Inoperatività della rappresentanza apparente nell’offerta pubblica di strumenti finanziari

17 Ottobre 2016

La società di intermediazione finanziaria, ai sensi dell'art. 31, comma 3, T.U.F., è responsabile in solido con il promotore finanziario per i danni arrecati ai terzi a causa del fatto illecito di quest'ultimo, purchè tra il fatto e le incombenze a lui affidate sussista un rapporto di necessaria occasionalità, non rilevando che il comportamento del promotore abbia esorbitato dai limiti fissati dalla società, ma essendo sufficiente che il terzo in buona fede, sulla base di circostanze oggettive, abbia confidato che l'attività dalla quale è conseguito il fatto lesivo rientrasse nell'incarico affidato.
Massima

La società di intermediazione finanziaria, ai sensi dell'art. 31, comma 3, T.U.F., è responsabile in solido con il promotore finanziario per i danni arrecati ai terzi a causa del fatto illecito di quest'ultimo, purchè tra il fatto e le incombenze a lui affidate sussista un rapporto di necessaria occasionalità, non rilevando che il comportamento del promotore abbia esorbitato dai limiti fissati dalla società, ma essendo sufficiente che il terzo in buona fede, sulla base di circostanze oggettive, abbia confidato che l'attività dalla quale è conseguito il fatto lesivo rientrasse nell'incarico affidato.

Nell'attività di intermediazione finanziaria, in forza dell'art. 94 T.U.F., l'offerta al pubblico di strumenti finanziari coincide con la comunicazione alla Consob e con la successiva pubblicazione del prospetto e configura un'offerta pubblica ai sensi dell'art. 1336 c.c., a cui l'investitore può solo aderire, senza apporre alcuna modifica, nemmeno per iniziativa del promotore finanziario.

Il soggetto, qualificabile come terzo nei confronti dell'intermediario finanziario, che concluda con il promotore un contratto dal contenuto diverso da quello indicato nel prospetto versa in uno stato di colpa inescusabile e non può invocare nei confronti dell'intermediario finanziario i principi della rappresentanza apparente per far valere le condizioni contrattuali che abbia indicato quest'ultimo ma che siano diverse e più favorevoli da quelle individuate nel prospetto.

Il caso

I fatti alla base della controversia riguardano la conclusione di un contratto di sottoscrizione di quote di un fondo comune di investimento mobiliare da parte di I.GE.A. S.p.A. (di seguito I.GE.A.) con Banca Fideuram S.p.A. (di seguito la Banca), in persona della sua promotrice finanziaria, unico soggetto preposto dalla Banca stessa a raccogliere le adesioni all'offerta in quella determinata zona.

Il predetto contratto era stato concluso, in particolare, alle condizioni menzionate dalla promotrice in una nota del 17 aprile 2001, più favorevoli rispetto a quelle contenute nel successivo mandato del 19 aprile 2001, pervenuto il giorno successivo e indicate nel prospetto informativo dell'investimento, nonostante la promotrice non avesse il potere di concludere contratti a condizioni più favorevoli di quelle previste nel mandato del 19 aprile 2001.

Fideuram, in seguito, ha agito contro I.GE.A. S.p.A. al fine di far valere l'invalidità del contratto di investimento perché concluso dalla promotrice senza averne i poteri; sia in primo grado che in appello, i giudici, tuttavia, hanno concluso per la validità del contratto in forza dei principi concernenti la rappresentanza apparente e l'affidamento incolpevole di I.GE.A. circa i poteri della promotrice finanziaria, unico soggetto preposto dalla Fideuram in quella determinata zona e che utilizzava la carta intestata ed i locali della banca, di cui aveva speso il nome. Nella pronuncia di secondo grado, in particolare, la Corte sottolinea che l'art. 1393 c.c. prevede solo la facoltà e non l'onere del terzo di verificare i poteri del rappresentante e che, inoltre, la banca aveva ingenerato in I.GE.A. il ragionevole convincimento che alla promotrice finanziaria fosse conferito il potere di applicare condizioni contrattuali più favorevoli.

Contro la sentenza resa dalla Corte d'Appello la Banca ricorre in Cassazione chiedendone la riforma per sei motivi, mentre I.GE.A. propone controricorso affermando la diretta efficacia del contratto così come concluso con la promotrice finanziaria. La Corte di legittimità cassa e riforma la pronuncia impugnata sulla base di due motivi di ricorso.

Le questioni e le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione nella pronuncia in esame ha, innanzitutto, precisato che per stabilire quale contratto dovesse ritenersi vigente tra le parti, non fosse necessario ricorrere all'analisi della disciplina della figura del promotore finanziario e dei suoi rapporti con il soggetto abilitato che gli abbia conferito l'incarico, disciplina che attiene esclusivamente ai profili e ai limiti della responsabilità risarcitoria dell'intermediario per il fatto illecito del promotore.

L'art. 31, comma 3, T.U.F. prevede, infatti, la responsabilità in solido dell'intermediario con il promotore finanziario per i danni arrecati a terzi a causa del fatto illecito di quest'ultimo, purchè, così come concluso dalla giurisprudenza, sussista un rapporto di “necessaria occasionalità” tra gli incarichi affidati e il fatto del promotore, ravvisabile in tutti i casi in cui l'attività del promotore rientri in quelle funzionali all'esercizio delle incombenze di cui è investito, senza che rilevi che egli abbia esorbitato dal limite posto dalla società, ma essendo sufficiente che la sua condotta sia stata agevolata e resa possibile dall'inserimento nell'ambito dell'attività del soggetto abilitato, in modo tale da far apparire al terzo di buona fede che l'attività posta in essere per la consumazione dell'illecito rientrasse nell'incarico affidato.

