazione (Cass. pen., Sez. III, n. 23679/2016; nella concreta vicenda, l'imputato aveva accompagnato e prelevato la prostituta laddove questa attendeva i clienti e si era ripetutamente colà intrattenuto, anche perlustrando la zona).

L'inserimento su un sito web di annunci che pubblicizzino la disponibilità di donne allo svolgimento di incontri sessuali costituisce favoreggiamento della prostituzione, purché a tale condotta si uniscano attività ulteriori (ad esempio interessarsi dell'inserimento di foto della donna), che siano indirizzate a rendere attraente la proposta e così ad agevolare il gradimento da parte di un maggior numero di potenziali clienti (Cass. pen., Sez. III, n. 26343/2009).

Accompagnare in macchina la meretrice laddove ella eserciti tale attività, integra gli estremi del delitto di favoreggiamento della prostituzione, a patto però che tale condotta appaia strettamente funzionale ad agevolare l'altrui prostituzione. Conclusione alla quale può pervenirsi in forza del collegamento fra elementi evocativi, quali possono ad esempio essere la non episodicità del fatto o lo svolgimento di funzioni ulteriori rispetto alla semplice conduzione in loco, quale può ad esempio essere la sorveglianza o la messa a disposizione del veicolo per lo svolgimento degli incontri sessuali (Cass. pen., Sez. III n. 37299/2013).

Secondo Cass. I, n. 7972/2016, il delitto di sfruttamento della prostituzione giunge a consumazione – in tal modo delineandosi la competenza territoriale - laddove il soggetto attivo tragga vantaggio dall'altrui attività di meretricio, non rilevando il luogo nel quale invece la vittima si prostituisca.

Secondo Cass. pen., Sez. III, n. 28042/2016, integra gli estremi del reato di sfruttamento della prostituzione la condotta tenuta da chi della prostituta stessa sia coniuge o convivente, allorquando questi – essendo pienamente conscio dell'attività sessuale retribuita svolta dalla meretrice – ottenga, pur se parzialmente, i mezzi di sussistenza proprio da tali proventi. Il delitto sussiste anche nel caso in cui vi sia – ad opera della persona che si prostituisce – una dazione spontanea di denaro o di altre utilità, finalizzata proprio ad offrire un contributo al bilancio del nucleo familiare.

Prostituzione minorile. Struttura del reato

Il modello legale ex art. 600-bis c.p. è costruito quale reato comune, come dimostra l'utilizzo del termine chiunque per indicarne l'autore. La condotta tipizzata dal primo comma della norma è delineata in maniera alternativa, secondo che – nei confronti sempre di persona ultraquattordicenne ma infradiciottenne – vengano compiuti fatti di reclutamento o di induzione alla prostituzione (n. 1), ovvero se ne favorisca, sfrutti, gestisca o organizzi l'attività di meretricio (n. 2). Trattasi, come detto, di previsioni tra loro disgiunte; il solo fatto di reclutamento deve ritenersi sorretto dal dolo specifico (coscienza e volontà di reclutare minorenni, al fine specifico di far loro compiere atti di prostituzione), dovendosi invece considerare le altre ipotesi tutte accomunate dall'essere a dolo generico. La dizione di atti sessuali presente nella lettera della legge deve qui intendersi secondo una accezione estremamente ampia, giungendo essa a comprendere ogni contatto fisico – pur se repentino ed estemporaneo – con zone erogene del proprio o dell'altrui corpo.

Il secondo comma rappresenta una previsione incriminatrice a carattere residuale, visto che si apre con una clausola di riserva, sussunta nell'espressione «salvo che il fatto costituisca più grave reato». Qui viene sanzionato il fatto di commettere atti sessuali con soggetto ultraquattordicenne ma infradiciottenne, remunerando tale attività mediante la dazione di denaro o di altra utilità, o anche solo promettendo un corrispettivo per l'attività sessuale (dunque stabilendo comunque un sinallagma, fra il fatto sessuale ed una qualsivoglia forma di ricompensa). È pacificamente da escludere che il dettato normativo esiga il connotato della reiterazione o abitualità nella condotta punita, che può pertanto essere integrata anche mediante un singolo episodio; parimenti estranea alla formulazione codicistica in esame è la circostanza che la persona minore di età, con la quale vengano compiuti tali atti, sia o meno già adusa al meretricio.

