Tabella, guida, linea guida: quale lo strumento più idoneo per una valutazione medico legale del danno alla persona?

Luigi Mastroroberto
07 Settembre 2017

L'Autore, dopo aver ripercorso l'evoluzione dottrinaria, giurisprudenziale e legislativa del danno alla persona in responsabilità civile, analizza quanto previsto dalla recente Legge Concorrenza, ove il legislatore ha inserito alcune norme che da un lato introducono delle modifiche sul modo di risarcire il danno alla persona, dall'altro prevedono la predisposizione, entro 120 giorni dalla pubblicazione della legge, di tabelle vincolanti sia per l'accertamento medico-legale delle menomazioni comprese fra 10 e 100 punti di invalidità, sia per la monetizzazione dei valori percentuali di danno permanente così stabiliti.
Inquadramento

In Italia il termine “tabella” riferita alla stima di pregiudizi della persona evoca – e di fatto rappresenta – uno strumento normativo. Tale è ad esempio quello che governa nel settore pubblico la stima del danno alla persona nell'ambito dell'infortunistica sul lavoro e delle malattie professionali, nell'ambito dell'invalidità civile e nell'ambito della pensionistica privilegiata. E tali sono anche le varie tabelle del settore assicurativo privato allegate alle polizze infortuni ed a diverse polizze a tutela della invalidità permanente da malattia. In questi casi in forza di un contratto, negli altri addirittura per dispositivi di legge, la tabella fornisce indicazioni vincolanti, dalle quali si può derogare solo in circostanze particolari e comunque sempre secondo le modalità che le norme o i contratti prevedono.

Ed anche per quanto riguarda la responsabilità civile, a distanza di 15 anni dalla storica pronuncia della Corte Costituzionale (C.cost. n. 184/1986) che ha definitivamente introdotto nel nostro sistema risarcitorio la figura del danno biologico, il legislatore ravvisò la necessità di vincolare il risarcimento a parametri e valori predeterminati e fissati per legge. Dal 2001 ad oggisi sono succeduti numerosi provvedimenti che vale la pena ricordare:

  • l. 5 marzo 2001 n. 57 che (tra l'altro), in ambito di RC Auto, stabiliva il valore economico del punto percentuale di danno permanente biologico da riconoscere per le condizioni menomative che comportavano una invalidità permanente stimata fra 1 e 9 punti percentuali e prevedeva inoltre la costituzione di una commissione interministeriale che fissasse anche i parametri medico legali per la stima di questi danni;
  • l. n. 273 del 2002, che prevedeva l'istituzione di una ulteriore commissione per predisporre sia una tabella medico legale dei danni compresi fra 10% e 100% di danno permanente biologico, sia una tabella che stabilisse i valori economici da riconoscere per queste condizioni;
  • D.M. Sanità 3 luglio 2003 che diede effetto di legge alla tabella elaborata dalla commissione istituita ex legge n. 57/2001 e rese operativa la tabella medico legale per valutare i danni permanenti biologici di entità compresa fra 1 e 9 punti percentuali;
  • D.M. 26 maggio 2004 con il quale fu istituita la nuova commissione tecnica per predisporre una tabella medico legale dei danni permanenti biologici di valore compreso fra 10 e 100 punti;
  • d.lgs. n. 209/2005, meglio noto come “Codice delle assicurazioni” che con gli artt. 138 e 139, definendo cos'è il danno biologico e come deve essere risarcito, ha ribadito sia il valore vincolante delle tabelle per i danni da 1% a 9%, sia la necessità di approvare tabelle per i valori economici e medico legali del danni da 10% a 100%;
  • d.l. n. 1/2012 (conv. in l. n. 27/2012) che all'art. 32 opera - all'interno dell'art. 139 cod. ass. (relativamente quindi ai danni compresi, dalla tabella di legge, fra l'1% ed il 9%) - una restrizione sui danni permanenti che non derivano da lesioni suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo;
  • d.l. n. 158/2012, meglio nota come “legge Balduzzi”, che all'art. 3 prevede che il danno biologico anche nei casi di Responsabilità Civile Sanitaria (RCS) debba essere risarcito in base ai criteri, ai parametri ed alle tabelle previste dagli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni;
  • l. n. 24/2017, meglio nota come legge Gelli-Bianco, che ha ribadito quanto già prevedeva la norma precedente, affermando nuovamente che il vincolo tabellare, sia quello economico, sia quello valutativo medico-legale, deve essere lo stesso che si adotta per la Responsabilità Civile Auto (RCA);
  • l. n. 124/2017 (Legge annuale per il mercato e la Concorrenza), pubblicata in Gazzetta il 14 agosto 2017, la quale, oltre a modificare gli artt. 138 e 139 cod.ass. e ad abrogare il comma 3-quater dell'art. 32 d.l. n. 1/2012, dà tempo 120 giorni per predisporre le tabelle economiche e medico legali per i danni alla persona compresi fra 10 e 100 punti percentuali di danno permanente biologico, prevedendo peraltro il “ritorno” del danno morale, come figura autonoma di danno, da risarcire – come era una volta – adottando una percentuale di maggiorazione del risarcimento del danno permanente biologico, che varia proporzionalmente al crescere della invalidità residuata.
Il ruolo del medico legale

