Commissione di massimo scoperto ed usura

Sebastiana Ciardo
06 Dicembre 2016

La nota sentenza della Cassazione, n. 12965/2016, traendo spunto dal contrasto esistente in seno alla giurisprudenza di merito, sulla natura innovativa o interpretativa della l. 2/2009 regolativa della Commissione di Massimo Scoperto e sulla sua applicabilità anche per i rapporti pregressi all'anno 2009 ai fini della verifica dell'usurarietà del costo del finanziamento, ha affermato una serie di importanti principi ed ha preso posizione optando per la natura innovativa e come tale applicabile solo ai contratti stipulati in data successiva al 2009.L'Autrice, pone in luce le diverse tesi che hanno animato il dibattito sia prima dell'intervento del Giudice di legittimità sia subito dopo, con una prima sentenza emessa dal Trib. di Palermo, sez. V civ., del 14 luglio 2016 n. 4218 che si discosta da tale indirizzo confermando la tesi alternativa della natura interpretativa della norma.
Il quadro normativo

Fin dal primo decreto ministeriale del 22 marzo 1997 di rilevazione, successivo all'entrata in vigore della l. 108/1996, la cms non era ricompresa nel T.E.G.M. né la includevano le istruzioni della Banca d'Italia seppure la stessa fosse rilevata separatamente.

Con circolare del 2 dicembre 2005 l'organo di vigilanza ha precisato agli intermediari la necessità che la C.M.S. fosse mantenuta entro un limite c.d. “C.M.S. soglia” anche ai fini di verificare il rispetto del tasso usurario.

Il quadro normativo di riferimento muta radicalmente con l'entrata in vigore dell'art. 2-bis d.l. n. 185/2008, convertito con modificazioni in l. n. 2/2009.

La prima parte del comma 1 dell'art. 2-bis, l. 2/2009 si occupa della commissione di massimo scoperto (da calcolarsi sul picco del credito effettivamente utilizzato dal cliente), introducendo due punti innovativi, rispetto alle precedenti disposizioni e precisamente:

a) fissazione ex lege del limite temporale minimo (30 giorni) di esposizione a debito per la corresponsione della c.m.s. da parte del cliente (laddove in passato, come si è evidenziato, anche l'utilizzo limitato ad un solo giorno avrebbe determinato il suo calcolo);

b) applicabilità della C.M.S. solo ad alcuni contratti riconducibili all'apertura di credito e comunque solo sul fido effettivamente utilizzato nell'ambito dell'affidamento accordato, escludendo, quindi, ogni applicazione della commissione sugli scoperti di conto corrente e sugli sconfinamenti eventualmente tollerati dalla banca oltre l'ammontare dell'affidamento. Si tratta, quindi, di una remunerazione accessoria rispetto agli interessi passivi.

La seconda parte del comma 1 dell'art. 2-bis disciplina, invece, la provvigione d'affidamento («quale corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme » e, dunque, indipendente dall'utilizzo delle somme messe a disposizione), riconoscendone la validità, a condizione che il corrispettivo sia:

a) predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate;

b) oggetto di patto scritto non rinnovabile tacitamente;

c) determinato in misura onnicomprensiva rispetto ad ogni altra voce di costo;

d) determinato in misura proporzionale all'importo credito accordato) ed alla durata dell'affidamento richiesto dal cliente.

La commissione di massimo scoperto è stata di fatto resa legittima.

Il legislatore ha poi previsto che la C.M.S. debba entrare nel calcolo del T.E.G., facendo peraltro salve le precedenti rilevazioni che non ne avevano tenuto conto.

La l. 2/2009 è stata abrogata dalla l. 27/2012 che ha pure modificato l'art. 117-bis del Testo Unico Bancario che non ha riprodotto la versione dell'art. 2-bis nella parte relativa all'espressa previsione della inclusione della cms nel T.A.E.G., sicchè la questione rimane impregiudicata.

Nella formulazione dell'art. 117-bis attualmente vigente - nel testo a decorrere dal 22 maggio 2012 - al comma 1 vengono tipizzate le commissioni di affidamento (CA) per l'apertura di credito in conto corrente; al comma 2 sono disciplinate le commissioni applicabili in caso di sconfinamento; il comma 3 prevede la nullità delle clausole che prevedono oneri diversi e non conformi a quelli indicati nei primi due.

