Il limite del patrimonio netto ai fini del riporto delle perdite fiscali da fusione

Alberto Molgora
21 Febbraio 2017

Le perdite fiscali pregresse conseguite dalle società partecipanti alla fusione, giusto il disposto dell'art. 172, comma 7, TUIR, sono riportabili nel limite del patrimonio netto di tali società, da considerarsi tuttavia al netto dei versamenti effettuati dai soci nei ventiquattro mesi precedenti la situazione patrimoniale di riferimento, quand'anche i detti versamenti siano stati eseguiti al fine di coprire perdite del capitale sociale di cui all'art. 2447 c.c.
Massima

Le perdite fiscali pregresse conseguite dalle società partecipanti alla fusione, giusto il disposto dell'art. 172, comma 7, TUIR, sono riportabili nel limite del patrimonio netto di tali società, da considerarsi tuttavia al netto dei versamenti effettuati dai soci nei ventiquattro mesi precedenti la situazione patrimoniale di riferimento, quand'anche i detti versamenti siano stati eseguiti al fine di coprire perdite del capitale sociale di cui all'art. 2447 c.c.

Il caso

Il caso di specie, riferito alla determinazione del patrimonio netto di società partecipanti alla fusione ai fini del riporto delle perdite fiscali ex art. 172, comma 7, TUIR, trae origine da una pronuncia della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, la quale, rigettando sul punto l'appello dell'Amministrazione Finanziaria, ha sancito che i versamenti soci effettuati in ottemperanza delle disposizioni di cui all'art. 2447 c.c. non debbono essere portati a decurtazione del patrimonio netto rilevante ai fini del riporto delle perdite fiscali maturate ante fusione.

Dirimente in proposito, a parere dei giudici marchigiani, la circostanza che i versamenti de quibus, lungi dal porsi in contrasto con le finalità antielusive proprie della norma in commento, rappresenterebbero un “atto dovuto”, ai sensi della richiamata previsione civilistica.

Avverso una simile pronuncia, l'Agenzia delle Entrate è ricorsa innanzi alla Suprema Corte, evidenziando che le disposizioni di cui all'art. 172, comma 7, TUIR non adottano alcuna distinzione tra versamenti soci di carattere “volontario” ovvero “obbligatorio”, né i limiti quantitativi all'uopo previsti dalla legge risultano subordinati alla presenza o meno di intenti elusivi in capo ai soggetti interessati.

Nelle proprie controdeduzioni, il contribuente ha obiettato che, in quanto al cospetto di versamenti soci effettuati in ottemperanza di una previsione normativa posta a tutela dell'integrità del capitale sociale, la penalizzante interpretazione della norma proposta dall'Ufficio risulterebbe illegittima, oltre che di dubbia costituzionalità.

Le questioni

La Corte di Cassazione è stata dunque chiamata a pronunciarsi in ordine ad un peculiare aspetto della disciplina tributaria di cui all'art. 172, comma 7, TUIR, attinente il riporto delle perdite fiscali maturate in capo a società partecipanti ad operazione di fusione.

Tale disposizione normativa, di evidente matrice antielusiva, prevede che le perdite fiscali delle società partecipanti alla fusione possono essere portate in diminuzione del reddito imponibile della società risultante dalla fusione (o incorporante) ex art. 84 del TUIR per la parte del loro ammontare che non eccede il valore del rispettivo patrimonio netto, quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all'art. 2501-quater c.c., senza tenere conto dei conferimenti e dei versamenti eseguiti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la predetta situazione patrimoniale (cd. limite patrimoniale).

Peraltro, la norma de qua agitur subordina la riportabilità delle perdite fiscali in commento anche alla verifica che dal conto economico della società aventi perdite riportabili, relativo all'esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risultano ricavi dell'attività caratteristica e spese relative al personale dipendente di ammontare superiore al 40 per cento rispetto a quello medio degli ultimi due esercizi anteriori (cd. test di vitalità).

In tale contesto normativo, la Suprema Corte si concentra sul limite patrimoniale di cui supra, addivenendo, in proposito, a conclusioni in tutto condivisibili, oltre che in linea con ratio e lettera della norma.

In particolare, la Sentenza de qua statuisce che le perdite fiscali maturate da ciascuna società partecipante alla fusione sono riportabili nei limiti del rispettivo patrimonio netto, opportunamente decurtato dei versamenti effettuati dai soci nei ventiquattro mesi precedenti la situazione patrimoniale di riferimento, senza che sia in proposito contemplabile alcuna deroga, se non espressamente prevista dalla legge.

Tra i versamenti da considerare in riduzione del patrimonio netto – sancisce la Suprema Corte – debbono quindi ricomprendersi anche quelli eseguiti al fine di ricostituire il capitale sociale ridottosi per perdite ai sensi dell'art. 2447 c.c..

