Acquisto di azioni proprie: condizioni di ammissibilità e parità di trattamento tra i soci

Enrico Civerra
19 Agosto 2015

Una società per azioni intende acquistare un pacchetto di azioni proprie e deve iniziare il percorso deliberativo propedeutico all'effettuazione dell'operazione. Da consultazioni informali è risultato che l'acquisto, oltre che rispondere a precise esigenze finanziarie della società, potrà consentire ad uno dei dieci soci, che già aveva manifestato la propria volontà di disinvestire, di cedere tutte le azioni possedute. Ci si chiede quale debba essere l'iter corretto che gli amministratori devono seguire per compiere l'atto di formale acquisto.

Una società per azioni intende acquistare un pacchetto di azioni proprie e deve iniziare il percorso deliberativo propedeutico all'effettuazione dell'operazione. Da consultazioni informali è risultato che l'acquisto, oltre che rispondere a precise esigenze finanziarie della società, potrà consentire ad uno dei dieci soci, che già aveva manifestato la propria volontà di disinvestire, di cedere tutte le azioni possedute. Ci si chiede quale debba essere l'iter corretto che gli amministratori devono seguire per compiere l'atto di formale acquisto.

Precise esigenze di tutela dell'affidamento pubblico su una ragionata e prudente gestione delle società azionarie hanno imposto di subordinare l'acquisto di azioni proprie alla ricorrenza di precisi presupposti e all'assolvimento di un iter procedimentale minuziosamente regolato. E' chiaro, infatti, l'interesse primario alla conservazione dell'integrità patrimoniale della società – e, quindi, la tutela delle ragioni di creditori, terzi e degli stessi soci di minoranza - che può essere danneggiato da un'operazione che priva la società di risorse e di mezzi finanziari per “investirli in se stessa”: il prezzo che viene pagato per acquistare le proprie azioni può determinare un impoverimento della società ed un annacquamento del suo capitale. Per tali ragioni, il legislatore provvede numerose forme di cautela per attenuare i rischi che l'operazione in esame presenta, tenendo pur sempre conto che essa può presentare numerosi profili di utilità per la società. Si pensi, ad esempio, ad un acquisto finalizzato ad assegnare azioni ai dipendenti all'interno di un piano di incentivazione aziendale o all'esigenza di sostenere il valore del titolo o a proteggere la società dall'ingresso di scalatori ostili. I soci, peraltro, sono tutelati anche dalla necessità di una preventiva autorizzazione assembleare come si vedrà tra breve esaminando il procedimento richiesto dal legislatore.

L'art. 2357 c.c. è la norma di riferimento: essa, in primo luogo dispone che l'acquisto possa avvenire solo nei limiti degli utili distribuibili o delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato. In tal modo, l'esistenza di risorse patrimoniali disponibili consente di evitare che l'acquisto sia utilizzato per una riduzione fittizia e pericolosa del capitale sociale al di fuori delle procedure e delle cautele stabilite dall'art. 2445 c.c., in primis, il diritto di opposizione dei creditori. La dottrina pone una giusta enfasi agli aggettivi qualificativi di utili e riserve: gli utili, infatti, devono essere distribuibili e, quindi, non avere vincoli legali o statutari, che ne condizionano l'utilizzo; le riserve sono disponibili quando possono essere liberamente assegnate ai soci, sia pure previa delibera dell'assemblea ordinaria. Utili e riserve, poi, devono risultare da un bilancio regolarmente approvato. Con riferimento a questo ultimo requisito, sempre per le ragioni di tutela di cui sopra, la dottrina chiede anche una preventiva attestazione della reale esistenza di tali riserve nel momento in cui viene concretamente eseguita l'operazione. Il notaio che dovrà ricevere l'atto, pertanto, si preoccuperà di richiedere una situazione patrimoniale aggiornata, rispetto alla chiusura del bilancio, dalla quale risulti esistenza e capienza di riserve ed utili da utilizzare per l'acquisto.

Le azioni da acquistare devono essere interamente liberate per evitare che la società possa essere chiamata ai versamenti necessari all'integrale versamento del capitale con il paradossale risultato di essere al contempo creditrice e debitrice con un pericoloso vulnus all'integrità del capitale sociale e, allo stesso tempo, per scongiurare il rischio che il meccanismo in questione venga utilizzato per favorire i soci che intendano liberarsi dagli obblighi verso la società.

Acclarata l'esistenza di questi presupposti, gli amministratori dovranno convocare l'assemblea ordinaria perché autorizzi l'organo amministrativo all'acquisto stabilendo anche le relative modalità: numero massimo di azioni oggetto di acquisto; durata dell'autorizzazione (non superiore a diciotto mesi); corrispettivo minimo e massimo della negoziazione. Il legislatore non prescrive che la delibera espliciti le ragioni dell'acquisto; tuttavia, come si ricava dall'esame della giurisprudenza sul punto, l'indicazione di tali ragioni appare rilevante nell'ambito di un eventuale contenzioso che successivamente venga proposto avverso l'operazione.

L'iter appena accennato non risponde appieno al quesito formulato. Infatti, la fattispecie in esame contiene un elemento particolare di cui gli amministratori devono tenere conto nel programmare ed attuare l'operazione. Nel caso di specie, sembra che solo uno dei soci cederà le azioni che alla società e che, nei fatti, con tale cessione il socio uscirà completamente dalla compagine sociale. Apparentemente potrebbe non darsi grande importanza alla situazione delineata se l'iter procedimentale di cui sopra sia stato rispettato e con esso i relativi presupposti. In realtà, l'operazione potrebbe mascherare un recesso attuato al di fuori delle precise condizioni previste dalla legge: astrattamente parlando l'acquisto da parte della società di tutte le azioni di un socio al loro valore attuale realizza un risultato sostanzialmente corrispondente a quello previsto dall'art. 2437-ter c.c. In realtà, il recesso, considerata la sua incidenza sul capitale e la rilevanza per i terzi, può essere esercitato solo nelle ipotesi previste dall'art. 2437 c.c. o dallo statuto. Al fine di evitare il rischio di riqualificazione della complessiva operazione diventa essenziale, non solo e non tanto coltivare in delibera l'elemento della motivazione dell'acquisto, ma soprattutto assicurare che sia rispettato un principio non scritto nella normativa delle società chiuse, ma immanente nel diritto societario, ossia quello della parità di trattamento. Tale principio, è espressamente codificato per le società quotate: l'art. 132 del d.lgs. 58/98 stabilisce espressamente che “gli acquisti di azoni proprie (…) da società con azioni quotate, devono essere effettuati in modo tale da assicurare la parità di trattamento tra gli azionisti”. L'esatto assolvimento di questo elemento anche per una spa non quotata consente di evitare, nel caso di specie, il rischio di un'azione giudiziale di riqualificazione dell'atto nel senso sopra indicato. Occorrerà, però, avvalersi di procedimenti di formazione del contratto tali da garantire la massima imparzialità nell'individuazione delle controparti ed uniformità nei prezzi di acquisto. L'organo amministrativo, acquisita l'autorizzazione assembleare e la fissazione delle modalità di conduzione dell'acquisto, prima di procedere formalmente, dovrà inviare a ciascun socio una proposta di acquisto, pro quota, delle azioni possedute nell'ambito della complessiva operazione programmata. Solo una volta acquisita una formale rinuncia di tutti gli altri soci alla proposta di cessione delle azioni, il legale rappresentante potrà dar corso all'operazione ed acquistare, in nome della società, l'intero pacchetto azionario dall'unico socio che abbia dichiarato la propria volontà a cedere.

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