L'indicazione destinata ad assumere maggior rilievo presso gli interpreti prevista dalla riforma Gelli riguarda sicuramente l'esplicito riconoscimento, in capo all'esercente la professione sanitaria, di una responsabilità che (ad esclusione dei casi in cui egli abbia agito nell'adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente) risulta incardinata in ambito extracontrattuale.
Le novità introdotte dalla riforma Gelli in materia di responsabilità civile degli esercenti le professioni sanitarie
Varie appaiono le novità introdotte, sul piano civilistico, con la riforma Gelli: da pochi giorni divenuta legge (per un maggior approfondimento, vedi anche F.ROSADA, Legge Gelli: il testo pubblicato in G.U, in Ridare.it).
L'indicazione destinata ad assumere maggior rilievo presso gli interpreti – come già emerge dai primi commenti del provvedimento - riguarda sicuramente l'esplicito riconoscimento, in capo all'esercente la professione sanitaria, di una responsabilità che (ad esclusione dei casi in cui egli abbia agito nell'adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente) risulta incardinata in ambito extracontrattuale. Ad essere sciolta appare, quindi, la diatriba innescata dalle indicazioni, formulate al riguardo - in termini non propriamente cristallini - dalla legge Balduzzi (per una sintesi sui contrapposti indirizzi giurisprudenziali sul punto v. C.TRAPUZZANO, La natura della responsabilità sanitaria alla luce della legge Balduzzi, in Ridare.it). Tale dibattito aveva assorbito in maniera pressoché esclusiva l'attenzione degli interpreti relativamente ai risvolti civilistici di quel provvedimento, lasciando in ombra altri profili di novità introdotti dalla legge Balduzzi: in particolare il riconoscimento del rilievo giuridico di quelle regole – preposte a governare l'esercizio delle professioni sanitarie - riconducibili sotto all'etichetta di «linee guida e buone pratiche». Rammentiamo come l'effetto riconosciuto all'adeguamento a tali indicazioni da parte del sanitario siano stati, nella legge Balduzzi, modulati in maniera differente ai fini della responsabilità penale e di quella civile del sanitario. Secondo quanto stabilito dall'art. 3, comma 1, della l. n. 189/2012, si registra – nel primo campo - un'esenzione dalla responsabilità, a condizione che il comportamento dell'operatore sanitario sia contraddistinto dalla colpa lieve, mentre - sul piano civilistico - dell'adesione alle linee guida/buone pratiche si tiene conto ai fini della determinazione del danno. Alla luce di tali indicazioni, si evince che l'esercente la professione sanitaria, laddove versi in colpa lieve - pur restando civilmente responsabile - si vedrà riconosciuto un trattamento di favore.
Significative novità risultano introdotte, lungo quest'ultimo profilo, dalla legge Gelli: all'art. 7, infatti, afferma che «il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 e dell'articolo 590-sexies del codice penale, come introdotto dal precedente articolo 6». Gli effetti, sul piano risarcitorio, paiono ricalcare le medesime previsioni della legge Balduzzi; importanti innovazioni risultano tuttavia introdotte con riguardo all'individuazione del comportamento rilevante ai fini del riconoscimento di una “responsabilità affievolita”. Molto complessa e articolata appare in effetti, la delimitazione dello standard comportamentale di cui tener conto, visto che esso dev'essere ricavato tramite un duplice rinvio:
all'art. 5 della medesima legge, il quale impone agli esercenti le professioni sanitarie un comportamento che si attenga «salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida» e, in mancanza di tali raccomandazioni «alle buone pratiche clinico-assistenziali»;
all'art. 590-sexies c.p. (anch'esso introdotto con l'art. 6 in sede di riforma), il quale esclude la punibilità in sede penale a fronte di quell'evento che si sia verificato a causa di imperizia, laddove risultino rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, ovvero - in mancanza di queste - le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
Linee guida e buone pratiche
Le linee guida rappresentano, com'è noto, un insieme di regole alquanto eterogeno: di qui la necessità di individuare quelle deputate ad essere prese a riferimento ai fini della responsabilità del sanitario. Mentre la legge Balduzzi non forniva, al riguardo, indicazioni precise – in quanto si limitava a richiamare in maniera generica le linee guida accreditate dalla comunità scientifica – in sede di riforma è stato introdotto un sistema nazionale di accreditamento. Se questa previsione, da un lato, permette di individuare in maniera chiara quali siano le linee guida da prendere in considerazione, essa innesca, dall'altro lato, problemi di varia natura. Ci limitiamo a segnalare il fatto che il nuovo sistema prevede si tenga conto esclusivamente delle raccomandazioni elaborate da