Responsabilità civile
RIDARE

Linee guida e best practices mediche

04 Agosto 2015

Il recente intervento legislativo comunemente definito “legge Balduzzi” ha esplicitamente sancito la rilevanza della condotta medica conforme a «linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica» al fine di escludere la responsabilità penale «per colpa lieve» (art. 3 comma 1, D.l. n. 158/2012). Inoltre, tale legge, dopo aver precisato che, anche nel caso di insussistenza di responsabilità penale in virtù della previsione normativa sopra citata, «resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 c.c.», ha richiamato le linee guida come parametro della «determinazione del risarcimento del danno», stabilendo che a tal fine il giudice «tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo», ossia della condotta conforme alle linee guida ed alle buone pratiche sopra richiamate.

Inquadramento

BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Il recente intervento legislativo comunemente definito “Legge Balduzzi” ha esplicitamente sancito la rilevanza della condotta medica conforme a «linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica» al fine di escludere la responsabilità penale «per colpa lieve» (art. 3, comma 1, D.l. n. 158/2012). Inoltre, tale legge, dopo aver precisato che, anche nel caso di insussistenza di responsabilità penale in virtù della previsione normativa sopra citata, «resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 c.c.», ha richiamato le linee guida come parametro della «determinazione del risarcimento del danno», stabilendo che a tal fine il giudice «tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo», ossia della condotta conforme alle linee guida ed alle buone pratiche sopra richiamate.

L'intento del legislatore è stato quello di contenere la spesa pubblica e arginare il fenomeno della “medicina difensiva”, sia attraverso una restrizione delle ipotesi di responsabilità medica introducendo un'esenzione dalla responsabilità penale per colpa lieve in caso di comportamento conforme alle linee guida ed alle buone pratiche cliniche, sia attraverso una limitazione dell'entità dei risarcimenti, estendendo l'applicabilità delle tabelle legislative per le c.d. micropermanenti di cui all'art. 139 Cod. Ass. e contestualmente prevedendo che il fatto che il danno sia stato causato nonostante l'osservanza delle linee guida dovrebbe condurre ad un non meglio precisato abbattimento del quantum respondeatur. Le linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica dovrebbero assumere, nell'intenzione del legislatore, il ruolo di regola cautelare certa, formata anteriormente al giudizio da società scientifiche di riconosciuta autorevolezza ed affidabilità cui confrontare la condotta concreta tenuta dall'operatore nel processo di identificazione della colpa.

Definizione

Sin dal secolo scorso la letteratura medica prima, le istituzioni sanitarie poi, hanno cercato di mettere a disposizione degli operatori sanitari, e anche degli utenti delle prestazioni mediche, enunciazioni prescrittive che, da un lato, consentissero di seguire prassi condivise e approvate in sede scientifica in relazione alle più varie attività mediche, infermieristiche o chirurgiche, contemporaneamente rendendo "controllabile" l'osservanza di quelle prassi da parte dell'utenza; e, dall'altro, consentissero di stabilire se e in che misura gli eventuali scostamenti da tali prescrizioni implicassero la responsabilità dell'operatore sanitario o dell'organizzazione sanitaria di riferimento per danni cagionati al paziente. Trattasi di documentazioni scientifiche intese a standardizzare, sul piano delle regole di comportamento, le procedure da adottare in determinate situazioni diagnostico-terapeutiche.

Ci si riferisce, fra l'altro, ai c.d. protocolli sanitari, ai protocolli infermieristici, alle linee guida, ai percorsi assistenziali o diagnostico-terapeutici e a tutte quelle procedure codificate per l'adozione di schemi di comportamento omogenei e definiti da parte degli operatori sanitari in rapporto a specifiche esigenze operative.

Nel cercare di dare una definizione deve, innanzi tutto, partirsi dal rilievo che “linee guida” e “buone pratiche” sono concetti sostanzialmente diversi benché in dottrina ed in giurisprudenza i due concetti tendano a sovrapporsi e, il più delle volte, i due termini vengono utilizzati indifferentemente e addirittura in relazione alla medesima disciplina.

