Medico dipendente di struttura pubblica e sua responsabilità

Angelica Scozia
18 Maggio 2014

La tutela della salute dei cittadini è demandata al Servizio Sanitario Nazionale, che opera attraverso lo Stato e le Regioni e queste ultime attraverso le Aziende Sanitarie Locali, le Aziende Sanitarie Ospedaliere e le Aziende Ospedaliere Universitarie come disposto dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n.502. Le A.S.L. sono aziende di diritto pubblico con personalità giuridica, hanno autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa, patrimoniale e tecnica, ed i suoi organi sono il direttore generale ed il collegio sindacale. Nell'ambito del distretto l'A.S.L. fornisce assistenza primaria e specialistica ambulatoriale (oltre il consultorio materno infantile, l'attività per i disabili, l'A.D.I., il S.E.R.T); il medico di medicina generale costituisce il primo erogatore di assistenza di base all'utente, ma non è dipendente della struttura pubblica, è inquadrato nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo, continuativo e coordinato. Le A.S.L. si fanno carico ogni genere di prestazione utile ad assicurare all'utenza livelli essenziali di assistenza (da garantire mediante erogazione diretta o attraverso prestazioni acquistate da terzi), mentre le A. S. O. erogano prestazioni di assistenza ospedaliera, nonché di medicina riabilitativa e specialistica: sono costituiti in azienda gli Ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, individuati dalle singole regioni in base a quanto disposto dall'art.4 d.lgs. 30 dicembre 1992, n.502 e successive modifiche. Le A.S.O. hanno la medesima autonomia ed i medesimi organi delle A.S.L. e ad esse sono equiparate le Aziende Ospedaliero-Universitarie, gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), le strutture sanitarie private accreditate del S.S.N..

Nozione

La tutela della salute dei cittadini è demandata al Servizio Sanitario Nazionale, che opera attraverso lo Stato e le Regioni e queste ultime attraverso le Aziende Sanitarie Locali, le Aziende Sanitarie Ospedaliere e le Aziende Ospedaliere Universitarie come disposto dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.

Le A.S.L. sono aziende di diritto pubblico con personalità giuridica, hanno autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa, patrimoniale e tecnica, ed i suoi organi sono il direttore generale ed il collegio sindacale. Nell'ambito del distretto l'A.S.L. fornisce assistenza primaria e specialistica ambulatoriale (oltre il consultorio materno infantile, l'attività per i disabili, l'A.D.I., il S.E.R.T); il medico di medicina generale costituisce il primo erogatore di assistenza di base all'utente, ma non è dipendente della struttura pubblica, è inquadrato nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo, continuativo e coordinato.

Le A.S.L. si fanno carico ogni genere di prestazione utile ad assicurare all'utenza livelli essenziali di assistenza (da garantire mediante erogazione diretta o attraverso prestazioni acquistate da terzi), mentre le A. S. O. erogano prestazioni di assistenza ospedaliera, nonché di medicina riabilitativa e specialistica: sono costituiti in azienda gli Ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, individuati dalle singole regioni in base a quanto disposto dall'art. 4 d.lgs. 30 dicembre 1992, n.502 e successive modifiche. Le A.S.O. hanno la medesima autonomia ed i medesimi organi delle A.S.L. e ad esse sono equiparate le Aziende Ospedaliero-Universitarie, gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), le strutture sanitarie private accreditate del S.S.N..

Il personale dipendente delle Aziende, A.S.L. e A.S.O., è suddiviso in tre aree: la dirigenza medica e veterinaria, la dirigenza sanitaria, professionale tecnica ed amministrativa ed infine il restante personale del comparto: il testo di riferimento è il d.lgs. 30 marzo 2001 n.165, testo unico sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, che espressamente vi annovera le Aziende e gli Enti del S.S.N.

Nell'ambito della dirigenza medica e veterinaria vi sono i medici chirurghi, gli odontoiatri (figura introdotta con la legge 24 luglio 1985, n.409) e i veterinari dipendenti delle Aziende con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o determinato: ad essi spetta il diritto di esercitare l'attività professionale privata intra moenia o extra moenia, come disposto dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n.502 e dal d.lgs. 19 giugno 1999, n.229.

