Responsabilità degli amministratori privi di deleghe

Bianca Caruso
22 Febbraio 2016

Sono responsabili gli amministratori privi di deleghe che colposamente non abbiano rilevato i segnali dell'altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica.
Massima

Sono responsabili gli amministratori privi di deleghe che colposamente non abbiano rilevato i segnali dell'altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica.

Il caso

Avverso il decreto n. 9158/2008 della Corte d'Appello di Roma, la parte ricorrente, amministratore non esecutivo di Banca Italease S.p.A., proponeva ricorso in sede di legittimità al fine di ottenere la cassazione del citato decreto con cui veniva confermato il provvedimento di Banca d'Italia, e la sanzione amministrativa ivi comminata, a carico di tre amministratori non esecutivi della banca per non aver rilevato numerose e gravi irregolarità nella gestione, emerse successivamente in sede di ispezione.

La parte ricorrente basava le sue doglianze su due motivi.

Con il primo motivo, denunziava la violazione e la falsa applicazione della legge n. 689 del 1981 (agli artt. 3 e 12), nonché l'indebita applicazione del testo abrogato dell'art. 2392 c.c.: in particolare, la circostanza che la Procura della Repubblica di Milano, che aveva ravvisato in capo all'amministratore delegato il reato di associazione a delinquere finalizzata a sottrarre denaro alla banca, non avesse mai indagato la parte ricorrente, era indicativa che in capo alla medesima non fosse ravvisabile alcuna colpa; né poteva affermarsi una responsabilità gestoria di tipo oggettivo, avendo la riforma del diritto societario del 2003 eliminato il generico dovere di vigilanza sulla gestione.

Con il secondo motivo, lamentava il travisamento delle prove e l'ingiusta inversione dell'onere probatorio; in particolare, il provvedimento della Banca d'Italia si sarebbe limitato ad elencare una serie di fatti ed a dedurne che gli amministratori, seppur privi di deleghe, non potessero non esserne a conoscenza, senza tuttavia fornire la prova delle proprie deduzioni e con inversione dell'onere probatorio a carico della parte ricorrente.

La questione giuridica

La sentenza analizzata fornisce interessanti spunti per un'analisi del regime di responsabilità degli amministratori privi di deleghe a seguito delle modifiche introdotte con la riforma del diritto societario del 2003.

Il giudice di legittimità trae spunto dalla vicenda per ricostruire il quadro normativo di riferimento, soffermandosi sul testo riformato dell'art. 2392 c.c. In particolare, con l'eliminazione del generico dovere di vigilanza sulla gestione, il legislatore ha inteso chiarire che la responsabilità degli amministratori non esecutivi è una responsabilità colposa (per fatto proprio), al fine di evitare indebite estensioni alla stregua di una responsabilità oggettiva connessa alla carica ricoperta (cfr. Relazione al d. lgs. n. 6/2003, § 6.III.4, secondo cui la nuova norma «[…] tende, pur conservando la responsabilità solidale, ad evitare sue indebite estensioni che, soprattutto nell'esperienza delle azioni esperite da procedure concorsuali, finivano per trasformarla in una responsabilità sostanzialmente oggettiva, allontanando le persone più consapevoli dall'accettare o mantenere incarichi in società o in situazioni in cui il rischio di una procedura concorsuale le esponeva a responsabilità praticamente inevitabili»).

La colpa può consistere nell'inadeguata conoscenza del fatto altrui ovvero nel non essersi il soggetto diligentemente attivato al fine di evitare l'evento.

Soffermandosi ad analizzare la prima delle due ipotesi, oggetto del caso in questione, la colpa dell'amministratore non esecutivo consisterebbe nel non aver rilevato colposamente i sintomi o “segnali d'allarme” dell'altrui illecita gestione, pur essendo questi percepibili con la diligenza della carica. Trattandosi di illecito colposo, infatti, non si richiede la conoscenza effettiva dei detti “segnali”, ma la loro concreta conoscibilità.

