Responsabilità civile
RIDARE

Clausola claims made

18 Novembre 2014

La clausola claims made (o“a richiesta fatta”) disciplina l'operatività nel tempo dell'assicurazione contro il rischio della responsabilità civile (generalmente professionale e, o d'impresa per danni ambientali o cagionati da prodotto difettoso).In base al modello claims made, la garanzia opera per le richieste di risarcimento pervenute all'assicurato per la prima volta durante la vigenza del contratto di assicurazione; diversamente da quanto presupposto invece da quei modelli (act committed o loss occurrence) che correlano l'operatività temporale della garanzia al tempo della realizzazione di una condotta dell'assicurato produttiva di un danno ingiusto ovvero alla manifestazione di tale danno.

Inquadramento

BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

La clausola claims made (o“a richiesta fatta”) disciplina l'operatività nel tempo dell'assicurazione contro il rischio della responsabilità civile, generalmente professionale e/o d'impresa per danni ambientali o cagionati da prodotto difettoso.

In base al modello claims made, la garanzia opera per le richieste di risarcimento pervenute all'assicurato per la prima volta durante la vigenza del contratto di assicurazione; diversamente da quanto presupposto da quei modelli (act committed o loss occurrence) che correlano invece l'operatività temporale della garanzia al tempo della realizzazione di una condotta dell'assicurato produttiva di un danno ingiusto ovvero alla manifestazione di tale danno.

Il tempo di realizzazione della condotta lesiva o di manifestazione del danno può non aver rilievo per la garanzia assicurativa prestata in base al modello claims made; in tal caso, la clausola è definibile “pura”ed è formulata generalmente in questi termini: «L'assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'assicurato nel corso del periodo di assicurazione, indipendentemente dal momento in cui il danno è stato causato o si è manifestato».

È tuttavia più frequente che sia annessa rilevanza al tempo di realizzazione della condotta lesiva o di manifestazione del danno anche nella garanzia prestata secondo il modello claims made; la clausola è allora definibile “mista”e la sua formulazione è varia: fermo restando che «l'assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'assicurato durante la vigenza del contratto», la clausola può correlare tali richieste a condotte realizzate in un determinato arco temporale, per esempio nel corso della vigenza stessa del contratto, ovvero in un certo numero di anni o di soli mesi precedenti la sua stipulazione.

In evidenza

La clausola claims made disciplina l'operatività nel tempo dell'assicurazione contro il rischio della responsabilità civile, attribuendo rilievo al momento della richiesta di risarcimento pervenuta all'assicurato per la prima volta durante la vigenza del contratto di assicurazione, anziché a quello della realizzazione della condotta lesiva o della manifestazione del danno.

Struttura ed effetti

a) Il modello claims made “puro”

In virtù della clausola claims made il rischio assicurato è identificato sotto il profilo temporale con riferimento alle richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'assicurato nel corso del periodo di assicurazione.

Ove si tratti di clausola cd. “pura”, per la quale non ha rilievo il tempo «in cui il danno è stato causato o si è manifestato», anche conseguenze pregiudizievoli di condotte precedenti la stipulazione del contratto possono essere garantite (ove assicurabili), purché la richiesta risarcitoria del danneggiato pervenga all'assicurato nel corso della vigenza del contratto: tale effetto è definibile retroattività della garanzia assicurativa.

Di contro, non sono garantite le conseguenze pregiudizievoli di condotte, pur se realizzate durante la vigenza del contratto di assicurazione, per le quali la richiesta risarcitoria del danneggiato pervenga all'assicurato dopo la risoluzione del rapporto contrattuale: tale effetto è definibile esclusione della ultrattività della garanzia assicurativa.

Per questi due effetti il modello claims made diverge dal paradigma legale, che generalmente si ritiene preveda un'assicurazione prestata in base ai modelli act committed o loss occurrence.

In base allo schema legale tipico (art. 1917 c.c.), sotto il profilo temporale, rileva che nel corso della vigenza del contratto di assicurazione («durante il tempo dell'assicurazione») si produca un evento («fatto accaduto») generatore della responsabilità dell'assicurato.

Il «fatto» generatore di responsabilità può essere considerato sia sotto il profilo della condotta, sia sotto quello della manifestazione dell'evento, produttivo di un danno ingiusto; ma perché l'obbligo dell'assicurato di risarcire il danno divenga attuale («deve pagare ad un terzo») è altresì necessario che il terzo danneggiato ne faccia richiesta.

Tra realizzazione della condotta e manifestazione del danno può intercorrere del tempo; altro ne può trascorrere perché il terzo danneggiato si renda conto del pregiudizio subito e lo ricolleghi alla condotta dell'assicurato; solo dal momento in cui il danno ingiusto è percepibile come tale da parte del danneggiato decorre il termine prescrizionale del suo diritto al risarcimento, entro il quale il danneggiato medesimo potrà validamente formulare la sua richiesta risarcitoria.

Realizzazione della condotta, da un lato, e decorso del termine prescrizionale del diritto del terzo al risarcimento del danno, dall'altro, sono dunque i due estremi dell'immaginaria linea temporale all'interno della quale sono collocate la verificazione di un evento, la manifestazione di un danno ingiusto, la sua percepibilità da parte del danneggiato e la formulazione di una richiesta risarcitoria.

È opinione giurisprudenziale prevalente (Cass. civ., sez. III, 15 marzo 2005 n. 5624) che il «fatto accaduto» considerato dall'art. 1917, comma 1, c.c. debba essere inteso come realizzazione di una condotta colposa produttiva di un danno ingiusto.

Pertanto, in base allo schema legale tipico, perché si realizzi il caso rilevante (il sinistro) sotto il profilo dell'operatività temporale della garanzia l'assicurato deve aver tenuto una condotta colposa produttiva di un danno ingiusto nel corso della vigenza del contratto di assicurazione.

Attribuire esclusivo rilievo, al fine della individuazione sotto il profilo temporale del caso assicurato, alla realizzazione di una condotta ed alla manifestazione del danno (nel modello legale tipico), piuttosto che alla formulazione della richiesta risarcitoria (nel modello claims made), determina una radicale divergenza negli effetti che l'assicurazione produce nel tempo.

Secondo il modello legale la garanzia opererà per tutte le richieste risarcitorie correlate a condotte realizzate in pendenza del contratto di assicurazione che pervengano all'assicurato anche dopo la risoluzione del contratto stesso e fintanto che richieste risarcitorie siano validamente formulabili, ossia sino alla prescrizione del diritto del terzo danneggiato (ultrattività della garanzia); la garanzia non coprirà invece le (conseguenze delle) condotte pregresse rispetto alla stipulazione del contratto (esclusione della retroattività della garanzia).

Di contro, in base al modello claims made la garanzia opererà per tutte le condotte, anche pregresse rispetto alla stipulazione del contratto, per le quali i diritti dei terzi danneggiati non siano ancora prescritti (retroattività della garanzia); la garanzia non coprirà invece le richieste che pervengano all'assicurato dopo la risoluzione del contratto di assicurazione (esclusione della ultrattivitàdella garanzia).

Ciascuno dei due modelli consente quindi tipicamente di assicurare ciò che l'altro non consente: il claims made, le conseguenze di condotte antecedenti la stipulazione del contratto (retroattività della garanzia); quello legale tipico, le richieste risarcitorie successive alla risoluzione del contratto (ultrattività della garanzia); ma, al contempo, ciascun modello esclude l'effetto tipico dell'altro.

b) Il modello claims made “misto”

La formula claims made nasce dall'esigenza di considerare un momento preciso e facilmente individuabile (quello della formulazione della richiesta risarcitoria) in quelle ipotesi in cui sia difficile collocare nel tempo il verificarsi del fatto generatore dell'evento lesivo (come sovente accade in tema di danno cagionato da prodotto difettoso), ovvero in quelle ipotesi in cui il danno può realizzarsi progressivamente (ad es., in caso di danno ambientale).

È però frequente che, al fine di individuare sotto il profilo temporale il caso assicurato, il contratto di assicurazione consideri sia la realizzazione della condotta e la manifestazione del danno (secondo il modello legale tipico), sia la formulazione della richiesta risarcitoria (secondo il modello claims made); il che evidentemente frustra tale originaria esigenza.

L'utilizzo congiunto dei due modelli claims made e loss occurrence (o legale tipico), nella formulazione delle clausole claims made cd. “miste”, persegue la diversa finalità di ridurre il rischio assunto in garanzia dall'assicuratore.

