Condannato l’amministratore, nonostante la nota a suo favore della PG
26 Novembre 2014
Ai fini della condanna per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale, il rinvenimento di una nota della GdF, con contenuto apparentemente favorevole agli imputati, non sempre sortisce l'effetto liberatorio dalle accuse che s‘immagina. Così è stato per il già condannato, cui la Cassazione, con la sentenza del 24 novembre scorso, n. 48703, ha respinto il ricorso, specificando tempi e modi di utilizzo della prova in questione, nonché della rilevanza del contenuto della medesima. Nei fatti di causa, il condannato lamentava dinanzi alla Corte che il rinvenimento di assegni tratti sul conto corrente della società, a proprio diretto beneficio, doveva essere messo in relazione alla nota, della GdF, emessa a seguito di indagini ulteriori di quelle valorizzate nella sentenza di primo grado, con cui veniva riconosciuto che non vi era prova della destinazione degli assegni medesimi. A parere della difesa del condannato, si trattava di un'ipotesi di travisamento della prova, per avere l'Appello ignorato un elemento capace di destabilizzare la condanna formulata in primo grado. A fronte di tali censure, gli Ermellini, innanzitutto, contestano al condannato di non aver dedotto il citato vizio al giudice dell'Appello, con conseguente preclusione nel giudizio di legittimità. Ma non solo. Spingendosi a considerare il contenuto della nota, la Corte afferma che lo stesso non è tale da comportare il ribaltamento del ragionamento seguito dal Giudice di primo grado. Più precisamente, dal ricorso si evince, per la Corte, che la GdF nel verbale avrebbe soltanto dato atto della situazione economica “non florida” degli imputati, “ossia di un'evenienza del tutto compatibile con l'ipotesi di distrazione, ossia di ingiustificata acquisizione di beni della società, convogliati in luogo tale da non risultare immediatamente rintracciabili”. |