Fauna selvatica (danni causa da)

Laura Cortellaro
14 Aprile 2014

Secondo la prevalente giurisprudenza i danni cagionati da animali selvatici vanno esclusi dall'ambito di applicazione dell'art. 2052 c.c., dovendo essere ricondotti, in assenza di specifiche disposizioni, all'art. 2043 c.c., con conseguente onere in capo al danneggiato di dimostrare, oltre al nesso di causalità e all'evento dannoso, il comportamento colposo attivo o omissivo ascrivibile all'ente pubblico (Cass. civ., 6 ottobre 2010, n. 20758; Cass. civ., 20 maggio 2010, n. 12437; Cass. civ., 4 marzo 2010, n. 5202; Cass. civ., 20 novembre 2009, n. 24547). La norma fondamentale in materia è costituita dalla l. n. 157/1992, il cui art. 1 ha previsto che «la fauna selvatica italiana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale». Con questa disposizione la fauna selvatica è passata dal regime delle res nullius a patrimonio dello Stato, che risulta quindi proprietario in senso tecnico della stessa, essendo questa stata inclusa tra i beni patrimoniali indisponibili di cui all'art. 826 comma 2 c.c. A seguito dell'entrata in vigore della legge quadro sulla caccia (l. 27 dicembre 1977 n. 968) la dottrina maggioritaria ha sostenuto l'applicabilità della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. in capo alla P.A. per gli incidenti stradali causati da animali selvatici.

Nozione

Secondo la prevalente giurisprudenza i danni cagionati da animali selvatici vanno esclusi dall'ambito di applicazione dell'art. 2052 c.c., dovendo essere ricondotti, in assenza di specifiche disposizioni, all'art. 2043 c.c., con conseguente onere in capo al danneggiato di dimostrare, oltre al nesso di causalità e all'evento dannoso, il comportamento colposo attivo o omissivo ascrivibile all'ente pubblico (Cass. civ., 6 ottobre 2010, n. 20758; Cass. civ., 20 maggio 2010, n. 12437; Cass. civ., 4 marzo 2010, n. 5202; Cass. civ., 20 novembre 2009, n. 24547).

La norma fondamentale in materia è costituita dalla l. n. 157/1992, il cui art. 1 ha previsto che «la fauna selvatica italiana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale». Con questa disposizione la fauna selvatica è passata dal regime delle res nullius a patrimonio dello Stato, che risulta quindi proprietario in senso tecnico della stessa, essendo questa stata inclusa tra i beni patrimoniali indisponibili di cui all'art. 826 comma 2 c.c.

A seguito dell'entrata in vigore della legge quadro sulla caccia (l. 27 dicembre 1977 n. 968) la dottrina maggioritaria ha sostenuto l'applicabilità della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. in capo alla P.A. per gli incidenti stradali causati da animali selvatici.

A fondamento di tale affermazione è stato posto il c.d. principio del cuius commoda eius et incommoda, al fine diassicurare la corretta composizione degli interessi confliggenti – per cui la scelta costituzionalmente rilevante della protezione della natura non può ricadere, nelle sue conseguenze dannose, solo su singoli danneggiati – sia la realizzazione del criterio della gestione economicamente razionale del rischio – che richiede l'adozione di una regola di responsabilità capace di minimizzare i costi dell'evento dannoso (in tal senso, l'applicazione dell'art. 2052 c.c. predisporrebbe un sistema efficiente di assicurazione sociale del rischio creato).

Tuttavia, tale tesi dottrinale è fortemente contrastata dalla giurisprudenza di legittimità, che invece esclude l'applicabilità dell'art. 2052 c.c.per tali ipotesi di danni, riconoscendo la pretesa risarcitoria per l'eventuale violazione del dovere di neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c., a causa della difficoltà di ravvisare in questa ipotesi i presupposti della sorveglianza nonché del rischio legato al vantaggio dato dall'uso dell'animale caratterizzanti l'art. 2052 c.c.

Infatti, in relazione alla fauna selvatica, stante lo stato di completa libertà in cui si trova, non è ipotizzabile una potestà di governo sugli animali. Ne consegue che la pubblica amministrazione, a cui non è riconosciuto il potere-dovere di inibire il libero spostamento della fauna, non assume la veste di dominus in senso tecnico, e non può quindi essere assoggettata a responsabilità secondo i criteri previsti dall'art. 2052c.c.

L'applicazione dell'art. 2043 c.c. comporta la conseguente complessità probatoria legata alla necessità di dimostrare la colpa della P.A. nella causazione del danno (cfr. ex multisCass. civ., sez. III, 04 marzo 2010, n. 5202).

