Strumenti finanziari partecipativi

Fabio Signorelli
03 Aprile 2017

Con l'introduzione nel diritto societario degli strumenti finanziari il legislatore ha voluto ampliare le possibilità del finanziamento alle imprese attraverso strumenti flessibili per un più agevole reperimento di risorse finanziarie non solo da parte dei soci ma anche di terzi estranei alla compagine sociale, creando canali di finanziamento nuovi ed alternativi al tradizionale sistema bancario. Gli strumenti finanziari non sono né azioni né obbligazioni, ma costituiscono, piuttosto, un terzo genere.
Inquadramento

La ratio sottesa all'introduzione nel diritto societario degli strumenti finanziari è semplice: il legislatore ha voluto ampliare le possibilità del finanziamento alle imprese attraverso strumenti flessibili per un più agevole reperimento di risorse finanziarie non solo da parte dei soci ma anche di terzi estranei alla compagine sociale, creando canali di finanziamento nuovi ed alternativi al tradizionale sistema bancario. La legge delega (L. 3 ottobre 2001, n. 366), all'art. 4, comma 6, lett. c), precisa che la riforma è diretta a prevedere, al fine di agevolare il ricorso al mercato dei capitali (…), la possibilità, i limiti e le condizioni di emissione di strumenti finanziari non partecipativi e partecipativi dotati di diversi diritti patrimoniali e amministrativi. Il legislatore delegato ha perseguito l'obiettivo di ampliare la possibilità di acquisizione di elementi utili per il proficuo svolgimento dell'attività sociale aprendo così un ampio spazio per l'autonomia statutaria per definire i diritti spettanti ai possessori dei suddetti strumenti finanziari, i quali potranno essere i più vari e comprendere pertanto anche il diritto di conversione in altri strumenti finanziari o in partecipazioni azionarie. L'espressione strumenti finanziari era già ben nota al legislatore del T.U.F., che aveva delineato una serie composita di prodotti finanziari destinati ad essere negoziati sui mercati regolamentati, tra i quali rientravano, in particolare, le azioni e le obbligazioni. Come è stato fatto giustamente osservare, si sarebbe trattato di affiancare a queste ultime una nuova figura da far rientrare in quella stessa categoria, spiegandosi solo con un deficit di fantasia il fatto che non si sia trovato niente di meglio, nel redigere il nuovo art. 2346 c.c., che usare la stessa espressione indicante la categoria medesima, cosicché ci troviamo di fronte a strumenti finanziari facenti parte della categoria … degli strumenti finanziari (Ferrara-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 443). Il legislatore ha cercato, pur nella farraginosità del suo intervento, di tipizzare gli strumenti finanziari atipici o ibridi, dando vita ad una categoria assai ampia ed indefinita di strumenti finanziari non partecipativi e partecipativi, prevista dagli artt. 2346, comma 6, 2349, comma 2 e 2351, comma 5, c.c.; strumenti finanziari diversi dalle obbligazioni, ma sottoposti alla medesima disciplina, previsti dall'art. 2411, comma 3 c.c. e strumenti finanziari emessi in relazione alla partecipazione a patrimoni destinati ad uno specifico affare, di cui all'art. 2447-ter, comma 1, lett. e), c.c.. Il modo quasi lapidario con il quale il legislatore ha tentato di definire e regolamentare gli strumenti finanziari trova una sua giustificazione nel fatto che, con ogni probabilità, proprio questa fosse la sua reale volontà, tesa a lasciare alla regolamentazione pattizia la declinazione e la modulazione dei contenuti e delle specificità dei predetti strumenti finanziari, in stretta armonia con quanto previsto per le azioni e le obbligazioni. E' appena il caso di sottolineare come l'espressione partecipativi non stia a significare che gli strumenti partecipino al capitale sociale, ossia concorrano alla formazione del capitale di rischio, ma, all'opposto, che il loro apporto debba essere considerato come debito della società nei confronti dei sottoscrittori, sia nel caso in cui la restituzione sia certa, sia nel caso opposto, in cui la restituzione dipenda, in tutto o in parte, dall'andamento economico della società. Giova, altresì, sottolineare che non tutti gli strumenti finanziari dotati di diritti patrimoniali o amministrativi emessi dalle società per azioni dovranno rientrare necessariamente nella categoria di cui all'art. 2346, comma 6, c.c., potendo esistere (ed esisteranno) altri strumenti atipici aventi una loro specifica regolamentazione. Il legislatore, nonostante l'obiettivo di ampliare la possibilità di acquisizione di elementi utili per il proficuo svolgimento dell'attività sociale non poteva non tener conto dei vincoli posti dalla seconda direttiva comunitaria che imperativamente vieta il conferimento di opere e servizi. Con questo vincolo ma anche per superare questo vincolo, è rimasta salva la possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opere o servizi, emetta strumenti finanziari. E', forse, appena il caso di sottolineare come, significativamente, il legislatore abbia usato il termine apporto e non conferimento, laddove il secondo è prestato a fronte della sottoscrizione di azioni, mentre il primo richiama la nota figura dell'associazione in partecipazione, contrapposta sia alla partecipazione societaria in senso stretto sia al finanziamento a titolo di mutuo sotteso al prestito obbligazionario. Tuttavia, nonostante esistano alcune assonanze (né il sottoscrittore di strumenti finanziari né l'associato in partecipazione hanno poteri gestori; né rischiano più dell'apporto, né diventano titolari dell'iniziativa economica), non pare esservi dubbio che agli strumenti finanziari possa essere applicabile tout court la disciplina dell'associazione in partecipazione, se non in via di analogia, posto che la regolamentazione applicabile agli strumenti finanziari sarà quella (imperativa) indicata dal codice civile e, soprattutto, quella risultante dalla regolamentazione pattizia sottostante.

