Per gli interessi passivi deducibilità indipendente dalla correlazione con i ricavi

10 Novembre 2014

La Cassazione, nella sentenza n. 21467/2014, ha recentemente ribadito un orientamento ormai prevalente in tema di interessi passivi, e, cioè, che per la loro deducibilità non sia necessaria una correlazione con i ricavi, quanto il rispetto delle specifiche disposizioni del Testo Unico. L'orientamento sembrerebbe ormai “cristallizzato”, considerate le numerose pronunce della Suprema Corte che, nel corso del tempo, hanno confermato tale indirizzo.
Le regole attuali

La deducibilità degli interessi passivi muta, in maniera considerevole, in relazione al soggetto che viene inciso da tale componente negativo di reddito. Una peculiarità che, come vedremo, caratterizza le società di persone rispetto alle società di capitali è quella relativa al concetto di inerenza, conditio sine qua non di deducibilità per le prime apparentemente non richiesta per le seconde.

In realtà, come ben precisato dai giudici di legittimità, l'assenza di una valutazione da parte dei soggetti IRES è da intendersi, ad avviso di chi scrive, non in senso assoluto, ma in relazione alla possibile correlazione fra gli interessi e i ricavi.

Peraltro, prima di procedere al commento della giurisprudenza è opportuno fornire un breve richiamo in ordine alle disposizioni attualmente in vigore in tema di deducibilità degli interessi passivi.

Le società di persone

Volendo concentrarci sulle regole di deducibilità fiscale dettate dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi, occorre preliminarmente distinguere fra la disciplina attualmente in vigore per le società di persone e quella relativa alle società di capitali.

Per le prime la norma di riferimento è l'articolo 61, D.P.R. 917/1986, il cui incipit costituisce un presupposto di grande significato ai nostri fini. Condizione imprescindibile per la deducibilità degli interessi passivi è, infatti, che questi siano “inerenti all'esercizio d'impresa”. Vige dunque una prima fondamentale distinzione con i soggetti IRES. È, cioè, necessaria una preventiva valutazione dell'inerenza rispetto all'attività esercitata; solo dopo questa verifica iniziale, utile al fine di controllare che non sussistano finanziamenti effettuati per scopi personali di uno o più soci, si potrà procedere al calcolo previsto dallo stesso primo comma dell'articolo 61.

La misura di deducibilità degli interessi passivi inerenti è infatti determinata, per i soggetti IRPEF, dal rapporto che vede a numeratore la sommatoria di ricavi e proventi che concorrono alla formazione del reddito d'impresa e quelli esclusi e, a denominatore, “l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi”.

Società di persone – calcolo della quota deducibile interessi passivi

Interessi deducibili art. 61 TUIR =

Ricavi e proventi che concorrono a formazione reddito di impresa ed esclusi

Ricavi e proventi complessivi

Le società di capitali

L'articolo 96 D.P.R. 917/1986, che disciplina le regole di deducibilità degli interessi passivi per le società di capitali, si distingue già, in maniera rilevante, dall'articolo 61 del medesimo decreto, per il fatto di non richiedere una preliminare verifica dell'inerenza.

Per i soggetti IRES la norma attualmente in vigore prevede la c.d. regola del R.O.L. (Reddito operativo lordo). In sostanza, fatta eccezione per gli oneri finanziari che, ai sensi dell'articolo 110 c.1, lett. b), D.P.R. 917/1986, vengono portati a maggior valore dei beni materiali e immateriali strumentali per l'esercizio dell'impresa, gli altri interessi passivi sono deducibili “fino a concorrenza degli interessi attivi e dei proventi assimilati”. L'eccedenza sarà deducibile in misura pari al 30% del suddetto reddito operativo lordo.

Il R.O.L. è determinato come differenza tra il valore e i costi della produzione (voci di cui alle lettere A e B del conto economico), senza considerare gli ammortamenti delle immobilizzazioni immateriali e materiali indicate nelle voci di cui al numero 10, lettere a) e b), del Conto Economico e i canoni di locazione finanziaria di beni strumentali (voce B8 del Conto Economico).

