La natura sanzionatoria dell’art. 96, comma 3 c.p.c.

Redazione Scientifica
29 Giugno 2016

La Corte Costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 96, comma 3 c.p.c., sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., precisa che la condanna in questione non ha natura risarcitoria ma sanzionatoria e ufficiosa.

Nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 96, comma 3 c.p.c. per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. nella parte in cui dispone che «in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata», anziché a favore dell'Erario.

Secondo il remittente l'art. 96, comma 3, introdurrebbe nel processo civile una fattispecie di carattere sanzionatorio che prende le distanze dalla struttura tipica dell'illecito civile per confluire nelle cd. condanne afflittive, avendo come scopo quello di scoraggiare l'abuso del processo, a tutela dell'interesse pubblico al buon andamento della giurisdizione civile e al giusto processo di cui all'art. 111 Cost.. Pertanto, appare irragionevole che dalla condanna derivante dalla lesione dell'interesse dello Stato al giusto processo si avvantaggi la parte privata, che già dispone di altri strumenti, piuttosto che lo Stato stesso.

Secondo l'avvocatura dello Stato il fatto che il pagamento della somma non sia posto a favore dell'Erario non costituirebbe «una irragionevole estensione a favore della parte privata di una misura ristoratoria posta a presidio del solo interesse pubblico, quanto piuttosto una delle possibili scelte del legislatore, non costituzionalmente vincolato nella sua discrezionalità, nell'individuare la parte beneficiaria di una misura che sanziona un comportamento processuale abusivo che funge da deterrente al ripetersi di siffatte condotte».

La Corte conferma l'impostazione del remittente circa la natura non risarcitoria, ma sanzionatoria con finalità deflattive, della disposizione in esame; essa infatti, «fa riferimento alla condanna al “pagamento di una somma”, segnando così una netta differenza terminologica rispetto al “risarcimento dei danni”»; inoltre il carattere ufficioso della condanna, svincolato all'impulso di parte, conferma altresì che lo scopo di essa è la tutela di un interesse che trascende quello della parte stessa e si colora di connotati pubblicistici.

Purtuttavia, la soluzione adottata dal legislatore del 2009 (pagamento alla parte privata piuttosto che all'Erario) non presenta quel livello di manifesta irragionevolezza od arbitrarietà «che unicamente consente il sindacato di legittimità costituzionale in ordine all'esercizio della discrezionalità legislativa in tema di disciplina di istituti processuali».

La Consulta sottolinea come i redattori della novella intendessero assicurare una maggiore effettività, ed una più efficace forza deterrente, allo strumento apprestato da quella condanna, sul presupposto che la parte vittoriosa può provvedere più agilmente alla riscossione della somma.

Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara la non fondatezza della questione sollevata dal Tribunale a quo.

(Tratto da:www.ilfamiliarista.it)

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