Nell'area dirigenziale medica rientrano anche i biologi, i farmacisti, i chimici, i fisici, gli psicologi ed i dirigenti dei servizi infermieristici: si tratta di figure professionali che dirigono servizi o strutture a supporto dell'attività ospedaliera.

Le professioni sanitarie non mediche costituiscono la terza area del personale delle Aziende e non sono meno importanti: i professionisti sanitari infermieristici e le ostetriche sono spesso chiamati a rispondere del loro operato unitamente al personale medico, stante la qualificazione di queste figure professionali e l'ampliamento dei compiti ad essi demandati. Si pensi al ruolo del caposala o coordinatore infermieristico, che assume compiti di controllo e direzione degli infermieri, di assistenza del medico durante le visite ai pazienti con inserimento delle prescrizioni, di sorveglianza e vigilanza dell'ambiente ospedaliero. Non è da meno la figura dell'ostetrica, cui è demandata la gestione delle gravidanze fisiologiche con potere di prescrivere esami diagnostici.

Fatta tale premessa sulla nozione del medico dipendente della struttura pubblica, la responsabilità medica trova fondamento nella categoria della responsabilità del professionista per inadempimento dell'obbligazione derivante dal contratto d'opera intellettuale o dal contatto sociale, oltre che per violazione del generale principio del neminem ledere: il rapporto tra il medico, pubblico dipendente, ed il paziente, pur non scaturendo formalmente da alcun contratto (che esiste, ma tra l'ente ospedaliero e l'utente), si atteggia di fatto come un vero e proprio rapporto giuridico nel quale ciascuna delle parti vanta nei confronti dell'altra i medesimi diritti ed i medesimi obblighi; infatti il paziente ha diritto ad essere curato ed il medico ha l'obbligo di eseguire con diligenza la sua prestazione professionale.

In sostanza tra medico e paziente non vi è rapporto, tuttavia nel momento in cui il medico presta la sua attività, in quanto tenuto in virtù del rapporto contrattuale con l'Azienda, ne risponde a titolo contrattuale in caso di errata esecuzione della prestazione: detto rapporto rientra nel più ampio c.d. contratto di spedalità, di cui la prestazione sanitaria, unitamente alle prestazioni del personale paramedico, è una di quelle erogate dalla struttura pubblica, oltre alla somministrazione dei medicinali, alla predisposizione delle attrezzature necessarie, alla vigilanza e custodia del paziente e alle prestazioni di natura alberghiera.

Il medico, ausiliario della struttura pubblica, risponde della sua prestazione, che gli viene attribuita in base al suo ruolo ed alle sue competenze, quale professionista con cui il paziente entra in “contatto” (inteso quale rapporto contrattuale di fatto).

Tale inquadramento consente di superare la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, pervenendo così ad un sistema unitario di tutela del bene salute: infatti il medico della struttura pubblica non può limitarsi a tenere un comportamento che non violi il principio del neminem laedere, ma è tenuto alla prestazione della sua attività con la perizia professionale adeguata alla protezione della salute del paziente.

La giurisprudenza di legittimità e di merito è unanime: a partire dalla Cass., 1 marzo 1988, n.2144 in Giur. It., 1989,I 1, 300, alla Cass. civ., sez. III, sent. 22 gennaio 1999n.589 in Danno e Resp., 1999, alle sentenze della Cass. civ., S.U. 11 gennaio 2008, n.577 e n.578 e successive in Danno e Resp., 2008, 7, 788.

Elemento oggettivo

Secondo l'insegnamento della suprema Corte (dando per scontato il contratto – o il contatto sociale) la responsabilità del medico dipendente della struttura pubblica sorge nel caso in cui vi sia l'insorgenza o l'aggravamento della patologia, che determina il danno nel paziente, danno che deve essere manifesto e provocare una sofferenza, un patimento nel soggetto leso tale da poter essere quantificato.