R.O.L. (Risultato Operativo Lordo) - Art. 96, c. 2, D.P.R. 917/1986

(+)

Valore della produzione (lettera "A" classificazione art. 2425 C.C. - Conto Economico)

(-)

Costi della produzione (lettera "B" classificazione art. 2425 C.C. - Conto Economico)

(+)

Ammortamenti immobilizzazioni immateriali (voce B10a del Conto Economico)

(+)

Ammortamenti immobilizzazioni materiali (voce B10b del Conto Economico)

(+)

Canoni leasing in (voce B8 del Conto Economico)

Nell'ipotesi in cui il risultato operativo lordo non sia stato utilizzato per dedurre gli interessi passivi, la relativa quota potrà andare a incrementare il R.O.L. dei successivi periodi d'imposta.

Quanto alla natura degli oneri e proventi finanziari da prendere in considerazione per il computo della quota deducibile, l'articolo 96 del Testo Unico precisa che devono ritenersi inclusi, oltre agli interessi passivi ed attivi, anche “gli oneri e i proventi assimilati, derivanti da contratti di mutuo, da contratti di locazione finanziaria, dall'emissione di obbligazioni e titoli similari e da ogni altro rapporto avente causa finanziaria, con esclusione degli interessi impliciti derivanti da debiti di natura commerciale e con inclusione, tra gli attivi, di quelli derivanti da crediti della stessa natura”.

Va infine tenuto presente che laddove il reddito operativo lordo prodotto non sia sufficiente coprire l'eccedenza di interessi passivi rispetto a quelli attivi, e, conseguentemente, vi siano interessi passivi indeducibili, tali oneri finanziari potranno essere portati in deduzione dal reddito dei periodi d'imposta successivi, nel caso in cui “in tali periodi l'importo degli interessi passivi e degli oneri assimilati di competenza eccedenti gli interessi attivi e i proventi assimilati sia inferiore al 30 per cento del risultato operativo lordo di competenza”.

Sebbene la disposizione attualmente in vigore tenda a favorire, così come quella relativa all'A.C.E. (Aiuto alla Crescita Economica), l'incentivo alla capitalizzazione dell'impresa con mezzi propri, non può nascondersi che le società in crisi, che abbiano fatto ricorso a indebitamento bancario, vedono peggiorare la propria situazione di liquidità proprio in ragione delle maggiori imposte conseguenti all'indeducibilità degli interessi passivi. Vero è che, come detto poc'anzi, la deducibilità degli interessi non è definitivamente persa, ma, in considerazione del susseguirsi di periodi di crisi, poteva forse essere reintrodotta una sorta di franchigia utile ad aumentare la quota di deducibilità (franchigia che aveva caratterizzato i primi periodi di applicazione della disposizione in commento).

Un orientamento ormai consolidato

L'assunto secondo cui, per i soggetti IRES, gli interessi passivi di competenza sono deducibili secondo le regole di cui all'articolo 96 D.P.R. 917/1986, indipendentemente da una preventiva valutazione dell'inerenza degli stessi costituisce ormai un orientamento prevalente da parte della Corte di Cassazione, che negli anni non ha mutato la propria posizione.

Fra le molte sentenze che potrebbero citarsi segnaliamo, ad esempio quella pronunciata dalla quinta sezione civile tributaria della Corte di Cassazione, n. 21467, depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2014. Nel fatto di causa veniva contestata ad una società a responsabilità limitata la deducibilità di interessi passivi derivanti da conto corrente bancario. A giudizio dell'Amministrazione finanziaria detti oneri finanziari non erano correlati “ad alcun ricavo”, né all'incremento del valore delle rimanenze finali di magazzino. Per tale motivo l'importo dedotto veniva ripreso a tassazione.

La Commissione Tributaria Provinciale, chiamata a esprimersi in primo grado, riteneva di accogliere parzialmente le istanze del contribuente, considerando gli interessi passivi deducibili nel caso di specie in misura pari al 60%.

