Niente compenso al sindaco dalla società fallita
25 Febbraio 2015
La società fallita non deve nessun compenso al sindaco per l'attività svolta: la curatela ha escluso il suo credito per la grave inadempienza con cui ha svolto l'incarico e oltretutto non c'è nessuna clausola statutaria che ne prevede il compenso, né lo stesso è stato stabilito da una delibera assembleare. L'accordo tra le parti, attestato dal regolare pagamento dei compensi degli anni precedenti non ha alcun valore ed è categoricamente esclusa anche l'applicazione dell'art. 2233 c.c. che rimette al giudice la determinazione del compenso in questione. Questa la sintesi del contenuto dell'ordinanza di Cassazione del 23 febbraio scorso, n. 3566, con cui la Suprema Corte conferma il decreto che rigetta l'opposizione allo stato passivo promossa dal sindaco rimasto senza compenso. Come affermato dai Giudici del Tribunale e condiviso da quelli di Cassazione, per ottenere quanto spettante, il professionista avrebbe dovuto attivarsi di più: la determinazione giudiziale del compenso richiede che alleghi “specificatamente” l'attività compiuta e “ne dia prova puntuale”, non bastando, a tal fine, l'avviso di notula prodotto dal sindaco dei fatti di causa “senza dare alcuna prova dell'attività svolta”. E neppure dal pregresso pagamento dell' “unilaterale” richiesta di compenso, si può desumere “univocamente” l'esistenza di un patto preventivo, opponibile al fallimento, dovendo la prova del quantum soggiacere alle tassative condizioni poste dall'art. 2042 c.c., la previsione statutaria o quella derivante da una delibera assembleare. Entrambi mancanti nella fattispecie. |