In generale le linee guida possono definirsi quali «raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche» (la definizione è quella adottata nel 1992 dall'Institute of Medicine di Washington D.C.). In altri termini le linee guida sono considerate come un percorso diagnostico terapeutico ideale, suggerito sulla base della migliore scienza ed esperienza di un dato contesto storico da società scientifiche di prestigio internazionale per agevolare i medici nel decidere quali siano le modalità di assistenza più adeguate, fornendo raccomandazioni in merito al trattamento delle varie patologie a fronte di determinati quadri patologici. Esse si caratterizzano, dunque, per scientificità, generalità e predeterminatezza.

Le “buone pratiche”, invece, vanno ricondotte al genus dei protocolli e consistono per lo più in schemi rigidi e predefiniti di comportamento diagnostico-terapeutico che descrivono le procedure alle quali l'operatore sanitario deve strettamente attenersi in una determinata situazione. Da ciò discende la tendenziale tassatività della loro applicazione, posto che solo la corretta e sistematica osservanza della sequenza comportamentale prescritta garantisce l'operatore dal rischio del verificarsi di esiti negativi. Esse costituiscono, dunque, una rigida e predefinita schematizzazione di condotte medico- assistenziali all'interno di specifiche procedure individuate per singole fattispecie clinico gestionali.

Le linee guida hanno valore tendenziale, mentre le best practice o protocolli sono più precisi e vincolanti. Una prima differenza è data, dunque, dal carattere indicativo/orientativo delle prime e imperativo/tassativo dei secondi. Ulteriore differenza sarebbe data sotto il profilo della specificità dei contenuti, perché a differenza dei protocolli, le linee guida definiscono direttive generali relative al compimento di una determinata operazione, o per la conduzione di uno specifico atto diagnostico o terapeutico. La differenza tra linee guida e protocolli consisterebbe quindi, secondo questa ricostruzione, nella genericità delle prime e nella maggiore specificità delle seconde.

Natura ed efficacia delle linee guida

L'art. 3 del Decreto Balduzzi, quasi incurante di tutte le differenziazioni sopra svolte, si riferisce genericamente alle «linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica» come ad un genus unitario omettendo di tener conto sia delle differenze tra le une e le altre come sopra evidenziate, sia della diversità di fini, di affidabilità scientifica ed autorevolezza esistenti tra le innumerevoli linee guida e buone pratiche.

Il successo riscosso dal genere “linee guida” ha determinato la proliferazione di documenti basati sulle evidenze, ovviamente concentrati intorno a quei temi caratterizzati da una maggiore rilevanza, da un notevole impatto economico e/o organizzativo e che sono meglio studiati dalla ricerca clinica, tuttavia le metodologie di produzione sono estremamente variabili di modo che molte di esse non soddisfano standard minimi di qualità ciò che rende difficile l'uso sia da parte degli stessi operatori sanitari che, a cascata, in sede giudiziaria.

Va, poi, considerato, quanto alla dimensione temporale delle linee guida che è ipotizzabile che si riscontri una “successione” di linee guida nel tempo e che, pertanto, occorra valutare quale fosse quella generalmente ritenuta attendibile al tempo dell'intervento sanitario oggetto di causa.

La Suprema Corte (Cass. pen., sez. IV, 17 settembre 2010, n. 43786), già prima dell'entrata in vigore della Legge Balduzzi aveva avuto modo di evidenziare che un generico riferimento alle linee guida non rende conto del multiforme, eterogeneo universo che dà corpo alla categoria: diverse fonti, diverso grado di affidabilità, diverse finalità specifiche, metodologie variegate, vario grado di tempestivo adeguamento al divenire del sapere scientifico. Tali diversità rendono subito chiaro che, come si è accennato, per il terapeuta come per il giudice, le linee guida non costituiscono uno strumento di precostituita, ontologica affidabilità e che il giudice non può certamente assumere un ruolo passivo di fronte allo scenario del sapere scientifico, ma deve svolgere un penetrante ruolo critico, divenendo custode del metodo scientifico.