Questa carrellata di norme ribadisce quindi la necessità, ad avviso del legislatore del nostro Paese, di stabilire con forza di legge quali sono i criteri ed i parametri per giungere alla valutazione medico legale del danno permanente biologico e quali i parametri economici attraverso i quali convertire in danaro il valore così stabilito.

Molte sono state negli anni passati le polemiche nella comunità giuridica e medico legale circa la opportunità che venisse predisposto un tale strumento, polemiche che si trascinano ancora oggi.

Occorre però ricordare – come peraltro ben emerge dai lavori parlamentari preparatori delle norme sopra citate – l'intento che è stato posto alla base della predisposizione di questi strumenti legislativi. Prima dell'introduzione per legge delle tabelle (economica e medico legale) del danno alla persona (oggi operante solo quella relativa ai danni biologici permanenti ricompresi tra l'1% ed il 9%) la realtà pratica dei risarcimenti avveniva con meccanismi tali da portare a situazioni di iniquità e di diseguaglianza fra cittadino e cittadino italiano. Nessuno deve dimenticare che il bene primariamente tutelato nell'azione risarcitoria del danno alla persona è la salute del leso. E nessuno deve dimenticare che dunque, a parità di pregiudizio alla salute, il risarcimento non può essere monetizzato in maniera diversa fra cittadino e cittadino, cosa che invece è sistematicamente accaduta prima dell'intervento normativo ed in parte accade ancora oggi, quando il compito di dare una misura economica alla salute degli italiani, è stato affidato alle corti giudiziarie le quali ancora oggi, per i danni non parametrati per legge (quelli cioè che comportano alla fine un danno permanente di valore percentuale superiore al 9%) continuano a proporre valori economici diversi.

Infatti, benché le tabelle milanesi siano certamente quelle maggiormente utilizzate in Italia ed abbiano addirittura avuto una ulteriore legittimazione da Cass. civ., 7 giugno 2011 n. 12408, la pratica risarcitoria vede utilizzate localmente altre tabelle, elaborate dai rispettivi fori giudiziari, come ad esempio Roma e, più recentemente, Venezia.

Analoga circostanza si è verificata anche per l'accertamento medico-legale del danno alla persona.

Nel nostro Paese, il ruolo del medico legale è centrale nel determinare le conseguenze di un fatto lesivo da responsabilità di terzi. Questa figura professionale è la sola titolata a stabilire la durata della perdita temporanea della salute e la misura in cui questa sia stata pregiudicata fino alla stabilizzazione anatomica, clinica e funzionale delle lesioni ed è la sola a stabilire, qualora la lesione non abbia raggiunto la guarigione, ma si sia strutturato un pregiudizio permanente, in che misura il bene salute si sia ridotto in maniera definitiva.

