Responsabilità verso il socio per mancata percezione degli utili

03 Marzo 2016

Il socio di una società di persone può agire direttamente nei confronti dell'amministratore per farne valere la responsabilità extracontrattuale per danno diretto e immediato in forza dell'applicazione analogica dell'art. 2395 c.c. ove sia dimostrata la mancata presentazione del rendiconto e la conseguente mancata percezione degli utili.
Massima

Il socio di una società di persone può agire direttamente nei confronti dell'amministratore per farne valere la responsabilità extracontrattuale per danno diretto e immediato in forza dell'applicazione analogica dell'art. 2395 c.c. ove sia dimostrata la mancata presentazione del rendiconto e la conseguente mancata percezione degli utili.

Il caso

Avverso la sentenza n. 1172/2010 della Corte d'Appello di Palermo, la parte ricorrente, socio e amministratore di una società irregolare, operante nel settore edile, proponeva ricorso in sede di legittimità al fine di ottenere la cassazione del su indicato provvedimento con cui veniva confermata – seppur parzialmente riformata in suo vantaggio – la condanna al risarcimento del danno, sofferto dall'altro socio, a seguito della mancata presentazione del rendiconto – obbligo, questo, che grava sull'amministratore – da cui discende il mancato conseguimento degli utili effettivamente maturati.

Nell'adire il giudice di legittimità, la parte ricorrente dolendosi dell'erroneità della pronuncia di merito, fonda la sua pretesa su quattro motivi, e precisamente: l'alterazione del thema decidendum da parte del giudice del merito, in quanto il petitum non atteneva all'azione di responsabilità; la violazione e falsa applicazione dell'art. 2395 c.c. in quanto la mancata distribuzione degli utili non determinerebbe un danno immediato e diretto al socio, bensì solo indiretto; l'erroneo richiamo al principio di vicinanza della prova e, infine, – strettamente collegato a quest'ultimo – il vizio di motivazione in relazione all'onere probatorio.

Le questioni

Il provvedimento in esame, rigettando il ricorso e quindi confermando il pronunciato di merito, dà ampia rilevanza alla materia dell'azione del socio contro l'amministratore, ai sensi dell'art. 2395 c.c., per il danno direttamente al primo cagionato da atti dolosi o colposi del secondo.

Per una migliore intelligenza della questione proposta, è opportuno iniziare il presente contributo considerando il presunto vizio del thema decidendum, dal momento che sia il Tribunale, che la Corte d'Appello riqualificano la domanda come azione di responsabilità ai sensi dell'art. 2395 c.c. A tal fine, un principio fondamentale del codice di rito è quello della corrispondenza tra il chiesto (c.d. petitum) ed il pronunciato, tipizzato all'art. 112 c.p.c. a mente del quale “il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti”.

Nel caso di specie, la Corte territoriale interpreta la domanda come intesa a far valere l'azione di responsabilità ex art. 2395 c.c., mentre il richiesto atteneva all'accertamento degli utili ed alla loro conseguente approvazione e ripartizione. Secondo il ragionamento della Corte di Cassazione, confermato da precedenti decisioni (ex multis, Cass. 12 ottobre 2007, n. 21484), il vizio di ultra ed extra petitum ricorre allorquando il giudice interferendo, ove non richiesto, nel potere dispositivo delle parti, muti alcuno degli elementi dell'azione giungendo, in conseguenza, ad una pronunzia non richiesta o eccedente i limiti. Il confine di azione del giudice nell'individuare la legge applicabile è quello dell‘alterazione dell'effetto giuridico che la parte ha inteso conseguire. Nel caso di specie il giudice ha individuato, quale bene della vita richiesto, il risarcimento del danno diretto ed immediato al patrimonio del socio, così mantenendo, nella sostanza, gli effetti giuridici della domanda.

È opinione della dottrina (Ferrara – Corsi, Gli imprenditori e le società, XV ed., Milano, 2011, 570; Rordorf, La responsabilità civile degli amministratori di spa sotto la lente della giurisprudenza, in Società, 2008, 1331. Contra Bonelli, Gli amministratori di S.p.A. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, 225) e della giurisprudenza prevalente (Cass. 25 luglio 2007 n. 16416) che la responsabilità degli amministratori verso i soci abbia natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c. L'art. 2395 c.c., a ben vedere, non costituisce la fonte del potere di agire da parte del socio (già attribuito dall'art. 2043 c.c.), ma ha la funzione di limitarne l'ambito al risarcimento dei soli danni direttamente risentiti dal socio (Corsi, La responsabilità ex art. 2395 c.c., in www.csm.it).

In altri termini, il socio non può agire in responsabilità contro gli amministratori per i danni che dall'attività di questi abbia risentito soltanto indirettamente.

Così introdotta la materia dell'azione di responsabilità, deve ora guardarsi alla sua applicazione, come nel caso in esame, alla società irregolare – tale definita come la società in nome collettivo il cui atto costitutivo non è iscritto al registro delle imprese per mancanza del documento necessario alla pubblicità (Corsi, Partecipazione di società di capitali e società di persone, CNN Studio 255/1989) – e, più in generale, alle società di persone.

Il codice civile non disciplina espressamente la detta azione nell'opportuna sedes materiae, in guisa che si rende necessaria – come sostenuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza in oggetto – l'applicazione analogica dell'art. 2395 c.c. dettato per le società per azioni.