Se, inoltre, in molti casi protocolli e linee guida sono stabiliti autonomamente in ambito medico o infermieristico (spesso in ambito regionale o locale, talora nell'ambito di una specifica struttura sanitaria), in relazione a determinati settori, in alcuni casi l'adozione di essi è richiamata da espresse previsioni normative o, comunque, di carattere generale. Per esempio, va ricordato il tentativo di realizzare un sistema di linee guida riconosciuto in ambito nazionale, attraverso l'istituzione del Sistema Nazionale delle Linee guida, nonché di un Programma Nazionale per le linee guida (la cui implementazione è stata prevista dal Piano Sanitario di cui al d.P.R. n. 323/1998).

Ora, l'affiancarsi alle linee guida provenienti dalla comunità scientifica di linee guida che rivestono una particolare natura formale (generalmente, ma non solo, quella del decreto ministeriale), originate da soggetti istituzionali particolarmente qualificati, pone la questione dell'esatta collocazione nel sistema delle fonti (sempre che di fonti si tratti).

In merito alle linee guida contenute nei decreti ministeriali, in quanto atti formalmente amministrativi, si ritiene vadano assoggettati al relativo regime: annullamento da parte del giudice amministrativo e disapplicazione da parte del giudice ordinario. Tali atti rivestono una efficacia qualificata rispetto alle determinazioni che provengono dalla comunità scientifica, non tanto per la loro autorevolezza sostanziale, bensì per la loro veste formale, dalla quale ripetono il regime giuridico .

Ciò non vuol dire che le linee guida e le buone pratiche non “ufficiali” abbiano una valenza minore, al contrario, secondo la giurisprudenza costituzionale svolgono una funzione integrativa della legislazione di tipo primario che concerne la tutela della salute. La Corte costituzionale (Corte cost., 26 giugno 2002, n. 286; Corte cost., 14 novembre 2003, n. 338), ha affermato che non è di norma il legislatore «a poter stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni ;». Ciò che la Corte contesta, si badi, non è l'intervento legislativo sull'appropriatezza delle scelte terapeutiche in sé, ma che tale intervento scaturisca da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore, magari dettate da ragioni iper-cautelative, che non risultino però sorrette da specifiche acquisizioni tecnico-scientifiche.

Rilevante per la Corte, in altri termini, non è il “contenitore” bensì il “contenuto” ossia l'autorevolezza scientifica della fonte: il criterio sostanziale deve poter prevalere sul criterio formale, là dove questo non suggelli raccomandazioni accolte dalla comunità scientifica. Nella pratica, peraltro, accade che le linee guida contenute in atti formali particolarmente qualificati, come i decreti ministeriali, si rivelino assistite da una sorta di presunzione di autorevolezza: se, infatti, organi come il Ministero della Salute (di regola coadiuvato da strutture tecnico-scientifiche di indubbia reputazione) decidono di adottare determinate linee guida, tale scelta si fonda di norma sull'attribuzione di un particolare valore dato dall'attendibilità scientifica.

Nondimeno, l'opzione della giurisprudenza costituzionale di riconoscere efficacia integratrice della previsione legislativa anche a linee guida non ancora ufficializzate dall'autorità politica, rende la verifica della loro normatività più complessa, postulando un esame di elementi estrinseci come l'autorevolezza della fonte e la correttezza metodologica. Qualora la provenienza delle linee guida sia “privatistica”, dunque, l'attendibilità non potrà essere data per scontata, ma andrà accertata caso per caso tenendo conto che non tutto ciò che viene pubblicato e circola sulle riviste di settore, per ciò solo, possiede il crisma dell'autorevolezza e della validità scientifica.

Valutare la qualità di linee guida o protocolli, però, è tutt'altro che facile. Se, infatti, appare logico attribuire maggiore persuasività alle linee guida elaborate dalle società scientifiche rispetto a quelle redatte da compagnie assicurative o società produttrici di farmaci deve rilevarsi che una stessa società scientifica spesso pubblica diverse linee guida, e che esistendo più società scientifiche per ogni branca specialistica potrebbe emergere il problema di valutare quali siano le linee guida più attendibili fra quelle esistenti. In tali casi, nessuna delle linee guida potrebbe essere considerata “accreditata dalla comunità scientifica” come richiesto dall'art. 3 D.L. n. 158/2012 Legge Balduzzi.