Nell'esercizio della sua funzione nomofilattica, poi, la Corte di Cassazione specifica cosa debba intendersi per “conoscibilità”: questa non va valutata basandosi esclusivamente sui flussi informativi tracciati dall'art. 2381 c.c., richiamato dall'art. 2392 c.c., e degli strumenti formali ivi delineati. Al contrario, la conoscibilità può aversi tramite canali informativi diversi e persino quando sussistano segnali che siano in contrasto con le informazioni rese dagli amministratori esecutivi a norma dell'art. 2381, comma 6, c.c.. In altri termini, secondo l'opinione della Corte, agli amministratori privi di deleghe si richiede, non soltanto di essere passivi destinatari delle informazioni rese sua sponte dall'organo delegato, ma anche di attivarsi per richiedere dette informazioni, anche al di fuori dei canali espressamente previsti dalla norma, in particolare qualora sussistano indici inequivocabili, “campanelli di allarme”, del fatto illecito degli organi delegati. In questo si articolerebbe, secondo il giudice di legittimità, il dovere di agire informato di cui all'ultimo comma dell'art. 2381 c.c.

Tale obbligo diventa ancora più pregnante nell'ambito di società bancarie. In quest'ultimo caso, infatti, la rilevanza pubblicistica degli interessi protetti dalla normativa bancaria, così come la stringente normativa di settore, che richiede requisiti di professionalità elevanti, non possono che esigere un regime di responsabilità altrettanto severo (cfr. Cass. 5 febbraio 2013, n. 2737, richiamata dalla pronuncia in esame).

Quanto al profilo probatorio, infine, il giudice di legittimità specifica che spetta al soggetto che afferma la responsabilità allegare e provare, a fronte dell'inerzia degli amministratori privi di deleghe, l'esistenza di segnali d'allarme che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo. Assolto tale onere, è invece onere degli amministratori provare di aver tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna che abbia reso non percepibili i predetti segnali d'allarme. In materia di sanzioni amministrative, tuttavia, in linea con la copiosa giurisprudenza in argomento, opera una presunzione di colpa con conseguente inversione dell'onere della prova.

La sentenza in esame si pone certamente in contrasto con quell'opinione dottrinale che, basandosi sulla ratio della riforma sopra illustrata, nonché su un'interpretazione strettamente letterale dell'art. 2381 c.c., ha inteso la stessa come volta a rendere gli amministratori non esecutivi meri destinatati “passivi” dei flussi informativi ivi previsti (cfr. Bonelli, Prefazione, in Ambrosini (a cura di), La responsabilità di amministratori, sindaci e revisori contabili, Milano, 2007): secondo tale opinione dottrinale, infatti, la loro responsabilità sorgerebbe solo all'esito della mancata reazione a fatti pregiudizievoli che gli stessi organi delegati decidessero di portare a conoscenza dell'organo consiliare, laddove l'unico obbligo di vigilanza “attivo” si avrebbe, invece, ai sensi dell'art. 2381, comma 6. Al di là della facoltà di richiedere informazioni in seno al consiglio, nessun onere di autonoma attivazione può rinvenirsi in capo agli amministratori deleganti (cfr. A. Rossi, Responsabilità degli amministratori verso la società per azioni, in Ambrosini (a cura di), La responsabilità di amministratori, sindaci e revisori contabili, cit., 25; Id., sub art. 2392 c.c., in Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società, Padova, 2005, vol. I, 805 ss.; del medesimo orientamento anche, Irrera, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, 2005, 255, e Id., Amministratori delegati, in Enc. Giur., Milano, 2007, vol. I, 312; Abriani, Le azioni di responsabilità nei confronti degli organi della società fallita, in Campiani (a cura di), La riforma del diritto fallimentare, Napoli, 2008, 163 ss; Barachini, La gestione delegata nella società per azioni, Torino, 2008, 124).

A ben vedere, la stessa sembra persino superare l'impostazione dell'opposto filone dottrinale che ravvisa nella nuova normativa un rafforzamento del regime di responsabilità degli amministratori deleganti.