In sostanza occorre che vi sia la lesione della salute, presupposto per le indagini sulla colpa e sul nesso causale: l'inadempimento contrattuale si fonda, quindi, sull'accertamento del danno, inteso in senso ampio, anche con riferimento alla lesione del diritto all'informazione del paziente sulla sua patologia e sulle tecniche di cura in relazione a quest'ultima.

Elemento soggettivo

La responsabilità medica si fonda sulla colpa presunta in forza dell'art.1218 c.c., ovvero sull'inadempimento astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del professionista l'onere di dimostrare che non vi sia inadempimento o che, pur esistendo, non sia eziologicamente rilevante a cagionare il danno. La condotta del medico viene valutata secondo il criterio di cui all'art.1176, comma 2, c.c., quale parametro dell'inadempimento: la diligenza qualificata, cui fa riferimento la norma, impone al medico non solo di eseguire correttamente la sua prestazione in senso stretto ma anche di tenere conto delle attività complementari ed accessorie, quelle prima (v. consenso informato), durante (v. lavoro in èquipe, in relazione alla responsabilità dei soggetti partecipanti all'intervento, chirurgo, anestesista, infermiere strumentista….) e dopo (v. monitoraggio successivo) l'esecuzione della prestazione principale.

Il sostanza il medico è tenuto alla diligenza “media”, da intendersi quale comportamento rispettoso di tutte le regole ed accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica (v. Cass., 19 maggio 1999, n.4852 in Danno e Resp., 2000, 157).

Inoltre il medico dipendente risponde sempre della sua prestazione, escludendosi l'applicazione dell'esimente di cui all'art. 2236 c.c., in caso di interventi di routine o di facile esecuzione, qualora il suo comportamento si riconduca ad imprudenza e a negligenza.

La classificazione degli interventi routinari o di facile esecuzione dipende dalla scienza medica e dall'evoluzione della tecnica: questo comporta che il medico si aggiorni costantemente, secondo quanto stabilito dal codice deontologico, e che possa avvalersi della disposizione di cui all'art. 2236 c.c. solo se il caso clinico è di particolare complessità, intesa quale incertezza sul metodo terapeutico o quale mancata/insufficiente sperimentazione delle tecniche di cura: in tale caso risponderà solo in caso di dolo o colpa grave.

L'attività terapeutica è caratterizzata da un margine di incertezza (rischio) nel raggiungimento del risultato utile che si identifica con i limiti della perizia che si può pretendere dal professionista e, dunque, con i limiti della conoscenza scientifica e dei mezzi tecnici a disposizione del medico al tempo del fatto ed in relazione allo stadio di evoluzione del progresso tecnico - scientifico raggiunto in un dato momento storico. Detto margine di incertezza è mobile, in quanto varia in relazione agli esiti positivi della ricerca e della sperimentazione scientifica e consente di tracciare, secondo il criterio dell' id quod plerumque accidit desunto dalla statistica dei casi simili, solo una generale linea di confine tra prestazioni semplici e prestazioni complesse.

La prestazione, dunque, potrà definirsi di semplice routine quando sia statisticamente accertata, secondo un criterio di regolarità causale, la normalità della sequenza tra una determinata attività tecnico - professionale ed il risultato che ne consegue, di modo che un risultato diverso viene a configurarsi come anormale, ossia come una imprevista deviazione dall'esito comunemente atteso.

Recentemente la Cassazione ha stabilito che “in caso di aggravamento delle condizioni di salute di un paziente a seguito di intervento routinario incombe sui medici e sulla struttura sanitaria la prova che il peggioramento sia dovuto a complicanza non prevedibile o non prevenibile (Cass. civ. Sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4030 in Danno e Resp., 2013, 8-9, 841).

