Interessi degli amministratori nelle società di capitaliFonte: Cod. Civ. Articolo 2391
28 Aprile 2017
Inquadramento
Il tema dell'interesse in conflitto (recte, a latere) dell'amministratore all'interno delle società di capitali vuole l'attenta disamina della natura, della portata e degli effetti del singolo interesse di cui l'amministratore è portatore nei confronti della società che sta gestendo. Difatti, la nuova regola del c.d. conflitto di interesse è stata profondamente cambiata rispetto al passato ed ora si può apprezzare come un interesse dell'amministratore abbia rilevanza solo a seguito della verificazione di un danno a carico della società, ma soltanto se il soggetto non abbia rispettato una dettagliata procedura di informazione a favore dell'ente. La disciplina delle s.p.a. e delle s.r.l., in tema di interessi degli amministratore, presenta autonome prescrizioni le quali, ad una prima lettura, potrebbero apparire associabili, ma che, tuttavia, dispongono di diversi interessi e prevedono differenti procedure di accertamento, pur nella medesima ratio di proteggere il prioritario interesse della società nei cui confronti l'interesse del singolo amministratore può arrecare danno (da qualificarsi come patrimoniale).
Il riferimento normativo
La disciplina degli interessi degli amministratori nelle società per azioni, contenuta nell'art. 2391 c.c., prevede, in modo chiaro e preciso, come l'amministratore debba dare notizia agli altri amministratori (se presente un C.d.A.) ed all'organo di controllo di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, lo stesso abbia in una determinata operazione sociale. La norma chiarisce, altresì, il contenuto di tale informativa, consentendo in tal modo alla società di valutare correttamente quell'interesse (se in conflitto o meno). Infatti, si prevede che l'amministratore debba precisare la natura, i termini, l'origine e la portata dell'interesse che vanta nell'operazione. Se ben si ragiona sulla portata della norma di legge si arriva a comprendere come l'interesse degli amministratori non rappresenti più un momento di patologia gestoria da stroncare ab origine, ma, al contrario, un fisiologico confronto tra l'interesse del singolo amministratore – che correttamente comunica – e l'interesse della società all'interno dell'operazione che quest'ultima vuole portare a termine.
All'interno delle società a responsabilità limitata, la previsione normativa, contenuta nell'art. 2475-ter c.c., non contiene il medesimo obbligo di informazione a carico dell'amministratore, disponendo direttamente che il contratto concluso dall'amministratore che ha la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, può essere annullato, in presenza della conoscenza o conoscibilità del conflitto da parte del terzo.
Già ad un primo confronto delle discipline appare evidente come il legislatore abbia voluto imporre obblighi maggiori all'interno delle s.p.a. in quanto enti in cui la governance risulta essere particolarmente strutturata ed articolata e, di conseguenza, in cui l'interesse in potenziale conflitto debba essere prontamente comunicato a favore della società da parte del portatore (i.e., amministratore).
Interessi a latere e in conflitto nella delega di gestione
Il conflitto di interessi, nel sistema di amministrazione delegata, può riguardare il momento del compimento da parte dell'amministratore delegato di un'operazione gestoria o l'ipotesi che lo stesso abbia omesso di sottoporre il compimento dell'operazione alla discussione ed all'approvazione del consiglio. La disciplina di legge, prima della riforma, disponeva che l'amministratore il quale, in una determinata operazione, avesse, per conto proprio o di terzi, interesse in conflitto con quello della società, avrebbe dovuto darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, astenendosi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l'operazione stessa. In caso d'inosservanza, l'amministratore rispondeva delle perdite che fossero derivate alla società dal compimento dell'operazione. La deliberazione del consiglio, qualora avessero potuto recare danno alla società, poteva, entro tre mesi dalla sua data, essere impugnata dagli amministratori assenti o dissenzienti e dai sindaci se, senza il voto dell'amministratore che doveva astenersi, non si fosse raggiunta la maggioranza richiesta. In ogni caso erano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.
La tutela risultava essere di natura preventiva, perché l'amministratore era tenuto, prima della discussione e della deliberazione, a dare notizia dell'interesse in conflitto e ad astenersi dal partecipare alla deliberazione. La nuova normativa obbliga l'amministratore a comunicare ogni interesse nell'operazione, non più l'interesse in conflitto con quello della società. La norma impedisce che l'amministratore possa continuare, come accadeva sotto il vecchio regime, a decidere in merito all'esistenza di un suo rilevante interesse nell'operazione, per trasferire al consiglio, opportunamente informato, una decisione sulla convenienza della deliberazione per la società. Non si prescrive un obbligo di astensione dell'amministratore interessato, viene dato obbligo al consiglio di motivare adeguatamente le ragioni e la convenienza per la società dell'operazione, quando la deliberazione sia stata assunta dopo che un amministratore abbia comunicato di essere interessato (art. 2391, comma 2, c.c.).
