Corruzione tra privati

Alice Falconi
01 Febbraio 2018

A mente del comma 1, dell'art. 2635 c.c., salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società o enti privati che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per se' o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la stessa pena se il fatto è commesso da chi nell'ambito organizzativo della società o dell'ente privato esercita funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui al precedente periodo.
Inquadramento

A mente del comma 1, dell'art. 2635 c.c., salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società o enti privati che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per se' o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la stessa pena se il fatto è commesso da chi nell'ambito organizzativo della società o dell'ente privato esercita funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui al precedente periodo.

Il comma 2 stabilisce che si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.

Al comma 3, viene sanzionata la condotta di chi, anche per interposta persona, offre, promette o da' denaro o altra utilità non dovuti alle persone indicate nel primo e nel secondo comma, con le pene ivi previste.

Il comma 4 prevede un raddoppiamento delle pene stabilite nei commi precedenti, quando si tratti di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni.

Secondo il disposto del comma 5, si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.

Il disposto del comma 5, che prevedeva la procedibilità del reato a querela della persona offesa, è stato abrogato dalla l. 19 gennaio 2019, n. 3, c.d. legge anticorruzione (art. 1, comma 5. lett. a)).

Da ultimo, a mente del comma 6, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 2641 c.c., la misura della confisca per valore equivalente non può essere inferiore al valore delle utilità date, promesse o offerte.

Un breve excursus normativo. Gli obbiettivi perseguiti dalla decisione quadro 2003/568/Gai e confluiti nel d.lgs. 38 del 2017

La scelta di introdurre una fattispecie che sanzionava la corruzione in ambito privatistico, fu dettata, più che da esigenze di politica criminale, dalla necessità di adeguare il diritto interno agli obblighi di natura internazionale.

È così che nell'ambito della riforma dei reati societari, attuata con il d.lgs. 61 dell'11 aprile 2002, il Legislatore introdusse nell'ordinamento interno il reato di Infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità, di cui all'art. 2635 c.c.

Sostanzialmente, la preesistente formulazione dell'art. 2635 c.c. altro non era, come suggeriva peraltro la rubrica della norma, che una mera specificazione del reato di infedeltà patrimoniale, previsto e punito dall'art. 2634 c.c.

Nella versione risalente al 2002, la norma sanzionava, con la reclusione sino a tre anni, «gli amministratori, i direttori generali, i sindaci, i liquidatori e i responsabili della revisione, i quali, a seguito della dazione o della promessa di utilità, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio, cagionando nocumento alla società». Punendo, il secondo comma, con le medesime pene, il corruttore.

Il risultato di questo primo intervento normativo non fu affatto soddisfacente, tant'è che appena si ripresentò l'occasione, recependo altre istanze europee, il Legislatore intervenne nuovamente a rimodulare la fattispecie in parola, attraverso la c.d. legge anticorruzione, n. 190 del 6 novembre 2012, rinominando il reato Corruzione tra privati.

L'intervento normativo, tra gli aspetti maggiormente interessanti, ampliò il novero dei soggetti attivi, delimitò l'ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice, introducendo la clausola di sussidiarietà, e stabilì una deroga alla regola della procedibilità a querela di parte.

La critica che più di tutte veniva elevata alla norma riformulata era che neppure con la nuova versione il Legislatore aveva previsto una incriminazione diretta della corruzione privata in sé per sé, essendo, la condotta corruttiva, passibile di sanzione, solo allorché eziologicamente connessa alla produzione di un nocumento per la società.

In altre parole, il pactum sceleris, non ancorato a un danno alla società, rimaneva privo di tutela penale. La corruzione privata, come tale, poteva, al più, essere punita, se considerata atto idoneo e diretto in modo non equivoco a commettere il delitto di cui all'art. 2635 c.c., a titolo di mero tentativo.

Ad ovviare a tale lacuna normativa, è intervenuto, da ultimo, il decreto legislativo 38 del 15 marzo 2017, che attua la decisione quadro 2003/568/Gai del Consiglio d'Europa, del luglio 2003, in materia di corruzione nel settore privato, che, come si vedrà nel dettaglio, ha espunto dalla fattispecie criminosa il riferimento al nocumento alla società.

Come chiarito dalla Relazione Illustrativa, la necessità di provvedere all'attuazione della decisione quadro nasce dall'esigenza di conformarsi ai principi stabiliti dagli artt. 7 e 8 della Convenzione penale sulla corruzione fatta a Strasburgo, il 27 gennaio 1999 e ratificata dall'Italia già nel 2012, con la legge 110/2012, che prevedono proprio l'introduzione rispettivamente delle fattispecie di corruzione, attiva e passiva, nel settore privato.

