La liquidazione del danno nelle azioni di responsabilità contro gli amministratori
09 Ottobre 2015
Con la sentenza n. 19733 depositata il 2 ottobre 2015, la Corte di Cassazione torna sul tema del c.d. criterio del deficit fallimentare, quale metodo per la liquidazione del danno subito dalla società fallita in caso di azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. Il caso. Il curatore fallimentare di una s.r.l. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Grosseto il socio ed amministratore unico della società fallita per sentirlo dichiarare responsabile della violazione del divieto imposto dall'art. 2449 c.c. relativo al compimento di nuove operazioni sociali dopo che si sia verificata la causa di scioglimento della società della riduzione per perdite del capitale sociale al di sotto del minimo legale. Veniva inoltre chiesto il risarcimento del danno subito dalla società, quantificato come differenza tra il passivo e l'attivo fallimentare, domanda accolta dal giudice di prime cure con provvedimento confermato poi dalla Corte d'appello di Firenze. Avverso tale pronuncia, il convenuto ricorre innanzi alla Corte di Cassazione con plurimi profili di doglianza. Deficit fallimentare e causalità materiale. Premessa l'inammissibilità dei motivi afferenti a presunti vizi procedurali e di altri considerati generiche censure di fatto, la Suprema Corte analizza le doglianze relative alla liquidazione del danno, determinato dal giudice di merito secondo il criterio del deficit fallimentare. Secondo il ricorrente tale criterio viola il principio generale di causalità materiale secondo cui, salvo i casi di responsabilità oggettiva, ognuno risponde unicamente per fatti propri ed a lui riferibili, quindi nella specie per le singole operazioni dannose da lui effettuate dopo il verificarsi della causa di scioglimento della società. Oltre a ciò, il ricorrente lamenta il presupposto su cui si fonda la pronuncia impugnata e cioè l'assunto «contrario a logica ed ingiustificato» secondo cui dall'esistenza di un modesto netto patrimoniale positivo all'inizio della sua gestione, si possa desumere tout court che lo sbilancio fallimentare successivo sia a lui interamente attribuibile. Fallimento e responsabilità dell'amministratore: nessun automatismo. Ripercorrendo l'evoluzione giurisprudenziale sul tema, la Corte di legittimità riconosce fondate le censure poiché la sentenza impugnata si discosta dagli orientamenti consolidati, il cui più recente arresto è costituito dalla sentenza n. 9100/2015. In quell'occasione le Sezioni Unite hanno affermato l'impossibilità di applicare automaticamente il criterio di liquidazione basato sul deficit fallimentare, ammettendo però il ricorso a tale criterio se basato sul confronto tra la situazione patrimoniale della società all'inizio della gestione del ricorrente e quella al momento della dichiarazione di fallimento, verificando se, e per quali ragioni, l'insolvenza sarebbe conseguenza delle condotte gestionali del predetto. Gravità dell'inadempimento dell'amministratore. La presenza di perdite non può infatti essere considerata per sé sola un sintomo della violazione dei doveri gravanti sull'amministratore. Gli inadempimenti che astrattamente potrebbero produrre un danno alla società corrispondente all'intero deficit accertato in sede concorsuale, vengono individuati dalle SS.UU. in violazioni del dovere di diligenza così generalizzate da far ritenere che, proprio a causa di tali condotte, l'intero patrimonio sia stato eroso, ovvero in comportamenti qualificabili come la causa stessa del dissesto sfociato nella dichiarazione di fallimento. In assenza di adeguata motivazione su tali profili, il ricorso deve trovare accoglimento e la sentenza essere cassata con rinvio alla Corte fiorentina per un nuovo esame dei fatti nel rispetto dei principi richiamati. |