Fare questo presuppone non solo avere un metodo accurato, il più possibile basato su un criterio di evidenza scientifica che elimini le forme di soggettivismo e di cosiddetti “pareri personali” fondati su convinzioni individuali e non su riscontri certi, tali da poter essere verificati anche da altri professionisti che esaminano lo stesso caso. Ma presuppone anche che vi sia una “misura” univoca del valore da attribuire a ciascun distretto anatomico, a ciascuna funzione viscerale, a ciascun organo di senso… e via elencando.

E, come era accaduto e ancora accade per il criterio economico con cui deve essere monetizzato il danno alla salute, anche nei rispetti della stima percentuale del danno permanente biologico la storia e l'esperienza hanno dimostrato che, soprattutto prima della tabella medico-legale di legge, ex D.M. Sanità 3 luglio 2003, a parità di condizioni menomative ed anche a fronte dalla più corretta metodologia di indagine per determinare il grado di ridotta funzionalità del distretto menomato, vengono indicate stime percentuali di danno permanente biologico difformi per il solo fatto che quella condizione, a seconda del barème che si prende a riferimento, a seconda del pensiero dei singoli autori di questi testi, propone stime percentuali diverse. Conseguentemente, se una guida, per la perdita totale di una funzione o di un arto indica un valore diverso da quello riportato in altro analogo testo, il soggetto leso si vedrà riconoscere valori percentuali di danno permanente biologico diversi a seconda che il valutatore faccia riferimento ad una o all'altra. E poiché il risarcimento viene monetizzato proprio sulla base di questo valore percentuale, ecco che, per lo stesso motivo per il quale le diverse tabelle economiche hanno creato e creano disequità, l'adottare un testo piuttosto che un altro non solo non garantisce univocità di valutazioni, ma genera spesso risarcimenti difformi.

Il ruolo della tabella

Scopo quindi di una tabella di legge che definisca quale debba essere il valore percentuale da attribuire ad esempio alla perdita della facoltà visiva di un occhio, alla perdita della funzione di un'articolazione, alla perdita di un dito, è proprio quella di far sì che, almeno su questi punti fissi, non vi siano difformità legate ad un diverso modo di pensare di un Autore rispetto ad un altro. I valori indicati dalla tabella di legge ovviamente si riferiscono al caso teorico di un soggetto fisicamente normale che perde quella determinata funzione. Restano dunque ferme le indispensabili professionalità e capacità del valutatore di analizzare se quel valore si adatta al soggetto che sta esaminando o se, per circostanze cliniche, patologie pregresse, fatti costituzionali, il valore indicato dalla tabella debba essere incrementato o diminuito. Ma è di tutta evidenza che, discostandosi dal valore previsto dalla tabelle per quella specifica condizione, il professionista dovrà, in maniera coerente con le norme applicative della tabella, spiegarne il motivo.

Il valore aggiunto dato da una tabella di legge per cercare di raggiungere un obiettivo di equità, riducendo il più possibile le difformità di giudizio in base ai “convincimenti” (a volte agli interessi) personali del medico che valuta il danno, è in sostanza rappresentato non solo dall'obbligo di adottare il valore indicato dalla tabella nel caso la situazione da valutare sia corrispondente a quella riportata dalla tabella, ma anche di riferirsi ad esso per condizioni, di maggiore o minore gravità, avendo cura di applicare la migliore metodologia clinica per “capire” quale è la reale disfunzionalità di quel distretto anatomo-funzionale e la migliore metodologia medico-legale per adattare la voce tabellare più vicina a quella condizione, per stabilire alla fine il valore percentuale da indicare nella relazione.

Se la tabella di legge prevede il riconoscimento di una percentuale di danno permanente biologico del 28% per la perdita della facoltà visiva di un occhio, un danno del genere potrà essere quantificato in maniera diversa se, ad esempio, il soggetto ha già un visus ridotto nell'occhio superstite (nel qual caso il valore indicato dalla tabella andrà aumentato in quanto la menomazione da valutare, concorrendo con il deficit visivo preesistente, determina un handicap visivo maggiore di quello che lo stesso deficit post-traumatico determinerebbe in un soggetto con visus normale nell'occhio non colpito dalla lesione). Al contrario, se l'occhio, la cui funzione si è definitivamente perduta a seguito di un fatto da responsabilità di terzi, già prima di questo evento aveva una funzione più ridotta del normale, il valore da riconoscere sarà evidentemente inferiore a quello tabellato, atteso che il potere visivo di quell'occhio, già prima del sinistro inferiore al normale, non consentiva a quel soggetto di fare la stessa quantità di cose che usualmente fa una persona con integrità della vista.