In buona sostanza, i principi richiamati si prefiggono l'obiettivo di punire quei comportamenti che possono arrecare pregiudizio al buon funzionamento e alla trasparenza del mercato, nonché alla fiducia e alle aspettative dei creditori e dei consumatori.

In particolare, l'esigenza di armonizzare le legislazioni europee si è avvertita a seguito della globalizzazione, che ha determinato l'aumento esponenziale di scambi transfrontalieri e di rapporti commerciali tra società aventi sede in diversi paesi dell'Unione europea.

I punti salienti del nuovo provvedimento legislativo possono riassumersi nella riformulazione del delitto di corruzione tra privati di cui all'art. 2635 c.c., nell'introduzione della nuova fattispecie di istigazione alla corruzione tra privati, nella previsione di pene accessorie per entrambe le fattispecie e nella modifica delle sanzioni di cui al d.lgs. 231 del 2001, in tema di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.

La fattispecie prima della riforma

Prima della riforma in commento, l'art. 2635 c.c. puniva due forme di corruzione passiva (per gli intranei) e una di corruzione attiva.

In particolare, i primi due commi sanzionavano gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, nonché i soggetti sottoposti alla direzione o alla vigilanza di uno dei dirigenti appena indicati che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, compivano atti o omettevano atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando un nocumento alla società.

Il delitto di corruzione attiva, previsto al comma terzo, puniva invece l'extraneus che dava o prometteva denaro o altra utilità alle persone indicate nei commi che precedono.

I commi quarto, quinto e sesto, non incisi dalla riforma di quest'anno, prevedevano, rispettivamente, un raddoppio delle pene nel caso di condotte che coinvolgono società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o altri stati dell'Unione europea o comunque diffusi tra il pubblico in maniera rilevante ai sensi dell'art. 116 T.U. sull'intermediazione finanziaria, la procedibilità a querela della persona offesa e la misura della confisca per equivalente non inferiore al valore delle utilità date o promesse.

La nuova formulazione della norma. L'attenzione ai soggetti attivi della fattispecie

Un aspetto d'innovazione introdotto con il d.lgs. 38 del 2017, che merita certamente di essere segnalato è rappresentato dall'ampliamento della categoria dei soggetti attivi, che ora ricomprende, non soltanto gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società, ma anche quelli di enti privati e anche quei soggetti che esercitano funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui sopra, nell'ambito organizzativo della società o dell'ente privato, nonché, da ultimo, i soggetti che compiono le condotte descritte nella norma anche per interposta persona.

Il primo profilo di interesse è rappresentato nell'estensione della punibilità agli enti privati, accezione, quest'ultima, che, in assenza di specificazione alcuna ed in ossequio alla nozione allargata di persona giuridica contenuta nella decisione quadro, sembrerebbe ricomprendere qualsiasi soggetto giuridico collettivo di natura privata, quindi anche quelli privi di personalità giuridica.

L'ampliamento in parola rappresenta, senz'altro, una delle più importanti innovazioni importate dalla riforma del 2017: si consideri, infatti, che da una simile dilatazione del catalogo dei soggetti attivi deriva l'inclusione, fra questi, anche di coloro che ricoprono posizioni rappresentative, di gestione o di controllo negli enti no profit, nelle fondazioni bancarie, nelle fondazioni che gestiscono strutture ospedaliere convenzionate con il servizio sanitario nazionale, nei partiti politici, nei sindacati, etc.

Sul versante dei soggetti attivi, poi, la platea dei corruttibili si amplia in una duplice direzione, punendo, in primo luogo, le condotte poste in essere anche con l'ausilio di un intermediario del pactum sceleris e, in secondo luogo, da chi, pur non ricoprendo una posizione apicale, esercita funzioni direttive.

La definizione non appare di lampante chiarezza, atteso che non specifica in alcun modo le funzioni svolte dal soggetto corruttibile, così come la posizione dallo stesso ricoperta; ben potendo, in assenza di specificazioni, essere ricompreso anche colui il quale, pur occupando una posizione di basso rilievo all'interno dell'organigramma societario, si trovi a esercitare funzioni direttive nei confronti di una sola persona sottoposta.

