L’amministratore non socio nelle società di personeFonte: Cod. Civ. Articolo 2260
12 Settembre 2017
Premessa
In mancanza di una previsione legislativa esplicita, fatta eccezione per le s.a.s., rimane tuttora controverso l'argomento relativo alla possibilità di affidare l'amministrazione di una società di persone a un terzo soggetto estraneo alla compagine sociale. Attraverso l'interpretazione delle norme codicistiche e l'analisi della giurisprudenza si possono però individuare delle possibili soluzioni al quesito. Gli orientamenti dottrinari in materia
In dottrina si contrappongono due tesi predominanti: da un lato, coloro che ritengono che la facoltà/il potere di amministrare la società sia originario, derivi dal contratto sociale, e sia dunque inscindibilmente connesso con la qualifica di socio; dall'altro lato, coloro che individuano, invece, la fonte del rapporto di amministrazione nel rapporto di mandato che si instaura tra la società (mandante) e l'amministratore (mandatario): si tratterebbe, dunque, di un potere derivato e non originario. Evidentemente, la condivisione dell'una o dell'altra tesi comporta conseguenze diverse per quanto riguarda l'adesione o meno alla teoria dell'ammissibilità dell'amministratore estraneo nelle società di persone. Infatti, coloro che ritengono che il potere di amministrare nasca esclusivamente dal rapporto sociale, non potranno ammettere che si nomini un terzo estraneo quale amministratore, mentre invece a tale conclusione potranno positivamente giungere coloro che riconducono all'istituto del mandato la fonte del potere amministrativo. La teoria negazionista si basa principalmente sugli artt. 2318, comma 2, e 2267 c.c. La prima disposizione codicistica riguarda le s.a.s. e stabilisce che “L'amministrazione della società può essere conferita soltanto a soci accomandatari”; la seconda norma, inserita nel capo dedicato alla società semplice, prevede che “Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci”. Ebbene, i negazionisti (in particolare, F. Galgano, Le società in genere, le società di persone, Milano, Giuffrè, 2007, 219 ss.) ritengono che, costituendo l'art. 2318, comma 2, c.c. l'unica norma che si esprime sull'argomento inerente la titolarità soggettiva della qualifica di amministratore con riferimento alle società di persone, debba ricavarsi un divieto generale, esteso a tutte le tipologie di società personali oltre che alle s.a.s., di nomina ad amministratore di un terzo estraneo alla compagine sociale. Anche l'art. 2267 c.c. deporrebbe in tal senso, dal momento che tale disposizione associa alla qualifica di socio la facoltà/il potere di agire in nome e per conto della società (dunque di esercitare le prerogative proprie della carica di amministratore), ricollegando a tale facoltà/potere la responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali assunte e prevedendo la possibilità di pattuire una limitazione di siffatta responsabilità soltanto per i soci che non abbiano esercitato poteri amministrativi. I fautori della tesi negazionista ritengono dunque che, con particolare riferimento alla società semplice, se si consentisse a un terzo estraneo non socio di assumere la carica di amministratore, la norma appena citata verrebbe chiaramente violata, sia da un punto di vista letterale che sostanziale, poiché il terzo estraneo amministratore, pur agendo in nome e per conto della società verso i terzi, non potrebbe essere gravato della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali assunte verso costoro, in quanto l'art. 2267 c.c. ascrive siffatta responsabilità soltantoai soci “che hanno agito in nome e per conto della società” e consente agli altri soci di pattuire il proprio esonero da tale responsabilità: “salvo patto contrario, gli altri soci”. Le conseguenze sarebbero duplici: da un lato, non sussistendo alcun soggetto gravato della responsabilità personale, solidale e illimitata suddetta, verrebbe disattesa la ratio stessa della norma, che consiste nel tutelare il legittimo affidamento e i diritti dei terzi che contraggono obbligazioni con la società semplice, dall'altro lato verrebbe completamente modificata l'essenza stessa della tipologia societaria in questione, che si basa, appunto, sulla responsabilità personale, solidale e illimitata dei suoi amministratori nonché degli altri soci (“salvo patto contrario”, però, con riferimento solo a questi ultimi). Secondo