Gli strumenti finanziari non sono né azioni né obbligazioni, ma costituiscono, piuttosto, un terzo genere. Non sono azioni sia per motivi testuali sia per motivi sostanziali. Nel primo caso, la sezione V del capo V del libro V del codice civile tratta “Delle azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi”, lasciando chiaramente intendere che la loro natura è diversa. L'incipit dell'art. 2346, comma 6, c.c., “Resta salva”, pare indicare, nell'ambito dell'emissione di azioni (in tal senso la rubrica dell'articolo), una diversa fattispecie giuridica; della diversità tra apporto e conferimento s'è già detto. Nel secondo caso, l'elemento che, più di ogni altro, sembrerebbe distinguere lo strumento finanziario dall'azione è l'esclusione dal voto nell'assemblea generale degli azionisti, caratteristico, invece dell'azione, anche se, per la verità, tale caratteristica è del tutto mancate anche nelle azioni di risparmio. A differenza delle azioni, gli strumenti finanziari non sono parti del capitale sociale e gli apporti sottostanti non sono assoggettati alla disciplina propria dei conferimenti in quanto non sono imputati al capitale sociale, pur contribuendo ad incrementare il patrimonio sociale: essi, in poche parole, non attribuiscono mai la qualità di azionista. Certamente più difficile è operare la distinzione fra strumenti finanziari e obbligazioni perché entrambi vengono emessi a fronte di un apporto che non può essere mai imputato a capitale. S'è già detto di come l'ampio ventaglio degli strumenti finanziari classici (in particolare: azioni ed obbligazioni) messi a disposizione dell'impresa, soprattutto a seguito della riforma del diritto societario, nelle loro varie sfaccettature, tenda a scolorire e ad assumere, di volta in volta, contorni sempre meno delineati e precisi, a tutto vantaggio della flessibilità degli strumenti medesimi, cosicché tra i due estremi – le azioni ordinarie e le obbligazioni pure e semplici – è infatti possibile dar vita ad una serie di varianti, tale da creare una gamma di tipologie intermedie (quasi) senza soluzione di continuità (Notari, Azioni e strumenti finanziari: confine delle fattispecie e profili di disciplina, in Banca borsa tit. cred., 2003, I, 543 e ss.). Partendo da queste considerazioni, le caratteristiche che più differenziano gli strumenti finanziari partecipativi dalle obbligazioni stanno nel fatto che:

i) mentre le seconde attribuiscono il diritto al rimborso del prestito effettuato (pur potendo essere subordinato al soddisfacimento dei diritto di altri creditori), esso non potrà mai dipendere dall'andamento economico della società, potendo, in questo senso, variare solo il pagamento degli interessi (art. 2411, commi 1 e 2, c.c.), mentre così non è per i primi, nel senso che gli strumenti finanziari possono condizionare il diritto al rimborso del prestito all'andamento della gestione sociale (art. 2411, comma 3, c.c.);

ii) come già detto, al maggior coinvolgimento dell'obbligazionista nel rischio d'impresa non corrisponde in alcun modo una sua ingerenza nella gestione sociale, così come, invece, è previsto per gli altri strumenti finanziari che sono forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, con i quali poter certamente incidere, in misura più o meno rilevante sulla gestione sociale.

Gli apporti e i loro contenuti

Per quanto riguarda gli apporti, la legge non ha dettato particolari condizioni o vincoli, limitandosi ad affermare che la società può emettere strumenti finanziari a seguito dell'apporto di soci o di terzi anche di opera o di servizi. Il parallelismo con le società a responsabilità limitata è immediato, posto che in esse possono essere conferiti tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica, ivi incluse, si capisce, le prestazioni d'opera o di servizi, in un rapporto di genere a specie. Se, pertanto, quest'ultima amplissima possibilità è applicabile alle società a responsabilità limitata in sede di conferimento, non si vede perché altrettanta elasticità debba essere negata in sede di sottoscrizione di strumenti finanziari nelle società per azioni, tenuto conto che la ratio sottostante è, chiaramente, permettere alle società per azioni di acquisire ogni utilità possibile, senza entrare in conflitto con i vincoli comunitari che vietano espressamente i conferimenti di beni e servizi. Potranno, pertanto, essere ricompresse, oltre le prestazioni di opera e servizi, tutte le utilità di qualsiasi genere per il conseguimento dell'oggetto sociale, quali gli obblighi di non fare come, ad esempio, l'obbligo di non concorrenza; il buon nome del sottoscrittore, considerato idoneo ad incrementare la reputazione dell'impresa; prestazioni a carattere continuativo o periodico; prestazioni professionali, know how, prestazioni di garanzia. L'apporto, come visto, può consistere anche in opera o servizi, ma la congiunzione farebbe supporre che, in prevalenza o preferibilmente, gli apporti debbano consistere in denaro ovvero in natura. Un'ulteriore riflessione porterebbe altresì a ritenere che i lavoratori dipendenti della società godano di un trattamento differenziato rispetto a tutti gli altri sottoscrittori di strumenti finanziari, posto che l'art. 2349, comma 2, c.c., prevede nei loro confronti l'assegnazione di strumenti finanziari, lasciando intendere che tali strumenti non vengano dati in cambio di un apporto ma loro attribuiti a titolo gratuito, con esclusione, dunque, di assegnazione di strumenti finanziari in cambio della retribuzione principale (Mignone, in Cottino-Bonfante-Cagnasso-montalenti (diretto da), Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, 247).

I diritti connessi agli strumenti finanziari

La legge lascia allo statuto ogni determinazione in merito al contenuto dei diritti patrimoniali o anche amministrativi conferiti dagli strumenti finanziari, limitandosi solamente ad escluderne il voto nell'assemblea generale degli azionisti.