Nel secondo grado di giudizio la Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna precisava che, proprio a causa della mancata correlazione con ricavi e rimanenze, gli interessi oggetto del contenzioso dovessero ritenersi “di finanziamento” e non “di funzionamento”. Sulla base di tale assunto riteneva fondata la misura decisa dai giudici di merito nella prima sentenza, considerando deducibili nel periodo d'imposta il 60% degli interessi e attribuendo il restante 40% “ad interessi da finanziamento da capitalizzare”.

Chiaramente insoddisfatta, la S.r.l. decise di proporre ricorso in Cassazione per far valere le proprie ragioni contestando la percentuale di deducibilità decisa dalle Commissioni Tributarie e la richiesta di capitalizzazione degli interessi, considerato che gli stessi derivavano da rapporti di conto corrente bancario.

La Suprema Corte ricorda al proposito il proprio orientamento consolidato ribadendo il fatto che, a differenza della precedente normativa (art. 74 D.P.R. 597/1973), le disposizioni attualmente in vigore prevedono che gli interessi passivi debbano considerarsi “sempre deducibili”,pur se entro i limiti della disciplina dettata dal vigente articolo 96 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi.

Importante rilievo sottolineato dagli Ermellini riguarda il fatto che all'Amministrazione finanziaria e al contribuente non spetta l'onere di dimostrare l'esistenza di una correlazione fra oneri finanziari e ricavi prodotti; ciò che rileva, infatti è la circostanza che gli interessi passivi siano “correlati all'intera attività dell'impresa esercitata”.

Ad avviso di chi scrive tale assunto ha notevole importanza. La Cassazione sostanzialmente pone l'accento sul fatto che il discrimine per la deducibilità degli interessi è la generica inerenza all'attività d'impresa, anche se non è indispensabile una correlazione diretta con la produzione dei componenti positivi tipici. Ciò implica, conseguentemente, il fatto che se, a titolo esemplificativo, il finanziamento della società fosse palesemente contratto per interessi estranei all'esercizio della suddetta attività, non sussisterebbe il requisito dell'inerenza e, conseguentemente, gli oneri non potrebbero essere dedotti, così come avverrebbe per qualsiasi componente positivo o negativo estraneo all'attività.

Dunque sembrerebbe comunque esistere una valutazione in ordine alla deducibilità, seppur da non intendersi, nello specifico caso degli interessi, correlata ai ricavi (così come invece disposto per le altre spese dall'art. 109 del TUIR, secondo cui “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito”)

Peri giudici di legittimità, gli interessi passivi, data la loro specifica natura “afferiscono all'impresa nel suo essere e progredire, e dunque non possono essere specificamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori a un particolare costo”.

Un'altra sentenza particolarmente recente e interessante è la n. 10501, pronunciata dalla Sezione tributaria della Cassazione e depositata in Cancelleria lo scorso 14 maggio.

Oggetto di contestazione in questo caso erano stati gli interessi passivi su finanziamenti bancari richiesti da una società controllante per poter finanziare due società controllate. Ad avviso dell'Amministrazione Finanziaria detti oneri finanziari erano caratterizzati da “antieconomicità”, dal momento che neppure era previsto un eventuale recupero degli interessi attivi da parte della “capogruppo”.

Anche in questo caso i giudici di legittimità esprimono le valutazioni poi riprese nella sentenza n. 21467/2014 poc'anzi commentata e già espresse nelle pronunce n. 14702/2011 e 1465/2009. La disposizione attualmente in vigore detta infatti “misura e modalità del calcolo degli interessi passivi deducibili in via generale, senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza”.

Sembra assodato, dunque, che l'unica regola applicabile in tema di deducibilità sia quella discendente dall'articolo 96 del TUIR e che non possano valere, come invece sostenuto dai giudici della Commissione Tributaria nel fatto di causa della Cassazione n. 21467/2014, misure differenti da porre a riferimento con i ricavi conseguiti.

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