La costruzione della tabella

Discutendosi oggi, a maggior ragione alla luce di quanto prevede la recente l. n. 124/2017, di una tabella di legge, credo che, senza falsa ipocrisia, l'intero sistema debba essere consapevole che, almeno fino ad oggi, nessun barème può essere ritenuto il frutto di uno studio scientifico, rigorosamente basato su un criterio di evidenza. E personalmente ritengo che – al pari del ruolo delle linee guida che la recente legge Gelli-Bianco intende predisporre per basare su di esse il giudizio di responsabilità sanitaria – sia necessario convenire sulla impossibilità di stabilire, in tempi ragionevoli e con esclusivo criterio basato sulla evidenza scientifica, quale sia il valore da attribuire alla perdita di un dito della mano, ad una anchilosi di ginocchio, alla perdita della facoltà visiva di un occhio… e via elencando. Come è stato per le altre tabelle medico legali in uso nel nostro Paese credo sia indispensabile un sano pragmatismo nella determinazione dei punti fissi della tabella che, pur dovendo discendere ovviamente da un consesso in cui il ruolo della Medicina Legale è fondamentale, lasci però al legislatore il compito di farne uno strumento suo.

L'importante a mio parere è che, nella elaborazione della tabella, si seguano due criteri basilari.

Il primo è avere ben presente a cosa si riferiscono i numeri indicati. E se si discute di tabella del danno biologico permanente, evidentemente in nessun modo si può prescindere dal convenire su cosa sia il danno biologico, nozione senza la quale il numero sarebbe privo di reale significato. Ricordo allora che le Sezioni Unite della Cassazione Civile, con le ormai storiche “sentenze di San Martino” (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26972), fra le tante altre cose, hanno affermato che la definizione di danno biologico data dagli artt. 138 e 139 cod.ass. è una definizione esaustiva, che ben rappresenta il concetto di pregiudizio alla salute elaborato negli anni dalla Dottrina e dalla Giurisprudenza. Ed è stata ritenuta tale, al punto da indurre le SSUU ad affermare che la stessa definizione è da estendere a tutti gli ambiti della responsabilità civile.

La definizione, ripresa senza modifiche anche dall'art. 1, commi 17 e 19 della l. n. 124/2017, è la seguente: «Per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente alla integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico legale, che esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito(…). Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico relazionali personali (…), l'ammontare del risarcimento del danno (…) può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al trenta per cento» (ex art. 138 cod. ass.) ovvero «fino al venti per cento» (ex art. 139 cod. ass.).

Di fatto quindi, il numero indicato dal medico legale per quantificare il danno permanente biologico residuato da un fatto da responsabilità di terzi, altro non indica se non la misura in cui si è per sempre ridotta la capacità della vittima di svolgere le attività quotidiane in tutti i suoi risvolti, di interagire con l'ambiente che la circonda, in altre parole di vivere la vita come la viveva prima.

Il numero indicato dalla tabella fa ovviamente riferimento ad una validità teorica, quella di cui sono dotate tutte le persone; se nel caso in esame il quadro menomativo è di pregiudizio su particolari interessi del leso che lo differenziano dalla media delle persone, la definizione di legge ne fa specifica previsione, indicando anche in che misura e con quale modalità questa ulteriore personalizzazione debba essere risarcita.

Ed è dato ineludibile il fatto che questa stessa definizione, benché nata nel Codice delle Assicurazioni Private per la gestione risarcitoria dei danni da circolazione stradale, attraverso il d.l. n. 158/2012 (c.d. legge Balduzzi) prima, e attraverso la l. n. 24/2017 (c.d. legge Gelli-Bianco) recentemente, è stata estesa anche all'ambito della Responsabilità Civile Sanitaria, rappresentando quindi la norma che governa la stragrande maggioranza dei danni alla persona in responsabilità civile. E sarebbe davvero paradossale se, per la restante (a questo punto residuale) casistica, si facesse riferimento ad un diverso concetto di danno biologico e ad un diverso modo di quantificarlo.