In materia di società per azioni, la nuova disciplina dispone (art. 2391, comma 1, c.c.) che se l'amministratore interessato è l'amministratore delegato, egli è tenuto non soltanto ad informare analiticamente gli altri amministratori ed il collegio sindacale, bensì è tenuto anche ad astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale.
La previsione normativa dell'obbligo dell'amministratore delegato interessato di astenersi dal compimento dell'operazione è sanzionata esclusivamente sul piano della responsabilità, nel senso che la mancata astensione integra una omissione che, giusta la previsione del terzo comma dell'art. 2391 c.c., lo espone al risarcimento del danno. L'annullabilità del contratto, invece, costituisce un profilo che l'art. 2391 c.c. non disciplina, sicché essa resta disciplinata dall'art. 1394 c.c., con la conseguenza che il contratto è annullabile se contrario all'interesse della società per l'incidenza di un interesse in conflitto, se il terzo contraente conosceva o poteva riconoscere l'esistenza di un interesse in conflitto con quello della società, tale da incidere sul contratto. Se si opera un raffronto tra disciplina societaristica e disciplina privatistica, si nota come la disposizione riproduce la nozione e la disciplina del contratto concluso in conflitto di interessi dal rappresentante volontario, risultante dall'art. 1394 c.c.
Nelle s.r.l., la disciplina sanziona con il vizio di annullabilità il contratto concluso dal singolo amministratore che abbia un interesse in conflitto, per contro proprio o di terzi, nei confronti della società. Tuttavia, l'esperibilità dell'azione di annullamento passa attraverso la previa verifica della conoscenza ovvero conoscibilità dell'interesse da parte del terzo contraente. La norma sembra adottare una corretta ponderazione degli interessi in gioco: da un lato, quello della società, come organizzazione strutturata di organi, a non subire azioni gestorie fraudolente del proprio amministratore e, dall'altro, quello del terzo che contratta con l'amministratore, soggetto che potrebbe non conoscere minimamente l'esistenza di un interesse personale del gestore a spendere il nome della società e, di guisa, vincolarla giuridicamente. Inoltre, la disciplina delle società a responsabilità limitata prevede che le decisioni adottate dal consiglio di amministrazione con il voto determinante di un amministratore in conflitto con la società, qualora cagionino un danno patrimoniale, possono essere impugnate entro il termine di novanta giorni dagli altri amministratori ovvero, se esistenti, dagli organi di controllo (sindaco unico, collegio sindacale o revisore). La norma chiarisce come un conflitto di interessi, per essere apprezzato e contestato, oltre a superare la c.d. prova di resistenza (voto determinante del singolo amministratore in conflitto) debba comportare la verificazione di un danno di ordine patrimoniale a carico della società. In riferimento alla responsabilità degli amministratori verso la società, la normativa ante riforma si limitava a prevedere, secondo una regolamentazione di carattere formale, che l'amministratore, laddove in una determinata operazione avesse avuto, per conto proprio o di terzi, interesse in conflitto con quello della società, avrebbe dovuto darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, astenendosi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l'operazione stessa, e che, solo in caso di mancata astensione dell'amministratore in conflitto, la delibera adottata avrebbe potuto essere impugnata entro tre mesi dagli amministratori assenti o dissenzienti e dai sindaci, qualora avesse potuto arrecare danno alla società, e sempre che il voto dell'amministratore in conflitto fosse stato determinante per il raggiungimento della maggioranza richiesta.