In proposito, la giurisprudenza ha riconosciuto la responsabilità dell'Amministrazione proprietaria della strada (o dell'ente concessionario), ai sensi dell'art. 2043 c.c., per mancata predisposizione dell'apposita segnaletica di pericolo di attraversamento da parte di animali selvatici vaganti, o delle altre misure idonee ad evitare collisioni fra automobilisti e selvaggina, quali l'apposizione di recinzioni laterali e di pali della luce, nonché per mancata manutenzione della strada (Cass. civ., 21 novembre 2008 n. 27673; Cass. civ., 28 marzo 2006 n. 7080; Cass. civ., 25 novembre 2005 n. 24895).

Il differente regime di responsabilità dei danni cagionati dalla fauna selvatica rispetto a quelli causati dagli animali domestici è stato ritenuto costituzionalmente legittimo dalla Consulta, la quale ha affermato che «nel caso in cui il danno è arrecato da un animale domestico (o in cattività), è naturale conseguenza che il soggetto nella cui sfera giuridica rientra la disponibilità e la custodia di questo si faccia carico dei pregiudizi subiti da terzi secondo il criterio di imputazioneex art. 2052 c.c., laddove i danni prodotti dalla fauna selvatica, e quindi da animali che soddisfano il godimento dell'intera collettività, costituiscono un evento puramente naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario e solidaristico di imputazione della responsabilità civile ex art. 2043 c.c.» (C. cost., 4 gennaio 2001, n. 4).

Legittimazione passiva

In forza della l. 157/1992, i danni cagionati dagli animali selvatici a persone e a cose sono imputati, previo giudizio di colpevolezza, alle Regioni, alle quali sono state trasferite le funzioni concernenti la tutela della fauna e la disciplina della caccia.

Depone in tal senso un indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l'ente preposto alla tutela risarcitoria dei terzi danneggiati dagli animali selvatici è la Regione, in quanto - come titolare del potere di controllo e gestione della fauna selvatica - è obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la stessa arrechi danni a persone o cose e, in caso di violazione di tale obbligo, diventa responsabile, ex art. 2043 c.c., dei pregiudizi che ne sono derivati in capo a terzi, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme (cfr. Cass., 14 febbraio 2000, n. 1638; Cass., 13 dicembre 1999, n. 13956)

Tale conclusione muove appunto dall'assunto che «sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la L. 157/1992 attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma 3 l. 157/1992) e affida alle medesime i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna selvatica ad esse delegate ai sensi della L. n. 142 del 1990 (art. 9 comma primo)» (cfr. da ultimo Cass., 16 novembre 2010, n. 23095; Cass., 13 gennaio 2009, n. 467). In ogni caso non sarebbe mai configurabile una responsabilità concorrente o esclusiva dell'ente provinciale, poiché, quand'anche la regione avesse delegato i relativi poteri e funzioni alla Provincia, essa rimarrebbe responsabile in quanto «la delega non fa venir meno la titolarità dei poteri di gestione e deve essere esercitata nell'ambito delle direttive dell'ente delegante» (Cass., 1 agosto 1991, n. 8470).

Secondo altro orientamento, sostenuto da una parte della giurisprudenza di merito, la responsabilità aquiliana per danni da fauna selvatica andrebbe ascritta esclusivamente alle Province, sul rilievo che ad esse spetta l'esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione della fauna, nell'ambito del loro territorio, in forza dei compiti rilevanti di volta in volta attribuiti dalle singole leggi regionali.

Il più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità si pone in una posizione mediana rispetto alle posizioni suesposte, ritenendo che la responsabilità extracontrattuale debba essere imputata all'ente — sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione — a cui siano stati concretamente affidati, anche in attuazione della legge n. 157/1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione, tutela e controllo della fauna ivi insediata. Tale soggetto è infatti meglio in grado di prevedere, prevenire ed evitare gli eventi dannosi del genere di quello del cui risarcimento si tratta (Cass. civ., 6 ottobre 2010, n. 20758; Cass. civ., 8 gennaio 2010, n. 80).

In proposito «la responsabilità aquiliana per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all'ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc, a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che derivino da delega o concessione di altro ente (nella specie della Regione). In quest'ultimo caso, sempre che sia conferita al gestore autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l'attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all'esercizio dell'attività, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni» (Cfr. Cass., sez. III 8 gennaio 2010 n. 80).