In evidenza: elementi che devono essere definiti dallo statuto:

a) i diritti patrimoniali ed amministrativi riconosciuti al sottoscrittore

b) le modalità e le condizioni di emissione

c) le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni

d) se ammessa, quale sia la legge di circolazione

Per quanto concerne i diritti patrimoniali essi potranno prevedere una diretta partecipazione agli utili della società oppure una remunerazione del capitale apportato sotto forma d'interessi, senza esclusioni aprioristiche in relazione all'ampiezza della formulazione (volutamente) usata dal legislatore, spingendosi perfino a prevedere un diritto d'opzione su ulteriori emissioni di strumenti finanziari ed anche di azioni. Lo statuto potrà stabilire che il diritto alla partecipazione agli utili (e la relativa corresponsione) nasca automaticamente una volta che sia approvato il bilancio d'esercizio evidenziate utili, senza la necessità che l'assemblea deliberi anche la loro distribuzione, ai sensi dell'art. 2433 c.c., prevedendo, altresì, la postergazione dei titolari degli strumenti finanziari rispetto ad altri creditori sociali, in analogia, come abbiamo visto, con quello che accade per le obbligazioni. L'art. 2411, comma 3, c.c., dispone che la (medesima) disciplina delle obbligazioni si applichi anche agli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l'entità del rimborso del capitale all'andamento economico della società, riferendosi, in tal modo, agli strumenti finanziari che concorrano al rischio d'impresa e che hanno sostanzialmente mutato la loro “pelle” da strumenti di debito a strumenti di rischio e che, pertanto, possono risentire di perdite societarie. Va da sé che applicandosi a questi particolari strumenti finanziari (tutta) la sezione VII – Delle Obbligazioni – ad essi si applicherà il limite all'emissione previsto dall'art. 2412 c.c., anche se non sono mancate opinioni contrarie (Mignone, in Cottino-Bonfante-Cagnasso-montalenti (diretto da), Il nuovo diritto societario, op. cit., 250, nota 70). E' opportuno notare che sembrerebbe esistere una distonia del sistema che opera una singolare differenziazione fra strumenti finanziari che conferiscono diritti amministrativi ai quali, ai sensi dell'art. 2376, comma 1, c.c., sarà applicabile il sistema assembleare delle assemblee speciali, mentre per tutti gli altri strumenti finanziari di rischio si applicherà il sistema assembleare evidenziato dall'art. 2415 c.c. (per gli obbligazionisti) con la presenza del rappresentante comune. Come giustamente è stato fatto osservare, si potrebbe porre il problema della scelta del regime applicabile qualora ci si trovasse di fronte ad uno strumento finanziario che assommi in sé sia le caratteristiche del primo gruppo (con diritti amministrativi), sia caratteristiche del secondo (strumenti di rischio), sembrando soluzione migliore la prevalenza della disciplina che (non complessivamente ma) per ogni singolo aspetto è più favorevole. Il diritto di voto è tra le questioni certamente più dibattute. L'art. 2346, comma 6, c.c., sembra escludere (tassativamente) il voto nell'assemblea generale degli azionisti. Parimenti dispone l'art. 2349, comma 2, c.c., con riferimento agli strumenti