Con la riformata disciplina dettata per le società per azioni, si impone, invece, agli amministratori un obbligo di informazione per ogni loro interesse e, quindi, non solo per gli interessi in conflitto, ma anche per quelli neutri o convergenti, stabilendo, come detto, che l'amministratore delegato deve astenersi dal compiere l'operazione, investendone il consiglio, mentre l'amministratore unico, per il quale non si prevede il divieto di compiere l'atto, deve riferirne alla prima assemblea utile. Se si riflette sulla procedura di determinazione dell'interesse in conflitto, la nuova normativa non si focalizza sul dovere di astensione dell'amministratore interessato a seguito di una generica comunicazione del proprio interesse in conflitto, ma, all'opposto, sulla compiutezza della informazione richiesta, che deve riguardare la natura, i termini, l'origine e la portata del proprio interesse, e sulla necessaria ponderazione della deliberazione, che deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza, per la società, dell'operazione. Si prevede, conseguentemente, che la delibera può essere impugnata, qualora possa arrecare danno alla società, non solo nel caso di partecipazione determinante dell'amministratore in conflitto, ma anche nei casi di inosservanza degli obblighi di esauriente comunicazione e di adeguata motivazione. Nell'ambito di tale regolamentazione si colloca la norma, che, specificamente, riguarda la responsabilità dell'amministratore in conflitto di interessi. Elemento essenziale della declaratoria di responsabilità dell'amministratore rimane il nesso di causalità tra l'azione od omissione dell'amministratore ed il danno arrecato alla società: nel caso di responsabilità per omessa comunicazione dell'interesse, deve essere data la prova che la conoscenza delle informazioni, che l'amministratore avrebbe dovuto comunicare, avrebbe indotto il consiglio di amministrazione a non compiere l'operazione, poi rivelatasi dannosa. In ambito societario l'espresso richiamo normativo alla responsabilità dell'amministratore in conflitto sottende la previsione di una ampia serie di casi, in cui non sia, in altro modo, possibile per la società respingere da sé le conseguenze pregiudizievoli dell'agire interessato dell'amministratore. Questa diversa prospettiva, in cui si pone il legislatore, nel disciplinare le conseguenze dell'agire interessato dell'amministratore di società, è tanto più evidente, ove si consideri che la norma sulla responsabilità dell'amministratore per conflitto di interessi, nel nuovo art. 2391 c.c., è posta immediatamente dopo la previsione della salvezza dei diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione consiliare impugnata. Dal raffronto tra disciplina societaristica e privatistica, si evidenzia che, la prima presuppone l'impugnativa della deliberazione nel termine di novanta giorni, la potenzialità del danno e la prova della assenza di buona fede, cioè della mala fede del terzo, vale a dire della consapevolezza, da parte del terzo, della persistente rilevanza, potenzialmente dannosa, dell'interesse di un amministratore in conflitto, pur nell'esistenza di una delibera consiliare relativa a quella determinata operazione; in ambito privatistico l'azione è proponibile nel termine di prescrizione di cinque anni e con la sola prova della conoscenza o conoscibilità del conflitto di interessi, in cui versa il rappresentante volontario.
L'attenuazione della forma di tutela prevista dalla disciplina positiva in materia societaria, rispetto a quella di cui all'art. 1394 c.c., è comprensibile, considerando che le garanzie di ponderazione ed oculatezza, offerte dal metodo collegiale riducono, in maniera drastica, i rischi di comportamenti pregiudizievoli, rispetto al caso di un atto compiuto dall'amministratore delegato.
Ancora sulla nozione di interesse
L'associazione logico-giuridica da adottare è quella tra interesse, affare e informazione. La nozione di interesse sotteso al mandato rende chiara la distinzione tra contenuto giuridico e contenuto economico del contratto, atteso che, tra l'altro, tale demarcazione risulta notevolmente accentuata nel fenomeno della sostituzione: si potrebbe affermare che occorra una analisi economica del diritto, nello specifico, della disciplina del contratto di amministrazione. La rappresentanza tende ad allontanare dal soggetto che agisce verso colui in nome del quale l'atto è compiuto il negozio nel suo momento giuridico formale, al contempo la gestione operata dal mandatario vuole deviare dall'agente la sostanza economica sostanziale del negozio, di guisa, la rappresentanza presenta, come proprio elemento imprescindibile, la cura, da parte del rappresentante (delegato), dell'interesse (economico sostanziale) del rappresentato (società). Il fenomeno della dissociazione tra titolarità degli interessi giuridico-economici sottesi al negozio di mandato e reale destinazione soggettiva dell'efficacia economica della sostituzione giuridica rende ricca di spunti di riflessione la lettura della disciplina del contratto di amministrazione delegata, al fine di rendere quanto mai trasparente l'agere contrattuale del delegato. La cura dell'interesse da parte del mandatario-delegato sia cura dell'affare altrui: attesa la contiguità esistente tra rappresentanza e rapporto di gestione, si considera elemento del contratto la funzione di cura dell'affare della società. All'esito di quanto sostenuto, si rifletta in merito al dato sostanziale in virtù del quale la rappresentanza assolve sia la funzione di rendere possibile il prodursi di effetti giuridici direttamente nella sfera giuridica della società sia la funzione di rendere, in conclusione, disponibile, a favore della società, i risultati economici dell'atto di gestione.
Riferimenti
Normativi:
Giurisprudenza:
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