Il secondo criterio che si deve necessariamente seguire nel predisporre una tabella, è il rigoroso rispetto della proporzionalità dei valori.

Il nostro sistema risarcitorio, come quello di alcuni paesi della comunità europea (molti altri operano invece con sistemi significativamente diversi), ha assegnato al medico legale la centralità della valutazione, dandogli il compito di indicare, per la stima del danno permanente biologico, un valore percentuale, valore che – sarà banale dirlo – deve rientrare nel range 0-100. Ed è forse altrettanto banale affermare che se il 100 lo si attribuisce a quelle condizioni che azzerano il valore della persona (ad esempio, uno stato vegetativo, un totale degrado delle funzioni neurocognitive… ecc.), le altre condizioni menomative che lasciano dei sia pur minimi cascami di relazionalità e di capacità di interagire con altre persone o di vivere attivamente la vita, saranno inferiori al 100 in maniera proporzionalmente decrescente a seconda della quantità di abilità residuate. Una condizione di tetraplegia con funzioni cerebrali conservate comporterà il riconoscimenti di valori ad esempio del 90-95%, mentre una paraplegia o una emiplegia dovranno necessariamente essere stimate in misura inferiore (80-85%). Il valore da riconoscere per la perdita di un arto dovrà comportare il riconoscimento di un valore percentuale maggiore di menomazioni che, per quanto gravi, lasciano comunque una qualche residua funzione a quello stesso arto. Menomazioni di singole dita della mano verranno evidentemente valutate meno del valore previsto per la perdita della mano e menomazioni di falangi delle singole dita comporteranno valori sempre inferiori, fino al valore minimo della scala, ossia l'1%.

La tabella di legge negli scenari futuri

Nel completare questa riflessione sul principale strumento di cui dovrebbero essere dotati i medici legali per effettuare valutazioni eque ed univoche, va infine posta l'attenzione sui futuri scenari, in particolare su quello che ha appena aperto la l. n. 124/2017.

La norma, segnatamente all'art. 1, comma 17, prevede che, entro 120 giorni dalla pubblicazione della legge, «… su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro della giustizia, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella unica su tutto il territorio della Repubblica… delle menomazioni all'integrità psico-fisica comprese tra dieci e cento punti».

La legge non dà ulteriori dettagli su chi debba predisporre questa tabella e non dice nemmeno se verrà o meno adottata la tabella che gli stessi ministeri avevano già elaborato attraverso una commissione multidisciplinare alla quale avevano partecipato tutte le principali rappresentanze medico-legali, prima fra tutte la Società Italiana di Medicina Legale, tabella che peraltro è già da tempo comunque in uso nella pratica valutativa medico-legale.

In ogni caso, al fine di aprire una discussione su quale sia oggi lo strumento più idoneo per garantire valutazioni e risarcimenti il più possibile uniformi e su come questo strumento debba essere costruito, vi sono almeno due questioni sostanziali da affrontare:

  • Premesso che già esiste ed è vincolante una tabella di legge che fissa i parametri da riconoscere per danni permanenti biologici entro il 9% elaborata in sede ministeriale da una apposita commissione, in quale sede deve essere elaborata la tabella per la RC che completi quella già esistente?
  • Dal momento che esiste già una tabella, elaborata da una commissione che ha operato proprio in base alle indicazioni date dalla legge appena approvata e predisposta tenendo conto della stessa definizione di danno permanente biologico che la norma riporta, è davvero necessario elaborarne un nuova, diversa dalla precedente? Questione quest'ultima ancora più rilevante, se si tiene conto che in ogni caso una qualsiasi tabella dei valori da 10 a 100% di danno permanente biologico dovrà armonizzarsi con quella da 1 a 9% che già esiste e che è già operativa per legge.

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