enti/istituzioni/associazioni/società tecnico-scientifiche le quali intendano attivarsi per ottenere l'iscrizione in un apposito elenco e che, al tal fine, siano in possesso di una serie di requisiti individuati dal legislatore: tra i quali è, ad esempio, incluso un requisito minimo di rappresentatività sul territorio nazionale, che ben potrebbe mancare in capo a talune organizzazioni pur aventi spessore internazionale. Non va taciuto, inoltre, il fatto che gli enti in questione sono chiamati a esplicare un ruolo attivo per poter essere inseriti nell'elenco, tale da comportare l'esclusione di tutti quegli organismi i quali non nutrano alcun interesse ad intraprendere un simile percorso burocratico. Va, peraltro, segnalato che le linee guida prodotte dagli organismi inclusi nell'elenco sono rese conoscibili, tramite pubblicazione sul sito internet dell'Istituto superiore di sanità pubblica, «previa verifica della conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto, nonché dalla rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni». Viene introdotto, per questa via, un ulteriore filtro selettivo suscettibile di restringere il perimetro delle raccomandazioni rilevanti. Il quadro complessivo che deriva da indicazioni del genere risulta alquanto frammentato, in vista della molteplicità dei livelli di accreditamento delle linee guida: vanno infatti distinte quelle genericamente accreditate dalla comunità scientifica, dal novero più ristretto di quelle prodotte dagli enti inclusi nell'elenco; rispetto a queste ultime, ancor più limitato risulta l'insieme delle raccomandazioni che abbiano superato la verifica dall'Istituto superiore di sanità pubblica, che – peraltro - sono le sole suscettibili di assumere rilevanza ai fini del trattamento di favore dell'operatore sanitario. Varie le situazioni problematiche che possono manifestarsi a fronte di uno scenario del genere: tanto per fare un esempio, potremmo trovarci di fronte al caso di un conflitto tra linee guida verificate e linee guida non comprese nel sistema, in quanto accreditate da soggetti internazionali non inclusi nell'elenco o in quanto più aggiornate rispetto a quelle inserite nel sistema. Un modello di questo tipo si presta, allora, a favorire l'appiattimento del comportamento dell'esercente la professione sanitaria su raccomandazioni non necessariamente ottimali, al fine di vedersi garantiti effetti giuridici vantaggiosi sul piano della responsabilità.
Un altro profilo problematico si prospetta per il fatto che le raccomandazioni previste dalla linee guida non rispecchiano necessariamente lo standard di comportamento cui l'esercente la professione sanitaria dovrà adeguarsi per vedersi garantita l'applicazione della disciplina di favore. A venire in gioco sono, infatti, indicazioni che fanno capo a una situazione astratta, cui viene ricollegato un certo comportamento da seguire, sulla base di una regola dell'esperienza o della migliore scienza; ove la situazione concreta con la quale si misura il medico non venga a corrispondere a quel modello, sarà invece necessario discostarsi da quelle indicazioni. In sede di riforma si afferma esplicitamente che la rilevanza delle linee-guida va riconosciuta esclusivamente nei casi in cui emerga la relativa adeguatezza a governare la specificità del caso concreto (v., in tal senso, art. 5 e art. 6). Viene, pertanto, in gioco un profilo che dovrà essere rimesso alla valutazione giudiziale e, dunque, alle conclusioni raggiunte sul punto in sede di consulenza tecnica. La soluzione può risultare controversa, considerato che sono le medesime linee guida a prevedere una varietà di “classi di raccomandazione”, per cui la risposta potrà apparire univoca laddove ci si trovi alle estremità della scala, mentre i dubbi sono destinati a moltiplicarsi ove ci si collochi nella zona intermedia.
Qualora l'esercente la professione sanitaria si trovi ad operare in un ambito rispetto al quale non siano previste linee-guida, egli è chiamato ad attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali. Queste ultime vengono, quindi, ad assolvere una funzione sussidiaria, in quanto considerate rilevanti esclusivamente laddove manchino raccomandazioni del primo tipo. Sembra opportuno interpretare in senso ambio questo ruolo: a tali indicazioni bisognerà fare riferimento anche nelle ipotesi in cui l'operatore sanitario affronti una fattispecie, astrattamente governata da linee guida, le quali tuttavia non si prestino ad essere applicate al caso concreto. Se così non fosse, in queste ipotesi egli si troverebbe escluso per definizione dalla possibilità di accedere al trattamento di favore (sia ai fini penali che civili); con l'effetto finale di spingere gli operatori sanitari a non prendere in carico pazienti la cui situazione non si presti ad essere gestite tramite le linee-guida (come ad esempio soggetti affetti da multipatologie).
