Lesione originale aggravata da malpractice medica: come si calcola il danno iatrogeno?

27 Settembre 2016

Come si deve calcolare il danno finale patito dal danneggiato quando lo stesso sia stato prodotto dal concorso di cause diverse, quella che ha determinato la lesione originaria (nel caso concreto, i colpi di arma da fuoco) e la condotta negligente del medico il quale, essendo chiamato a curare tale lesione, l'ha al contrario aggravata?

Un uomo subiva lesioni personali in conseguenza dei colpi di arma da fuoco che lo avevano attinto nel corso di un'aggressione. Per la cura delle lesioni patite alla gamba, tempo dopo si sottoponeva ad un intervento di artroprotesi che, invece del risultato auspicato, gli provocava un grave danno in ragione della malpractice medica. Al termine del giudizio, accertate le responsabilità dei convenuti, il CTU ha riconosciuto, quale misura dell'invalidità permanente complessivamente residuata, la percentuale del 50%, affermando che le lesioni conseguenti all'aggressione hanno determinato un danno pari al 20%.

Come si deve calcolare il danno? Risulta evidente che la somma del danno calcolato attribuendo ai convenuti le rispettive percentuali di invalidità permanente (20% + 30%) risulterebbe inferiore alla misura del danno calcolata sul complessivo danno residuato pari al 50%. Deve essere utilizzato il criterio di calcolo del differenziale?

Il quesito pone il problema, non del tutto risolto in giurisprudenza, del danno iatrogeno differenziale o danno incrementativo. Come noto, esso viene comunemente definito come pregiudizio alla salute, causato da malpractice sanitaria, che ha per effetto l'aggravamento di una lesione già esistente, a sua volta ascrivibile a colpa di un terzo oppure a caso fortuito.

Il danno finale patito dal soggetto danneggiato, dunque, risulta essere il prodotto del concorso di due cause: quella che ha determinato la lesione originaria (nel caso concreto, i colpi di arma da fuoco) e la condotta negligente del medico il quale, essendo chiamato a curare tale lesione, l'ha al contrario aggravata.

È pacifico che, in tali casi, del danno effettivamente reliquato al danneggiato debbano rispondere entrambi i soggetti autori delle azioni dannose concomitanti, per essere le medesime eziologicamente rilevanti. Invero, in virtù della disposizione di cui all'art. 41 c.p. - a mente del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione o l'omissione e l'evento - sia l'autore della lesione originaria sia il medico che con il suo errore professionale ne ha peggiorato l'entità saranno chiamati a risarcire il pregiudizio alla salute.

Il quesito coinvolge il tema della liquidazione del danno e, in particolare, quello della determinazione del quantum risarcitorio da imputare a ciascuno dei soggetti danneggianti, una volta che il C.T.U. abbia individuato, come nel caso di specie, due valutazioni percentuali, delle quali l'una indica la misura dell'invalidità permanente complessivamente residuata mentre l'altra determina l'invalidità relativa alla lesione iniziale sulla quale si innesta poi il danno iatrogeno.

Non pare si possa invocare la regola enunciata dal primo comma dell'art. 2055 c.c. - secondo cui, nei confronti del danneggiato, se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno per l'intero - sebbene la giurisprudenza ritenga sussistente l' “unico fatto dannoso” previsto da quella norma anche ove le condotte lesive siano tra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità (cfr. Cass., Sez. Un., 15 luglio 2009, n. 16503). Infatti, la Suprema Corte, distinguendo causalità materiale e causalità giuridica, ha ormai affermato a chiare lettere che, una volta accertata la sussistenza della causalità materiale tra una condotta e l'evento - e quindi affermata la responsabilità dell'agente anche in concomitanza di concause ai sensi dell'art. 41 c.p. - , il Giudice può poi procedere alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica onde ascrivere all'autore della condotta un obbligo risarcitorio che non ricomprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili etiologicamente all'evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale inteso la pregressa situazione patologica del danneggiato non etiologicamente riconducibile, a sua volta, a negligenza, imprudenza, imperizia del sanitario (così Cass., sez. III, 21 luglio 2011, n. 15991).

Sicché, risultando l'invalidità del 20% conseguenza ascrivibile in via esclusiva alle lesioni derivanti dall'arma da fuoco, tanto che essa sarebbe reliquata al paziente anche in caso di corretto operato del medico, si deve concludere che a quest'ultimo non si debba imputare un obbligo risarcitorio per l'intero danno (50% di IP) ma solo nella misura corrispondente al peggioramento derivante dall'errore professionale.

Ma, con riferimento al quantum, come potrà essere liquidata l'obbligazione risarcitoria del sanitario?

Il tema è ancora aperto, registrandosi nel diritto vivente diversi orientamenti.

Una recentissima sentenza del Tribunale di Mantova (Trib. Mantova, 5 aprile 2016, n. 429), resa a definizione di un caso di responsabilità sanitaria in cui la scelta terapeutica del medico riguardo a una pregressa lesione del paziente si era rivelata erronea (nella fattispecie, si era trattato di un'errata terapia antibiotica per una precedente infezione insorta per causa estranea all'operato del medico), ha applicato un criterio differenziale tra punti d'invalidità addebitando al medico il discrimine tra l'invalidità residua determinata dal CTU nel 12% e l'incidenza del danno iatrogeno incrementativo, individuata nella misura del 6%.