i negazionisti, ammettere la possibilità di nominare un amministratore estraneo, significherebbe dunque violare il principio per cui, nelle società di persone, il potere gestorio proprio degli amministratori è inscindibilmente legato alla previsione della responsabilità personale, illimitata e solidale, dei soci che, appunto, ricoprono la carica di amministratori: l'amministratore terzo, infatti, non essendo socio ma un mandatario con rappresentanza, e non partecipando quindi agli utili, non potrebbe essere gravato di siffatta tipologia di responsabilità per le obbligazioni sociali contratte in nome e per conto della società. Inoltre, nel caso in cui anche gli “altri soci” pattuissero la propria limitazione di responsabilità verso i terzi, questi ultimi non sarebbero tutelati in alcun maniera e nessuno risponderebbe nei loro confronti nei confronti (né l'amministratore terzo né i soci). Secondo taluno (F. Tassinari, La rappresentanza nelle società di persone, Milano, Giuffrè, 1993, 148 ss.), quindi, per poter acconsentire alla nomina di un amministratore estraneo nella società semplice, bisognerebbe sostenere altresì che la categoria di “altri soci” di cui all'art. 2267 c.c. perdesse la facoltà – normativamente invece loro attribuita – di pattuire la propria limitazione di responsabilità verso i terzi per le obbligazioni sociali, anche se in tal modo si andrebbe contra legem. Viene altresì ravvisata (O. Cagnasso, La società semplice, in Trattato di Diritto civile, R. Sacco, Torino, 1998, 152) un'analogia tra le due categorie di soci che caratterizzano, da un lato, la s.a.s. (accomandatari, illimitatamente responsabili ex lege vs. accomandanti) e, dall'altro lato, la società semplice (soci amministratori, illimitatamente responsabili ex lege vs. “altri soci”) sulla base della quale si deduce che (i) potere gestorio, (ii) qualifica di socio e (iii) responsabilità illimitata debbano andare di pari passo: tale conclusione non depone a favore della nomina ad amministratore di un terzo estraneo alla compagine sociale. Per quanto riguarda, invece, le s.n.c. non vi è alcun dato normativo che possa essere utilizzato per sostenere la tesi negazionista, anzi, il fatto stesso che l'art. 2291, comma 2, c.c. sancisca l'inderogabilità della previsione di cui al I comma (che stabilisce la responsabilità illimitata e solidale in capo a “tutti i soci” per le obbligazioni sociali) costituisce un elemento a favore della possibilità di nominare anche un terzo estraneo quale amministratore, dal momento che i terzi creditori sarebbero in ogni caso tutelati. Questi ultimi, infatti, potrebbero sempre agire, da un lato, verso i soci (tutti) illimitatamente responsabili e, dall'altro lato, anche verso il terzo estraneo amministratore facendo valere la sua responsabilità extracontrattuale, ovviamente qualora ne ricorressero i presupposti in fatto e in diritto. Ne consegue che i sostenitori della tesi negazionista, per estendere quest'ultima anche alle s.n.c., possono basare il proprio convincimento solo sull'argomento del carattere originario del potere di amministrare tutte le tipologie di società di persone, la cui unica fonte è il contratto sociale: il potere gestorio sarebbe dunque inscindibilmente connesso con la qualifica di socio. Infine, un altro argomento sul quale si basa la teoria contraria all'amministratore estraneo fa leva sulla mancanza, nella sezione del codice civile dedicata alle società personali, di disposizioni analoghe a quella contenuta nell'art. 2380-bis, comma 2, c.c. in riferimento alle s.p.a., che esplicitamente afferma: “L'amministrazione della società può essere affidata anche a non soci”; anzi, viene argomentato, per quanto riguarda le società personali il tenore letterale degli artt. 2295 n. 3 e 2318, comma 2, c.c. si pone in netto contrasto con tale disposizione dettata per le società di capitali. Passando, ora, ad esaminare la teoria di coloro che ritengono (G.F. Campobasso, Diritto Commerciale, Vol. II, Diritto delle Società, Torino, 2002, 100 e ss.), invece, ammissibile la nomina ad amministratore di un terzo estraneo alla società di persone, questi ultimi identificano con il rapporto di mandato il legame che si instaura tra amministratore e società personale, richiamando a tal fine l'art. 2260 c.c., che afferma “I diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato”. Il rapporto di amministrazione non sarebbe dunque