Talvolta, sino ad escludere entrambi gli effetti caratteristici di ciascuno dei due modelli, la retroattività e l'ultrattivitàdella garanzia assicurativa, se è previsto che sia la condotta lesiva, sia la richiesta risarcitoria ricadano nel corso della vigenza del contratto.

Talaltra, per garantire solo in parte tali effetti (retroattività ed ultrattività), ad esempio, con l'inclusione delle condotte compiute nei 2, 3 o 5 anni precedenti la stipulazione del contratto, ovvero delle richieste pervenute entro i 6 mesi successivi alla risoluzione del contratto di assicurazione.

È significativo che la notevole diffusione delle clausole claims made miste segua la progressiva dilatazione, negli ultimi decenni, dell'area del danno risarcibile e dell'entità dei risarcimenti.

Tale diffusione ne è molto probabilmente una diretta conseguenza: un considerevole aumento (qualitativo e quantitativo) del rischio impone un considerevole aumento del premio, attesa la stretta correlazione che lega (o dovrebbe legare) l'uno all'altro; una consistente delimitazione sotto il profilo temporale del rischio assunto in garanzia dall'assicuratore (in virtù di clausola “mista”) consente di contenere (se non di escludere) l'aumento del premio.

E permette quindi di proporre polizze che possono risultare appetibili sotto il profilo del costo (il premio), ancorché l'efficacia temporale della garanzia prestata sia notevolmente ridotta.

Struttura ed effetti

a) Il modello claims made “puro”

In virtù della clausola claims made il rischio assicurato è identificato sotto il profilo temporale con riferimento alle richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'assicurato nel corso del periodo di assicurazione.

Ove si tratti di clausola cd. “pura”, per la quale non ha rilievo il tempo «in cui il danno è stato causato o si è manifestato», anche conseguenze pregiudizievoli di condotte precedenti la stipulazione del contratto possono essere garantite (ove assicurabili), purché la richiesta risarcitoria del danneggiato pervenga all'assicurato nel corso della vigenza del contratto: tale effetto è definibile retroattività” della garanzia assicurativa.

Di contro, non sono garantite le conseguenze pregiudizievoli di condotte, pur se realizzate durante la vigenza del contratto di assicurazione, per le quali la richiesta risarcitoria del danneggiato pervenga all'assicurato dopo la risoluzione del rapporto contrattuale: tale effetto è definibile “esclusione della ultrattività” della garanzia assicurativa.

Per questi due effetti il modello claims made diverge dal paradigma dell'art. 1917, comma 1, c.c., che generalmente si ritiene preveda un'assicurazione prestata in base ai modelli act committed o loss occurrence.

In base allo schema della richiamata norma codicistica, sotto il profilo temporale, rileva che nel corso della vigenza del contratto di assicurazione (“durante il tempo dell'assicurazione”) si produca un evento (“fatto accaduto”) generatore della responsabilità dell'assicurato.

Il “fatto” generatore di responsabilità può essere considerato sia sotto il profilo della condotta, sia sotto quello della manifestazione dell'evento, produttivo di un danno ingiusto; ma perché l'obbligo dell'assicurato di risarcire il danno divenga attuale (“deve pagare ad un terzo”) è altresì necessario che il terzo danneggiato ne faccia richiesta.

Tra realizzazione della condotta e manifestazione del danno può intercorrere del tempo; altro ne può trascorrere perché il terzo danneggiato si renda conto del pregiudizio subito e lo ricolleghi alla condotta dell'assicurato; solo dal momento in cui il danno ingiusto è percepibile come tale da parte del danneggiato decorre il termine prescrizionale del suo diritto al risarcimento, entro il quale il danneggiato medesimo potrà validamente formulare la sua richiesta risarcitoria.

Realizzazione della condotta, da un lato, e decorso del termine prescrizionale del diritto del terzo al risarcimento del danno, dall'altro, sono dunque i due estremi dell'immaginaria linea temporale all'interno della quale sono collocate la verificazione di un evento, la manifestazione di un danno ingiusto, la sua percepibilità da parte del danneggiato e la formulazione di una richiesta risarcitoria.

È opinione giurisprudenziale prevalente (Cass. civ., sez. III, 15 marzo 2005 n. 5624) che il “fatto accaduto” considerato dall'art. 1917, comma 1, c.c. debba essere inteso come realizzazione di una condotta colposa produttiva di un danno ingiusto.

Pertanto, in base allo schema codicistico, perché si realizzi il caso rilevante (il sinistro) sotto il profilo dell'operatività temporale della garanzia l'assicurato deve aver tenuto una condotta colposa produttiva di un danno ingiusto nel corso della vigenza del contratto di assicurazione.

Attribuire esclusivo rilievo, al fine della individuazione sotto il profilo temporale del caso assicurato, alla realizzazione di una condotta ed alla manifestazione del danno (nel modello codicistico), piuttosto che alla formulazione della richiesta risarcitoria (nel modello claims made), determina una radicale divergenza negli effetti che l'assicurazione produce nel tempo.

Secondo il modello previsto dall'art. 1917, comma 1, c.c., la garanzia opererà per tutte le richieste risarcitorie correlate a condotte realizzate in pendenza del contratto di assicurazione che pervengano all'assicurato anche dopo la risoluzione del contratto stesso e fintanto che richieste risarcitorie siano validamente formulabili, ossia sino alla prescrizione del diritto del terzo danneggiato (ultrattività della garanzia); la garanzia non coprirà invece le (conseguenze delle) condotte pregresse rispetto alla stipulazione del contratto (esclusione della retroattività della garanzia).

Di contro, in base al modello claims made la garanzia opererà per tutte le condotte, anche pregresse rispetto alla stipulazione del contratto, per le quali i diritti dei terzi danneggiati non siano ancora prescritti (retroattività della garanzia); la garanzia non coprirà invece le richieste che pervengano all'assicurato dopo la risoluzione del contratto di assicurazione (esclusione della ultrattività della garanzia).

Ciascuno dei due modelli consente quindi tipicamente di assicurare ciò che l'altro non consente: il claims made, le conseguenze di condotte antecedenti la stipulazione del contratto (retroattività della garanzia); quello del codice civile, le richieste risarcitorie successive alla risoluzione del contratto (ultrattività della garanzia); ma, al contempo, ciascun modello esclude l'effetto tipico dell'altro.

b) Il modello claims made “misto”

La formula claims made nasce dall'esigenza di considerare un momento preciso e facilmente individuabile (quello della formulazione della richiesta risarcitoria) in quelle ipotesi in cui sia difficile collocare nel tempo il verificarsi del fatto generatore dell'evento lesivo (come sovente accade in tema di danno cagionato da prodotto difettoso), ovvero in quelle ipotesi in cui il danno può realizzarsi progressivamente (ad es., in caso di danno ambientale).

È però frequente che, al fine di individuare sotto il profilo temporale il caso assicurato, il contratto di assicurazione consideri sia la realizzazione della condotta e la manifestazione del danno (secondo il modello legale tipico), sia la formulazione della richiesta risarcitoria (secondo il modello claims made); il che evidentemente frustra tale originaria esigenza.

L'utilizzo congiunto dei due modelli claims made e loss occurrence, nella formulazione delle clausole claims made cd. “miste”, persegue la diversa finalità di ridurre il rischio assunto in garanzia dall'assicuratore.

Talvolta, sino ad escludere entrambi gli effetti caratteristici di ciascuno dei due modelli, la retroattività e l'ultrattività della garanzia assicurativa, se è previsto che sia la condotta lesiva, sia la richiesta risarcitoria ricadano nel corso della vigenza del contratto.

Talaltra, per garantire solo in parte tali effetti (retroattività ed ultrattività), ad esempio, con l'inclusione delle condotte compiute nei 2, 3 o 5 anni precedenti la stipulazione del contratto, ovvero delle richieste pervenute entro i 6 mesi successivi alla risoluzione del contratto di assicurazione.

È significativo che la notevole diffusione delle clausole claims made “miste” segua la progressiva dilatazione, negli ultimi decenni, dell'area del danno risarcibile e dell'entità dei risarcimenti.

Tale diffusione ne è molto probabilmente una diretta conseguenza: un considerevole aumento (qualitativo e quantitativo) del rischio impone un considerevole aumento del premio, attesa la stretta correlazione che lega (o dovrebbe legare) l'uno all'altro; una consistente delimitazione sotto il profilo temporale del rischio assunto in garanzia dall'assicuratore (in virtù di clausola “mista”) consente di contenere (se non di escludere) l'aumento del premio.