finanziari a favore dei prestatori di lavoro. Tuttavia tali disposizioni vanno coordinate con l'art. 2351, comma 5, c.c., che prevede la possibilità che gli strumenti finanziari di cui agli artt. 2346, comma 6 e 2349, comma 2, c.c., possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo statuto, la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. L'esclusione del voto nell'assemblea generale degli azionisti sembrerebbe suggerire che il diritto di voto su argomenti specifici così come pure la nomina di amministratori e sindaci possano essere esercitati soltanto nell'assemblea speciale ad essi riservata: così si esprime la Relazione e la dottrina maggioritaria. Tuttavia questa interpretazione suscita non poche perplessità e ciò prescindendo (volendo ricorrere all'interpretazione analogica) dalle disposizioni di cui agli artt. 2506-ter, comma 4, c.c., in tema di scissione e 2526, comma 2, c.c., in tema di cooperative, che sembrerebbero dare per implicito che il voto dei portatori di strumenti finanziari debba essere espresso nell'assemblea generale degli azionisti. Infatti far discendere dal divieto di voto nell'assemblea generale degli azionisti la conseguenza che il voto su argomenti specificamente indicati e la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco debbano essere riservati all'assemblea speciale, parrebbe una forzatura che deriva, primariamente, dal fatto che la predetta assemblea speciale (di cui all'art. 2376 c.c.) sembra deputata principalmente (se non esclusivamente) a deliberare su argomenti che pregiudicano i diritti dei sottoscrittori di strumenti finanziari (che conferiscono diritti amministrativi), non potendosi dilatarne la competenza in un modo talmente ampio da ricomprendere ogni ipotesi diversa da quella specifica prevista dalla legge. Ma non si tratta solo di questo, perché si aggiungerebbero anche gli inevitabili problemi di coordinamento tra l'assemblea speciale e l'assemblea generale degli azionisti, come nel caso in cui si debba procedere alla nomina (separata) di un amministratore o di un sindaco, per cui verrebbe meno il principio di unitarietà dell'organo assembleare, che esclude votazioni separate. La soluzione potrebbe essere allora di buon senso, prevedendo la possibilità che sia proprio lo statuto a determinare il luogo più idoneo (assemblea generale piuttosto che assemblea speciale) nel quale i portatori di strumenti finanziari possano (e debbano) esercitare il diritto di voto sulle materie loro riservate dalla legge, fermo restando che sulla base delle considerazioni che precedono e di un'interpretazione globale della materia, ai più volte citati portatori di strumenti finanziari dovrebbe essere riconosciuto il diritto di voto nell'assemblea generale degli azionisti sia sugli argomenti specificamente indicati sia sulla nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco e con esclusione del voto pieno su qualsiasi altro argomento all'ordine del giorno, dovendosi adottare il sistema della doppia assemblea qualora si controverta su materie e si debbano adottare deliberazioni che possano pregiudicare i diritti delle diverse categorie di azioni o di strumenti finanziari che conferiscano diritti amministrativi.