inscindibilmente legato, in via originaria, al rapporto sociale, quanto invece si tratterebbe di un potere derivato, diverso e non necessariamente legato alla qualifica di socio. L'art. 2295 n.3 c.c., che afferma: “l'atto costitutivo deve indicare i soci che hanno l'amministrazione e la rappresentanza della società” non costituirebbe, dunque, l'unica regola circa la “legittimazione attiva” per ottenere la nomina ad amministratore, ma si affiancherebbe a quanto previsto nell'art. 2260 c.c. con riferimento al mandato, con conseguente apertura verso la possibilità di affidare la carica di amministratore anche a un terzo soggetto non socio. Inoltre, il fatto stesso che una norma analoga a quella contenuta nell'art. 2318, comma 2, c.c., dettata per le s.a.s., non sia ripetuta anche con riguardo a s.n.c. e s.s., costituirebbe un ulteriore elemento volto a significare che il legislatore ha voluto limitare soltanto nelle s.a.s. e non nelle altre società personali la possibilità di nominare amministratori che non siano anche soci. Si tratterebbe, dunque, di un'eccezione, tipizzata, alla regola. In particolare, poi, nelle s.n.c., la nomina di un amministratore estraneo costituirebbe addirittura un vantaggio, un quid pluris, per i terzi creditori, dal momento che essi sarebbero tutelati ben su due fronti: da un lato, attraverso il regime legalmente e imperativamente sancito di responsabilità personale, illimitata e solidale, in capo a tutti i soci di s.n.c. per le obbligazioni sociali (art. 2291 c.c.), dall'altro lato, potendo agire verso l'amministratore estraneo facendo valere la sua responsabilità extracontrattuale. Colo che si aprono alla teoria dell'amministratore estraneo fanno leva altresì sull'inciso inserito nell'art. 2257 c.c. “Salvo diversa pattuizione, l'amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri”: la società potrebbe quindi pattuire di affidare l'amministrazione anche a soggetti diversi dai soci, oltre a potersi dissociare dalla regola dell'amministrazione disgiuntiva. Il dibattito in dottrina resta dunque aperto. Non si può non rilevare però che, per quanto riguarda l'analogia con il rapporto di mandato, sostenuta da coloro che ammettono la possibilità di nominare un amministratore estraneo nelle società di persone, alcune norme dettate dal legislatore per la regolamentazione dei rapporti tra mandante e mandatario non sono applicabili al rapporto società/amministratore come, ad esempio, l'art. 1711 c.c., che risulta in contrasto con l'art. 2257, comma 2, c.c.: se, infatti, il mandatario deve attenersi alle istruzioni ricevute dal mandante nell'esecuzione dell'incarico conferitogli, l'amministratore non è vincolato alle “istruzioni” eventualmente impartitegli dai soci non amministratori, che sarebbero, insieme con la società, i suoi “mandanti”. La posizione della giurisprudenza
La giurisprudenza in materia è limitata e non si mostra orientata in senso univoco, in particolare per quanto riguarda, da un lato, le corti di merito e, dall'altro lato, la corte di legittimità. Una pronuncia di merito (App Trento, 21 gennaio 1999, in Le Società, 1999, 704-709, con nota di S. Ronco, Reclamo contro il decreto di nomina del liquidatore di società personale) così dispone: “In ipotesi di nomina del liquidatore di società di persone da parte del presidente del tribunale ai sensi dell'art. 2275 c.c., è da escludere che il potere presidenziale di nomina sia vincolato nella scelta alle sole persone dei soci, anche se il sistema delle società personali non tollera che l'amministratore sia soggetto estraneo alla compagine sociale. Infatti, poiché il potere surrogatorio del presidente viene esercitato esclusivamente perché i soci non sono in grado di esercitare una comune volontà, prevedere che debba essere scelto esclusivamente un socio per la carica di liquidatore significa di fatto perpetrare il conflitto che la legge invece intende superare; inoltre, l'esigenza di collegare l'amministrazione alla responsabilità illimitata (che ha indotto il legislatore ad imporre la scelta dell'amministratore tra i soli soci) non sussiste durante la fase di liquidazione, nella quale il potere di liquidare trova adeguato e sufficiente limite nel divieto di effettuare nuove operazioni e comunque nelle norme sull'amministrazione.” Secondo tale pronuncia, dunque, la regola della responsabilità personale e illimitata per le obbligazioni sociali che, ex lege, deve