Volendo dare una lettura coerente con il principio generale in tema di reati societari, si potrebbe considerare operante l'estensione delle qualifiche soggettive, come si come previsto ai sensi dell'art. 2639 c.c. (c.d. amministratore di fatto).

In evidenza. L'operatività della norma con riferimento agli amministratori di condominio

Un interessante risvolto applicativo dell'estensione dell'applicabilità della norma agli amministratori di enti privati è rappresentato dall'inclusione, tra i possibili soggettivi attivi della corruzione tra privati, della figura dell'amministratore di condominio, sia quando opera come persona fisica, sia, a fortiori, quando esercita la funzione di amministratore attraverso una società.

Infatti, il condominio, seppur privo di soggettività giuridica in senso stretto, è un autonomo centro di imputazione di interessi che non si identifica con i singoli condomini (Cass. civ., Sez. III, 19 marzo 2009, n. 6665); inoltre, le Sezioni unite civili, con pronuncia del 18 settembre 2014, n. 19663, hanno dato atto che la riforma in tema di condominio di edifici, attuata con l. 220/2012, pur non avendo riconosciuto soggettività giuridica in capo al condominio, ha senz'altro proceduto nell'ottica dell'attribuzione al medesimo di una soggettività giuridica attenuata.

Dunque, anche l'amministratore di condominio potrà rispondere del reato di corruzione tra privati.

Le condotte punibili

L'art. 2635 c.c. punisce, con la medesima pena, il corrotto e il corruttore, esattamente come previsto in tema di reati contro la pubblica amministrazione, dagli artt. 318, 319 e 321 c.p.

In seguito alla riforma operata dal d.lgs. 38 del 2017, si assiste all'ampliamento delle condotte tipiche oggetto di sanzione punitiva; ed invero, si sono aggiunte la sollecitazione, accanto alla ricezione e all'accettazione della promessa, nel primo comma, nonché l'offerta, nei commi terzo e sesto.

La condotta di corruzione passiva, punita nei primi due commi dell'art. 2635 c.c., è quella posta in essere da coloro, in possesso di una determinata qualifica (di fatto o di diritto), che sollecitano, ricevono o accettano la promessa di denaro o altra utilità, non dovuti, per compiere od omettere atti, in violazione degli obblighi inerenti il proprio ufficio.

Si parla, invece, di corruzione attiva (art. 2635, comma 3, c.c.) rispetto alla condotta di chi offre, promette o dà denaro o altra utilità, non dovuti, alle persone indicate nei primi due commi.

Restano prive di rilevanza penale sia le ipotesi di corruzione propria susseguente, quando la promessa o la dazione siano effettuate dopo il compimento o l'omissione dell'atto, sia i casi di corruzione impropria antecedente, quando la corresponsione del denaro o dell'utilità avvenga prima dell'atto d'ufficio e sia funzionale al compimento dello stesso.

In evidenza. Cass. pen., 13 novembre 2012, n. 14766.

Deve ritenersi che atto, nella nozione dettata dall'art. 2635 c.c., sia anche un parere versato nell'istruttoria di una pratica di finanziamento o per l'apertura di una linea di credito, come pure l'espressione di voto manifestata ai fini della formazione di una delibera collegiale.

L'introduzione della condotta di sollecitazione al pagamento o dazione è stata avvertita, dai primi commentatori, come espressione della volontà di aggiungere alla condotta tipica della ricezione, una condotta anticipatoria della soglia di rilevanza penale.

Un altro aspetto largamente criticato dai primi commentatori della novella, in quanto grandemente sbilanciato a favore delle esigenze di tutela, a scapito dei principi di legalità, è costituito dall'eliminazione del requisito del nocumento alla società quale elemento costitutivo della fattispecie; la cui conseguenza diretta è la trasformazione della fattispecie da reato di danno, a reato di pericolo astratto.

L'interesse giuridico oggetto di tutela non è più, dunque, il patrimonio sociale, bensì la correttezza e lealtà della concorrenza, la trasparenza ed il buon funzionamento del mercato, la salvaguardia della competitività tra imprese, messe in pericolo da accordi corruttivi diretti alla condotta infedele. La norma incrimina, invero, il pactum sceleris in sé per sé, senza il necessario verificarsi di alcun danno patrimoniale nei confronti della società.