Bisogna, in ogni caso, segnalare che - per quanto concerne le buone pratiche – si registra una difficoltà ancor più pregnante, rispetto al campo delle linee guida, per quanto concerne la definizione del fenomeno. Gli interrogativi che sono emersi in passato a tale riguardo vengono a moltiplicarsi alla luce di quanto stabilito a livello di riforma: in seno alla quale l'art. 3 prevede l'istituzione di un Osservatorio nazionale, cui spetta il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza della cure. Si tratta, allora, di stabilire le relazioni e/o sovrapposizioni che sussistono tra le regole che verranno ricondotte a tale sistema e quelle dettate dalle buone pratiche clinico-assistenziali cui sono chiamati ad attenersi, alla stregua dell'art. 5, gli esercenti le professioni sanitarie.
Il campo di applicazione della “responsabilità affievolita”
In campo civilistico, il rispetto delle linee guida (o, in assenza delle stesse, delle buone pratiche) non esime l'operatore sanitario dalla responsabilità, ma produce una limitazione del risarcimento dovuto alla vittima. Una regola del genere pone l'interprete di fronte a una situazione del tutto particolare, considerato che - tradizionalmente - la valutazione del comportamento del soggetto agente rileva, ai fini dell'accertamento della responsabilità, esclusivamente sul piano dell'an. In questo caso, invece, risulta che il rispetto delle linee guida/buone pratiche non è di per sé suscettibile di integrare lo standard di comportamento necessario a escludere la sussistenza della colpa quale elemento dell'illecito civile. Di qui nasce una difficoltà, sul piano interpretativo, nell'individuazione delle fattispecie in cui appare destinato a operare l'alleggerimento risarcitorio nei confronti del sanitario: corrispondenti a situazioni in cui il soggetto versi in colpa, pur essendosi attenuto alle linee guida/buone pratiche.
La legge Balduzzi lasciava spazio alla considerazione di due diverse situazioni (purché non ricollegabili a colpa grave):
quella dell'operatore sanitario il quale commetta un errore nel mettere in pratica le raccomandazioni delle linee guida/buone pratiche;
quella dell'esercente la professione sanitaria il quale si sia attenuto alle linee guida, mentre la peculiarità del caso concreto richiedeva di disapplicarle.
La riforma Gelli, dal canto suo, sembra escludere la possibilità di collegare il trattamento di favore a un caso di quest'ultimo tipo; essa prevede, infatti, una regola di comportamento maggiormente articolata, in quanto si ricollega al rispetto delle linee guida, fatte salve le specificità del caso concreto. Non potrà dirsi, perciò, conforme allo standard normativo (foriero, in ambito civilistico, di un affievolimento della risposta risarcitoria) quel trattamento avvenuto nel rispetto di raccomandazioni che non apparivano adeguate a governare la peculiarità della situazione.
Una conclusione del genere risulta apertamente confermata dalle previsioni dettate a livello penale dal nuovo art. 590-sexies c.p., che esclude la punibilità dell'esercente la professione sanitaria a fronte di un comportamento rispettoso delle linee-guida, «sempreché le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».
Va segnalata, inoltre, un'ulteriore limitazione quanto al raggio di azione della disciplina di favore per l'operatore sanitario, rispetto a quanto previsto dalla legge Balduzzi, con riguardo al tipo di violazione imputabile al sanitario. L'art. 590-sexies c.p. assicura la non punibilità esclusivamente ove l'evento si sia verificato a causa di imperizia, mentre l'esercente la professione sanitaria – che si sia uniformato a linee guida adeguate al caso concreto - rimarrà pienamente responsabile ove abbia agito in maniera negligente o imprudente. Sotto questo profilo sono destinati ad emergere significativi problemi applicativi, vista le difficoltà - già in passato segnalate dagli interpreti – riguardanti la determinazione di un confine preciso tra il concetto di imperizia e quelli di negligenza e imprudenza.
