La continuità aziendale e i principi contabili: conseguenze della non corretta applicazione sulle procedure di gestione della crisi di impresa

Giuliano Buffelli
01 Aprile 2015

Uno tra gli aspetti più rilevanti, e più delicati, nella gestione della crisi d'impresa è la valutazione della continuità aziendale, elemento imprescindibile qualora si decida di ricorrere agli istituti del concordato ex art. 186 bis l. fall, del piano attestato di cui all'art. 67, comma 3 lett. d) l. fall., ovvero degli accordi di ristrutturazione del debito. L'Autore, partendo dalla definizione del c.d. postulato della continuità aziendale, compie una disamina in merito alla sua applicazione alla luce dei principi contabili (in particolare per questa specifica ipotesi si fa riferimento all'OIC 15) e a quali possano essere le conseguenze a fronte di una sua errata valutazione.
Il postulato della continuità aziendale

Nella gestione delle crisi di impresa uno dei punti di maggior rilevanza riguarda la valutazione del c.d. postulato della continuità aziendale e cioè della capacità dell'impresa di operare come entità funzionante nella prospettiva della continuazione dell'attività per almeno 12 mesi (cap. 7 OIC 5), posto che ben diversi sono i criteri di valutazione da adottare a seconda del segno, positivo o negativo, del risultato.

Le fonti normative di riferimento si rinvengono:

⋅ nell'art. 2423-bis, n. 1, c.c.;

⋅ nel principio contabile 11 “Bilancio d'esercizio – finalità e postulati”;

⋅ nell'OIC 5 (bilanci di liquidazione) scopo e contenuto;

⋅ nel documento n. 570 della Commissione paritetica per la statuizione dei principi di revisione;

⋅ nei paragrafi 23-24 dello IAS 1, per le società che redigono il proprio bilancio in base agli IAS.

Per il caso di esercizio provvisorio, l'OIC 5 prevede poi, per l'aspetto temporale, regole particolari, peraltro applicabili anche alle procedure pre-concorsuali e concorsuali di gestione delle crisi.

Rilevanti conseguenze discendono dalla valutazione negativa del postulato in oggetto. In tal caso, infatti, in base all'OIC 5, “... il patrimonio della società ... cessa di essere un complesso produttivo destinato alla creazione di reddito e si trasforma in un coacervo di beni destinati ad essere realizzati separatamente o a gruppi sul mercato ...”.

Ciò comporta, sempre sulla base del citato OIC: che “Il criterio di valutazione delle attività dunque, non può essere, come per il bilancio di esercizio, il costo storico ... bensì il valore di realizzo per stralcio dei beni ed il valore di realizzo dei crediti al netto degli oneri diretti di realizzo”.

“Per quanto riguarda le passività, parimenti si adotta un unico criterio: il valore di estinzione dei debiti ... che come si vedrà, può essere maggiore o minore del valore nominale”.

È dunque di estrema rilevanza il problema dell'individuazione dei sintomi che possono far dubitare delle prospettive di continuità. E puntualmente l'OIC 5, richiamando il principio di revisione 570, “continuità aziendale”, dell'ottobre 2007, raccomandato da Consob, evidenzia una serie di eventi che singolarmente o nel loro complesso possono far sorgere perplessità sulla persistenza di quel requisito, della cui carenza quindi si pongono come indicatori, sotto diversi profili.

Gli indicatori più significativi sono i seguenti: “Indicatori finanziari

(a) situazione di deficit patrimoniale o di capitale circolante netto negativo;

(b) prestiti a scadenza fissa e prossimi alla scadenza senza che vi siano prospettive verosimili di rinnovo o di rimborso; oppure eccessiva dipendenza da prestiti a breve termine per finanziare attività a lungo termine;

(c) indici economico-finanziari negativi o in costante peggioramento;

(d) consistenti perdite di esercizio;

(e) mancanza o discontinuità nella distribuzione dei dividendi;

(f) impossibilità di saldare i debiti e di incassare i crediti alla scadenza;

(g) difficoltà nel rispettare le clausole contrattuali dei prestiti;

(h) cambiamento di atteggiamento dei fornitori per concessione di credito e pagamento alla consegna;

(i) incapacità di ottenere finanziamenti necessari per lo sviluppo di nuovi prodotti ovvero per altri investimenti necessari.

Indicatori gestionali

a) dimissioni dei consiglieri e dei sindaci;

b) perdita di personale a livello dirigenziale senza che sia sostituto;

c) perdita di mercati fondamentali; di franchising, di concessioni o di fornitori importanti;

d) difficoltà nell'organico del personale o scarsità di rifornimenti fondamentali.