L'Unione delle Camere Penali Italiane ha pubblicato le proprie osservazioni in merito alla modifica del reato di corruzione tra privati, lamentando, in particolare, l'eccessivo ampliamento dell'area di punibilità, accompagnato, per riprendere le parole utilizzate dalla Giunta, «da un discutibile – e assai pericoloso – allontanamento dai canoni costituzionali della tassatività e determinatezza della fattispecie penale, sia sotto il profilo semantico che probatorio, nonché da quello di offensività, con un eccessivo arretramento della soglia di punibilità”, per concludere che, il passaggio dal previgente modello di tutela patrimoniale, a quello incentrato sulla mera infedeltà, renderebbe la norma irragionevole, “perché calibrata su quella della corruzione dei soggetti pubblici, dove sono però in gioco beni giuridici ben più significativi».

La violazione degli obblighi di fedeltà. Il rimando all'art. 2105 c.c.

L'elemento che caratterizza la condotta dei soggetti attivi di cui all'art. 2635 c.c. si sostanzierebbe nella violazione degli obblighi di fedeltà.

Se è parsa immediatamente ragionevole la scelta del Legislatore di non riproporre l'indicazione atti contrari al dovere d'ufficio per definire la condotta penalmente rilevante, che troppo ricordava la previsione codicistica della corruzione dei pubblici ufficiali, meno chiaro è risultato il richiamo agli obblighi di fedeltà.

La nozione, del resto, sin dalla prima apparizione, è apparsa eccessivamente generica e si presta alle interpretazioni più disparate, evocando più a dicta di natura morale che normativa.

A ben vedere, tuttavia, la più accorta dottrina ha ritenuto che gli obblighi di fedeltà trovassero esplicito riferimento normativo nell'art. 2105 c.c. contenuto nel Libro V, Titolo II, relativo al lavoro nell'impresa, che fa divieto, al prestatore di lavoro, di «trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore” e di “divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio».

La giurisprudenza, nell'intento di estendere il contenuto dell'obbligo succitato e dunque le maglie applicative della fattispecie criminosa, vi ha ricompreso, oltre alla concorrenza leale, gli obblighi derivanti dalle generali clausole di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.

Con tale estensione sarebbero ricomprese, dunque, tutte quelle condotte poste dal lavoratore in conflitto con gli interessi dell'impresa.

La nuova procedibilità d'ufficio introdotta con la legge 3/2019

Il vulnus della materia in esame veniva riconosciuto, prima dell'approvazione della legge 19 gennaio 2019, n. 3 recante Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, nella procedibilità a querela di parte, fatte salve le ipotesi in cui dal fatto fosse derivata una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi.

La principale critica che veniva mossa dai commentatori era, infatti, quella di un'inevitabile ineffettività del sistema , già denunciata, peraltro, rispetto alle versioni previgenti.

Si obiettava, infatti, che le società, soprattutto quelle di grandi dimensioni e più popolari, non avrebbero avuto alcun interesse a rendere pubbliche le condotte illecite dei propri dipendenti, in quanto il danno d'immagine sarebbe stato maggiore di quello derivante dall'impunità penale di tali condotte, preferendo, dunque, le vie civilistiche per il risarcimento del danno e/o le vie giuslavoristiche per il licenziamento per giusta causa.

Il legislatore del 2018 ha accolto, evidentemente, le critiche espresse dagli interpreti del diritto ed ha, pertanto, abrogato il quinto comma della norma in parola, elidendo la condizione di procedibilità ivi prevista.

Oggi, dunque, il reato di corruzione tra privati è procedibile d'ufficio, senza la necessità che la persona offesa abbia manifestato la volontà che l'Autorità giudiziaria persegua tale fattispecie criminosa.

Il vecchio regime di procedibilità, però, rimane applicabile a tutte quelle condotte commesse prima dell'entrata in vigore del nuovo intervento normativo.

Come è stato più volte rilevato dalla Corte di cassazione e dalla prevalente dottrina, infatti, se è vero che le condizioni di procedibilità hanno una indubbia natura processuale, in quanto la loro mancanza si risolve nell'invalidità del processo, è altrettanto vero che gli effetti della presenza o meno di una condizione di procedibilità, si riverberano sulla punibilità del fatto.

Per tali ragioni, è stata riconosciuta, alle condizioni di procedibilità, una duplice natura: sostanziale e processuale (si veda, ad esempio, Cass. pen., Sez. II, 24 settembre 2008, n. 40399).

Vale quindi la pena osservare, in questa sede, che il regime di procedibilità d'ufficio introdotto dalla legge anticorruzione, non potrà produrre effetti sui fatti commessi prima della sua entrata in vigore, proprio sul rilievo che il problema dell'applicabilità dell'art. 2 c.p., in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilità a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto.