E permette quindi di proporre polizze che possono risultare appetibili sotto il profilo del costo (il premio), ancorché l'efficacia temporale della garanzia prestata sia notevolmente ridotta.

Interesse alla stipulazione di clausola claims made

L'assicuratore ha indubbio interesse alla stipulazione di contratti con clausola claims made, perché l'eventualità di dover prestare la garanzia può essere esclusa in un arco temporale relativamente breve dopo la risoluzione del contratto, che coincide con il decorso del termine (biennale) di prescrizione del diritto dell'assicurato all'indennizzo.

Poiché la garanzia opera solo per le richieste pervenute all'assicurato durante la vigenza del contratto (e non dopo), con la risoluzione del contratto cessa il rischio assicurato; ove anche non abbia ancora denunciato all'assicuratore di aver ricevuto (in pendenza di contratto) una richiesta risarcitoria, l'assicurato dovrà farlo al massimo entro due anni, pena la prescrizione del suo diritto alla prestazione indennitaria.

L'esclusione dell'ultrattività della garanzia pone l'assicuratore al riparo dal fenomeno dei sinistri cd. “tardivi” (o lungolatenti), per i quali può essere tenuto a prestare la garanzia anche molto tempo dopo la risoluzione del contratto (e l'incasso dell'ultimo premio).

La possibilità di consolidare in un tempo relativamente breve il rapporto tra premi incassati e sinistri pagati consente all'assicuratore di determinare con maggior precisione le riserve tecniche e le future tariffazioni.

A tale interesse dell'assicuratore non sempre corrisponde un effettivo interesse dell'assicurato.

In alcuni casi - ad esempio per chi inizia l'attività assicurata, ovvero per chi sia stato in precedenza sempre adeguatamente assicurato con polizza loss occurrence - può non sussistere un effettivo interesse ad una garanzia per condotte precedenti la stipulazione del contratto, rispettivamente: perché non vi sarà la possibilità di sinistri pregressi, ovvero perché questi ultimi saranno già adeguatamente coperti dalle polizze precedenti.

In tali casi la stipulazione di un contratto regolato dal modello claims made non corrisponde ad un'esigenza dell'assicurando.

Diversamente sussiste un interesse specifico a stipulare una polizza in regime claims made per chi, pur avendo già iniziato un'attività, non sia stato in precedenza assicurato, ovvero per chi lo sia stato, ma con massimali nell'attualità poco capienti.

Ed ha indubbiamente interesse a stipulare un contratto con clausola claims made anche chi in precedenza sia stato assicurato con altra polizza claims made: non operando la garanzia precedente per le richieste risarcitorie successive alla risoluzione del contratto e non contemplando una successiva polizza loss occurrence i fatti anteriori alla stipulazione del contratto, ne residuerebbe un ambito non garantito, né dall'una, né dall'altra polizza; ambito che solo una nuova polizza claims made “pura” sarà dunque in grado di coprire.

Merita infine osservare che l'interesse dell'assicurato a stipulare un contratto con clausola claims made “mista” può essere unicamente ricondotto al beneficio di pagare un premio minore, rispetto a quello di polizze regolate dal modello legale tipico, ovvero dal modello claims made “puro”.

Aspetti processuali, onere della prova

Per principio giurisprudenziale consolidato, il fatto costitutivo del diritto dell'assicurato all'indennizzo consiste in un danno verificatosi in dipendenza di un rischio assicurato e nell'ambito spaziale e temporale in cui la garanzia opera, pertanto sull'assicurato incombe (art. 2697 c.c.) l'onere di dimostrare che si è verificato un evento coperto dalla garanzia assicurativa e che esso ha causato il danno per il quale chiede la copertura ai fini della responsabilità civile (Cass. civ., sez. III, 17 maggio 1997, n. 4426). Le eccezioni sollevate dall'assicuratore convenuto al fine di escludere l'obbligo di prestare la garanzia non valgono a sollevare l'assicurato dall'onere di fornire la prova dell'effettivo verificarsi del sinistro e di ogni altro presupposto del diritto all'indennizzo (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2012, n. 6267).

Con riferimento specifico alla garanzia contro il rischio della responsabilità civile prestata in base al modello claims made, l'assicurato, oltre a produrre la polizza (art. 1888 c.c.), dovrà dunque dimostrare di aver ricevuto la prima richiesta risarcitoria nel corso della vigenza del contratto; ove si tratti di clausola claims made “mista” dovrà provare anche che la condotta lesiva è stata realizzata nell'arco temporale considerato dal contratto medesimo.

Non può qualificarsi come eccezione in senso proprio l'allegazione dell'assicuratore dell'esclusione della garanzia, come delimitata alla luce dei criteri normativi di interpretazione del contratto (nello specifico: sotto il profilo temporale). Tale difesa si sostanzia infatti in una eccezione in senso improprio, risolvendosi nella contestazione della mancanza di prova (incombente sull'assicurato) del fatto costitutivo della domanda; talché l'assicuratore non assume alcun onere probatorio riguardo all'oggetto della copertura assicurativa (Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2012, n. 4234).

Per considerazioni analoghe - non trattandosi di un'eccezione in senso proprio, bensì di mera contestazione difensiva della mancanza di prova del fatto costitutivo della domanda - si è altresì ritenuto che l'allegazione di inoperatività della garanzia assicurativa non sia sottoposta ai termini di decadenza di cui all'art. 167 c.p.c..

Ove non abbia sollevato la questione in precedenza (in via preventiva), l'assicurato potrà tempestivamente contestare l'eccezione di inoperatività della garanzia dell'assicuratore, eventualmente anche deducendo l'invalidità e,o l'inefficacia della clausola claims made, nel primo termine assegnato ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., trattandosi di precisazioni o modificazioni della domanda (volta a far dichiarare l'operatività della garanzia medesima) già proposta; e l'assicuratore potrà controdedurre nel secondo termine assegnato ai sensi della richiamata norma del codice di rito, entro il quale è consentito replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate dell'altra parte, ovvero proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime.

Di norma, ogni questione afferente la clausola claims made è relativa ad un diritto di carattere sostanziale il cui esercizio in campo processuale non incide su interessi pubblici ed ha quindi una rilevabilità condizionata al rispetto del principio dispositivo e del contraddittorio. Ne consegue che (salvo casi particolari) è vietato al giudice porre alla base della propria decisione fatti che non rispondano ad una tempestiva allegazione delle parti, che dunque non solo è necessaria, ma deve essere anche tempestiva, ovvero deve avvenire entro il termine ultimo entro il quale nel processo si determina definitivamente il “thema decidendum” ed il “thema probandum”.

Tuttavia, nella residuale ipotesi che ravvisi la necessità di porre a fondamento della decisione una questione rilevabile d'ufficio, il giudice dovrebbe preventivamente assegnare alle parti (a pena di nullità della decisione) un termine per attuare il contradditorio sulla questione medesima, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c.

Primi approdi giurisprudenziali: nullità, vessatorietà e validità della clausola claims made

Per oltre un decennio e sino al primo intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la giurisprudenza ha offerto soluzioni variegate in tema di clausola claims made, che possono essere ricondotte, in buona sostanza, a tre distinti orientamenti: alcune sentenze di merito hanno dichiarato la radicale nullità della clausola; agli antipodi si pongono quelle decisioni di merito che ne hanno invece ritenuto l'incondizionata validità; in posizione intermedia, quelle pronunce, anche di legittimità, per le quali la clausola è astrattamente lecita e atipica, ma può in concreto risultare vessatoria.

In alcune occasioni è stata dichiarata la radicale nullità della clausola claims made, per ritenuta contrarietà a norma imperativa di legge; tuttavia la Corte di Cassazione, sin dal 2005, ha affermato che il contratto di assicurazione della responsabilità civile con la clausola claims made non rientra nella fattispecie astratta tipica prevista dall'art. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico da ritenersi in linea generale lecito, ai sensi dell'art. 1322 c.c.; giacché atipico e quindi suscettibile di variare notevolmente da caso a caso, ogni questione deve essere affrontata con riferimento al concreto contenuto di ogni singolo contratto ed al particolare tipo di responsabilità oggetto di assicurazione.

A tale principio si è conformata la più parte della giurisprudenza, che ha tuttavia espresso orientamenti contrastanti, da un lato, sul fatto che l'atipicità concerna l'intero contratto, ovvero la sola clausola claims made, dall'altro, sulla possibile vessatorietà della clausola, che introdurrebbe un limite della responsabilità dell'assicuratore, anziché una delimitazione del rischio da questi assunto in garanzia.