Altri indicatori

a) capitale ridotto al di sotto dei limiti legali;

b) termine della durata statutaria senza previsione di prolungamento;

c) contenziosi legali e fiscali che in caso di soccombenza potrebbero portare a condanne che l'impresa non è in grado di sopportare;

d) modifiche legislative o iniziative governative sfavorevoli all'impresa;

e) sopravvenuta mancanza dei requisiti per il mantenimento delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento dell'attività sociale prevalente”.

Tuttavia, la rilevanza di tali segnalatori, ai fini dell'individuazione del momento in cui occorre abbandonare i criteri di funzionamento per adottare quelli di liquidazione non può essere ritenuta assoluta, tanto che l'OIC 5 evidenzia che alcuni fra quelli sopra elencati “... non sono idonei a segnalare l'esistenza attuale di una situazione di insolvenza o di una situazione di crisi nel significato attribuito a tali espressioni dalle disposizioni della legge fallimentare ..... ( è questo ad esempio, il caso di tutti gli indicatori gestionali e del secondo e terzo degli altri indicatori, oltre che di alcuni degli indicatori finanziari, come il settimo, il penultimo e l'ultimo)”.

Riflessi del postulato enunciato sulla gestione delle crisi

Sul punto occorre distinguere la gestione delle crisi in ambito pre-concorsuale da quelle in ambito concorsuale.

Appartengono alla prima categoria:

⋅ Il piano attestato ex art. 67, comma 3, lett. d), l. fall.

È un atto totalmente privatistico di natura unilaterale (da parte dell'imprenditore), che può anche essere – è consigliabile! – contrattualizzato.

Dopo la modifica apportata all'art. 88 TUIR dal D.L. 83/2012, convertito nella legge 134/2012, può avere finalità sia liquidatorie, che di recupero dell'impresa, che miste.

⋅ Gli accordi di ristrutturazione del debito ex art. 182-bis l. fall.

Si tratta di una procedura che ha natura giuridica privatistica nella sua fase genetica, pre-giudiziale, alla quale la successiva omologazione del tribunale conferisce il crisma della giudizialità quoad effectum e che tuttavia mantiene aspetti privatistici anche durante la fase dell'esecuzione.

A seconda della situazione e delle prospettive, gli accordi di ristrutturazione si possono sostanziare in tre ipotesi applicative, che prevedono rispettivamente:

- il recupero totale dell'impresa;

- il recupero solo parziale dell'impresa e la contemporanea cessione dei beni non strategici;

- la completa liquidazione dell'impresa.

Nell'ambito della seconda categoria, caratterizzata dalla concorsualità, il solo istituto che se ne occupi è il concordato preventivo.

Tornando al postulato della continuità aziendale, per quanto concerne i due istituti di natura pre-concorsuale sopra ricordati, occorrerà verificarne l'operatività sulla base dei piani di risanamento. Sicché, nel caso in cui il piano preveda una forma mista – in cui, ad esempio, un ramo di azienda viene dismesso e l'altro venga continuato – ai sensi dell'OIC 5 il citato postulato non avrà rilevanza per il ramo cessato mentre manterrà piena operatività per l'entità che continua l'attività di impresa.

Per quanto invece, nel diverso ambito concorsuale, riguarda la fattispecie del concordato con “continuità aziendale” di cui all'art. 186-bis l. fall., il richiamato postulato ricorrerà sicuramente nel caso di prosecuzione dell'attività da parte dello stesso debitore. Invece, nelle altre fattispecie previste dalla norma, della “cessione” dell'azienda o del suo “conferimento”, la definizione della legge fallimentare si discosta da quella più strettamente civilistica e dai principi contabili, con la conseguenza che dovranno essere applicati i diversi criteri di valutazione di cui si è detto in precedenza sub 1.

La corretta applicazione delle regole di valutazione sarà in primo luogo verificata dallo stesso professionista attestatore del piano e troverà ulteriore filtro nell'intervento del collegio sindacale, se esistente, ai sensi della norma di comportamento n. 11 del CNDEC del dicembre 2011. Spetterà al commissario giudiziale il controllo finale.

Conseguenze della non corretta applicazione del postulato della continuità e, più in generale, dei principi contabili

Va preliminarmente ricordato che l'art. 20 della legge 116/2014 ha integrato il D.Lgs. n. 38/2005 (Esercizio delle opzioni previste dall'art. 5 del regolamento CE n. 1606/2002 in materia di principi contabili internazionali) introducendo l'art. 9-bis, dal titolo “Ruolo e funzioni dell'organismo italiano di contabilità”.

La norma ha particolare rilevanza, anzitutto perché ha conferito riconoscimento giuridico all'OIC quale istituto nazionale per i principi contabili e poi perché prevede che esso, fra l'altro:

⋅ emani principi contabili nazionali per la redazione dei bilanci secondo le disposizioni del codice civile;

⋅ fornisca supporto al Parlamento e agli organi governativi in materia di normativa contabile.