Ai fini della liquidazione del danno, quindi, il Giudice mantovano, assumendo la percentuale del 6% come misura dell'invalidità da ricondurre alla sfera del medico, ritenendo di dover applicare la tabella delle lesioni cc.dd. micropermanenti emanata in attuazione dell'art. 139 codice assicurazioni private, ha liquidato il danno biologico nella misura corrispondente, in quella tabella, alla percentuale del 6%.

Per vero, tale criterio, seppur seguito, come si vede, da una parte della giurisprudenza, suscita notevoli perplessità, dovendosi obiettare che il valore monetario del punto d'invalidità cresce in modo esponenziale rispetto al crescere dell'invalidità, essendo evidente a tutti che un conto è liquidare – come peraltro evidenziato nel quesito stesso – una invalidità del 50%, altro conto è liquidare due invalidità rispettivamente del 20% e del 30%.

Per questo motivo, appare preferibile ritenere, con altra giurisprudenza, che in tutti i casi in cui sia necessario scorporare l'aggravamento del danno alla salute dal danno originario, il calcolo differenziale vada compiuto non sottraendo il grado di invalidità permanente effettivamente residuato da quello che sarebbe residuato se non vi fosse stata l'imperizia del medico, ma sottraendo il risarcimento effettivamente dovuto (in termini pecuniari), da quello che sarebbe stato dovuto se non vi fosse stato il danno iatrogeno.

Tale criterio del calcolo differenziale tra valori monetari è stato adottato ad esempio da Trib. Firenze, sez. II, 22 maggio 2014, secondo cui il danno iatrogeno differenziale prodotto da colpa medica, insistente su una pregressa situazione di salute già compromessa del paziente, deve essere stimato nell'esatta misura rispondente alla differenza tra il valore monetario previsto dalle tabelle di Milano in corrispondenza del punto percentuale di invalidità permanente complessivamente residuata e quello spettante per i minori postumi che sarebbero, invece, reliquati in ipotesi di corretta esecuzione dell'intervento chirurgico, costituenti conseguenza di causa indipendente da quella per cui è causa.

Distante dal decisum del Tribunale di Mantova, ma anche da quello fiorentino, appare una nota e articolata pronuncia del Tribunale di Milano (sez. I, 30 ottobre 2013), secondo la quale la liquidazione non può discendere dal mero differenziale tra i valori pecuniari risultanti dalla tabella milanese, la quale invero funge solo da «criterio che guidi l'esercizio della equità che [il Tribunale] è chiamato ad applicare nell'operazione di liquidazione del danno non patrimoniale da danno iatrogeno».

Insomma, secondo il Tribunale ambrosiano, lungi dal ricorrere ad automatismi aritmetici, il giudice è chiamato a ispirarsi, in assenza di sicuri approdi da parte della medicina legale in ordine ai criteri di valutazione del danno incrementativo-differenziale, al principio della “personalizzazione del danno”, attraverso l'adeguamento della determinazione del risarcimento base, in aumento o in diminuzione, alla condizione concreta della parte lesa.

Analogamente a quanto avviene nell'accertamento della causalità, anche nella fase di determinazione del quantum occorre, in buona sostanza, procedere ad una selezione, nell'ambito della complessiva situazione di invalidità della parte lesa, delle conseguenze residuate a carico del danneggiato, al fine di individuare il danno alla persona oggetto dell'obbligo risarcitorio da ascrivere al medico operante, tenendo conto che “a) non può farsi gravare sul medico, in via automatica, una misura del danno da risarcirsi incrementata da fattori estranei alla sua condotta, così come verrebbe a determinarsi attraverso una automatica applicazione di tabelle con punto progressivo, computato a partire, in ogni caso, dal livello di invalidità preesistente; b) la liquidazione va necessariamente rapportata ad una concreta verifica, secondo le allegazione delle parti, delle conseguenze negative "incrementative" subite dalla parte lesa”.

A tale stregua, pertanto, si rivela di grande ausilio, se non determinante, ai fini della liquidazione, l'apporto delle allegazioni e delle produzioni difensive del soggetto danneggiato, non solo perché il danno non patrimoniale costituisce danno conseguenza e deve essere allegato e provato (cfr. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26973), ma anche perché, in un'ottica che rifiuti ogni rigido automatismo basato sui valori pecuniari emergenti dalle tabelle, appare fondamentale fornire al giudice tutti gli elementi riguardanti la concreta vicenda clinica affinché il dato relativo alla misura differenziale - da considerarsi secondo la summenzionata sentenza del Tribunale di Milano nel suo rilievo di base, al fine di evitare che l'obbligo risarcitorio del debitore sia automaticamente maggiore in dipendenza di fatti e condotte già da altri causate o preesistenti - possa essere adeguatamente modulato in considerazione della situazione concreta del soggetto danneggiato.

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