Anche quella parte della giurisprudenza di merito che ha ritenuto la clausola claims vessatoria non ha però espresso un orientamento univoco, bensì sostanzialmente triplice, sulle possibili conseguenze della ritenuta vessatorietà.

Da un lato, si è ritenuto che la vessatorietà della clausola claims made non comporta l'invalidità dell'intero contratto, bensì che, ai sensi dell'art. 1932, comma 2, c.c., alla clausola nulla si debba sostituire automaticamente la disciplina codicistica del contratto di assicurazione.

Si è però obiettato che la sostituzione, ad opera del Giudice, del modello codicistico al modello claims made avrebbe un effetto destabilizzante sul sinallagma contrattuale, perché, di fatto, consentirebbe all'assicurato di invocare un modello piuttosto che l'altro, in base al proprio contingente interesse.

Talché, in ipotesi di clausola claims made “mista”, si è ritenuto che l'inefficacia debba incidere esclusivamente sulla parte della clausola che limita la retroattività, con conseguente applicazione del modello claims made c.d. “puro”; ma, anche qui, si è obiettato che una tale soluzione di modifica della previsione contrattuale non sarebbe al giudice consentita.

In termini diametralmente opposti, si è ritenuto che la nullità della clausola determinerebbe quella dell'intero contratto, con l'ulteriore conseguenza che il contraente potrebbe ripetere il premio pagato, ma non essere tenuto indenne; giacché tale premio, commisurato alla adozione della clausola claims made, risulterebbe non più proporzionato nel caso in cui l'obbligo di garanzia permanesse per un arco temporale più ampio, potenzialmente esteso fino allo spirare del termine di prescrizione applicabile alla pretesa del terzo danneggiato.

Altra giurisprudenza di merito ha invece escluso in radice la vessatorietà della clausola claims made, perché, ben lungi dal limitare la responsabilità dell'assicuratore, essa individua e circoscrive l'oggetto del contratto, individuandolo in una prospettiva diversa da quella che discenderebbe dall'applicazione del modello del codice civile: l'assicurato ha modo di garantirsi non soltanto per eventi futuri, ma anche per quelli già verificatisi in un determinato periodo antecedente la stipulazione del contratto.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO: nullità, vessatorietà, validità

Clausola nulla, viola art. 1895 c.c.

Consentendo di garantire rischi già verificatisi al momento della conclusione del contratto, viola il disposto dell'art. 1895 c.c., che sancisce la nullità del contratto di assicurazione ove il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della stipulazione del contratto (Trib. Roma 1 agosto 2006 n. 16975; Trib. Roma 5 gennaio 2007; cfr. anche Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2014, n. 5791).

Clausola valida, non viola art. 1895 c.c.

Il rischio deve ritenersi esistente anche quando la serie causale che ne determina la realizzazione è iniziata in periodo anteriore alla stipulazione del contratto di assicurazione, purché residui una quota di alea coessenziale alla causa del contratto stesso; talché devono ritenersi valide le clausole claims made, perché consentono una certa “ripresa del passato” (Trib. Milano 28 febbraio 2011 n. 2738; cfr. anche Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2014, n. 3622, con esclusivo riferimento al caso in cui la copertura assicurativa sia estesa ai comportamenti anteriori alla stipulazione del contratto, impregiudicata ogni questione circa l'esclusione dell'ultrattività della garanzia)

Clausola nulla, viola art. 1917, I c., c.c.

Non è valida per contrarietà al disposto dell'art. 1917, comma 1, c.c., norma primaria ed imperativa, di immediata applicazione (Trib. Bologna 2 ottobre 2002; Trib. Genova 8 aprile 2008)

Art. 1917, I c., c.c. è derogabile

Il comma 1 dell'art. 1917 c.c. è disposizione derogabile, poiché l'inderogabilità sancita dall'art. 1932 c.c. concerne solo i commi 3 e 4 di tale norma del codice civile (Cass. civ., sez. III, 15 marzo 2005 n. 5624)

Contratto atipico, generalmente lecito, da valutarsi caso per caso

Il contratto di assicurazione della responsabilità civile con la clausola claims made non rientra nella fattispecie astratta tipica prevista dall'art. 1917 c.c., ma costituisce un contratto atipico da ritenersi in linea generale lecito, ai sensi dell'art. 1322 c.c.; giacché atipico e quindi suscettibile di variare notevolmente da caso a caso, ogni questione, ivi compresa quella della vessatorietà o meno della clausola, deve essere affrontata con riferimento al concreto contenuto di ogni singolo contratto ed al particolare tipo di responsabilità oggetto di assicurazione (Cass. civ., sez. III, 15 marzo 2005 n. 5624, cit.; Cass. civ., sez. III, 22 marzo 2013 n. 7273; App. Milano 12 aprile 2013 n. 1585; Trib. Milano, 18 marzo 2010, n. 3527; Trib. Milano 10 gennaio 2012)

Può risultare in concreto clausola vessatoria

Valutare se una specifica clausola claims made risulti in concreto vessatoria si esaurisce in un tipico giudizio di merito che si sottrae al sindacato di legittimità, se immune dai vizi denunciati (Cass. civ., sez. III, 15 marzo 2005 n. 5624, cit.); l'indagine sulla possibile vessatorietà in concreto della clausola claims made non dovrebbe mai prescindere dal considerare con estrema attenzione la comune volontà dei contraenti, in base a tutti i canoni di interpretazione del contratto (App. Milano 12 aprile 2013 n. 1585).

È vessatoria, limita la responsabilità dell'assicuratore

La clausola limita la responsabilità dell'assicuratore in ordine a ipotesi di rischio in relazione alle quali l'assicurato ha, in via generale, intenzione di ottenere una garanzia(Trib. Milano 21 aprile 2009, n. 5235; Trib. Roma 10 aprile 2013); è vessatoria anche la clausola “pura” (App. Napoli 28 febbraio 2001 n. 503; Trib. Rovigo – Adria 17 agosto 2011; Trib. Piacenza 17 aprile 2012 n. 267; Trib. La Spezia 26 novembre 2012); è vessatoria la sola clausola “mista”, che riduce il lasso di tempo, altrimenti fino al decorso della prescrizione, entro il quale rimane fermo l'obbligo dell'assicuratore di tenere indenne l'assicurato (Trib. Milano 18 marzo 2010, n. 3527, Trib. Bari 12 luglio2012; Trib. Milano 10 gennaio 2012; Trib. Trieste, 11 ottobre 2011 n. 1082)

Non è vessatoria, individua l'oggetto del contratto

Non esclude il rischio garantito, ma lo individua in una prospettiva diversa da quella che discenderebbe dall'applicazione del modello del codice civile; avendo lo scopo di individuare e circoscrivere l'oggetto del contratto e non di limitare la responsabilità dell'assicuratore, la clausola si pone al di fuori delle clausole vessatorie, sia per gli effetti di cui all'articolo 1341 c.c., sia con riguardo alla disciplina di tutela del consumatore(App. Roma, 18 gennaio 2012 n. 312; App. Roma, 22 marzo2011 n. 1222; Trib. Napoli, 4 novembre 2013, n. 12129.; Trib. Napoli, 11 febbraio2010; Trib. Catania 15 ottobre 2013, n. 3677; Trib. Catania 3maggio2010, n. 1795; Trib. Catania 12 ottobre 2009; Trib. Bassano del Grappa, 25 maggio2009, n. 381; Trib. Milano 5 luglio2005)

Se la clausola è nulla, si applica l'art. 1917 , I c., c.c.