Se l'incidente si è verificato in una zona protetta facente parte di un Parco Nazionale o di una riserva naturale, i soggetti deputati alla gestione ed al controllo degli animali selvatici sono rispettivamente l'Ente parco e l'Ente locale individuato dalla normativa regionale (Cass. civ., 20 novembre 2009, n. 24547).

Qualora vi sia un concessionario della riserva di caccia, la legittimazione passiva spetta a quest'ultimo (Cass. civ., 12 agosto 1991, n. 8788).

Quanto a incidenti cagionati da animali vaganti sulle autostrade, la giurisprudenza più recente si è orientata nel senso della configurabilità di una responsabilità da custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c., attesa la sussistenza di effettivi poteri di disponibilità e controllo in capo alla P.A. o al soggetto concessionario (Cass. civ., 19 maggio 2011 n. 11016).

Giurisdizione

Le Sezioni Unite hanno sancito che spetta al giudice ordinario la cognizione della domanda promossa dal cittadino per conseguire dalla p.a. il risarcimento dei danni cagionati dall'improvviso attraversamento della sede stradale da parte della fauna selvatica (Cass. civ. S.U., 2 dicembre 2011, n. 25764; Cass. civ. S.U., 24 marzo 2005, n. 6332).

In tale ipotesi non può trovare applicazione l'art. 7, comma 3, l. 6 dicembre 1971, n. 1034 (c.d. legge TAR), oggi confluito nell'art. 7, comma 4, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo) «perché detta norma – la quale prevede che quando è chiesto al giudice amministrativo, facendosi valere un interesse legittimo, l'annullamento del provvedimento amministrativo, alla domanda principale d'annullamento può essere cumulata una domanda di risarcimento del danno – non opera allorché, difettando un provvedimento amministrativo, manchi una domanda d'annullamento ed il privato proponga esclusivamente una domanda di risarcimento del danno nei confronti della P.A.».

Il cittadino, infatti, lamenta la lesione di un proprio diritto soggettivo, provocata da una condotta illecita (attiva o, più spesso, omissiva) non provvedimentale dell'Amministrazione, consistente nell'inosservanza delle regole tecniche e/o dei comuni canoni di diligenza e prudenza necessari a far sì che il bene pubblico non sia fonte di danno per i privati. Pertanto, la domanda non investe scelte e atti autoritativi dell'Amministrazione, ma un'attività soggetta al rispetto del dovere generale del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. a tutela dell'incolumità dei cittadini e dell'integrità del loro patrimonio.

Danni cagionati dallo scontro tra animali e veicoli

Nell'ipotesi di scontro tra un veicolo ed un animale, la giurisprudenza è costante nel configurare un concorso tra le presunzioni sancite dagli artt. 2052 e 2054 c.c., rispettivamente a carico del proprietario o dell'utente dell'animale e del conducente dell'autovettura, per cui è fatta salva la responsabilità solidale del proprietario della stessa.

La Cassazione del 19 aprile 1983 n. 2717 ha in tal senso osservato che «in tema di responsabilità aquiliana, la presunzione di colpa di cui all'art. 2052 c.c. ben può concorrere con quella di cui al successivo art. 2054, onde dei danni prodotti dall'urto tra un autoveicolo ed un animale la sussistenza e la misura della responsabilità dei rispettivi proprietari deve essere determinata in base alle modalità del fatto concreto»(così anche Cass. civ., 9 dicembre 1992, n. 13016).

Onere della prova

Sul conducente del veicolo grava l'onere di provare che il danno si è verificato per il comportamento dell'animale, altrimenti rimane operante la presunzione di responsabilità a suo carico, in quanto il nesso di causalità tra condotta di guida e danno deve ritenersi in re ipsa.

Nel caso in cui nessuna delle parti fornisca la prova liberatoria richiesta dagli artt. 2052 e 2054 c.c., secondo un primo orientamento, entrambe le parti sono tenute a rispondere in pari misura per l'intero ammontare dei danni, con la conseguenza che il conducente del mezzo è tenuto a rimborsare al proprietario la metà del valore dell'animale e, corrispondentemente, il proprietario deve risarcire al conducente la metà dei danni da questo patiti (Cass. civ., 9 gennaio 2002, n. 200); un altro indirizzo, invece, esclude la responsabilità concorrente delle parti in relazione alla totalità dei danni, ritenendo che, ove il guidatore agisca nei confronti del padrone della bestia, questi risponde integralmente dei soli pregiudizi recati al conducente ed al veicolo. Per contro il guidatore, se richiesto, risponde in toto dei soli danni cagionati all'animale (App. Venezia, 26 ottobre 2000; Trib. Cagliari, 25 febbraio 1985).