Le linee guida - provenienti da fonti autorevoli, conformi alle regole della miglior scienza medica e non ispirate ad esclusiva logica di economicità - possono svolgere un ruolo importante quale atto di indirizzo per il medico; esse, tuttavia, avuto riguardo all'esercizio dell'attività medica che sfugge a regole rigorose e predeterminate, non possono assurgere al rango di fonti di regole cautelari codificate, rientranti nel paradigma dell'articolo 43 c.p. (leggi, regolamenti, ordini o discipline), non essendo né tassative né vincolanti e, comunque, non potendo prevalere sulla libertà del medico, sempre tenuto a scegliere la migliore soluzione per il paziente (così Cass. sez IV, sent., 19 settembre 2012, n. 35922).

In evidenza

Le linee guida costituiscono la fonte di informazione più rispettata, di migliore qualità, più facile da usare e più aggiornata tra quelle disponibili ma possono solo contribuire a riavvicinare il giudizio sull'imputazione colposa alle aspirazioni di determinatezza, non allinearlo a "standard legali precostituiti", ossia a vere e proprie regole cautelari. Ciò, per via della loro varietà, del diverso grado di qualificazione, ma soprattutto per «la loro natura di strumenti di indirizzo ed orientamento, privi della prescrittività propria di una regola cautelare, per quanto elastica» (Cass. pen., 29 gennaio 2013, n. 16237).

In conclusione, benché, dunque, non tutte le linee guida o buone pratiche danno luogo sempre ad altrettante regole cautelari, non potendo dirsi tali quelle che trovano un fondamento a livello puramente economicistico, cioè la cui osservanza serve a far risparmiare sui costi di gestione l'azienda sanitaria, deve tuttavia tenersi conto che laddove, invece, le linee guida attengono alla “perizia” del medico, indicando il modo in cui il sanitario deve in genere operare una determinata patologia, diventa estremamente problematico negare che si sia di fronte a regole cautelari vere e proprie.

Le linee guida e la valutazione della colpa

Le linee guida vengono concordemente riconosciute, sia in campo penale che civile, come importanti criteri di valutazione della colpa del sanitario; ma nello stesso tempo è stato in più occasioni affermato che per un verso l'osservanza rigorosa delle linee guida non è in ogni caso ragione sufficiente per un esonero di responsabilità, potendo venire in gioco situazioni concrete caratterizzate da circostanze peculiari e specifiche tali da suggerire la necessità di discostarsi dalle linee guida codificate per ipotesi simili; e per un altro verso che il mancato rispetto delle linee guida non è prova automatica di una condotta colposa, ben potendo essere il migliore modo per assicurare una efficace tutela della salute del paziente alla luce delle particolarità del concreto quadro clinico.

La giurisprudenza di legittimità in sede penale, consolidatasi prima della modifica normativa della legge Balduzzi, era nel senso di non considerare le linee-guida come idonee a esaurire le regole di condotta sanitaria in rapporto a ogni singolo caso concreto: nel praticare la professione medica, "il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge ed alle conseguenti relative responsabilità. Il rispetto delle "linee guida" non può essere univocamente assunto quale parametro di riferimento della legittimità e di valutazione della condotta del medico". Pertanto, "non può dirsi esclusa la responsabilità colposa del medico in riguardo all'evento lesivo occorso al paziente per il solo fatto che abbia rispettato le linee guida, comunque elaborate, avendo il dovere di curare utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo la scienza medica dispone" (Cass. pen.,sez. IV, 23 novembre 2010, n. 8254; Cass. pen., sez. IV, 2 marzo 2011, n. 8254). La giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, appariva orientata ad attribuire alle linee guida un valore meramente orientativo del giudizio del giudice.