Per risolvere la problematica posta dal caso in esame, precisa quindi la Corte di legittimità, è necessario, piuttosto, determinare se il contratto concluso dal promotore finanziario a condizioni esorbitanti dai suoi poteri rappresentativi possa produrre effetti nei confronti dell'intermediario in forza dei principi propri della rappresentanza apparente.

Gli elementi costitutivi della rappresentanza apparente, in particolare, conformemente a quanto affermato dai più recenti approdi giurisprudenziali, sono tre: una situazione di fatto difforme da quella di diritto; un comportamento colposo del rappresentato, idoneo a ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato validamente conferito al rappresentante apparente e, infine, la buona fede del terzo, il quale, infatti, non potrebbe invocare l'apparenza stessa, se fosse a sua volta in colpa, nel caso in cui possa, cioè, evitare l'errore con l'ordinaria diligenza. Nel caso in esame, la Corte conclude, non può trovare applicazione l'istituto della rappresentanza apparente poiché mancherebbe il requisito della buona fede del terzo.

La disciplina del prospetto d'offerta, ex art. 94 T.U.F., infatti, obbliga coloro che intendano effettuare un'offerta a pubblicare il prospetto, preventivamente comunicato alla Consob e che deve contenere tutte le informazioni sui prodotti finanziari offerti, nonché ogni eventuale successiva modifica. La pubblicazione del prospetto è da qualificarsi alla stregua di un'offerta pubblica, ex art. 1336 c.c., uniforme e standardizzata, e l'eventuale successivo contratto stipulato con l'investitore è consensuale, nonchè a formazione progressiva, concludendosi, infatti, attraverso l'adesione espressa da parte dell'investitore.

Il contratto, peraltro, deve necessariamente essere concluso alle condizioni espresse nel prospetto, restando all'investitore solo la facoltà di aderirvi o meno, senza possibilità di modificarle, nemmeno per iniziativa del promotore finanziario, il quale, infatti, ai sensi degli artt. 94 e 95 T.U.F., non partecipa alla determinazione del contenuto negoziale.

Alla luce delle menzionate coordinate giuridiche, la Corte afferma, quindi, che i principi della rappresentanza apparente non possono trovare applicazione nel caso in esame, poiché non può ritenersi sussistente la buona fede in capo a I.GE.A. L'affidamento da parte di quest'ultima alle condizioni contrattuali comunicate dalla promotrice finanziaria della Banca, difformi da quelle del prospetto, integra, infatti, una condotta colposa inescusabile e, di conseguenza, le condizioni stesse, più vantaggiose, non possono essere applicate. I giudici di legittimità concludono, infine, che il contratto di sottoscrizione di quote di un fondo comune di investimento mobiliare da parte di I.GE.A. deve ritenersi effettuato alle condizioni contrattuali meno vantaggiose contenute nel prospetto.

Conclusioni

La pronuncia in esame è di notevole interesse perché affronta per la prima volta la questione relativa al rapporto tra la rappresentanza apparente e la disciplina dell'offerta al pubblico di cui all'art. 94 T.U.F., stabilendo fino a che punto si estenda l'onere del terzo di verificare che le condizioni contrattuali proposte dal promotore finanziario corrispondano a quelle contenute nel prospetto.

La problematica, in particolare, come la Corte sottolinea, esula dai temi relativi alla responsabilità dell'intermediario finanziario per il fatto colposo del promotore che abbia causato un danno a terzi ed è incentrata, piuttosto, esclusivamente sulle conseguenze a livello contrattuale dell'applicazione da parte del promotore finanziario di condizioni differenti rispetto a quelle contenute nel prospetto e dunque esorbitanti il suo potere rappresentativo.

I giudici di legittimità stabiliscono che rientra nell'obbligo di diligenza del terzo investitore la verifica che le condizioni praticate dal promotore finanziario coincidano con quelle previste nel prospetto, configurando, al contrario, una condotta colposa inescusabile l'aver confidato che il promotore avesse il potere di praticare condizioni diverse e più favorevoli: in tal modo la Corte se, da un lato, dà massimo rilievo all'esigenza di certezza nella disciplina delle offerte al pubblico, dall'altro lato, forse, aggrava eccessivamente l'onere dell'investitore, soggetto non necessariamente qualificato, che dovrebbe poter confidare nel diligente operato del promotore finanziario, senza dover effettuare una difficile attività di verifica che le condizioni contrattuali coincidano con quelle indicate nel prospetto.

Il principio espresso dalla Corte si distingue dunque da quello generalmente affermato con riferimento all'art. 1393 c.c., in forza della quale si conclude che tale disposizione, prevedendo che il terzo possa chiedere al rappresentante di giustificare i suoi poteri, imponga al terzo solo una facoltà e non un onere, la cui violazione dunque non può configurare un comportamento colposo che escluda, da ultimo, la configurabilità di un'ipotesi di rappresentanza apparente.

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