Conseguentemente, nel vigore della nuova disciplina, i contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici "oneri per il cliente, da un lato, una commissione "omnicomprensiva" (ma inferiore allo 0,5 per cento per trimestre) "calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma a disposizione del cliente e alla durata dell'affidamento", dall'altro, un tasso di interesse debitore sulle somme utilizzate. Secondo quanto previsto dal D.M. 30 giugno 2012, n. 644, art. 3, comma 2, lett. ii), (del CICR) la commissione di affidamento si applica "sull'intera somma messa a disposizione del cliente in base al contratto", e per il periodo in cui la stessa somma è messa a disposizione del cliente.

Ne discende che non sono più consentite commissioni che, al di là del nomen loro attribuito, non siano calcolate in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell'affidamento. Parimenti nemmeno sono prevedibili oneri ulteriori rispetto alla nuova commissione di affidamento, nè per la messa a disposizione di fondi, nè per il loro utilizzo, tra cui la commissione per l'istruttoria, nonchè ogni altro corrispettivo per attività che sono ad esclusivo servizio dell'affidamento (D.M. n. 644 del 2012, art. 3, comma 2, lett. i).

Per quanto riguarda invece gli sconfinamenti, è stabilito che gli unici oneri prevedibili a carico del cliente sono una commissione di istruttoria veloce (CIV) e il tasso d'interesse debitore (art. 4, comma 1, lett. a) e lett. b), D.M. CICR n. 644 del 2012).

La CIV è applicabile sia a fronte di addebiti che determinano uno sconfinamento, sia a fronte di addebiti che accrescono l'ammontare di uno sconfinamento esistente (se determinano la necessità di una nuova istruttoria), sempre che vi sia uno sconfinamento sul saldo disponibile di fine giornata. È altresì stabilito che la commissione di istruttoria veloce sia determinata nel contratto in misura fissa, espressa in valore assoluto (non in percentuale), commisurata ai costi; costi che possono considerarsi il limite intrinseco, se non la misura, dell'importo richiedibile a tale titolo (D.M. n. 644 del 2012, art. 4, comma 2)

In ogni caso, rimane impregiudicata la questione dello scollegamento tra il T.E.G.M. ante 2009, che non includeva la cms e il T.A.E.G. nel caso in cui tale onere venga incluso ai fini della verifica del tasso usurario.

Sicché, in relazione alla norma in esame la banca potrà pretendere il pagamento di un compenso per la sola messa a disposizione della somma, solo a condizione che detto compenso sia:

a) predeterminato con un patto scritto non rinnovabile tacitamente;

b) pattuito in maniera omnicomprensiva;

c) in misura proporzionale all'importo ed alla durata dell'affidamento richiesto dal cliente, cosicché detto corrispettivo sia calcolato in termini percentuali o comunque proporzionali rispetto all'accordo;

d) evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale con l'indicazione dell'effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo.

Nozione

La Commissione di Massimo Scoperto è una commissione rilevata e percepita di regola trimestralmente, sull'ammontare massimo dell'utilizzo nel trimestre, per un minimo di tempo (in genere 3, 6, 10 giorni, ma anche talora un giorno soltanto). La C.M.S. è calcolata sul picco massimo della somma prelevata dal cliente in un certo arco temporale, in genere il trimestre, con la funzione di remunerare la banca non tanto per disponibilità concessa al cliente (accordato), quanto piuttosto per quella dallo stesso effettivamente utilizzato.

Posizione della giurisprudenza di merito

In epoca anteriore all'intervento normativo, i Tribunali, in ordine alla mancata inclusione della cms nel T.E.G.M. e della rilevanza o meno della stessa ai fini dell'usura, si erano divisi emergendo tre possibili opzioni interpretative che di seguito possono essere così essere sintetizzate:

a) secondo un primo indirizzo la stessa doveva essere esclusa poiché era necessaria una piena corrispondenza tra gli elementi che concorrono a determinare il T.E.G.M. e quelli che vanno considerati ai fini del calcolo del T.E.G. (tasso globale) del rapporto;

b) un secondo indirizzo riteneva che la C.M.S. dovesse essere presa comunque in esame ai fini della verifica del superamento del tasso soglia, poiché la legge non operava distinzioni tra commissioni, remunerazioni e spese collegate all'erogazione del credito;

c) una terza posizione affermava che la C.M.S. doveva essere inclusa nel T.E.G., ma raffrontando la commissione convenuta contrattualmente col valore della C.M.S. soglia di cui alla circolare della banca d'Italia del 2005.