La vessatorietà della clausola claims made non comporta l'invalidità dell'intero contratto: ai sensi dell'art. 1932, comma 2, c.c., alla clausola nulla si sostituisce automaticamente la disciplina del contratto di assicurazione di cui all'art. 1917, comma 1, c.c. (Trib. Milano 21aprile 2009 n. 5235; App. Milano 20 luglio2012, n. 2655; Trib. Roma10aprile2013; Trib. Rovigo – Adria 17 agosto2011)

Se la clausola “mista” è nulla, si applica il modello claims made “puro”

L'applicazione del paradigma del codice civile avrebbe un effetto destabilizzante: l'assicurato potrebbe scegliere se far operare la co pertura assicurativa per coprire i rischi verificatisi nei dieci anni precedenti alla stipulazione della polizza, ovvero, facendo valere la nullità della clausola, potrebbe coprire così anche le condotte colpose poste in essere durante il periodo di vigenza del contratto, in relazione a tutte le richieste di risarcimento ricevute successivamente, fino alla prescrizione del diritto del terzo danneggiato; l'inefficacia deve incidere esclusivamente sulla parte della clausola che comporta una limitazione della responsabilità ed è coerente con la volontà negoziale manifestata dalle parti applicare la disciplina prevista dalla modello claims made puro (Trib. Milano, 18 marzo 2010 n. 3527, cit.; App. Milano, 31 gennaio 2013 n. 497; contra App. Milano, 20 luglio2012, n. 2655 «un'operazione di “ortopedia” contrattuale non consentita»)

Se la clausola è nulla, determina la nullità dell'intero contratto

È da escludersi, la sopravvivenza della pattuizione in applicazione del primo comma dell'art. 1419 c.c., giacché l'assicuratore non avrebbe stipulato il contratto, a parità di premio, se fosse espunta la clausola claims made, poiché il premio è commisurato all'obbligazione assunta entro un arco temporale circoscritto e ben determinato e risulterebbe non proporzionato ad un'obbligazione di garanzia temporale più ampia ed incontrollabile, potenzialmente estesa fino allo spirare del termine di prescrizione applicabile alla pretesa del terzo danneggiato; se la clausola fosse nulla, essa travolgerebbe l'intero contratto, con la conseguenza che il contraente potrebbe ripetere il premio pagato, ma essere tenuto indenne (App. Roma, 18 gennaio 2012 n. 312)

Il vaglio di meritevolezza della clausola claims made (Cass. civ., Sez. Un. n. 9140/2016)

In tale variegato contesto è giunto l'atteso intervento nomofilattico delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che con sentenza 6 maggio 2016, n. 9140 hanno dato chiara risposta ad alcune delle questioni sollevate dalla precedente giurisprudenza.

In evidenza

La clausola claims made è pattuizione atipica, lecita e non vessatoria; tuttavia, in quanto pattuizione atipica, ne deve essere valutata la meritevolezza, ai sensi dell'art. 1322 c.c..

Le Sezioni Unite hanno risolto anzitutto in senso positivo la «vexata quaestio della validità dell'assicurazione del rischio pregresso» (art. 1895 c.c.), sul rilievo che la retroattività tipica della garanzia prestata in base al modello claims made non fa venir meno l'alea e quindi la validità del contratto: il rischio assicurato si concretizza infatti progressivamente, non esaurendosi con la sola condotta materiale, ma occorrendo altresì la formulazione di una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato. La pattuizione deve dunque ritenersi lecita, perché, seppur già posta in essere la condotta colposa, residua «l'alea dell'avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell'impoverimento patrimoniale del danneggiante-assicurato». Ciò sempre che, al momento della stipulazione della polizza, la parti ne ignorino l'esistenza: in caso contrario (ossia di dichiarazioni inesatte o reticenti), verrebbe in considerazione il disposto degli artt. 1892 e 1893 c.c.

Le Sezioni Unite hanno confermato la derogabilità dell'art. 1917, comma 1, c.c., che consente «di modulare, nella maniera ritenuta più acconcia, l'obbligo del garante di tenere indenne il garantito» e chiarito che «il patto claims made è volto in definitiva a stabilire quali siano, rispetto all'archetipo fissato dall'art. 1917 c.c., i sinistri indennizzabili»: la clausola delinea l'oggetto del contratto, non limita la responsabilità dell'assicuratore. Deve pertanto essere esclusa la possibilità di ritenerla vessatoria e di conseguentemente applicare la tutela ex art. 1341 c.c..

La Corte ha tuttavia evidenziato la necessità «di stabilire fino a che punto i paciscenti possano spingersi nella riconosciuta loro facoltà di variare il contenuto del contratto e quale sia il limite oltre il quale la manipolazione dello schema tipico sia in concreto idonea ad avvelenarne la causa»; deve quindi essere condotto uno scrutinio di validità della clausola sotto il profilo della meritevolezza di tutela della deroga contrattuale al regime legale, ai sensi dell'art. 1322, comma 1, c.c.

Le clausole claims made “pure”, non prevedendo limitazioni temporali alla retroattività e svalutando del tutto la rilevanza del momento di commissione del fatto illecito, in via tendenziale dovranno ritenersi meritevoli di tutela.

L'esito dello scrutinio potrebbe risultare invece «assai più problematico per le clausole claims made “miste”, non solo per “quella, particolarmente penalizzante, che limita la copertura alla sola ipotesi che, durante il tempo dell'assicurazione, intervengano sia il sinistro che la richiesta di risarcimento», ma anche per le altre che prevedono una retroattività limitata della garanzia.

In ogni caso, si tratta di un giudizio di stretto merito insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato tenendo in considerazione tutte le peculiarità del caso concreto.

Se non si approda «a risultati appaganti sulla base di dati propri della clausola, che risultino in sé di fulminante evidenza in un senso o nell'altro», si deve aver riguardo alla natura delle parti, alla possibilità di applicare la disciplina a tutela del consumatore, alle specifiche esigenze correlate all'attività garantita, al «contesto caratterizzato dalla spiccata asimmetria» (nel quale il contraente non predisponente il più delle volte è «sguarnito di esaustive informazioni in ordine ai complessi meccanismi giuridici che governano il sistema della responsabilità civile)» ed a tutti gli altri profili della disciplina pattizia, «quali, ad esempio, l'entità del premio pagato dall'assicurato».

Alla valutazione di immeritevolezza della clausola dovrebbe conseguire «l'applicazione dello schema legale del contratto di assicurazione della responsabilità civile, e cioè della formula loss occurrence»; ciò, da un lato, per gli «spunti esegetici offerti dall'art. 1419 c.c., comma 2» e, dall'altro, per «il precetto dettato dall'art. 2 Cost.», che «consente al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sullo statuto negoziale, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto».

Le Sezioni Unite hanno infine richiamato l'attenzione sulla “delicata questione” della compatibilità della clausola claims made con l'obbligo di assicurare la responsabilità civile connessa all'esercizio della attività professionale, progressivamente introdotto in diversi settori, rimarcando come tale obbligo incida non solo sui rapporti tra assicuratore ed assicurato, ma anche e soprattutto su «quelli tra professionista e terzo, essendo stato quel dovere previsto nel preminente interesse del danneggiato»; ed hanno altresì affermato che «il giudizio di idoneità della polizza difficilmente potrà avere esito positivo in presenza di una clausola claims made, la quale, comunque articolata, espone il garantito a buchi di copertura».

L'intervento nomofilattico della Cassazione nel 2016 ha chiuso un'era, archiviando definitivamente una parte almeno delle questioni affrontate, ma non univocamente risolte, dai precedenti interpreti: in primis, per frequenza e rilevanza, il tema della vessatorietà della clausola claims made.

Se sotto tale profilo la pronuncia delle Sezioni Unite è stata risolutiva, per altro verso è stata foriera di contrasti non dissimili, ma su di un terreno sostanzialmente inesplorato dalla precedente giurisprudenza: quello della meritevolezza di tutela della clausola claims made; terreno insidioso, anche perché ben più vasto di quello della vessatorietà, che da confini, se non altro formali, è delimitato. (M. HAZAN, La claims made è salva! (ma non troppo......), in Ridare.it; M. RODOLFI, La claims made: tra liceità e meritevolezza, quanti problemi per gli operatori del diritto, il legislatore e le associazioni di categoria, in Ridare.it)

Criticità ha comportato altresì l'assunto per il quale, ove la clausola claims made risulti non meritevole di tutela, il giudice dovrebbe necessariamente applicare alla fattispecie la disciplina di cui all'art. 1917, comma 1, c.c., basata sul modello loss occurrence.

Tale soluzione invero presta il fianco ad una puntuale censura già sollevata con riferimento alla questione di vessatorietà: l'assicurato potrebbe far valere o meno l'invalidità (ora per immeritevolezza) della clausola a seconda del proprio contingente interesse, finendo col beneficiare di una garanzia ancor più ampia, sotto il profilo temporale, di quella accordata dallo stesso modello legale; così determinando un indubbio e rilevante squilibrio nel sinallagma contrattuale (F. MARTINI, Le criticità sulla “claims made” dopo le Sezioni Unite: i nodi vengono (subito) al pettine, in Ridare.it; cfr. anche: C. ALTOMARE, Sezioni Unite n. 9140/2016: perché non si scioglie ancora il nodo della claims made, in Ridare.it).