Consumazione e tentativo

Occorre ovviamente operare dei distinguo fra le varie previsioni incriminatrici; in particolare:

  • la condotta consistente nel reclutamento integra un reato di pericolo, che resta consumato laddove si compia l'atto sessuale retribuito; il tentativo – sebbene ipotizzabile in astratto – pare di difficile realizzazione pratica;
  • l'induzione di minorenne alla prostituzione è invece un reato di evento, che postula la materiale perpetrazione di un atto di prostituzione (ne rimangono quindi esclusi i semplici suggerimenti, laddove non corredati da vere e proprie coercizioni psichiche); nessun dubbio, circa la configurabilità del tentativo;
  • la condotta di favoreggiamento giunge a consumazione nel momento e nel luogo in cui venga compiuta la singola attività idonea a favorire l'altrui prostituzione; essa ammette il tentativo;
  • lo sfruttamento si consuma nel momento e nel luogo in cui il soggetto agente percepisca i frutti dell'altrui meretricio; è ammissibile il tentativo;
  • il fatto di organizzare o gestire richiede una pur elementare sistemazione e preparazione dell'altrui attività sessuale retribuita; si tratta inoltre di reato di pericolo, per il quale il tentativo pare di ardua ipotizzabilità;
  • controllare l'altrui prostituzione realizza un reato di danno, che si consuma nel momento e nel luogo in cui si svolga tale attività di supervisione rispetto al meretricio; pare ammissibile il tentativo.

Per ciò che attiene infine alla previsione del secondo comma della norma in esame (compimento di atti sessuali con persona minore di età), il fatto si realizza nel momento e nel luogo in cui vi sia un atto sessuale retribuito, pur se la remunerazione venga fatta oggetto di sola promessa. Il tentativo è agevolmente configurabile in caso di promessa o dazione di retribuzione, cui non faccia seguito il compimento dell'atto sessuale.

Misure di sicurezza

L'art. 609-nonies,comma 3, c.p., come da ultimo modificato ad opera dell'art. 4, comma 1, lett. u), n. 3 l. 1 ottobre 2012, n. 172, prevede – una volta che sia stata espiata la pena e per una durata minima di anni uno – l'applicazione delle seguenti misure di sicurezza personale:

«1) l'eventuale imposizione di restrizione dei movimenti e della libera circolazione, nonché il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati abitualmente da minori; 2) il divieto di svolgere lavori che prevedano un contatto abituale con minori; 3) l'obbligo di tenere informati gli organi di polizia sulla propria residenza e sugli eventuali spostamenti».

È inoltre previsto che: «Chiunque viola le disposizioni previste dal terzo comma è soggetto alla pena della reclusione fino a tre anni».

La ratio della previsione, di portata ampia ed incisiva, è da rintracciare nella volontà del legislatore di impedire che l'autore di determinati reati possa rendersene nuovamente protagonista.

Aspetti processuali

Il reato in esame è procedibile d'ufficio ed è di competenza collegiale. Per esso:

  • le indagini vengono svolte «dall'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente» (art. 51, comma 3-quinquies c.p.p., come introdotto dall'art. 11 l. 18 marzo 2008, n. 48);
  • l'arresto in flagranza è previsto come obbligatorio per il fatto previsto dal primo comma e come facoltativo in relazione alla previsione di cui al secondo comma;
  • il fermo può esser disposto solo in ordine al fatto di cui al primo comma;
  • è consentita l'applicazione di misure cautelari personali e, in particolare, della custodia in carcere;
  • sono consentite le intercettazioni telefoniche e ambientali;
  • l'art. 609-decies c.p. prevede l'obbligo per il procuratore della Repubblica – nel caso proceda per il delitto ex art. 600-bis c.p. - di dare notizia al tribunale dei minorenni;
  • possono disporsi le operazioni di contrasto e sotto copertura ex art. 14,l. 3 agosto 1998, n. 269;
  • l'art. 392, comma 1-bis, c.p.p., anche fuori dalle ipotesi dettate dal primo comma, consente – per i procedimenti instaurati, fra l'altro, ex art. 600-bis c.p. – l'assunzione in incidente probatorio della testimonianza di persona minorenne o di p.o. maggiorenne, nonché all'escussione della vittima che comunque versi «in condizioni di particolare vulnerabilità» (si veda anche il disposto dell'art. 398, comma 5-bis c.p.p.);
  • l'art. 472, comma 3-bis, c.p.p. prevede che, su richiesta della persona offesa, il dibattimento relativo a processi ex art. 600-bis c.p.p. possa svolgersi, anche parzialmente, a porte chiuse; prevede poi lo svolgimento del dibattimento sempre a porte chiuse, in caso di p.o. minorenne;
  • l'art. 498, comma 4-ter c.p.p. detta particolari modalità di svolgimento dell'esame, nel caso in cui la p.o. sia una persona minorenne, ovvero un maggiorenne infermo di mente;
  • il delitto in esame è escluso dall'applicabilità del cd. concordato in appello ex art. 599-bis c.p.p., come inserito dall'art. 1 l. 23 giugno 2017, n. 103;
  • l'art. 16 l. 15 febbraio 1996, n. 66, come novellato dall'art. 15 l. 3 agosto 1998, n. 269 prevede – nei confronti di soggetto imputato ex art. 600-bis c.p. – la sottoposizione a perizia finalizzata alla ricerca di eventuali patologie sessualmente trasmissibili, allorquando le modalità del fatto rendano concreto un rischio di trasmissione delle stesse;
  • l'art. 600-septies.1 c.p., inserito dall'art. 4 co. 1 lett. m) della l. 1 ottobre 2012, n. 172, accorda una decurtazione della pena da un terzo alla metà, in favore del concorrente del reato in commento, il quale – in via alternativa – si adoperi per evitare che l'attività delittuosa giunga a più gravi conseguenze, ovvero fornisca un concreto aiuto per l'individuazione o la cattura dei concorrenti;
  • per le pene accessorie previste in relazione al reato in esame, occorre far riferimento al dettato dell'art. 600-septies.2 c.p.;
  • per il reato in esame non si può accedere al c.d. patteggiamento allargato (art. 444, comma 1-bis, c.p.p.).
Casistica in materia di prostituzione minorile.
  • Si configura l'induzione alla prostituzione minorile anche laddove il minorenne non sia già avviato o aduso al mercimonio del proprio corpo, bastando che l'agente realizzi una condotta – in particolare anche la mera promessa di corresponsione di denaro – che sia atta a superare le resistenze etiche e morali che bloccano la persona offesa dal darsi al meretricio (Cass. pen., Sez. III, n. 18315/2010).
  • Il delitto di induzione alla prostituzione minorile è configurabile nella forma tentata, allorquando vengano posti in essere atti idonei e diretti in modo univoco ad avere rapporti sessuali retribuiti, con ragazze infrasedicenni. In particolare – nella concreta vicenda – il soggetto agente aveva fatto ricorso all'intermediazione di una persona, che era a sua volta organica ad una compagine delinquenziale in grado di ottenere la disponibilità delle minori (Cass. pen., Sez. III, n. 39452/2012).
  • Il cliente di prostituta minorenne non può essere chiamato a rispondere del reato di induzione alla prostituzione, che invece concerne solo l'attività di chi convinca la vittima a concedere favori sessuali retribuiti ad un terzo, che sia a sua volta diverso da chi commette l'induzione (Cass. pen., Sez. unite, 16207/2013).
  • Le condotte di induzione, favoreggiamento e sfruttamento possono agevolmente porsi in relazione di concorso interno, dato che l'art. 600-bis c.p. – anche all'indomani della novella l. 172/2012 – costituisce una norma a più fattispecie, che sono tra loro nettamente differenziate sotto il profilo oggettivo, dunque quanto a condotta e ad evento (Cass. III, n. 19539/2015).
  • La pochezza delle somme di denaro corrisposte al minore – intese peraltro quale ricompensa semplicemente simbolica rispetto al rapporto carnale e non quale prezzo vero e proprio di questo non esclude la configurabilità del reato ex art. 600-bis c.p.. Non importa infatti l'entità della dazione e nemmeno rileva l'interpretazione soggettiva della stessa, quanto piuttosto il fatto oggettivo dell'esistenza di un sinallagma fra spostamento economico e prestazione sessuale (Cass. III, n.55301/2016).
  • Laddove il rapporto sessuale con persona minore di età sia ottenuto – pur in presenza di remunerazione – attraverso una condotta violenta o minacciosa – si configura il delitto di violenza sessuale e non di prostituzione minorile (Cass. III, n. 35476/2016).
Guida all'approfondimento

Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Milano, 1994;

Bertolino, in Commentario breve al codice penale, a cura di Crespi, Stella e Zuccalà, Padova, 1992;

Borrelli, Art. 600 bis c.p., in Codice Penale, diretto da Beltrani, Milano, 2016;

Di Nicola, Art. 609 nonies c.p., in Codice Penale, diretto da Beltrani, Milano, 2016;

La Cute, voce Prostituzione, in Enciclopedia del diritto, XXXVII; Milano, 1988;

Leone, Delitti di prossenetismo ed adescamento, Milano, 1964;

Mangione, voce Pedofilia, in Il Diritto, Enciclopedia Giuridica, 11, Milano, 2007;

Monaco, Commento agli artt. 600 e segg., in Commentario breve al Codice Penale, (a cura di Crespi, Stella e Zuccalà), Padova, 1999;

Monteleone, Lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia nella L. 6 febbraio 2006, n. 38, in Giurisprudenza di Merito, 2007;

Pavoncello, Sabatini, Prostituzione (disposizioni generali in materia di), in Enciclopedia Treccani, XXV, 1991;

Pioletti, Digesto Italiano, voce Prossenetismo, 1995;

Romano, Delitti contro la sfera sessuale della persona, Milano, 2002;

Vassalli, Le norme penali a più fattispecie e l'interpretazione della «legge Merlin», in Studi Antolisei, III, Milano, 1965.

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