L'unica eccezione all'applicazione irretroattiva della procedibilità d'ufficio, potrebbe verificarsi nel caso in cui i fatti anteriori si pongano in continuazione con i fatti successivi all'entrata in vigore della legge 3/2019 (così ha deciso, in tema di delitti sessuali a danno di minori commessi dai soggetti qualificati, la sentenza della Cass. pen., Sez. III, 22 giugno 2001, n. 34781).

Resta dunque ferma la problematica relativa all'individuazione del soggetto legittimato alla presentazione della querela per quei reati commessi prima dell'entrate in vigore della l. 3/2019

Ampie le soluzioni esegetiche suscettibili di essere adottate in punto di legittimazione alla presentazione della querela. In particolare, devono ritenersi legittimati a denunciare gli illeciti di corruzione tra privati:

  • l'ente privato, attraverso il legale rappresentante (art. 337, comma 3, c.p.p.);
  • i singoli soci, associati e componenti dell'ente privato (in linea con la lettura estensiva accreditata dalla Cassazione per la fattispecie, affine in origine, della infedeltà patrimoniale);
  • l'organo assembleare (in analogia con le azioni di responsabilità promosse nei confronti di amministratori e sindaci), che potrebbe deliberarla e designare il soggetto investito di esercitarla; i creditori (interni ed esterni) dell'ente e pure i suoi concorrenti diretti, in quanto titolari di una relazione qualificata e diretta con gli interessi giuridici presidiati dalla fattispecie (il bene giuridico viene infatti individuato nell'affidamento nella trasparenza e nel regolare, concorrenziale e competitivo funzionamento del mercato e delle imprese).
La neo introdotta fattispecie di istigazione alla corruzione

Di nuova introduzione, con il d.lgs. 38 del 2017, la fattispecie prevista all'art. 2635-bisc.c., che punisce l'istigazione alla corruzione tra privati, nel duplice schema di istigazione attiva e istigazione passiva.

In particolare, il primo comma, sanziona chiunque, in cambio della violazione dei doveri di ufficio e di fedeltà, offre o promette denaro o altra utilità indebiti ai dirigenti della società o dell'ente privato, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata (istigazione attiva).

Il secondo comma, punisce, invece, l'istigazione passiva, la condotta, cioè, dell'intraneo che solleciti una promessa o dazione di denaro o altra utilità, al fine del compimento o dell'omissione di atti in violazione dei medesimi obblighi, qualora tale proposta non sia accettata.

Anche per tale fattispecie criminosa, la legge 3/2019 è intervenuto elidendo il terzo comma che stabiliva, come per l'ipotesi di corruzione tra privati, la procedibilità a querela di parte; mutando, dunque, il reato in una fattispecie procedibile d'ufficio.

Le considerazioni sopra svolte, in tema di diritto intertemporale, devono ritenersi valide anche per tale fattispecie.

Ancora una volta, l'Unione della Camere Penali ha lamentato che, con l'introduzione della fattispecie di istigazione alla corruzione, i cui «connotati sono ancor più marcatamente anticipatori della soglia di rilevanza penale, in alcuni casi davvero eccessivamente lontani dalla soglia di pericolo», si punirebbe sostanzialmente «il pericolo del pericolo di un evento».

Con l'adozione di tale previsione legislativa, è certo che le, già aspre, critiche dell'avvocatura nei confronti di un Legislatore che, in nome di un giustizialismo proclamato, trascura principi cardine del diritto penale, quali, ad esempio, quello di offensività, diventeranno ancora più accese.

Le pene accessorie conseguenti alla condanna

Un'altra importante novità apportata dal d.lgs. 38 del 2017 è rappresentata dalla previsione di pene accessorie. A mente dell'art. 2635 terc.c., infatti, alla condanna per il reato di cui all'art. 2635 c.c., primo comma (corruzione passiva tra privati), segue l'interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese di cui all'art. 32-bisC.p., nei confronti di chi sia già stato condannato per il medesimo reato o per quello di istigazione alla corruzione passiva tra privati, ex art. 2635, comma 2, c.c.

La pena accessoria priva, dunque, il condannato della capacità di esercitare, durante il periodo di interdizione, l'ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell'imprenditore.

La disciplina in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche

Con riferimento alla disciplina della responsabilità amministrativa dipendente da reato della persone giuridiche, di cui al d.lgs. 231 del 2001, deve evidenziarsi come rimanga invariata la punibilità delle sole condotte di corruzione privata attiva.