gravare sui soggetti che ricoprono la carica di amministratori nelle società di persone, esclude che tale ruolo posso essere affidato a coloro che soci non sono, poiché nessun terzo estraneo alla compagine sociale potrebbe essere legittimamente vincolato a siffatta specie di responsabilità. Ebbene, l'esigenza di tutelare in ogni caso i creditori sociali, appunto soddisfatta attraverso la previsione della responsabilità personale e illimitata degli amministratori, impone quindi il divieto di nominare alla carica di amministratore chi socio non è. Anche il Tribunale di Foggia, (pronuncia del 29 febbraio 2000, in Giur. It. 2001, 989), si esprime in senso negativo: “La diretta correlazione tra potere gestorio e rischio di impresa che connota la disciplina delle società di persone implica un nesso indissolubile tra lo "status" di socio e la funzione amministrativa. Deve pertanto essere rifiutata l'iscrizione nel Registro delle imprese dell'atto costitutivo di una s.n.c. che conferisca l'incarico di amministratore ad un soggetto estraneo alla compagine sociale, rimanendo a tale fine irrilevante la circostanza che egli rivesta la qualifica di accomandatario di una s.a.s. che di tale compagine fa parte.”. Secondo il Tribunale, le società personali sono caratterizzate dall'elemento imprescindibile dell'intuitus personae nella scelta dei soci, motivo per cui il ruolo di amministratore, e quindi di colui che rappresenta l'impresa e la gestisce, non può che essere affidato a chi è anche socio. Nel caso di specie, poi, il Tribunale esclude altresì che il ruolo di amministratore di una s.n.c. possa essere affidato a un soggetto che ricopre il ruolo di socio accomandatario (dunque illimitatamente responsabile) all'interno di una s.a.s. che partecipa a tale s.n.c. Il convincimento de quo si basa sulla considerazione per cui ai soci accomandatari di una s.a.s., così come ai soci della s.n.c., è riconosciuto il beneficium excussionis, ai sensi del rinvio disposto dall'art. 2318 c.c. agli artt. 2291 e 2304 c.c.. Di conseguenza, qualora fosse nominato amministratore della s.n.c. il socio accomandatario della s.a.s. che partecipa alla s.n.c., eventuali creditori sociali di quest'ultima, prima di poter agire personalmente nei confronti dell'amministratore facendo valere la sua responsabilità, dovrebbero escutere sia il patrimonio sociale della s.n.c. che della s.a.s., con evidente detrimento di tutela dei loro diritti creditori. Concorde con le pronunce appena esaminate è il Tribunale di Cagliari, che così si esprime: “La nomina, da parte dei soci di una società in nome collettivo, di un amministratore terzo, investendo profili attinenti all'economia generale, “lato sensu” riconducibili all'ordine pubblico economico, lungi dal configurare un legittimo esercizio di autonomia privata, si risolve in una modifica essenziale degli elementi caratterizzanti il prescelto schema societario, non consentita e, come tale, non meritevole di alcuna tutela”. (Trib. Cagliari, 11 novembre 2005, in Riv. Giur. Sarda, 2006, 2, 383, con nota di Dessi). Per quanto riguarda la giurisprudenza di legittimità, la Corte di Cassazione, Sez. III civile, con la sentenza n. 3887/1996 esprime, invece, parere favorevole all'amministratore estraneo nelle società di persone: “La rappresentanza legale della società semplice, a norma dell' art. 2266, secondo comma, cod. civ., spetta a ciascun socio amministratore, in mancanza di diversa disposizione del contratto; con la conseguenza che le parti possono pattiziamente derogare a tale disciplina, affidando l'indicata rappresentanza a persone che non possiedono la qualità di socio”. Anni dopo, la S.C. riconferma il proprio orientamento favorevole: “… gli artt. 2252 e 2259 c.c. operano su piani diversi, essendo l'uno destinato a regolare i rapporti tra i soci, l'altro il rapporto tra la società e l'amministratore; anche perché può risultare nominato amministratore chi socio non è”. (Cass. Civ., n. 13761/2009). Conclusioni
Volendo trarre delle conclusioni sull'argomento, vi è da rilevare che non si può dare una risposta definitiva, affermativa o negativa, al quesito circa la possibilità di affidare il ruolo di amministratore di una società di persone a un soggetto terzo non socio. Infatti, né la dottrina né la giurisprudenza sono unanimi. In assenza, dunque, di un dato normativo certo, si attendono ulteriori evoluzioni giurisprudenziali in materia. |