Infine, la definizione di “intervento di speciale difficoltà”, richiamato nell'art.3 d.l. 13 settembre 2012, n.158 il cd. “Decreto Balduzzi” e volto ad escludere la responsabilità del sanitario, appare riferibile ad ipotesi circoscritte, tenuto conto dell'elevata specializzazione richiesta all'operatore sanitario, e rileva spesso qualora si versi in una situazione di emergenza, in quanto la colpa del terapeuta deve essere parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell'intervento richiesto ed al contesto in cui esso si è svolto (Cass. pen. sez. IV, 22 novembre 2011, n. 4391 in Dir. Pen. e Processo, 2012, 9, 1104).

In tale caso l'intervento implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, è quello che richiede notevole abilità o che implica la soluzione di problemi tecnici nuovi o di speciale complessità e comporta un largo margine di rischi perchè non è ancora studiato a sufficienza o dibattuto con riguardo ai metodi da adottare.

Se la responsabilità civile per colpa lieve sorge in caso di omissione di diligenza ed inadeguata preparazione tali da provocare un danno nell'esecuzione di un intervento operatorio o di una terapia medica e consiste nel grado “normale” di colpa, il d.lgs.13 settembre 2012, n.158 ha escluso la responsabilità penale per colpa lieve nel caso in cui il medico, dipendente di struttura pubblica, si attenga alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, ovvero la sua condotta professionale sia conforme alle regole di perizia, escludendo gli errori diagnostici connotati da negligenza o imperizia (v. tuttavia Cass. pen. sez. IV, 24 gennaio 2013, n. 11493 che in relazione al decesso del feto provocato dal ginecologo per la mancata esecuzione di un intervento di parto cesareo, ha ritenuto irrilevanti le linee guida amministrative contenenti i criteri di scelta tra parto naturale e taglio cesareo, precisando che il dovere di diligenza imponeva al medico di svolgere la sua attività secondo il suo modello di agente e nel rispetto delle regole di prudenza, la cui violazione ha determinato le premesse dell'evento letale).

Sulla definizione di linee guida e protocolli vi è notevole incertezza, dato che i due concetti tendono a sovrapporsi o vengono utilizzati indifferentemente: le linee guida vengono equiparate al “sapere scientifico tecnologico codificato, metabolizzato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un'utile guida per orientare agevolmente , in modo efficiente ad appropriato, le decisioni terapeutiche” (v. Cass., sez. IV pen., 29 gennaio 2013 n.16237 in Dir. Pen. e Processo, 2013, 6, 692), mentre i protocolli indicano un predefinito schema di comportamento diagnostico-terapeutico (in particolare la sequenza di comportamenti ben definiti all'interno di un programma di ricerca clinica) a cui sono assimilate le check-list, comportamenti necessari e sistematici, che devono essere adottati in sequenza, spuntando ogni volta l'adempimento prescritto.

Se le linee guida e dai protocolli si riferiscono ad una “disciplina regolamentata”, invece le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica fanno riferimento all'attuazione sia delle linee guida sia dei protocolli o a procedure non previste da questi ultimi, ma comunemente applicate in quanto ne viene riconosciuta l'efficacia terapeutica.

Qualora il medico dimostri di essersi attenuto alle migliori prassi (codificate o non), purché esse siano rilevanti nel caso concreto, l'esimente penale trova applicazione ma non elide l'illecito civile, che continua a essere sanzionato secondo le regole consolidate già esposte sulla responsabilità cd. contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale, pur concorrente con la responsabilità ex art. 2043 c.c., quale clausola generale del neminem laedere con riguardo ai diritti umani inviolabili, tra cui il diritto alla salute.