Non meno rilevanti le problematiche inerenti la compatibilità della clausola claims made con l'obbligo di assicurare la responsabilità civile connessa all'esercizio della attività professionale (F. ROSADA, Claims made “impura” e RC professionale: un connubio in crisi, in Ridare.it) e certamente condivisibile l'invito della Suprema Corte a tenerne conto, sia in fase di stipulazione di “convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti”, sia ed in sede di redazione del “decreto presidenziale chiamato a stabilire, per gli esercenti le professioni sanitarie, le procedure e i requisiti minimi e uniformi per l'idoneità dei relativi contratti”; anche per evitare che, in mancanza di specifiche disposizioni normative, la questione sia poi risolta in via giudiziale, con dichiarazione di inidoneità della clausola claims made, perché essa (ma non essa solamente, invero) esporrebbe il garantito “a buchi di copertura”.

Gli interventi del legislatore

L'invito della Corte di Cassazione è stato colto dal Legislatore, che è intervenuto a più riprese, tra il 2016 ed il 2017, per disciplinare il contenuto minimo dei contratti di assicurazione contro il rischio della responsabilità civile, in quegli ambiti per i quali ne era stata già da tempo sancita l'obbligatorietà: per le libere professioni in generale (d.l. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3, comma 5, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. 14 novembre 2011, n. 148) e per la professione di avvocato in particolare (l. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 12).

Per la professione forense, il D.M. Giustizia 22 settembre 2016, all'art. 2 rubricato “Efficacia nel tempo della copertura assicurativa” stabilisce che «l'assicurazione deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata e un'ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l'attività nel periodo di vigenza della polizza».

La previsione di una obbligatoria “retroattività illimitata” implica l'adozione di clausola claims made pura, che tale effetto strutturalmente produce, giacché un contratto di assicurazione regolato dal paradigma dell'art. 1917, comma 1, c.c. (tradizionalmente: act committed o loss occurrence) sarebbe inidoneo allo scopo, non potendo di per sé implicare retroattività alcuna.

La concorrente necessità di “ultrattività almeno decennale” è correlata alla sola eventualità di cessazione della professione, poiché durante l'esercizio della professione permane l'obbligo di assicurazione, che garantisce la continuità assicurativa, evitando i paventati “buchi di copertura”; questa previsione è soddisfatta con l'adozione di una specifica pattuizione (cd. sunset clause), che proroghi l'efficacia della garanzia per il periodo di tempo indicato, dopo la risoluzione del contratto.

L'art. 10 l. 8 marzo 2017 n. 24 (Gelli–Bianco) ha introdotto un generalizzato obbligo di assicurazione (o di adozione di “altre analoghe misure”) per gli esercenti le professioni sanitarie; il successivo art. 11 rubricato “Estensione della garanzia assicurativa” impone una «operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all'impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza».

Anche per tale norma l'adempimento dell'obbligo assicurativo implica l'adozione di clausola claims made, sebbene in questo caso non necessariamente pura, ma anche solo mista, poiché la retroattività richiesta non è illimitata, ma solo decennale; l'articolo in esame è più esplicito dell'art. 2 del D.M. Giustizia 22 Settembre 2016, facendo espresso riferimento agli eventi «denunciati all'assicuratore durante la vigenza della polizza».

La previsione di un concorrente «periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura», concerne anche qui la sola eventualità di «cessazione definitiva dell'attività professionale per qualsiasi causa», giacché il perdurante obbligo di assicurazione durante l'esercizio della professione garantisce la continuità assicurativa.

Da ultimo, l'art. 1, comma 26, della l. 4 agosto 2017, n. 124 (Concorrenza) ha integrato l'art. 3, comma 5, lett. e), del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla l. 14 novembre 2011, n. 148 (inerente le libere professioni in generale), disponendo che, «fatta salva la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al periodo precedente prevedono l'offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura. La disposizione di cui al periodo precedente si applica, altresì, alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione. A tal fine, a richiesta del contraente e ferma la libertà contrattuale, le compagnie assicurative propongono la rinegoziazione del contratto al richiedente secondo le nuove condizioni di premio».

Anche tale norma presuppone un contratto di assicurazione regolato dal modello claims made e sancisce l'obbligo di inserire nelle condizioni generali di contratto una sunset clause, sì da determinarne il costo in via preventiva, anche per le polizze già in essere, a richiesta dell'assicurato.

Risulterebbe di contro priva di senso se riferita a contratti disciplinati dal paradigma dell'art. 1917, comma 1, c.c. (act committed o loss occurrence), che strutturalmente implicano già un'ultrattività della garanzia, non solo decennale, bensì perdurante sino a maturazione del termine di prescrizione del diritto del terzo danneggiato al risarcimento del danno.

I richiamati interventi legislativi, da un lato, danno conto della ritenuta inidoneità del contratto di assicurazione disciplinato dall'art. 1917, comma 1, c.c. a garantire quelle esigenze di tutela che hanno portato ad imporre l'obbligatorietà dell'assicurazione in determinati ambiti, spesso caratterizzati da sinistri lungo latenti; ciò anche nell'interesse del terzo danneggiato (la cui tutela risulta peraltro tuttora incompiuta), garantendo continuità assicurativa, massimali adeguati al tempo di formulazione della richiesta risarcitoria ed una più agevole individuazione dell'assicuratore interessato dal sinistro, con la disposta pubblicità delle polizze in vigore.

Dall'altro lato, svincolano la clausola claims made dall'angolo angusto della pattuizione atipica, codificandola espressamente.

Tipicità della clausola claims made (Cass. civ., Sez. Un. n. 22437/2018)

Nonostante tali indicazioni legislative, non si sono sopite le censure giurisprudenziali inerenti la validità della clausola claims made, che sono culminate in una nuova ordinanza (Cass. civ., ord. 8 gennaio 2018, n. 1465) di remissione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, onde sollecitarne l'intervento su questioni ritenute “di particolare importanza ed ulteriori” rispetto a quelle già risolte nel 2016.

In particolare (e tra l'altro), si è chiesto di chiarire se, nell'assicurazione della responsabilità civile, sia possibile pattuire che il caso assicurato (il “sinistro”) sia, non già la causazione di danno, bensì la richiesta di risarcimento del danneggiato; ed altresì se possa ritenersi meritevole di tutela, ai sensi dell'art.1322c.c., la clausola che stabilisca la spettanza, la misura ed i limiti dell'indennizzo in base alle condizioni contrattuali vigenti non già al momento in cui l'assicurato ha causato il danno, bensì in quello successivo nel quale il terzo danneggiato ha chiesto di essere risarcito.

Agli articolati interrogativi posti dall'ordinanza interlocutoria, con la sentenza 24 settembre 2018, n. 22437, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ritiene di dover dare “una risposta unitaria”, che affronti e risolva direttamente la sottesa problematica di fondo, concernente «il piano della validità delle clausole claims made».

Già nel 2016 si era ritenuta - e viene ribadita - la liceità del meccanismo di operatività temporale del contratto di assicurazione (proprio del modello claims made) legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato (e della retroattività della garanzia che conseguente ne deriva), perché concerne un solo elemento del rischio garantito (la condotta colposa posta già in essere e peraltro ignorata), ma lascia impregiudicata l'alea del progressivo avveramento degli altri elementi costitutivi del rischio medesimo (l'impoverimento patrimoniale del danneggiante-assicurato).

Si riconferma quindi che la clausola claims made inerisce l'oggetto del contratto, delimitando il rischio assicurato sotto il profilo temporale, e che non determina una deviazione strutturale dalla fattispecie negoziale dell'assicurazione contro i danni (art. 1904 c.c.), tale da estraniarla dal tipo («della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe»), ma integra una deroga (consentita ex art. 1932 c.c.) alla disciplina del modello di assicurazione della responsabilità civile (o sotto-tipo) di cui all'art. 1917, comma 1 c.c.

La Corte evidenzia quindi che «nel nostro ordinamento l'assicurazione secondo il modello delle clausole claims made ha trovato espresso riconoscimento legislativo», con norme che hanno recuperato «nel substrato della realtà materiale socio-economica una regolamentazione giuridica pattizia già diffusa nel settore assicurativo».