Del resto, i versamenti effettuati a copertura di perdite del capitale ex art. 2447 c.c. – osservano acutamente i Giudici Ermellini – non potrebbero nemmeno considerarsi quali obbligatori a livello civilistico – come invece asserito dai Giudici di Seconde Cure – atteso che il richiamato art. 2447 c.c. consente ai soci delle società di capitali, in alternativa alla ricapitalizzazione, la trasformazione societaria, piuttosto che, a parere di chi scrive, la stessa messa in liquidazione.

In ragione di tali inappuntabili considerazioni, la Suprema Corte accoglie il ricorso dell'Ufficio, palesando nel contempo la manifesta infondatezza di qualsivoglia dubbio circa la legittimità costituzionale della disposizione tributaria oggetto del giudicato, avente finalità antielusive in tutto meritevoli di tutela.

Osservazioni

La commentata Sentenza tratta dei limiti al riporto delle perdite fiscali pregresse in ipotesi di fusione societaria, così come all'uopo stabiliti dall'art. 172, comma 7, TUIR.

La norma di specie è intesa a contrastare la realizzazione di fenomeni elusivi atti a compensare le perdite fiscali di società prive di capacità produttiva o sottocapitalizzate (cd. “bare fiscali”) con i redditi imponibili di altre società partecipanti alla fusione.

In tale contesto, per individuare la sussistenza del diritto al riporto delle perdite fiscali de quibus, occorre in primis verificare, in capo a ciascuna società partecipante alla fusione, la sussistenza di specifici requisiti di vitalità economica, avuto riguardo all'ammontare di componenti del conto economico in proposito rilevanti, quali ricavi della gestione caratteristica ed oneri relativi al personale dipendente.

Una volta attestata la sussistenza dei suddetti requisiti di operatività, occorre prendere a riferimento il patrimonio netto delle società partecipanti alla fusione; si tratta, come detto, del cd. limite patrimoniale su cui, per l'appunto, si concentra la Sentenza de qua agitur.

Tale grandezza – evidentemente indicativa della capacità propria di ciascuna società ante fusione di produrre in futuro redditi compensabili con le perdite pregresse – rappresenta il limite massimo dell'ammontare delle perdite fiscali che ciascuna società “operativa” partecipante alla fusione può portare “in dote” alla società incorporante o risultante dalla fusione.

Ai sensi di legge, il suddetto patrimonio netto deve tuttavia essere opportunamente ridotto dell'ammontare di eventuali conferimenti e versamenti effettuati nei ventiquattro mesi precedenti, al fine di contrastare operazioni finalizzate a consentire un più elevato recupero delle perdite fiscali maturate ante fusione, mediante strumentali ricapitalizzazioni all'uopo operate a ridosso dell'operazione.

Anche in considerazione delle finalità antielusive della norma, la Suprema Corte statuisce condivisibilmente come, nell'ambito dei versamenti da computare in diminuzione del patrimonio netto, debbano ricomprendersi anche quelli eseguiti al fine di ricostituire il capitale sociale ridottosi per perdite ex art. 2447 c.c., peraltro in alcun modo considerabili come obbligatori a livello civilistico.

Si tratta, ad onor del vero, di un chiarimento che appare in toto conforme al dettame normativo, oltre che in linea con i principi desumibili dalle pronunce di prassi dell'Amministrazione Finanziaria intervenute nel tempo sul tema (v., Circ. Agenzia delle Entrate n. 9/2010, Ris. Agenzia delle Entrate n. 54/2010).

Per quanto non precisato dalla commentata Sentenza – giacché avulso dalla materia del contendere – preme rilevare come, in sede di applicazione delle disposizioni del citato art. 172 TUIR, occorra fare riferimento al patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio relativo all'esercizio chiuso prima dell'efficacia giuridica della fusione – ancorché eventualmente non ancora approvato a tale data – o, se inferiore, a quello risultante dalla situazione patrimoniale ex art. 2501-quater c.c., allorché predisposta ad opera dell'organo amministrativo.

Conclusioni

La commentata Sentenza affronta il sempre attuale tema del riporto delle perdite fiscali in ipotesi di fusione societaria ex art. 172, comma 7, TUIR, pur se limitatamente alla corrette modalità di quantificazione del patrimonio netto rilevante ai fini della conservazione post fusione delle perdite pregresse maturate da ciascuna società partecipante all'operazione (cd. limite patrimoniale).

L'auspicio è quello che gli operatori del settore, laddove intenti a valutare l'opportunità di operazioni di natura straordinaria quali la fusione societaria, attribuiscano il dovuto rilievo, fra l'altro, alla variabile fiscale, applicando le disposizioni di cui al citato art. 172, comma 7, TUIR anche nel rispetto dei condivisibili chiarimenti in proposito proposti dalla Suprema Corte.

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