Non pare che dopo l'introduzione della L. Balduzzi tale situazione possa dirsi mutata. In altri termini come le linee guida non minano né azzerano l'autonomia professionale, al punto da costringere il medico ad accomiatarsi da esse quando le specificità del paziente “raccomandino” in tal senso, così non eliminano del tutto il rischio di comportamenti erronei di chi vi si conformi. Il medico, dunque, non solo può, ma deve discostarsi dalle linee guida quando ne colga la necessità non essendo pensabile che la peculiarità del singolo caso clinico sia sempre riconducibile alla generalità delle linee guida di riferimento con la conseguenza che la decisione, adeguatamente motivata, di discostarsi nel singolo caso dalla raccomandazione va considerata come ;l'espressione di un'autonomia critica e consapevole da parte del medico che, pur conoscendo le raccomandazioni suggerite dallo stato delle conoscenze, decide diversamente da esse nell'interesse di quel determinato paziente. Non può disconoscersi, dunque, che "non tutto può essere oggetto di specifiche regole di diligenza" e che "lo spazio coperto dalle linee - guida e dai protocolli non può esaurire l'immensa varietà delle situazioni di pericolo che il sanitario deve individuare con la dovuta diligenza e perizia" (Marinucci, La responsabilità colposa: teoria e prassi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2012, 1, p. 1).

In evidenza

Al medico sarà richiesto di: conoscere le linee guida del settore di competenza; verificarne l'autorevolezza, il livello di aggiornamento e, soprattutto, l'appropriatezza rispetto al caso che lo investe; valutare se questo presenti caratteristiche tali da sconsigliarne una pedissequa osservanza.

Casistica

COLPA PER ADESIONE :

condotte colpose rispettose delle linee guida

Un primo gruppo di sentenze riguarda medici che rispettano le linee guida senza che tale comportamento sia ritenuto esaustivo e sufficiente per esentare da responsabilità, là dove si provi che l'adesione è stata così rigida dall'impedire di accorgersi che erano presenti alternative cliniche più appropriate e che un esame non prevenuto delle evidenze cliniche a disposizione avrebbe senz'altro imposto come soluzioni da preferire a quelle suggerite dalla letteratura.(Cass. pen, sez. IV, 1 febbraio 2012, n. 4391; Cass. pen, sez. VI, 20 luglio 2011, n. 34402; Cass. pen, sez. IV, 12 luglio 2011, n. 38774; Cass. pen, sez. IV, 2 marzo 2011, n. 14526; Cass. pen, sez. IV, 2 marzo 2011, n. 8254, cit.; Cass. pen, sez. IV, 1 marzo 2011, n. 25653; Cass. pen, sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 10454; Cass. pen, sez. IV, 22 gennaio 2010, n. 17556, Cass. pen, sez. IV, 10 aprile 2009, n. 19757; Cass. pen, sez. IV, 29 settembre 2009, n. 38154).

COLPA PER DIVERGENZA : condotte colpose inosservanti delle linee guida

Un secondo gruppo di sentenze riguarda medici che vengono ritenuti colpevoli perché si sono discostati immotivatamente dalle linee guida (Cass., sez. IV, 12 luglio 2011, n. 34729; Cass., sez. IV, 9 giugno 2011, n. 28783; Cass., sez. V, 2 marzo 2011, n. 14512; Cass., sez. V, 12 gennaio 2011, n. 7074; Cass., sez. IV, 14 ottobre 2010, n. 38127; Cass., sez. IV, 6 ottobre 2010, n. 41349; Cass., sez. IV, 7 luglio 2010, n. 32175; Cass., sez. IV 15 aprile 2009, n. 19759; Cass., sez. IV, 11 marzo 2008, n. 10795; Cass., sez. IV, 14 novembre 2007, n. 41844; Cass., sez. IV, 2 giugno 2000, n. 6511).

ESONERO DI RESPONSABILITA' PER INOSSERVANZA GIUSTIFICATA DI LINEE GUIDA

Un terzo gruppo di sentenze concerne casi di medici esonerati da responsabilità nonostante (o si potrebbe dire, nella logica del giudizio, “proprio in forza del”) l'inosservanza delle linee guida. Il medico non solo può, ma deve discostarsi dalle linee guida quando ne colga la necessità. La singolarità di ogni condizione clinica non è sempre riconducibile alla generalità delle linee guida di riferimento e la presa di distanza dalla raccomandazione nel singolo caso, adeguatamente motivata, va considerata come l'espressione di un'autonomia critica e consapevole da parte del medico che, pur conoscendo le raccomandazioni suggerite dallo stato delle conoscenze, decide diversamente da esse nell'interesse di quel determinato paziente

(Cass., sez. V, 28 giugno 2011, n. 33136; Cass., sez. IV, 25 gennaio 2002, n. 2865).