La legge di circolazione

Gli strumenti finanziari partecipativi possono essere sia negoziabili sia non negoziabili, a discrezione dello statuto che, nel primo caso, ne detterà anche la disciplina di circolazione.

Qualora essi fossero negoziabili su mercati regolamentati saranno assoggettati alla dematerializzazione obbligatoria, ai sensi dell'art. 28, comma 1, D. Lgs. 24 giugno 1998, n. 213 (Disposizioni per l'introduzione dell'euro). I predetti titoli potranno, pertanto, essere totalmente intrasferibili oppure trasferibili alle condizioni, con le modalità, a soggetti ed, in generale, secondo regole stabilite, appunto, dallo statuto. Lo spunto più immediato relativo alle modalità di trasferimento sembra quello ricavabile dagli artt. 2346, comma 1 e 2355 cc.., che regolamentano la circolazione delle azioni, concedendo la facoltà che lo statuto possa escludere l'emissione dei relativi titoli o prevedere l'utilizzazione di diverse tecniche di legittimazione e circolazione, come, ad esempio, l'iscrizione nell'apposito libro tenuto a cura degli amministratori, sull'esempio di quello indicato dall'art. 2421, comma 1, n. 8 c.c., che richiama l'art. 2447sexies c.c., con riferimento ai (soli) strumenti finanziari emessi in relazione ai patrimoni separati. Come per le azioni, bisognerà distinguere se si tratta di strumenti nominativi o al portatore, ponendo mente al fatto, tuttavia, che l'obbligo della nominatività (ad eccezione delle azioni di risparmio emesse da società italiane con azioni ordinarie quotate in mercati regolamentati e le azioni emesse dalle SICAV) esiste solo per i titoli azionari, così come originariamente stabilito dall'art. 1 R.D.L. 25 ottobre 1941, n. 1148 e, successivamente, dall'art. 74 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Se al portatore (ed in applicazione dell'art. 2355, comma 2, c.c.), gli strumenti finanziari si potranno trasferire con la consegna del titolo, con ciò riecheggiando le disposizioni di cui all'art. 2003 c.c. anche per quanto riguarda la legittimazione in capo al portatore del titolo all'esercizio del diritto in esso menzionato. Se nominativi, si potranno, parimenti, applicare le disposizioni relative ai titoli di credito nominativi di cui agli artt. 2023 e 2022 c.c. (regolamentazione interamente applicabile alle azioni nominative in forza dell'art. 2355, commi 3 e 4, c.c.). Ai sensi dell'art. 2355, comma 3, c.c., dunque, il trasferimento delle azioni nominative (e degli strumenti finanziari partecipativi se questa sarà stata la scelta statutaria per la legge di circolazione) avverrà mediante girata autenticata da notaio o da altro soggetto secondo quanto previsto dalle leggi speciali. Il giratario che si dimostra possessore in base ad una serie continua di girate ha diritto di ottenere l'annotazione del trasferimento nel libro soci (o nel libro specificamente dedicato agli strumenti finanziari), ed è comunque legittimato ad esercitare i diritti sociali sulla base della semplice esibizione delle azioni (o dei titoli) a lui girate, salvo l'obbligo della società di eseguire le richieste annotazioni. Nel caso in cui, invece, sarà stata scelta l'altra modalità prevista per il trasferimento dei titoli azionari nominativi dall'art. 2355, comma 4, c.c., si applicherà il procedimento della duplice annotazione del nome del cessionario sia nel registro dell'emittente sia sul titolo, ai sensi dell'art. 2022 c.c.

Gli strumenti finanziari a favore dei prestatori di lavoro

L'art. 2349, comma 2, c.c., si occupa dell'assegnazione di strumenti finanziari, diversi dalle azioni, ai prestatori di lavoro dipendenti della società o di società controllate. Anche in questo caso, come per le azioni, l'intento è quello di creare un nuovo strumento giuridico in grado di adeguarsi, senza non necessarie alterazioni della struttura organizzativa della società, ad esigenze che, in questo caso sul piano delle relazioni industriale, l'autonomia statutaria potrebbe nel caso concreto individuare. Uno strumento flessibile, che per esempio potrebbe essere utilizzato al fine della strategia da molte aziende perseguita di fidelizzazione dei propri dipendenti. La legge sgombera ogni dubbio in relazione all'organo competente a decidere l'emissione, stabilendo che la competenza spetti all'assemblea straordinaria perché – sembra la ragione assolutamente più plausibile – l'operazione non ha una valenza sinallagmatica (se non meramente indiretta) ma, all'opposto, è compiuta con spirito di liberalità, necessitando, pertanto, di ogni cautela possibile. L'assemblea straordinaria stabilirà norme particolari:

a) riguardo alle condizioni di esercizio dei diritti attribuiti;

b) alla possibilità di trasferimento;

c) alle eventuali cause di decadenza o riscatto.