Di significativo interesse sono stati gli interventi della Corte di Cassazione penale che, occupandosi di usura quale fattispecie di reato, con le due note sentenze del 2010 (Cass. pen., sez. II, 19 febbraio 2010 n. 12028 e Cass. pen., sez. II, 14 maggio2010 n. 28743), ha affermato i seguenti principi, seguiti dalla maggioranza dei giudici di merito:

1) il chiaro tenore letterale dell'art. 644, comma 4, c.p. impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che il correntista sopporta in connessione con l'uso del credito;

2) tra essi «rientra indubbiamente la Commissione di Massimo Scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all'erogazione del credito, giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l'onere, a cui l'intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente» (in tal senso espressamente Cass. pen., sez. II, 19 febbraio 2010 n. 12028);

3) pertanto, ciò comporta che, nella determinazione del tasso effettivo globale praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della Commissione di Massimo Scoperto, ove praticata;

4) tale interpretazione risulta avvalorata dalla normativa successivamente intervenuta in materia di contratti bancari ed in particolare confermata dall'art. 2-bis d.l. 29 novembre 2008, convertito con la l. 28 gennaio 2009, n. 2, il quale, al comma 2, precisa che: «gli interessi, le commissioni, le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente (...) sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c. c., dell'art. 644 c.p. e della l. 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3»;

5) tale disposizione, lungi dal considerarsi innovativa, «può essere considerata norma di interpretazione autentica dell'art. 644, comma 4, c.p. in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme» (in tal senso espressamente, ed ancora, Cass. pen., sez. II, 19 febbraio 2010 n. 12028), ovverosia la prassi di cui alle Istruzioni della Banca d'Italia antecedenti all'agosto del 2009, le quali prevedevano che la Commissione di Massimo Scoperto venisse rilevata separatamente ed espressa in termini percentuali.

Una successiva pronuncia (Cass. pen., sez. II, 23 novembre 2011n. 46669), ha ancora affermato:

«anche la C.M.S. deve essere tenuta in considerazione quale fattore potenzialmente produttivo di usura, essendo rilevanti ai fini della determinazione del tasso usurario, tutti gli oneri che l'utente sopporta in relazione all'utilizzo del credito», e ciò - si badi bene - prosegue la Cassazione Penale, «indipendentemente dalle istruzioni o direttive della Banca d'Italia (circolare della Banca d'Italia 30 settembre 1996 e successive) in cui si prevedeva che la C.M.S. non dovesse essere valutata ai fini della determinazione del tasso effettivo globale degli interessi, traducendosi in un aggiramento della norma penale che impone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari», ed ancora, «Le circolari e le istruzioni della Banca d'Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d'Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell'elemento oggettivo. Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, neppure quale mezzo di interpretazione, trattandosi di questione nota nell'ambiente del commercio che non presenta in se particolari difficoltà, stante anche la qualificazione soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da parte degli istituti di credito. Né possono avere rilievo le differenziazioni del tasso operato in caso di conto corrente non affidato - in cui il credito erogato è superiore al fido concesso, rispetto al conto corrente affidato - in cui l'utilizzo avvenga regolarmente nei limiti del fido, dovendo, comunque, la banca non superare il tasso soglia normativamente previsto indipendentemente dalla circostanza che nel caso di conto corrente non affidato la banca debba fronteggiare un inatteso e irregolare utilizzo del credito da parte del cliente, che, pur rappresentando un costo per l'eventuale scorretto comportamento del cliente, non può comunque giustificare il superamento del tasso soglia, trattandosi di un costo collegato all'erogazione del credito che ricorre ogni qualvolta il cliente utilizza lo scoperto di conto corrente e funge da corrispettivo dell'onere, per la banca, di procurarsi e tenere a disposizione del cliente la necessaria provvista di liquidità. La materia penale è dominata esclusivamente dalla legge e la legittimità si verifica solo mediante il confronto con la norma di legge (art. 644, comma 4, c.p.) che disciplina la determinazione del tasso soglia che deve ricomprendere le remunerazioni a qualsiasi titolo, ricomprendendo tutti gli oneri che l'utente sopporti in connessione con il credito ottenuto e, in particolare, anche la C.M.S. che va considerata quale elemento potenzialmente produttivo di usura nel rapporto tra istituto bancario e prenditore del credito» sicché «Appare pertanto illegittimo lo scorporo dal T.E.G.M. della C.M.S. ai fini della determinazione del tasso usuraio, indipendentemente dalle circolari e istruzioni impartite dalla Banca d'Italia al riguardo».