Sicché è ora la Legge che individua nel contratto di assicurazione regolato da clausola claims made la formula assicurativa “idonea” a garantire il rischio della responsabilità civile sanitaria e dei professionisti in genere e tale idoneità «… si fa apprezzare non solo in riferimento al settore sanitario e delle professioni, ma in linea più generale», ogni qualvolta sussista una «medesima logica assicurativa, ossia quella della copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza».

In evidenza

La clausola claims made è pattuizione tipica, come tale non passibile del vaglio di meritevolezza di cui al comma 2 dell'art. 1322 c.c.; deve essere comunque verificato, ai sensi del comma 1 della medesima norma codicistica, se le astratte previsioni di legge abbiano poi trovato effettiva attuazione nel caso concreto, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell'attuazione del rapporto, con possibili rimedi specifici, pertinenti ai diversi profili eventualmente pregiudicati.

Il modello claims made è dunque oggi «da accettarsi … nell'area della tipicità legale e di quella stessa del codice del 1942, nel suo più ampio delinearsi come assicurazione contro i danni», il che determina il «superamento di un giudizio improntato alla logica propria della "meritevolezza", siccome ancorata al presupposto della atipicità contrattuale (art. 1322 c.c., comma 2)».

Non è tuttavia preclusa la verifica di come la libera determinazione del contenuto contrattuale nel caso concreto rispetti, anzitutto, i «limiti imposti dalla legge», vaglio che «il primo comma dell'art. 1322 c.c.postula per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo, in ragione del suo farsi concreto regolamento dell'assetto di interessi perseguiti dai paciscenti, secondo quella che suole definirsi “causa in concreto” del negozio»; tale indagine non deve arrestarsi «alla sola conformazione genetica del contratto assicurativo», ma deve investire anche «il momento precedente alla sua conclusione e quello relativo all'attuazione del rapporto».

Con riferimento alla «fase prodromica alla conclusione del contratto», la Corte rimarca il fondamentale rispetto degli obblighi informativi, per far conseguire all'assicurato una copertura assicurativa il più possibile aderente alle sue esigenze; ciò in ottemperanza non solo delle specifiche regole dettate dal Codice delle Assicurazioni (d. lgs. n. 209/2005), ma prima ancora dei principi generali (artt. 1175 e 1375 c.c.) «di buona fede, di protezione e di informazione, che devono tendere alla trasparenza ottimale dei contenuti negoziali predisposti, così da consentire alla controparte di rappresentarsi al meglio portata e convenienza degli effetti contrattuali»; la violazione di tali obblighi potrà dar luogo a tutela risarcitoria, che garantisca al contraente pregiudicato il ristoro del danno patito, commisurabile all'entità delle utilità che avrebbe potuto ottenere.

In merito invece all'indagine sul contenuto negoziale, la Corte non ne esclude anzitutto la possibile “implementazione” per violazione della informativa precontrattuale, onde garantire quegli «interessi dell'operazione economica, che non abbiano … trovato puntuale e congruente riscontro nel contratto assicurativo concluso».

Dovrà poi essere attentamente vagliata la c.d. «causa concreta» del contratto, ossia lo scopo pratico che il negozio è diretto a realizzare, in base alle circostanze del caso specifico.

La disciplina legislativa si colloca infatti «sul piano astratto della standardizzazione del contenuto contrattuale che salvaguardia la garanzia minima per evitare i c.d. “buchi di copertura”», ma una condotta improntata a buona fede e correttezza impone altresì che il prodotto assicurativo sia adeguato alle concrete esigenze dell'assicurato: un «arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacché … la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale», potrebbe «essere interpretato come sintomo di carenza della causa in concreto dell'operazione economica».

Per l'assicurazione della responsabilità civile sanitaria e dei professionisti in genere, la Legge fissa le coordinate di base, inderogabili in pejus, individuando in esse non solo il substrato del modello negoziale “meritevole”, ma la stessa “idoneità” del prodotto assicurativo a salvaguardare gli interessi sottesi, «anche di natura pubblicistica, ossia la tutela del terzo danneggiato, che disvela il valore sociale dell'assicurazione».

In evidenza

Laddove sia ritenuta la nullità parziale del contratto di assicurazione regolato da clausola claims made, per integrare lo statuto negoziale ai sensi dell'art. 1419, comma 2, c.c., il giudice dovrà fare riferimento alle specifiche indicazioni della normativa di settore, non più al disposto dell'art. 1917, comma 1, c.c.

La violazione di quanto stabilito dalla legge comporterà la nullità del contratto, ai sensi dell'art. 1418 c.c., ed il giudice potrà eventualmente integrare lo statuto negoziale, ex art. 1419, comma 2, c.c., «attingendo quanto necessario … dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa» speciale, «non già tramite il modello della c.d. loss occurrence di cui all'art. 1917, primo comma, c.c.».

La Legge di settore presenta infatti «multiformi calibrature, modellando l'assicurazione claims made secondo varianti peculiari (ad es., la deeming clause e/o la sunset clause) anche tra loro interagenti, così da mostrare una significativa elasticità di adattamento rispetto alla concretezza degli interessi da soddisfare»; ciò anche per i «rapporti assicurativi sorti prima dell'affermarsi del regime di obbligatorietà» e rappresenta altresì un possibile «criterio guida nell'interpretazione della stipulazione intercorsa … anche in settori diversi da quello sanitario o professionale e, segnatamente, in quelli che postulano l'esigenza di una copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/o caratterizzati da una lungolatenza».

Quanto alla «fase dinamica del rapporto», la Corte evidenzia la assoluta criticità della clausola che attribuisce all'assicuratore la facoltà di recesso dal contratto al verificarsi del sinistro, perché determina una «frustrazione dell'alea del contratto, che si viene a parametrare sul termine ultimo di durata della copertura assicurativa, rispetto alla quale i premi stessi sono calcolati e corrisposti …, non emendabile con la liberazione dell'assicurato dal versamento della parte dei premi residui».

Senza dubbio «per il futuro viene chiaramente indicata la strada da percorrere» (M. RODOLFI, La clausola claims made è valida, lecita, tipica, ma dovrà essere oggetto di un'indagine ad ampio spettro, in Ridare.it).

Considerazioni conclusive

Se nel 2016 hanno chiuso l'era della vessatorietà, nel 2018 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ufficialmente aperto l'epoca della tipicità del claims made, unico modello contrattuale idoneo ad assicurare non solo il settore della sanità e delle libere professioni (ex lege), ma altresì ogni altro contesto che presenti la medesima esigenza di garanzia contro il rischio di danni caratterizzati da eziologia incerta e,o lungolatenza; da tale preliminare rilievo non pare più possibile prescindere.

La Corte di Cassazione riconsidera pertanto il suo stesso precedente assunto per il quale, ove il contratto di assicurazione regolato da clausola claims made sia affetto da invalidità parziale, il giudice potrebbe integrarne il contenuto applicando la disciplina dell'art. 1917, comma 1, c.c., basata sul modello loss occurrence; soluzione inappagante che ingenera un rilevante squilibrio nel sinallagma contrattuale, perché consente all'assicurato di far valere un modello piuttosto che l'altro in base al proprio contingente interesse.

Attesa l'intervenuta codificazione, per integrare lo statuto negoziale ai sensi dell'art. 1419, comma 2, c.c., onde garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti, prevenire o reprimere l'abuso del diritto e ripristinare in modo coerente l'equilibrio dell'assetto vulnerato, dovrà ora farsi riferimento alle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa, che, per la sua imperatività, viene a somministrare delle “regole di struttura”, orientate a rendere il contratto regolato da clausola claims made idoneo allo scopo (sotto duplice profilo, di tutela dell'assicurato e di protezione sociale).

La Legge impone l'obbligo assicurativo continuativo per l'intera durata della professione, con retroattività illimitata (per gli avvocati) o decennale (per il settore sanitario), che pone al riparo dai paventati “buchi di copertura” sotto il profilo di operatività temporale della garanzia, perché vi sarà (o dovrebbe esservi) sempre una polizza in vigore; ciò esclude la necessità di ricorrere, durante l'esercizio professionale, ad una garanzia postuma; l'ultrattività (decennale) della garanzia concerne infatti la sola eventualità di cessazione dell'attività professionale per qualunque causa (giacché vien meno l'obbligo di stipulare un nuovo contratto).

Fuor da tale eventualità (per la quale opera la sunset clause), non potrà ritenersi l'invalidità del contratto per il fatto che esclude le richieste risarcitorie postume (pervenute dopo la risoluzione del contratto), perché questo è effetto tipico del modello claims made adottato dal Legislatore.