Su questo preciso aspetto, il d.lgs. 38 del 2017 disattende le indicazioni date dalla decisione quadro 2003/568/Gai, che imponeva, invece, una corresponsabilizzazione della persona giuridica, tanto per i fatti di corruzione attiva, quanto per quelli di corruzione passiva.

La scelta del nostro Legislatore di prevedere una sanzione per la sola società “corruttrice”, e non per quella corrotta, oltreché non essere in sintonia con le linee guida europee, è anche discutibile da un punto di vista di politica criminale.

Se tale differenza di trattamento era comprensibile, in vigenza della previgente formulazione della norma, che richiedeva, tra gli elementi costitutivi del reato, anche il nocumento alla società, circostanza che risultava evidentemente incompatibile con l'interesse o vantaggio della società stessa, alla luce della nuova formulazione, che ha espunto tale nocumento, la non punibilità di tali condotte non trova ora una plausibile spiegazione.

La modifica, dunque, ha interessato unicamente la misura della sanzione pecuniaria, prevista dall'art. 25-ter comma 1, d.lgs. 231 del 2001, che viene aumentata da quattrocento a seicento quote (anziché da duecento a quattrocento quote).

Nel catalogo dei reati societari da cui discende la responsabilità amministrativa dell'ente, viene aggiunto, infine, il reato di cui all'art. 2635-bis, comma 1,c.c., prevedendo dunque la punibilità, con la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote, della sola istigazione attiva alla corruzione tra privati.

Alla sanzione pecuniaria si sommano, poi, le sanzioni interdittive di cui all'art. 9 del d.lgs. 231 del 2001, segnatamente l'interdizione dall'esercizio dell'attività, la sospensione o la revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi nonché il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Le norme sulla protezione dei c.d. whistelblowers

Con l'adozione delle recenti norme a tutela dei c.d. whistelblowers, è verosimile attendersi in futuro un incremento delle denunce per fatti riconducibili alla fattispecie in esame.

A tal proposito è opportuno rammentare che nella seduta del 18 ottobre 2017, il Senato ha redatto il testo definitivo della proposta di legge approvata dalla Camera dei deputati il 21 gennaio 2016, concernente le Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato.

Per quanto di interesse nel presente commento, si segnala che il nuovo testo ha previsto delle tutele non solo per il dipendente pubblico che segnali illeciti, ma anche del dipendente o collaboratore che segnala illeciti nel settore privati.

In particolare, è stato previsto, in tema di responsabilità amministrativa degli enti dipendete da reato, ex d.lgs. 231 del 2001, che il modello di organizzazione gestione e controllo debba prevedere l'obbligo, per coloro che a qualsiasi titolo collaborano con l'ente, di presentare a tutela dell'integrità di quest'ultimo, segnalazioni di condotte illecite o di violazioni del MOGC di cui siano venuti a conoscenza o che, comunque, in buona fede e sulla base della ragionevole convinzione fondata su elementi di fatto ritengano essersi verificate.

A ciò si accompagna, questa volta, a tutela del dipendente, la previsione di misure idonee a garantire l'identità e la riservatezza del segnalante, mediante canali alternativi di segnalazione anche con modalità informatiche, nonché dell'informazione.

È fatto divieto, inoltre, di atti di ritorsione o discriminatori nei confronti del segnalante, per ragioni collegate alla segnalazione, fatti salvi i casi legittima tutela degli aventi causa, qualora vengano accertate responsabilità di natura penale in capo al segnalante.

La nuova disciplina prevede, da ultimo, che il dipendente sia reintegrato nel posto di lavoro in caso di licenziamento in violazione dei principi sopra espressi e che siano nulli tutti gli atti discriminatori o ritorsivi posti in essere contro quest'ultimo.

Le disposizioni a tutela del segnalante, in uno con la nuova procedibilità d'ufficio della fattispecie de qua, si pongono in una direzione di contrasto dei comportamenti infedeli e posti in essere contro gli interessi dei consociati.

Appare oltremodo evidente, del resto, che la procedibilità d'ufficio, unitamente alla previsione che il soggetto che sia venuto a conoscenza di un illecito possa segnalarlo senza temere ripercussioni in ambito lavorativo, porteranno certamente ad un incremento dei procedimenti penali per corruzione tra privati, fattispecie che fino ad oggi non aveva trovato ampia applicazione.

Sommario