La limitazione del risarcimento
Il trattamento di favore, in ambito civilistico, si produce nei termini di una limitazione del risarcimento. Si tratta di una previsione - già contenuta nella legge Balduzzi e confermata, sia pure a fronte di un perimetro più ristretto di casi, dalla riforma Gelli – di non facile applicazione. Usualmente la quantificazione del risarcimento non risulta influenzata, sul piano della responsabilità civile, dal tipo di comportamento tenuto dal danneggiante. Di tale dato il giudice tiene conto esclusivamente al fine di stabilire se il soggetto debba essere considerato responsabile, versando o meno in colpa; una volta sciolta in senso positivo una simile verifica, nessun peso viene a rivestire - in genere - l'elemento soggettivo ai fini della liquidazione del danno da risarcire alla vittima. Nei casi eccezionali ove ciò accada, in quanto normativamente stabilito, a venire in evidenza appare un comportamento particolarmente grave, fonte come tale del ristoro di danni punitivi. In senso diametralmente opposto risulta orientata la disciplina in esame, dal momento che lo standard di comportamento tenuto dal danneggiante risulta preso in considerazione in una prospettiva di favore nei suoi confronti; i giudice viene chiamato a tenere conto, nella determinazione del danno, della circostanza che l'esercente la professione sanitaria abbia rispettato le linee guida/ buone pratiche adeguate al caso concreto, ai fini di procedere a una riduzione del risarcimento. [Non pare, in effetti, praticabile una lettura di segno opposto, volta a sancire un appesantimento del ristoro dovuto dal sanitario laddove il suo comportamento appaia particolarmente riprovevole: tanto più che, in sede di riforma, scompare qualsiasi riferimento alla colpa grave.]
Non è affatto chiaro in che termini debba operare una simile limitazione. Il dato preso in considerazione – rappresentato dal rispetto delle linee guida/buone pratiche – pone davanti ad un alternativa binaria, tra osservanza o meno di tali raccomandazioni (a meno, in una prospettiva non condivisibile, si voglia considerare rilevante, ai fini del trattamento di favore, anche l'osservanza soltanto parziale delle raccomandazioni in parola). Ciò significa, allora, che il rispetto delle linee guida/buone pratiche incarna bensì il presupposto affinché si possa procedere a una riduzione risarcitoria, ma la modulazione della stessa dovrà essere effettuata utilizzando qualche altro criterio, suscettibile di graduazione.
All'interno della legge Balduzzi, un parametro del genere può essere identificato nella gravità della colpa del danneggiante: ciò in quanto il legislatore rendeva operante l'esimente penale laddove il sanitario fosse incorso in una colpa lieve, affermando la rilevanza di tale comportamento ai fini del ristoro del danno in ambito civile. In definitiva, il rispetto delle linee guida/buone pratiche rappresenta la condizione affinché il giudice possa valutare la gravità della colpa dell'operatore sanitario: mentre il risarcimento risulta dovuto interamente in caso di colpa grave, andrà incontro a una riduzione in presenza di colpa lieve. La riforma Gelli viene a complicare il quadro, dal momento che scompare ogni riferimento alla graduazione della colpa; infatti, a livello penale, si prevede la non punibilità in caso di imperizia (avvenuta nel rispetto delle linee-guida/buone pratiche), in assenza di ogni richiamo all'eventuale gravità del comportamento del sanitario. Scompare, così, l'aggancio normativo che permetteva di ricollegare la graduazione del quantum risarcitorio alla gravità della colpa.
Ulteriori zone d'ombra, derivanti dall'applicazione della nuova disciplina, coinvolgono l'individuazione dei soggetti a favore dei quali si rende operante la limitazione risarcitoria. Non è chiaro, infatti, se della riduzione possa giovarsi esclusivamente l'esercente la professione sanitaria, oppure se l'alleggerimento sia attivabile anche a favore della struttura sanitaria/sociosanitaria che risponde, a titolo contrattuale, della condotta colposa o dolosa di quel soggetto.
Va, infine, osservato che la limitazione risarcitoria risulta inserita in un sistema che - già in termini generali – nega l'applicazione del principio di integrale risarcimento del danno. Prima la legge Balduzzi, poi la riforma Gelli, rimandano all'applicazione del modello risarcitorio operante, attraverso gli artt. 138 e 139 cod. ass., in materia di sinistri stradali, il quale risulta imperniato su una compressione della risposta risarcitoria poichè fondato, da un lato, sull'adozione di valori del punto di invalidità permanente di gran lunga inferiori rispetto a quelli abitualmente praticati dalla giurisprudenza e, dall'altro lato, sulla previsione di un tetto massimo al risarcimento entro il quale viene ricondotto l'intero ventaglio delle ripercussioni non patrimoniali patite dalla vittima. Laddove il risarcimento, già compresso dall'applicazione di un sistema del genere, subisca un ulteriore taglio in correlazione al rispetto le linee-guida/buone pratiche, risulta estremamente difficile parlare di responsabilità; nei casi in cui sia previsto il trattamento di favore del sanitario (destinati, peraltro, a non essere molto numerosi, considerate le limitazioni più sopra illustrate), egli si troverà a versare, in effetti, un mero indennizzo a favore della vittima.
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Il campo di applicazione della “responsabilità affievolita”