ESONERO DI RESPONSABILITA' PER OSSERVANZA DELLE LINEE GUIDA

Un quarto gruppo di sentenze è relativo ai casi di medici assolti perché il loro operato si è informato alle linee guida.

(Cass., sez. IV, 12 giugno 2012, n. 23146; Cass., sez. IV, 2 marzo 2011, n. 12468; Cass., sez. IV, 5 febbraio 2010, n. 16150; Cass. sez. IV, 18 agosto 2010, n. 32013; Cass., sez. IV, 15 settembre 2009, n. 35659; Cass., sez. IV, 2 ottobre 2008, n. 37527; Cass., sez. IV, 16 aprile 2008, n. 15703; Cass., sez. IV, 18 maggio 2007, n. 19354; Cass., sez. IV, 14 luglio 2006, n. 24400).

Aspetti processuali

Per quanto concerne l'applicazione giudiziaria delle linee guida, dal punto di vista degli oneri di allegazione e prova occorre chiedersi se le linee guida devono essere prodotte nel giudizio civile o quanto meno indicate dalle parti ovvero possano formare oggetto direttamente di verifica da parte del CTU. Sembrerebbe opportuno ritenere che il medico sia onerato quantomeno dell'allegazione delle linee guida alle quali la sua condotta si sarebbe conformata, al fine di consentire al giudice di verificare: da un lato, la correttezza e l'accreditamento presso la comunità scientifica delle pratiche mediche indicate dalla difesa; dall'altro, l'effettiva conformità ad esse della condotta tenuta dal medico nel caso in esame (così in sede penale Cass., sez. IV, sent., 19 febbraio 2014, n. 7951). Essendo il medico, nel rapporto col paziente, la sola parte in grado di conoscere l'evoluzione clinica del caso e la pertinente letteratura scientifica, appare coerente anche con la giurisprudenza di legittimità e di merito in materia di oneri di allegazione e prova (Cass., S.U., n. 13533/2001 sino alla più recente Cass., 20 gennaio 2015, n. 826, ed in campo di responsabilità medica Cassn. 22894/2005; Cass., S.U.,n. 577/2008), che nel processo relativo all'inadempimento gli si chieda di dare spiegazione sul come delle scelte terapeutiche/chirurgiche adottate, sul perché delle eventuali deviazioni dai percorsi indicati nei protocolli scientifici, nonché di eventuali fattori avversi non controllabili che abbiano interferito nel normale decorso clinico e impedito il puntuale adempimento della prestazione sanitaria.

Una volta allegate le linee guida il giudice sarà chiamato a valutarne la attendibilità e pertinenza. In particolare, preso atto delle riserve che accerchiano la produzione delle raccomandazioni cliniche, dovrà, con l'ausilio necessario di un consulente tecnico, approfondirne il contenuto, verificare l'autorità che le ha emanate, il grado di forza, il coefficiente cautelare.

Va, d'altra parte evidenziato che nei processi, sia penale che civili, per responsabilità medica, il rispetto delle raccomandazioni cliniche andrà assunto come dato di partenza pressoché neutro. Il giudice potrà ritenere la preventiva esistenza di una linea guida alla stregua di un indizio utile a identificare la regola cautelare. Allo stesso modo, l'allegata inosservanza di una linea guida andrà considerata come una traccia per verificare la violazione di una regola cautelare ancora da individuare. In entrambi i casi, l'esistenza di una raccomandazione funge da modalità di accertamento della colpa e non già da ratio essendi.