La giurisprudenza di merito si è già pronunciata sulla nuova disciplina in relazione ai risvolti civilistici della depenalizzazione della responsabilità medica per colpa lieve, escludendo sia che la novella legislativa incida direttamente sull'attuale costruzione della responsabilità medica e sia che imponga un ritorno ad un impostazione aquiliana con le consequenziali ricadute in punto riparto degli oneri probatori e della durata del termine di prescrizione (Trib. Arezzo, 14 febbraio 2013 in Danno e Resp., 2013, 4, 368), oppure duplicando i titoli di responsabilità: contrattuale per la struttura sanitaria, extracontrattuale per il medico e ciò al fine di deviare il flusso contenzioso per errori medici dai sanitari alle strutture ospedaliere, alleggerendo la posizione dei medici e scongiurando il proliferare della c.d. medicina difensiva (Trib. Enna, 18 maggio 2013 in Corriere del Merito, 2013, 10, 944; Trib. Torino 15 febbraio 2013 in Danno e Resp., 2013, 4, 373).

Nesso di causalità

Come si è accennato, la responsabilità sorge sulla base della mera relazione intercorrente tra il medico ed il paziente, nonché del nesso di causalità sussistente fra il comportamento del medico e l'evento dannoso, comportamento inteso quale causa o concausa efficiente del danno.

La Suprema Corte ha enucleato i punti fondamentali in tema di nesso causale in relazione alla responsabilità del medico chirurgo, definendo il nesso di causalità quale elemento strutturale dell'illecito, che corre - su di un piano strettamente oggettivo e secondo una ricostruzione logica di tipo sillogistico - tra un comportamento (dell'autore del fatto) astrattamente considerato (non ancora utilmente qualificabile in termini di "damnum iniuria datum") e l'evento (Cass. civ. sez. III, 18 aprile 2005, n. 7997).

Il nesso di causalità viene meno se è provato il caso fortuito, ossia l'intervento di un fattore esterno nella causazione del danno, che presenti i caratteri della imprevedibilità, della inevitabilità e della assoluta eccezionalità.

La rilevanza del fortuito è quindi apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, e non all'operato del medico, il danno concretamente verificatosi.

Non presenta questi caratteri la c.d. “complicanza” che non viene considerata quale causa di per sé sufficiente a superare la presunzione posta a carico del medico dall'art. 1218 c.c.; in sostanza, le complicanze intra o postoperatorie, non escludono la colpa del medico se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitarle e/o eliminarle.

Onere della prova

Per un corretto inquadramento dell'onere della prova gravante sulle parti processuali, giova evidenziare che incombe sull'attore la prova che il convenuto sia dipendente della struttura pubblica e che sia sorto il danno derivato causalmente dalla prestazione del medico ospedaliero. Il creditore, pertanto, deve dimostrare l'inadempimento qualificato, ovvero astrattamente efficiente alla produzione del danno.

Per converso, incombe sul medico l'onere di provare l'esatto adempimento, ovvero che l'insuccesso del suo intervento non è dipeso da colpa, avendo osservato le linee guida e i protocolli oltre che, ovviamente, i principi di perizia, diligenza e prudenza.

Tale impostazione dell'onere della prova gravante sull'attore, tracciato dalle sentenze della Cass. civ., S.U., 11 gennaio 2008, n.577 e n.578, trova il suo fondamento in quanto stabilito dalla Cassazione (Cass. civ. S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533 in Danno e Resp., 2002, 3, 318) sulla ripartizione dell'onere della prova in materia di responsabilità contrattuale.

In generale, quindi, se l'operatore sanitario pone in essere un comportamento professionalmente adeguato, risulterà automaticamente svincolato dalla responsabilità, senza tenere conto del risultato utile avuto di mira dal cliente (Cass. civ., sez. III 5 novembre 2013 n. 24801).

Aspetti medico legali

Se vi è prova del danno e del nesso causale, è necessaria una consulenza tecnica d'ufficio che accerti la durata e l'entità del danno biologico temporaneo e permanente.

Particolare attenzione merita il quesito da sottoporre al medico legale, che dovrà accertare gli effetti della menomazione temporanea e permanente su tutti gli aspetti anatomo-funzionali, relazionali e di sofferenza psico-fisica, tenendo conto delle normali abitudini di vita di un soggetto di quell'età e sesso nonché delle specifiche condizioni personali soggettive del danneggiato.