Vi è inoltre precisato che, nell'esercizio delle sue funzioni, l'OIC persegue finalità di ordine pubblico; e ciò si traduce nel pieno riconoscimento della valenza normativa delle sue statuizioni.

Occorre anche aggiungere che nel corso del 2014, con decorrenza dal bilancio del relativo esercizio, sono stati revisionati ben venti principi contabili, con disposizioni che, alla luce di quanto precede, assumono ancora maggiore rilevanza, anche se, per la verità, la giurisprudenza era già da tempo pervenuta alle medesime conclusioni, in particolare nel caso di impugnazione di bilancio.

E va infine segnalato che la non corretta applicazione dei principi contabili in genere, e del postulato della continuità, possono portare all'impugnativa del bilancio ai sensi dell'artt. 2621 e segg. c.c.

Nell'ambito della gestione pre-concorsuale delle crisi – affidata, come si è detto in precedenza, al piano attestato o agli accordi di ristrutturazione dei debiti, istituti entrambi di natura privatistica – troveranno applicazione le vigenti disposizioni civili e penali.

Per la procedura di concordato preventivo, invece, nel caso di bilanci non correttamente formulati, perché interessati da sopravvalutazioni dell'attivo o da sottovalutazioni del passivo, occorrerà fare riferimento all'art. 173 l. fall. Sempre nel concordato preventivo, inoltre, poiché, come noto, secondo la giurisprudenza unanime, le valutazioni dell'attestatore attengono alla fattibilità economica mentre l'approvazione o meno della proposta compete ai creditori, nel caso di enunciazioni non veritiere il tribunale potrà verificare la fattibilità o meno della procedura – rectius, del piano – fino al momento dell'omologazione (Cass. S.U., 1521/2013).

Queste considerazioni partono dal presupposto che nel corso della procedura di concordato e fino al giudizio di omologazione il tribunale debba controllare che i creditori siano stati posti in condizione di esprimere un voto informato e consapevole, per avere ricevuto dalla domanda, dal piano, dalla sua attestazione e dalla relazione del commissario giudiziale informazioni corrette ed esaurienti, che consentano loro di valutare realisticamente la convenienza o meno della proposta.

Sul punto occorre soffermarsi, perché, mentre in passato eventuali comportamenti fraudolenti del debitore erano rigidamente sanzionati, nel sistema della legge fallimentare, dall'art. 173, espressamente finalizzato alla conversione del concordato preventivo in fallimento; oggi, non essendo più previsti, dopo i reiterati interventi di riforma del concordato preventivo, né condizioni soggettive di ammissibilità, né il requisito della meritevolezza, la piena operatività di quella norma, pur rimasta immodificata nel testo, è stata posta in dubbio da dottrina minoritaria. Anche se, per vero, la più recente giurisprudenza ha ritenuto di dare nuovo impulso al precetto, per sanzionare eventuali comportamenti del debitore atipici e, pur tuttavia rilevanti, ai fini della revoca del concordato preventivo fino alla data dell'omologazione.

In tal senso, la giurisprudenza (si ricordano Trib. Monza 2 novembre 2011 e Trib. Torino 20 maggio 2014) ha ritenuto rientranti tra gli atti fraudolenti di cui all'art. 173 le illegittime appostazioni di bilancio.

Peraltro, ancora con riferimento all'esigenza di garantire ai creditori l'espressione di un voto informato, il S.C. (vedi sentt. 13818/11 e 12533/14), muovendo dal presupposto che possano essere ritenuti in frode solo i comportamenti ingannevoli volti a orientare dolosamente il voto, ma non gli atti pregiudizievoli anteriori riconosciuti nella domanda di concordato preventivo, ha affermato che quest'ultima ipotesi confessoria, priva di finalità ingannevoli, consenta ai creditori l'espressione di un voto informato e consapevole e precluda di conseguenza l'applicazione del più volte citato art. 173.

Conclusioni

Come noto, nelle indicazioni della nota integrativa o della relazione sulla gestione, nonché nelle relazioni del collegio sindacale o del revisore legale, è contenuta l'attestazione che il bilancio e la nota integrativa sono redatti in conformità con i principi contabili e che il controllo è stato attuato verificando la corretta applicazione di tali principi .

Considerate le novità derivate dalla rivisitazione di numerosi principi contabili, ma soprattutto dall'art. 9-bis del D.Lgs. 38/2005, a partire dal bilancio riferito all'esercizio 2014 tali indicazioni dovranno essere ponderate con particolare attenzione, per le potenziali ricadute che potrebbero avere sia nell'ambito della gestione ordinaria e sia, soprattutto, nell'ambito di un'eventuale gestione pre-concorsuale o concorsuale delle imprese.

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