La Corte di Cassazione ritiene il «riferimento alla sola “denuncia” dell'evento alla compagnia di assicurazione» nell'art. 11 della l. n. 24/2017 evochi l'adozione di cd. “deeming clause”, clausola che (sostanzialmente) equipara la denuncia cautelativa alla denuncia di sinistro, rendendo la garanzia operante per i fatti che l'assicurato rappresenta all'assicuratore pur non avendo (ancora) ricevuto una richiesta risarcitoria da parte del terzo danneggiato, nell'eventualità che tale richiesta giunga dopo la risoluzione del contratto (C. ALTOMARE, La “claims made” apre alla copertura delle circostanze note con la “deeming clause, in Ridare.it); la proposta lettura della norma di legge è forse forzata, ma sicuramente opportuna sarebbe la generalizzata adozione di deeming clause.

La denuncia di un possibile (futuro) sinistro realizza (ed anticipa) quella collaborazione che gli artt. 1914 e 1915 c.c. impongono all'assicurato in caso di sinistro e contribuisce altresì alla corretta rappresentazione del rischio, onere che grava sullo stesso assicurato, non solo nelle fasi preliminari alla stipulazione (artt. 1892, 1893 c.c.), ma altresì per l'intera durata del rapporto contrattuale (art. 1898 c.c.); se un determinato comportamento è auspicabile (ovvero espressamente richiesto) non può riverberarsi in danno di chi con trasparenza ottempera: non solo nell'ipotesi in cui si veda opporre la risoluzione del contratto (contraria a buona fede, se volta ad elidere l'obbligo indennitario), ma altresì nell'eventualità che il contratto si risolva per naturale scadenza o su richiesta dello stesso assicurato; in ogni caso risulterebbe di fatto preclusa la possibilità di ottenere garanzia per le conseguenze di quanto denunciato in via cautelativa.

L'equiparazione della denuncia cautelativa a quella di sinistro, con l'adozione di deeming clause, risolve in radice tali problematiche e mitiga di fatto le conseguenze, altrimenti rigide, dell'assenza di garanzia postuma.

Le Sezioni Unite rimarcano la criticità della clausola che consente all'assicuratore l'anticipato recesso dal contratto; la liceità di tale clausola è peraltro già espressamente esclusa per le polizze degli avvocati (art. 2, comma 2, D.M. Giustizia 22 settembre 2016), mentre per le polizze del comparto sanità è vietata solo con riferimento (e forse impropriamente per questo) all'ultrattività decennale della garanzia (art. 11, ultima parte, l. n. 24/2017).

La Corte di Cassazione altresì ribadisce il fondamentale rispetto degli obblighi di buona fede, di protezione e di informazione che devono «consentire alla controparte di rappresentarsi al meglio portata e convenienza degli effetti contrattuali»; i limiti temporali di operatività della garanzia indotti dalla clausola claims made non sono di immediata evidenza e spesso neppure posti in chiaro risalto, talché possono non essere colti affatto da chi non ha competenza in materia. La violazione di tali obblighi rileva sotto il profilo risarcitorio, pur se il contratto risulta validamente concluso.

Non si dubita che i nuovi contratti rispetteranno le condizioni inderogabili previste dalla legge, ma la Corte di Cassazione afferma che la disciplina delineata dovrà applicarsi anche ai rapporti contrattuali sorti prima dell'entrata in vigore della legge; e questo è l'ambito in cui si registreranno, con tutta evidenza, le criticità maggiori.

L'articolata sentenza 24 settembre 2018, n. 22437della Corte di Cassazione a Sezioni Unite è estremamente chiara nelle sue coordinate di base e ricca di spunti per riflessioni ulteriori; sta ora all'interprete maturare la consapevolezza che talune contestazioni, seppur giustificate nella forma, sono destinate a cedere il passo; ed abbandonare al contempo quell'atteggiamento iconoclasta, talvolta preconcetto, più spesso interessato, che frequentemente ha accompagnato l'approccio alla tematica del claims made.

Casistica

La clausola claims made non è vessatoria, ma può risultare nulla per difetto di meritevolezza di tutela; la relativa valutazione non è sindacabile in sede di legittimità

Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l'operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati (c.d. claims made mista o impura) non è vessatoria; essa in presenza di determinate condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di cui al d. lgs. n. 206/2005, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata (Cass. civ, Sez. Un., sent. 6 maggio 2016 n. 9140).

La clausola che esclude sia la retroattività che l'ultrattività della garanzia è non meritevole di tutela; in sua sostituzione opera l'art. 1917 c.c.

Il contratto di assicurazione che limiti la copertura assicurativa alla sola ipotesi che, durante il tempo dell'assicurazione, intervenga sia il sinistro che la richiesta di risarcimento, appare del tutto incompatibile proprio con lo schema della responsabilità professionale quando, in ragione delle caratteristiche dell'opera intellettuale prestata e della inevitabile discrasia temporale tra l'esecuzione della prestazione e la manifestazione del danno, è pressoché impossibile che in uno stesso anno si verifichi sia la condotta (o l'omissione) del professionista che la richiesta risarcitoria da parte del terzo danneggiato. Quando la clausola detta “claims made” non sia dunque meritevole di tutela dovrà essere dichiarata nulla e sostituita di diritto dalla corrispondente disposizione di legge contenuta nell'art. 1917 c.c., con la conseguenza che tale clausola sarà ritenuta inefficace nella parte della pattuizione che, invece che coprire i rischi verificatisi nei dieci anni precedenti alla stipulazione della polizza, limiti la garanzia ai rischi nel limitato periodo temporale (Trib. Milano, sez. I, sent. 15 giugno 2016, n. 7149) .

La clausola che prevede una seppur limitata retroattività è lecita e meritevole di tutela, purché sussista un interesse alla garanzia per eventi pregressi rispetto alla stipulazione della polizza

Nelle clausole claims made miste, che estendono, sia pure con limitati confini temporali, la garanzia al pregresso, l'apprezzamento di meritevolezza non potrà non farsi carico del rilievo che il sinallagma contrattuale, che nell'ultimo periodo di vita è destinato ad operare in misura molto modesta, per la copertura delle condotte realizzate nel relativo arco temporale, continuerà ad operare con riferimento alle richieste risarcitorie avanzate a fronte di comportamenti dell'assicurato antecedenti alla stipula. Pertanto, in caso di continuità di prestazioni mediche offerte dall'assicurato, quale struttura ospedaliera, il cui interesse a vedersi tutelato per eventi verificatisi anteriormente alla entrata in vigore della polizza realizza una sufficiente meritevolezza, - diversamente che nel soggetto esordiente che della copertura del rischio pregresso per nulla potrà giovarsi, mancando l'interesse ad assicurare inesistenti sue condotte precedenti alla stipula -, una tale clausola può dirsi lecita e meritevole di tutela, senza dovere essere integrata o modificata, ex art. 1419, comma 2 c.c., per conseguire un più corretto contemperamento di interessi, così come suggerito dalla Suprema Corte per l'ipotesi di vaglio negativo della detta meritevolezza (Trib. Napoli, sez. II civ., sent. 20 giugno 2016, n. 7807).

Non può negarsi la validità della clausola claims made per la mancanza di garanzia postuma, deriva dalla legge

La legittimità della clausola claims made è sancita dallo stesso Legislatore, il quale, con l'art. 11 della c.d. legge Gelli-Bianco, pone la claims made impura e senza postuma (se non in caso di cessazione dell'attività) come modello obbligatorio esclusivo per assolvere l'obbligo assicurativo in campo medico-sanitario. Con ciò viene battuto in breccia qualsiasi tentativo di vagliarne la meritevolezza ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., quanto meno sotto il profilo dell'assenza di una copertura postuma, atteso che la sua ammissibilità è stata comunque sancita dal Legislatore, imponendo l'adozione proprio di questo modello contrattuale (Trib. Catania, sez. V civ., sent. 3 aprile 2018, n. 1456).

La clausola claims made è pattuizione tipica, non passibile del vaglio di cui all'art. 1322, comma 2, c.c., ma sussistono rimedi pertinenti ai diversi profili eventualmente pregiudicati

Il modello dell'assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, che è volto ad indennizzare il rischio dell'impoverimento del patrimonio dell'assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell'assicurazione contro i danni, quale deroga consentita all'art. 1917 c.c., comma 1, non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all'assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell'attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati (Cass. civ, Sez. Un., sent. 24 settembre 2018, n. 22437).

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