La Suprema Corte ritiene sussistente, anche nella società irregolare, l'obbligo di presentazione del rendiconto dalla cui approvazione, come si vedrà infra, discende il diritto agli utili del socio. Secondo l'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità (Cass. 31 dicembre 2013 n. 28806; Cass. 11 ottobre 2005 n. 21832) per rendiconto di gestione deve intendersi la situazione contabile, redatta secondo gli stessi criteri di un bilancio, capace di sintetizzare la consistenza patrimoniale della società al termine di un anno di esercizio.

Acquisito che la presentazione del rendiconto rappresenta un atto dovuto dell'amministratore, la Corte compie un passo ulteriore ed afferma che costituendo le società di persone un centro di imputazione di situazioni giuridiche distinte da quelle dei soci, ancorché dette società non siano dotate di personalità giuridica, è configurabile una responsabilità degli amministratori oltre che verso la società, anche nei confronti dei singoli soci, in termini analoghi a quanto previsto dagli artt. 2393-2395 c.c. (Cass. 17 gennaio 2007 n. 1045; Cass. 28 marzo 1996 n. 2846).

La responsabilità diretta deriva proprio dalla mancata presentazione del rendiconto: nelle società di persone, questo comporta una lesione del patrimonio del singolo socio e non di quello sociale. Il danno diretto e immediato al patrimonio del socio viene giustificato sulla base della differente disciplina prevista, in materia di diritto agli utili, tra società di capitali e società di persone. A tal fine, secondo l'orientamento del Giudice di legittimità (Cass. 22 marzo 2012, n. 4548; Cass. 22 marzo 2011 n. 6558; Cass. 28 luglio 2004, n. 10271) nelle società di capitali gli utili sono parte del patrimonio sociale fino a quando l'assemblea che approva il bilancio non ne disponga la distribuzione a favore dei soci; la sottrazione indebita di tali utili ad opera degli amministratori lede in via diretta il patrimonio sociale e solo in via mediata e riflessa compromette l'aspettativa del socio: in tale fattispecie, quindi, non è possibile far valere la responsabilità ai sensi dell'art. 2395 c.c.

Si palesa, allora, la diversità di disciplina con l'altra categoria di società: l'art. 2262 c.c. prevede che ciascun socio, dopo l'approvazione del rendiconto, ha diritto alla divisione e distribuzione degli utili. Ne consegue che il diritto agli utili per il socio di società personale è subordinato alla sola approvazione del rendiconto.

Da quanto detto, può cogliersi la bontà del risultato cui perviene la Corte: la lesione del diritto agli utili può essere fatta valere direttamente dal socio come danno diretto e immediato al suo patrimonio in quanto conseguente al mancato assolvimento, da parte dell'amministratore, dello specifico obbligo di presentazione del rendiconto. Pertanto, il discrimen per l'applicazione della responsabilità di cui all'art. 2395 c.c. – stante la natura extracontrattuale dell'azione – va individuato nelle conseguenze dirette che il comportamento doloso o colposo degli amministratori provoca sul patrimonio personale del socio (Cass. 5 agosto 2008 n. 21130; Cass. 3 aprile 2007 n. 8359).

Gli ulteriori ultimi motivi del ricorso attengono alla materia dell'onere probatorio – la prova della mancata presentazione dei rendiconti – e possono, anche in questa sede, essere esaminati in via unitaria.

A mente dell'art. 2697, comma 1, c.c. chi agisce in giudizio per far valere un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono fondamento. Con specifico riferimento alla disciplina in esame, la qualificazione della responsabilità ex art. 2395 c.c. come extracontrattuale comporta la necessità, per il socio, di provare non solo l'esistenza di un nesso di causalità tra il danno ed il comportamento degli amministratori, ma anche la colpa o il dolo di questi (De Nicola, Commento all'art. 2395 – Azione individuale del socio e del terzo, in Ghezzi (a cura di), Amministratori, in Marchetti – Bianchi – Ghezzi – Notari (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Milano, 2005, 658).

La corte territoriale invece, in forza del principio di vicinanza della prova, aveva ritenuto già provato, da parte del socio attore, l'assunto della mancata presentazione del rendiconto. Tale principio, di elaborazione giurisprudenziale, si applica nelle ipotesi in cui la prova non può esser data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare viene invocato come, a titolo esemplificativo, nel caso di perdita, mancanza o insufficienza di dati in un documento.

In virtù di tale principio l'onere probatorio, in deroga alla sopra citata norma di cui all'art. 2697, comma 1, c.c., viene posto a carico della parte più prossima alla fonte di prova, e quindi, nel caso, a carico dell'amministratore, né tale inversione dell'onere probatorio può essere contestata adducendo la difficoltà di provare l'adempimento dello specifico obbligo (presentare il rendiconto) gravante sull'amministratore.

Conclusioni

Appare condivisibile il pronunciato della Corte nei diversi profili interessati. La mancata presentazione dei rendiconti provoca, quale conseguenza immediata, un danno diretto al patrimonio del socio – mancata percezione degli utili – che è, pertanto, legittimato ad agire nei confronti dell'amministratore inadempiente per far valere la responsabilità extracontrattuale di questi in applicazione analogica dell'art. 2395 c.c.

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