Qualora invece concorrano, nel medesimo evento dannoso, le due presunzioni di responsabilità, ciascuno dei due soggetti risponde delle conseguenze dell'evento in proporzione alla misura della colpa accertata nel caso concreto (App. Cagliari, 16 aprile 1985).

Il concorso tra le due presunzioni ex art. 2052 c.c. ed ex art. 2054 comma 1 c.c., sussiste sia allorché il danneggiato sia un terzo rispetto al proprietario/utente dell'animale ed al conducente dell'autoveicolo, sia quando la persona del danneggiato coincida con quella del conducente. In tale ultimo caso, secondo la giurisprudenza il concorso di responsabilità del guidatore nella produzione del danno da lui subito opera secondo la struttura dell'art. 1227 comma1 c.c. (applicabile anche in materia di responsabilità extracontrattuale, in forza del rinvio disposto dall'art. 2056 c.c.), ossia nei termini di accertamento del fatto colposo del creditore nella causazione dell'evento lesivo, con conseguente diminuzione della somma spettante a titolo risarcitorio. A differenza che nella normale applicazione dell'art. 1227 c.c., però, il concorso del fatto colposo del creditore, conducente dell'autoveicolo, si presume, ai sensi dell'art. 2054 comma1 c.c. (Cass. civ., 25 gennaio 2011, n. 1736).

Diverso è il caso in cui il sinistro si sia verificato mentre l'animale era al traino di un veicolo e pertanto ne costituiva parte integrante. In tale ipotesi deve applicarsi il comma 2 dell'art. 2054 c.c., che prevede una presunzione a carico dell'altro conducente, il quale sarà liberato da responsabilità sia attraverso la prova che la responsabilità appartiene interamente al primo conducente, sia che è parimenti di quest'ultimo in misura superiore alla metà (Cass., 9 dicembre 1992, n. 13016), anche qualora si tratti di danni cagionati dall'improvviso imbizzarrimento dell'animale (Cass., 16 agosto 1960, n. 2383).

Alle stesse conclusioni deve giungersi nell'ipotesi in cui l'animale venga utilizzato di per sé come veicolo, senza alcun ausilio di mezzi meccanici. Difatti, non vi è ragione, in caso di sinistro, di disapplicare la presunzione di responsabilità concorrente prevista dall'art. 2054 comma 2 c.c. Secondo il Tribunale di Massa Carrara, 27 luglio 1993, «nell'ipotesi di scontro stradale tra autoveicolo e cavallo da sella condotto da cavaliere in sella possa applicarsi - oltre alla generale presunzione di cui all'art. 2052 c.c. -, sia pure in via analogica, la presunzione di pari colpa prevista dall'art. 2054 c.c. a carico di conducenti di veicoli tra loro collidenti, considerando che detto animale - pur privo di carretto - qualora venga condotto da soggetto in sella, e non da terra con le redini, si inserisce - al pari di un velocipede- nel pubblico traffico stradale quale veicolo, sia pure lato sensu, utilizzato per la circolazione nelle vie pubbliche».

Danni all'agricoltura

Il legislatore ha previsto una disciplina speciale per i danni all'agricoltura arrecati da animali selvatici, che costituisce un'area ben delimitata di responsabilità aggravata della pubblica amministrazione, non essendo ammessa la prova liberatoria del caso fortuito, salva l'eventuale limitazione legale dei danni risarcibili.

A riguardo, l'art. 10, l. n. 157/1992 demanda ai piani faunistico-venatori di competenza provinciale la specificazione dei «criteri per la determinazione del risarcimento in favore dei conduttori dei fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi vincolati per gli scopi di cui alle lettere a), b) e c)» (ovvero nelle oasi di protezione, destinate al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica; nelle zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa a scopo di immissione; nei centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, ai fini di ricostituzione delle popolazioni autoctone).

Si prevede, inoltre, all'art. 26, la Costituzione a cura di ogni regione di un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti «per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall'attività venatoria».

Si ricorda, infine, la disciplina relativa ai parchi naturali, che si articola essenzialmente, oltre che nelle leggi istitutive dei parchi storici, nella legge quadro sulle aree protette del 6 dicembre 1991 n. 394, nonché nelle leggi regionali istitutive dei parchi naturali regionali e nei regolamenti adottati dagli Enti parco. In tali disposizioni normative sono previste varie forme di compenso o indennizzo.