Non di rado al C.T.U. viene conferito anche l'incarico di valutare le probabilità di vita futura del danneggiato nell'ipotesi di lesioni talmente gravi da farne temere l'exitus entro breve tempo. Tale valutazione infatti incide sul computo della liquidazione del danno.

Criteri di liquidazione

Il paziente danneggiato ha diritto all'integrale risarcimento del danno subito, sia patrimoniale che non patrimoniale, anche in virtù della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c.: garantisce uniformità di trattamento la tabella milanese di liquidazione del danno non patrimoniale, redatta dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile, applicata ormai su tutto il territorio nazionale a partire dalla sentenza Cass. civ, sez. III, 7 giugno 2011, n. 12048 (in Danno e Resp., 2011, 10, 939), salvo quanto stabilito dall'art. 3 d.l. 13 settembre 2012, n. 158 in materia di lesioni micro permanenti: in tal caso il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209; tale norma, tuttavia, non trova applicazione retroattiva.

Aspetti processuali

In Italia, nonostante il progresso scientifico e tecnologico della medicina, il numero dei contenziosi sulla responsabilità medica è in costante aumento, determinato da molteplici fattori, quali il progresso delle tecniche mediche e chirurgiche (che consente di ottenere ottimi risultati diagnostici e terapeutici, ma al contempo aumentano i rischi connessi all'utilizzo di tali tecniche, rischi inesistenti quando queste tecniche non erano nella disponibilità del medico), l'assenza di un rapporto umano ottimale tra medico e paziente (il paziente insoddisfatto è potenziale accusatore, e lo dimostra il fatto che spesso oggetto di lamentela non è la gravità del danno, bensì il comportamento dei medici), lo svolgimento del lavoro in équipe ed anche l'estrema specializzazione di ciascun operatore sanitario.

In sede processuale il paziente–creditore ha il mero onere di allegare il contratto ed il relativo inadempimento o inesatto adempimento, non essendo tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria e la relativa gravità. Al debitore, invece, presunta la colpa, incombe l'onere di provare che l'inesattezza della prestazione dipende da causa a lui non imputabile; la prova, cioè, del fatto impeditivo, in difetto della quale –secondo le regole generali degli artt. 1218 e 2697 c.c. – egli soccombe e ciò in applicazione del principio di c.d. vicinanza alla prova o di riferibilità (Cass. civ. sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297 in Danno e Resp., 2005, 1, 26).

Tale principio trova fondamento nel criterio della maggiore possibilità per il debitore onerato di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in misura tanto più marcata quanto più l'esecuzione della prestazione consista nell'applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del professionista.

Profili penalistici

La responsabilità medica si può distinguere tra civilista e penalistica, benché facce della stessa medaglia: la lesione del bene salute e la violazione del principio del neminem laedere. Ogni inadempimento contrattuale qualificato da parte dell'operatore sanitario contiene in sé i profili di responsabilità penale per il solo fatto di avere procurato lesioni più o meno gravi al paziente.

Generalmente il danneggiato opta per l'una o l'altra responsabilità nel momento in cui deve procedere alla formulazione della domanda giudiziale, spesso introdotta con querela penale, cui segue anche la richiesta risarcitoria civile.

Il c.d. “Decreto Balduzzi” ha introdotto una significativa limitazione della responsabilità penale, almeno in astratto, in quanto l'art. 3, comma 1d.l. 13 settembre 2012, n.158 prevede che l'esercente le professioni sanitarie non risponda penalmente per colpa lieve se si è attenuto alle linee giuda ed alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Ci si chiede quindi se dopo tale novità legislativa la colpa del medico rientri ancora nel codice penale oppure vi sia un revirement tale da farne una nuova fattispecie disciplinata con norma speciale: è quello che è stato evidenziato dal Tribunale di Milano, Sez. IX penale con ordinanza 21 marzo 2013, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma per violazione dell'art. 77, comma 2, Cost. e per contrasto con gli artt.3, 24,25,26,27,28,32,33 e 111 Cost. Appare, infatti, che vi sia una minore tutela della persona offesa, non giustificabile alla luce del principio di uguaglianza, di tutela della salute e di effettività giudiziaria, nonché appare non giustificabile l'estensione della norma a tutti gli operatori sanitari per qualsiasi reato colposo, anche nel caso in cui esercitino funzioni di garanzia in materia di sicurezza sul lavoro.