Sulla base di tali considerazioni e tenendo conto quanto già sopra detto in ordine alla valutazione della attendibilità delle linee guida invocate nel singolo caso, nella pratica occorrerà, pertanto, studiare le linee guida per decifrarne la reale efficacia, l'effettiva incidenza cautelare e rapportare la valutazione della colpa non al rispetto o meno delle raccomandazioni, ma alla complessiva condizione del paziente, ovvero delle sue criticità, per comprendere - in una prospettiva ex ante - se la condotta, sia pur convalidata da linee guida di cui si sia accertata l'autorevolezza, l'efficacia e la congruenza rispetto al caso di specie - era la migliore possibile in relazione al contesto clinico di riferimento.

Nella sostanza, tuttavia, tali valutazioni andranno rimesse al consulente tecnico il quale andrà incaricato di evidenziare le linee guida e/o le buone pratiche (protocolli) rilevanti per il caso di specie, chiarire quale sia la provenienza e la funzione delle stesse, ed esprimere sulla base di tali dati un giudizio di attendibilità. Una volta determinato il parametro di riferimento il consulente dovrà, poi, accertare se la condotta del medico sia stata osservante della linea guida giudicata attendibile e, ove se ne discosti, chiarire se tale condotta sia o meno giustificata in relazione alle peculiarità del caso concreto.

Linee guida e liquidazione del danno

l'art. 3 della l. Balduzzi prevede che, in sede civile, il giudice tenga “debitamente conto della condotta di cui al primo periodo” nella determinazione del risarcimento del danno. In base alla lettera della norma deve ritenersi che il rispetto delle linee guida incida, dunque, in qualche modo nella quantificazione del danno civile, il legislatore, tuttavia, tace del tutto sul come il giudice deve tenere conto della condotta di cui al primo periodo (cioè del rispetto delle linee guida e delle buone pratiche) in sede di quantificazione.

Se, infatti, è comprensibile e condivisibile che il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche costituisca un fattore rilevante sul piano dell'accertamento della colpa ( e dunque dell'an debeatur, essendo la colpa parte essenziale del fatto costitutivo del diritto al risarcimento del danno) desta non poche perplessità l'estensione di tale rilevanza ai fini del quantum debeatur.

In primo luogo non è chiaro se il richiamo alla “condotta di cui al primo periodo” sia limitato alla ipotesi di condotta osservante delle linee guida e buone pratiche – e dunque nel senso di diminuire il risarcimento con funzione latamente premiale- o vada esteso anche a quella inversa del medico che non vi si sia attenuto - con conseguente aumento del risarcimento- ed in tali casi se debba tenersi anche conto della gravità di tale inosservanza (si pensi al caso di errori eclatanti e di intollerabile inosservanza delle linee guida). In assenza di limitazioni parrebbe potersi intendere il rinvio in senso ampio con la conseguenza che l'accertamento della colpa lieve o, all'opposto, di quella grave è idoneo a giustificare una diminuzione ovvero correlativamente un aumento delle poste di risarcimento.

Quanto alla ipotesi di condotta rispettosa delle linee guida, l'enunciazione di una direttiva tesa alla riduzione del risarcimento appare del tutto contrastante con la natura che si è attribuita alla responsabilità civile. Si ritiene, infatti, che alla responsabilità civile sia assegnato il compito precipuo di reintegrare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, anche mediante l'attribuzione al danneggiato di una somma di denaro che tenda a eliminare le conseguenze del danno subito, con conseguente sostanziale irrilevanza della condotta del responsabile, a differenza di quanto accade in campo penale in cui il grado della colpa è uno degli indici adottati dal legislatore penale quale parametro di commisurazione della pena, ex art. 133, 1 comma, n. 3, c.p. Il principio di “integralità del risarcimento del danno” sarebbe evidentemente vulnerato dalla possibilità contemplata dalla norma in esame di una riduzione del danno risarcibile in base all'accertamento di una determinata condotta dell'agente e dunque di un elemento “spurio”. Deve, peraltro, evidenziarsi che il principio della cd integralità del danno che dovrebbe condurre all'integrale ripristino dello status quo ante, sebbene attraverso un equivalente monetario , benché ribadito da una serie di fondamentali arresti delle Sezioni Unite in tema di danno non patrimoniale ,non è stato ritenuto di rango costituzionale così lasciando libero il legislatore di introdurre delle limitazioni laddove rispettose del principio di ragionevolezza.