La chiara presa di posizione della giurisprudenza penale non ha consentito di superare il contrasto già esistente tra i giudici di merito operanti in materia civilistica, acuito, piuttosto, proprio dall'intervento legislativo che ha di fatto alimentato i dubbi sulla rilevanza o meno dell'onere in esame anche nei rapporti antecedenti al 2009.

Ed infatti, se parte della giurisprudenza di merito è giunta alla medesima soluzione della Cassazione Penale (ex plurimis Trib. Pordenone, sentenza 7 marzo 2012; Trib. Roma, sentenza 18 dicembre 2013; Trib. Torino, 31 ottobre 2014; App. Cagliari, sezione distaccata di Sassari, 31 marzo 2014), altra parte se ne è discostata, avendo ritenuto, per i rapporti sorti anteriormente al 1 ° gennaio 2010, di non dovere includere la C.M.S. tra gli oneri rilevanti ai fini della valutazione dell'usurarietà oggettiva, e quindi nel calcolo del T.E.G. (v., anche in questo caso senza pretesa di esaustività: Trib. Treviso, sez. II civile sentenza 27 ottobre 2014; App. Milano, sez. I civile, ord., 15 ottobre 2014; Trib. Milano 3 giugno 2014 e Trib. Ferrara 2 luglio 2014).

La sentenza della Cassazione del 22 giugno 2016, n. 12965

In questo panorama giuridico e giurisprudenziale così complesso e frastagliato, è intervenuta la Suprema Corte che, riprendendo le posizioni della giurisprudenza di merito ha optato per la tesi della natura innovativa della legge e per la non applicabilità ai rapporti sorti in data antecedente alla sua entrata in vigore.

In primo luogo il giudice di legittimità ha affermato importanti principi di carattere generale inerenti la materia dell'usura e delle sanzioni codicistiche previste, rilevando che:

a) la clausola contenuta nei contratti di apertura di credito in conto corrente, che preveda l'applicazione di un determinato tasso sugli interessi dovuti dal cliente e con fluttuazione tendenzialmente aperta, da correggere con sua automatica riduzione in caso di superamento del cd. tasso soglia usurario, ma solo mediante l'astratta affermazione del diritto alla restituzione del supero in capo al correntista, è nulla ex art. 1344 c.c., perchè tesa ad eludere il divieto di pattuire interessi usurari, previsto dall'art. 1815 c.c., comma 2, per il mutuo;

b) tale sanzione è applicabile per tutti i contratti che prevedono la messa a disposizione di denaro dietro una remunerazione.

In secondo luogo, e per quanto di interesse in ordine all'approfondimento che qui si espone, la Corte di Cassazione, precisa nel prendere posizione in seno al dibattito dianzi illustrato, ha così enunciato:

«La commissione di massimo scoperto (C.M.S.), applicata fino all'entrata in vigore dell'art. 2-bis d.l. n. 185 del 2008, introdotto con la legge di conversione n. 2 del 2009, è "in thesi" legittima, almeno fino al termine del periodo transitorio, fissato al 31 dicembre 2009, posto che i decreti ministeriali che hanno rilevato il tasso effettivo globale medio (T.E.G.M.) - dal 1997 al dicembre del 2009 - sulla base delle istruzioni diramate dalla Banca d'Italia, non ne hanno tenuto conto al fine di determinare il tasso soglia usurario (essendo ciò avvenuto solo dall'1 gennaio 2010); ne consegue che l'art. 2-bis del d.l. n. 185, cit. non è norma di interpretazione autentica dell'art. 644, comma 3, c.p., ma disposizione con portata innovativa dell'ordinamento, intervenuta a modificare - per il futuro - la complessa disciplina, anche regolamentare (richiamata dall'art. 644, comma 4, c.p.), tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari. Ne deriva, inoltre, che, per i rapporti bancari esauritisi prima dell'1 gennaio 2010, allo scopo di valutare il superamento del tasso soglia nel periodo rilevante, non deve tenersi conto delle C.M.S. applicate dalla banca ma occorre procedere ad un apprezzamento nel medesimo contesto di elementi omogenei della rimunerazione bancaria, al fine di pervenire alla ricostruzione del tasso soglia usurario, come sopra specificato».