Infine l'ordinanza del Tribunale di Milano pone una questione scottante che ha riflessi anche dal punto di vista civilistico: infatti l'art. 3 del decreto “Balduzzi” non offre alcun criterio di individuazione e determinazione delle linee guida e delle pratiche accreditate (in violazione del principio di tassatività ex art.25 Cost.) ed è incompatibile con il principio di libertà della scienza (art. 33 Cost.), in quanto deresponsabilizza penalmente il medico che si attiene alle linee guida, rischiando la burocratizzazione delle scelte sanitarie a discapito della tutela sostanziale del bene salute.

La responsabilità solidale della struttura pubblica e del medico dipendente e la rivalsa

La responsabilità della struttura sanitaria per eventi dannosi verificatisi in danno del paziente ha, come si è visto, natura contrattuale sia per fatto proprio ai sensi dell'art. 1218 c.c. (responsabilità del debitore) sia in relazione al comportamento colposo o doloso dei medici della cui opera si avvale ai sensi dell'art.1228 c.c.(responsabilità per fatto degli ausiliari). Trattasi di responsabilità solidale tra l'ente ed il professionista, che viene meno solo in caso di comportamento doloso o riconducibile alla colpa grave da parte dell'operatore sanitario.

In tale ultimo caso la domanda di rivalsa dell'ente ospedaliero nei confronti del medico rientra nella competenza della Corte dei Conti, verificandosi solo in questa ipotesi la responsabilità amministrativa nei confronti dell'ente con esclusione quindi della colpa lieve, secondo quanto disposto dalla Legge 14 gennaio 1994 n. 20 e successive modifiche.

Casistica

  • I casi di responsabilità penale del medico sono i più vari, merita un richiamo particolare il caso della violazione del diritto al consenso informato quale diritto all'autodeterminazione del paziente anche in assenza di lesioni alla salute: in tal caso è da intendersi risarcibile il conseguente danno non patrimoniale, a condizione che esso varchi la soglia della gravità dell'offesa, che corrisponde sia alla privazione della possibilità di scelta tra interessi configgenti facenti capo al paziente, sia al turbamento ed alla sofferenza provocati dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate (Trib. Bologna sez. III, 20 maggio 2013).
  • Anche la mancata rinnovazione del c.d. consenso informato –in caso di atto operatorio più grave rispetto a quello per il quale era stato espresso l'iniziale consenso- è fonte di responsabilità penale per il medico, salvo che il compimento dell'atto avvenga in una situazione di urgenza e d'imprevedibile evoluzione delle condizioni del paziente (Cass. pen. sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 18185).
  • Sull'onere di allegazione e non di prova della colpa medica si è espressa la Suprema Corte (Cass. civ. sez. III, 31 luglio 2013 n. 18341) nel caso di cerebropatia grave sorta in conseguenza del parto ed anche la giurisprudenza di merito in caso di laparotomia non giustificata dal quadro clinico (Trib. Modena sez. I, 17 giugno 2013).
  • E' esclusa la responsabilità del medico dipendente con addebito di responsabilità solo carico della struttura ospedaliera nei casi in cui il paziente abbia contratto un'infezione nosocomiale, purché venga accertato che il medico dipendente, in primis il primario di reparto, sia immune non solo da ogni responsabilità relativamente al suo intervento ma abbia altresì fornito la prova che nonostante l'aver vigilato sull'effettiva applicazione delle misure di prevenzione e sicurezza della sala operatoria, dei locali limitrofi, degli strumenti chirurgici etc., l'infezione si sia ugualmente verificata (Trib. Ancona Sez. II, Trib. Bologna sez. III, 21 marzo 2008 e App. Milano, 16 febbraio 2006).

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