Secondo tale posizione dottrinale, l'art. 2392 c.c. specificherebbe i doveri informativi degli amministratori non esecutivi tramite il richiamo all'art. 2381, comma 3 c.c., che impone all'organo collegiale la verifica dell'adeguatezza degli assetti societari, la pianificazione dell'attività sociale e il generale andamento della gestione (cfr. De Crescienzo, Gli amministratori nel sistema tradizionale, in Cagnasso - Panzani (diretto da), Le nuove S.p.A., 2010, 831 s.). Inoltre, sebbene il dovere di attivazione del consiglio sia principalmente legato alle informazioni ricevute dai delegati, l'ultimo comma dell'art. 2381 c.c., impone a ciascuno dei suoi membri il dovere di agire informato. In forza di tale previsione, ogni amministratore ha la facoltà – che si traduce in un obbligo – di chiedere informazioni integrative e/o aggiuntive agli organi delegati, ove ciò sia necessario o anche solo opportuno al fine di consentire una completa e corretta valutazione dei fatti portati all'attenzione del consiglio e l'assunzione di scelte informate (cfr. Zanardo, Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nella società per azioni, 2010, 89 s., che richiama il commento al principio n. 1 del Codice di Autodisciplina che esplicita detto principio per le società quotate). In altri termini, il dovere di agire informato si tradurrebbe nella facoltà di chiedere ulteriori chiarimenti su una determinata operazione in consiglio o di esprimere un dissenso motivato o, ancora, sempre in seno al consiglio, di richiedere di esaminare i documenti a supporto dell'operazione, essendo quanto meno dubbia l'ammissibilità di ulteriori o diverse iniziative del singolo amministratore, quali ispezioni o richieste di informazioni a dirigenti o altri dipendenti della società (cfr. Crespi, Note minime sulla posizione di garanzia dell'amministratore delegante nella riforma introdotta dal d. lgs. n. 6/2003, in Riv. Soc., 2009, 1419 ss.; De Nicola, cit., 561 ss.; in tal senso anche Vassalli, sub 2392 c.c., in Niccolini - Stagno D'Alcontres (a cura di), Società di capitali, 2004, Napoli, 679 s.).

Analizzando attentamente l'iter logico delineato nella sentenza, invece, il giudice di legittimità, facendo leva sul concetto di “conoscibilità”, sembra andare oltre il dettato normativo, affermando che il dovere di informazione attiva non è solo (rectius: tanto) quello delineato nell'art. 2381 c.c., ma si sostanzia nel reperimento di informazioni attraverso ulteriori canali, non predeterminati nella norma.

Conclusioni

La sentenza in esame risulta certamente innovativa, innanzitutto in quanto si tratta della prima pronuncia edita sulla responsabilità civile degli amministratori non esecutivi post riforma; in secondo luogo in quanto, pur muovendo dal disposto di cui all'art. 2381, commi 3 e 6, c.c., compie poi un ulteriore sforzo interpretativo, facendo leva sul concetto di “conoscibilità”.

La stessa, con un'interpretazione non immune da possibili critiche, si spinge ad ampliare i confini della norma fino a mettere in discussione le modifiche introdotte nel 2003: ovvero, l'eliminazione del dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione, quale controllo continuo e integrale sull'attività dei delegati, e la rimodulazione dei doveri degli amministratori al fine di evitare indebite estensioni della loro responsabilità (si vedano, sul punto, Spiotta, Commento all'art. 2392, in Cottino (diretto da), Il nuovo diritto societario, 2004, vol. II, 772 ss.; Crespi, Note minime sulla posizione di garanzia dell'amministratore delegante nella riforma introdotta dal d. lgs. n. 6/2003, in Riv. Soc., 2009, 1419 ss.; De Nicola, cit., 561 ss.).

Oggi, il principio dettato dalla Corte rischia in qualche misura di neutralizzarne l'effetto: se già in passato non è mancato chi abbia equiparato il dovere di agire informato al vecchio dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione (cfr. Nazzicone, sub art. 2392, in Lo Cascio (a cura di), La riforma del diritto societario, 2003, 189), alla luce della sentenza in esame, tale equiparazione sembra più che mai attuale. Tanto più è dilatato il concetto di conoscibilità, e quindi il dovere di agire informato, quanto più il confine tra il vecchio e il nuovo regime di responsabilità si assottiglia.

Non pare, tuttavia, porsi in dubbio che la Corte non abbia in animo un ritorno al preesistente sistema normativo: la conoscibilità, come intesa nel caso di specie, non deve considerarsi strumento per l'affermazione di una responsabilità oggettiva, quanto, criterio rilevatore – attraverso gli indici sopra accennati – della responsabilità per colpa.

La reale portata di tale principio dipenderà, in ogni caso, dall'interpretazione che in concreto ne daranno le corti di merito.

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