Gli argomenti sostenuti dalla Corte a sostegno dell'indirizzo così espresso fanno leva sia sul tenore letterale della norma sia su argomenti di carattere funzionale rispetto ad oneri e sistemi di calcolo disomogenei, pur riconoscendo che la cms è di fatto un costo ulteriore del finanziamento rispetto agli interessi pattuiti, assimilabile a questi sotto il profilo economico, essendo calcolata sulla medesima somma (il cd. utilizzato), e a prescindere dalla durata della scopertura nel tempo.

In motivazione, il Giudice così evidenzia:

«Nella norma in esame, per contro, nessun dato testuale esprime alcuna precisa volontà del legislatore di fornire una "interpretazione autentica" dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815 c.c. - come invece il ricordato d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, significativamente intitolato "Interpretazione autentica della l. 7 marzo 1996, n. 108" -, né dunque implicita, né esplicita, né diretta, né indiretta, potendosene predicare piuttosto la natura di disciplina volta più ordinariamente a dettare una restrizione di rigore non più controvertibile per il futuro, senza dissipare a posteriori i dubbi ermeneutici che pur l'avevano preceduta. Si può cioè dire che, dal tenore complessivo dell'art. cit., la decretazione d'urgenza del 2009 ha inteso introdurre un nuovo assetto specifico e più severo per le commissioni di massimo scoperto e per le commissioni di affidamento, che fosse vincolante per le banche e per i clienti soltanto al termine del periodo transitorio, fissato al 31 dicembre 2009»,..«Se d'altronde la norma avesse inteso proporsi secondo una valenza di interpretazione autentica, non sarebbe agevole dotare di apparente ragione la contemporanea fissazione di un dies a quo per attribuire rilevanza alle C.M.S. nel calcolo del T.E.G.M. e, soprattutto, la devoluzione all'autorità amministrativa del compito di fissare un periodo transitorio per consentire alle banche di adeguarsi alla normativa preesistente».

Ulteriore argomento, di carattere funzionale, si innesta sulla disomogeneità di dati tra loro non equiparabili: «la fattispecie della cd. usura oggettiva (presunta), o in astratto, è integrata a seguito del mero superamento del tasso -soglia, che a sua volta viene ricavato mediante l'applicazione di uno spread sul T.E.G.M.; posto che il T.E.G.M. viene trimestralmente fissato dal Ministero dell'Economia sulla base delle rilevazioni della Banca d'Italia, a loro volta effettuate sulla scorta delle metodologie indicate nelle più volte richiamate Istruzioni, è ragionevole che debba attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo del T.E.G.M. e quella di calcolo dello specifico T.E.G. contrattuale. Il giudizio in punto di usurarietà si basa infatti, in tal caso, sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico T.E.G. applicato nell'ambito del contratto oggetto di contenzioso) e un dato astratto (il T.E.G.M. rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicchè - se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo - il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato».

In conclusione, dunque, la Corte di Cassazione ha ritenuto di avallare l'orientamento per il quale, ai rapporti bancari sorti in data antecedente al 2009, ossia da quando è entrata in vigore la normativa in esame e da quando le circolari della Banca d'Italia hanno incluso il relativo onere nel paniere di costi rilevanti per il T.E.G.M., ai fini di verificare l'esistenza o meno del superamento del tasso soglia ai fini dell'usura non si deve includere nel calcolo la C.M.S., la cui legittimità, in termini di determinatezza, deve essere vagliata separatamente.

La soluzione prospettata dalla Corte di Cassazione non convince

All'indomani della statuizione del giudice di legittimità, si sono già registrate le prime prese di posizione della giurisprudenza di merito che, in opposizione all'indirizzo così enunciato, ha ribadito la rilevanza della C.M.S. ai fini della verifica usuraia anche in epoche anteriori al 2009.