I due diversi incipit (“Se lo statuto lo prevede”, di cui al comma 1 e “L'assemblea straordinaria può altresì deliberare”, di cui al comma 2 dell'art. 2349 c.c.) sembrerebbero, almeno prima facie, escludere che l'emissione degli strumenti finanziari a favore dei prestatori di lavoro debba sempre essere prevista dallo statuto (che dovrebbe dettare i principi generali), sembrando che le due disposizioni siano tra loro indipendenti. Ragioni logiche e sistematiche, tuttavia, depongono per la tesi opposta, sia perché assolutamente omogenea sembra la previsione astratta del testo in parola confrontata con quella di cui all'art. 2346, comma 6, c.c., sia perché le norme particolari che dovrebbero essere previste dall'assemblea straordinaria sembrerebbero presupporre, appunto, una regolamentazione generale a livello statutario. Tuttavia, forse, tale problema rischia di essere una pura disquisizione accademica oppure un problema ozioso, tenuto conto del fatto che l'assemblea straordinaria, comunque necessaria, potrebbe, preventivamente, introdurre norme generali statutarie prodromiche all'emissione vera e propria. Il già segnalato termine assegnazione, usato (non alternativamente ma) in sostituzione di apporto (di cui all'art. 2346, comma 6, c.c.), rende palese il fatto che gli strumenti finanziari vengano attribuiti a titolo gratuito e non come retribuzione. Da ultimo, i limiti al trasferimento e alle possibili cause di decadenza o riscatto si giustificano alla luce della peculiare posizione dei dipendenti (intesi non soltanto come impiegati ed operai, ma anche come dirigenti, posto che, tradizionalmente, il direttore generale è il primo degli impiegati) all'interno dell'organizzazione sociale e al programma di fidelizzazione che la società intende portare avanti nei loro confronti.

Gli strumenti finanziari di partecipazione all'affare

Il legislatore ha frammentato la regolamentazione degli strumenti finanziari partecipativi in un modo alquanto discutibile perché non è facile la sua riconduzione ad unità. Ed infatti, parallelamente agli strumenti finanziari fin qui analizzati, la sezione XI del capo V del libro V del codice civile ha previsto la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione all'affare, con la specifica indicazione dei diritti che attribuiscono. In questa sede basterà ricordare che le estrinsecazioni del nuovo istituto dei patrimoni destinati ad uno specifico affare saranno certamente le più varie e le più variegate, probabilmente con valenze poliedriche e polivalenti, che si potranno ricondurre (l'intento è puramente descrittivo ed esemplificativo) al compimento di operazioni particolarmente pericolose o innovative e, pertanto, dall'esito incerto, che la società non vuole o non può affrontare se non in determinati limiti; oppure si potrà trattare di operazioni particolarmente onerose e finanziariamente impegnative, che la società non è in grado di affrontare se non con l'aiuto di terzi finanziatori ai quali offrire adeguate ed accettabili garanzie. Fino ad oggi la società poteva affrontare tali situazioni ricorrendo agli strumenti classici: la costituzione di apposite società controllate, joint venture, associazione in partecipazione, project financing, prestiti obbligazionari e l'acquisizione di finanziamenti garantiti da pegni e/o ipoteche. Con l'innovazione introdotta, si può affermare che una società potrà, entro i limiti dell'oggetto sociale, dedicarsi al perseguimento di un determinato obiettivo o, meglio, di un determinato affare destinandovi proprie specifiche risorse finanziarie, oppure avvalersi del finanziamento di terzi particolarmente interessati al perseguimento di quello specifico affare senza incappare nei (giusti) rigori dell'universalità della responsabilità patrimoniale. Ma (l'ulteriore) limitazione della responsabilità limitata non appare essere l'unico obiettivo che il legislatore abbia inteso raggiungere. Infatti l'istituto in esame comporterà o, meglio, dovrebbe comportare, anche minori costi per la società che non sarà costretta a costituire, come già detto, società controllate ad hoc, con l'evidente risparmio dei costi correlati e con l'altrettanto evidente risparmio di energie legate alla minore complessità organizzativa che ne deriverebbe. Le conseguenze più immediate della costituzione del patrimonio separato sono di tutta evidenza posto che, per espressa disposizione legislativa, delle obbligazioni sociali contratte per realizzare lo specifico affare risponde solo il patrimonio ad esso destinato, con esclusione, ovviamente, del (restante) patrimonio sociale. Di converso, il patrimonio destinato allo specifico affare non risponde delle obbligazioni della società, contratte nell'esercizio delle altre attività sociali. Fatta questa breve premessa, l'art. 2447sexies c.c. obbliga gli amministratori, qualora siano emessi strumenti finanziari, a tenere un libro indicante le loro caratteristiche, l'ammontare di quelli emessi e di quelli estinti, le generalità dei titolari degli strumenti nominativi e i trasferimenti e i vincoli ad essi relativi. Di seguito, l'art. 2447octies, c.c., con riferimento all'organizzazione comune, disciplina ogni singola categoria di strumenti finanziari, disponendo che l'assemblea deliberi:

1) sulla nomina e sulla revoca dei rappresentanti comuni e sull'azione di responsabilità nei loro confronti;

2) sulla costituzione di un fondo per le spese a tutela degli interessi comuni;

3) sulle modificazioni dei diritti attribuiti dagli strumenti finanziari;

4) sulle controversie con la società e sulle relative transazioni e rinunce;

5) sugli altri oggetti di interesse comune a ciascuna categoria di strumenti.

A queste assemblee speciali si applicano le disposizioni in tema di assemblea degli obbligazionisti. La (diversa) competenza all'emissione di questi strumenti finanziari (per cui è competente l'organo amministrativo, che dovrà anche indicare i diritti che attribuiscono) rispetto a quelli di cui all'art. 2346, comma 6, c.c. (di derivazione statutaria in via generale e, in ogni caso, di competenza dall'assemblea straordinaria), pone indubbiamente notevoli problemi sia di coordinamento sia sulla loro natura. L'(apparente) contrasto, come molto giustamente è stato fatto osservare (Notari, Azioni e strumenti finanziari: confine delle fattispecie e profili di disciplina, op. cit., 555), può, tuttavia, essere superato ritenendo che sia competente l'organo amministrativo tutte le volte in cui l'emissione degli strumenti finanziari attribuisca diritti partecipativi che si sostanzino in una mera partecipazione ai risultati economici dell'affare, mentre sarà necessaria l'assemblea straordinaria ogni volta che si vorranno far assumere a questi strumenti finanziari le connotazioni tipiche di un apporto a titolo di rischio non imputato (né imputabile) a capitale, come per gli strumenti previsti dall'art. 2346, comma 6, c.c.. L'espressione strumenti finanziari di partecipazione all'affare pare più che sufficiente per affermare che tali strumenti non siano né possano essere assimilati alle azioni, escludendone, dunque, il carattere di partecipazione sociale, perché il rapporto giuridico sottostante non è un contratto di società ma, piuttosto, quello di mutuo (il sottoscrittore intende, infatti, finanziare l'affare relativo al patrimonio destinato e lucrare sugli utili eventualmente conseguiti da tale operazione piuttosto che partecipare al rischio d'impresa diventando azionista della società). Parimenti, essi non sono obbligazioni anche se, come già detto, entrambi sono emessi a fronte di un apporto che non può essere mai imputato a capitale, tenendo bene in mente che i titoli dal contenuto non riconducibile alle obbligazioni non possono fregiarsi di tale nome e che, per contro, titoli con caratteristiche corrispondenti alle obbligazioni ne devono portare anche il nome. Tali indicazioni vanno, infine, completate con la regola secondo la quale il contenuto dei valori mobiliari tipici non deve essere diverso da quello assegnato ad essi dall'ordinamento.

Riferimenti

Normativi

  • artt. 2003, 2022, 2023, 2346, 2349, 2351, 2355, 2376, 2411, 2412, 2415, 2421, 2433, 2447 ter, 2447 sexies, 2447 octies, 2506 ter, 2526;
  • L. 3 ottobre 2001, n. 366;
  • art. 28, comma 1, D. Lgs 24 giugno 1998, n. 213;
  • art. 1, R.D.L. 25 ottobre 1941, n. 1148;
  • art. 74, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Sommario