Inoltre non è chiaro come effettuare la determinazione del danno in senso riduttivo. Secondo una possibile lettura, poiché l'inciso fa riferimento al «...risarcimento del danno...», senza ulteriori specificazioni di esso (danno patrimoniale o non patrimoniale), si potrebbe ritenere che al medico rispettoso delle linee guida ma pur tuttavia in colpa spetti uno “sconto” sul risarcimento del danno senza distinzione fra danno patrimoniale e non. Anche ai fini di questa «diminuzione di pena privata», tuttavia, non si vede criterio diverso di liquidazione che quello previsto dagli artt. 2056 e 1226 c.c. (criterio equitativo).

Secondo una diversa lettura si potrebbe ipotizzare che il riferimento al danno andrebbe inteso non a tutto il danno civile, ma solo al danno non patrimoniale, nella sua componente morale soggettiva (patema d'animo), con esclusione del danno biologico, almeno nella parte in cui quest'ultimo deve ormai essere risarcito secondo criteri tabellari vincolanti (v. art. 3, comma 3, D.l. n. 158/2012 cit.). Non si vede, infatti, come potrebbe essere diversamente risarcito uno stesso danno biologico - quantomeno nella sua componente statica - una invalidità permanente dello stesso punto percentuale, sulla base di una diversa valutazione dell'elemento soggettivo del medico. Stesso discorso per il danno patrimoniale: consistendo questo nella riparazione di una perdita subita ed in un eventuale mancato guadagno, non si capisce come tale danno potrebbe essere graduato in relazione alla colpa dell'autore. La perdita (o futura perdita) subita dal paziente è infatti pur sempre uguale, sia che il medico abbia causato il danno versando in colpa lieve, sia che il medico abbia causato il danno versando il colpa grave.

Il riferimento finirebbe così per essere inteso in relazione a quella parte di danno non patrimoniale liquidabile comunemente secondo il criterio equitativo. Nell'ambito di tale liquidazione equitativa al giudice sarebbe imposto, secondo il citato terzo inciso, di tenere obbligatoriamente («debitamente») conto del fatto che il sanitario si è attenuto alle linee guida e alle buone pratiche, pur non avendole correttamente adeguate al caso concreto sub iudice.

Come si vede, questa seconda lettura del suddetto terzo inciso è sostanzialmente compatibile con il sistema risarcitorio previgente, al quale non è ovviamente estranea la valutazione equitativa del danno, ex artt. 2056 e 1226 c.c. Resta il fatto che essa (seconda lettura) poggia però, come si è detto, su una forzatura del dato letterale del comma primo cit., che non autorizza, almeno esplicitamente, l'esclusione dal suo ambito di qualche categoria di danno.

Lo stesso dicasi per l'eventuale ipotesi di un aumento del risarcimento nel caso di mancato rispetto delle linee guida e/o di colpa grave che, come abbiamo sopra evidenziato, non è testualmente prevista. In entrambi i casi, infatti, il risarcimento del danno si allontanerebbe dalla logica riparatoria che la Corte di Cassazione ha ritenuto precipua ed esclusiva finalità della r.c. . È, tuttavia, vero che parte della dottrina mostra sempre maggiori aperture circa la possibilità ed opportunità di dare spazio nel nostro sistema a figure rimediali che sono non riparatorie anche se non necessariamente punitive in senso stretto, con un recupero di una funzione della responsabilità civile in termini di prevenzione generale e in certi casi anche di sanzione .

Secondo alcuni autori (Breda R., La responsabilità civile dell'esercente la professione sanitaria alla luce della c.d. legge balduzzi: ipotesi ricostruttive a confronto in Riv. it. medicina legale e dir. sanitario, fasc.2, 2013, pag. 751) «il contesto della responsabilità civile medica pare, però, non essere il terreno elettivo per una suggestione in tal senso sotto molteplici punti di vista: se, poi, si considera che una delle premesse della riforma è il contrasto alla medicina difensiva si dovrebbe presupporre che secondo il legislatore non vi sono problemi di underdeterrence nel settore de quo.

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