In particolare, una decisione del Tribunale di Palermo (Trib. Palermo, 14 luglio 2016 n. 4218) ha ritenuto di discostarsi dall'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione ribadendo l'uniformità di accertamenti ai fini dell'usura e della rilevanza della C.M.S. sia per contratti ante 2009 che per quelli conclusi in epoche successive, per i quali si applica la l. 2/2009.

Le argomentazioni del giudice palermitano, riprendendo in parte valutazioni già espresse da altri giudici di merito possono così sintetizzarsi:

a) un primo argomento di matrice squisitamente ermeneutico si innesta nella portata applicativa generale dell'art. 644 c.p., che detterebbe, unitamente all'art. 1815 c.c., la disciplina previgente a cui fa riferimento l'art. 2-bis già menzionato: l'art. 644, comma 3, c.p. nel testo modificato dall'art. 1 della l. 108/1996 così recita: «la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”. La legge in questione è l'art. 2 l. n. 108/1996 che a sua volta così recita: “Il ministro del tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio Italiano Cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari….», soggiunge il giudice palermitano: «la formulazione della norma è identica a quella contenuta nel comma 4 dell'art. 644 c.p. e poiché, rispetto ad essa, quella introdotta nel 2009 nulla aggiunge, appare davvero difficile – a parere di questo Tribunale – sostenere che si tratti di una norma innovativa; né tale conclusione pare si possa ricavare dalla mancata esplicitazione della volontà “meramente interpretativa” del legislatore del 2009.

b) Un secondo argomento fa leva sul meccanismo di abrogazione delle leggi, disciplinato dall'art. 15 preleggi, che nella specie non è operante, e sulla inevitabile omogeneità tra usura penalistica e usura civilistica: «Se così fosse infatti, l'effetto dell'innovazione sarebbe quello di derogare per il passato e solo con riferimento agli operatori qualificati (vale a dire le banche) – in evidente contrasto con il tenore dell'art. 15 preleggi (abrogazione delle leggi), secondo il quale: «le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore» – alla disciplina delineata dalla l. 108/1996 in materia di usura che, a suo tempo, intervenne sistematicamente sia sul codice civile che sul codice penale, a ulteriore conferma dell'impossibilità di scindere, se non per i profili che attengono all'elemento soggettivo, la definizione di usurarietà degli interessi. Peraltro senza possibilità di individuare un “tetto” considerata l'impossibilità di applicare retroattivamente le limitazioni strutturali previste dalla legge del 2009 a pena di nullità della clausola».

In conclusione il Tribunale riconosce natura innovativa solo a quella parte della disciplina che abbia dettato norme volte a regolamentare la struttura della C.M.S., per la prima volta introdotte nell'ordinamento e, di contro, reputa di matrice interpretativa la disposizione che ribadisce la rilevanza, ai fini della rilevazione dei tassi usurai, di tutti i costi causalmente ricollegati all'erogazione del credito, compresa la C.M.S., come detto, già in precedenza contenuta nelle norme penali e civili richiamate.

Si tratterebbe, nella gran parte dei casi, di usura sopravvenuta e non genetica, con l'effetto di rendere inesigibile solo quella parte di prestazione superiore al tasso soglia.

In conclusione

Dal panorama esposto emerge, per un verso, la frammentarietà della disciplina che alimenta oltremisura il contenzioso bancario e, per altro verso, la non omogeneità delle soluzioni prospettate dagli interpreti.

Anche l'intervento del Giudice di legittimità su una delle questioni più dibattute in materia - lo dimostrano le numerosissime sentenze di merito con indirizzi contrastanti - seppur dettato dall'encomiabile esigenza di chiarezza non ha convinto nella misura in cui introduce un discrimen regolativo che la legge non sembra dettare se non nella parte della disciplina relativa ai requisiti strutturali delle nuove commissioni di massimo scoperto.

A questo punto non può non invocarsi una presa di posizione globale e chiarificatrice della Corte di Cassazione a Sezioni unite che possa dirimere i numerosi contrasti che, nella materia della responsabilità della banca nei rapporto negoziali, animano le corti di merito.

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