Casistica

Cani

  • Tra i danni causati da aggressioni da parte di cani randagi nei confronti di persone o di animali domestici. In materia trova applicazione la legge quadro l. 14 agosto 1991, n. 281, che ha previsto l'obbligo a carico di Regioni, Comuni e Aziende Sanitarie Locali di svolgere funzioni di organizzazione, prevenzione e controllo dei cani vaganti, sia randagi («non tatuati»), sia scomparsi o smarriti dai proprietari («tatuati»). Tuttavia, la mancanza nella legge quadro n. 281/1991 di una netta suddivisione dei doveri istituzionali fra i soggetti pubblici e la diversità di previsioni contenute nelle leggi regionali hanno favorito l'insorgere di un contrasto circa l'individuazione dell'ente tenuto a rispondere ex art. 2043 c.c. dei pregiudizi cagionati dai cani randagi.
  • Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, il Comune, in quanto titolare di compiti di organizzazione, prevenzione e controllo dei cani vaganti (sia «tatuati», sia «non tatuati»), ha l'obbligo, accanto agli altri soggetti indicati dalla legge, di evitare che gli animali randagi arrechino danni e disturbo alle persone nel territorio di propria competenza, rispondendo, in caso di mancata adozione di misure contro il randagismo, ai sensi dell'art. 2043 c.c. per i danni patiti dai soggetti aggrediti lungo le strade comunali (in tal senso Cass. civ., 23 agosto 2011, n. 17528; Cass. civ., 28 aprile 2010, n. 10190).
  • A tale filone è riconducibile anche la posizione di quella giurisprudenza che ravvisa una responsabilità aquiliana del Comune in solido con quella dell'Azienda Sanitaria Locale, affermando che a quest'ultima spetta il controllo ed il contenimento del randagismo ai fini della tutela della salute pubblica, mentre l'ente locale è sempre titolare di un potere-dovere di vigilanza sull'attività della ASL (Cass. civ., 20 luglio 2002, n. 10638).
  • Unsecondo orientamento tende ad esonerare gli enti locali dalla responsabilità per i danni causati alle persone aggredite e morse dai cani randagi, qualora la legge regionale attribuisca la competenza per la lotta contro il randagismo ai servizi veterinari delle aziende sanitarie locali, considerando che dopo il d. lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 le ASL non sono più strutture operative dei comuni, ma soggetti giuridici autonomi dipendenti dalla Regione, con la conseguenza che l'ente territoriale non può ritenersi responsabile per culpa in vigilando sull'operato dell'ASL (cfr. Cass. 3 aprile 2009 n. 8137; Cass. 7 dicembre 2005 n. 27001; Cass. 12 luglio 2004 n. 12865).

Cinghiali

  • Secondo Cass. civ. sez. III 10 ottobre 2007 n. 21282 «è obbligo delle regioni provvedere ad approntare misure idonee per evitare che la fauna selvatica arrechi danni a cose o persone, con la conseguenza che è il suddetto ente obbligato a risarcire i danni causati da un cinghiale a un automobilista di passaggio, a nulla rilevando che l'animale provenisse dall'area di un parco naturale, affidato alla gestione di un apposito ente».
  • Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2010 n. 5202 ha confermato la decisione del Tribunale che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta, in quanto «l'incidente si sarebbe verificato anche in presenza di adeguata segnalazione, certo che il cinghiale aveva attraversato la strada repentinamente e inaspettatamente».
  • Cass. civ. 28 marzo 2006 n. 7080 «ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti di una Regione per il risarcimento dei danni conseguenti alla collisione tra una vettura e un cinghiale, ritenendo non fossero emerse prove dell'addebitabilità del sinistro a comportamenti imputabili alla Regione o all'Anas, non potendo costituire oggetto di obbligo giuridico per entrambe la recinzione e la segnalazione generalizzate di tutti i perimetri boschivi».

Uccelli

  • Cass. civ., sez, III, 28 settembre 2012 n. 16512 ha affermato che «l'indennizzo previsto dalla l. reg. Marche 5 gennaio 1995 n. 7, in favore dei proprietari di fondi danneggiati dalla fauna selvatica, spetta in tutti i casi in cui il danno sia stato causato da animali in stato di libertà naturale, a nulla rilevando che essi appartengano ad una specie domestica (nella specie, il danno era stato arrecato da piccioni)». Tribunale di Perugia 12 gennaio 2001 ha statuito che «la popolazione di piccioni stanziale nelle città, seppure trovi nella convivenza con l'uomo una condizione di sopravvivenza assai favorevole (ma è così anche per i topi e le blatte) ed in alcuni casi gratificante anche per l'essere umano, non per questo deve dirsi addomesticata, laddove l'aggettivo domestico, per converso, si riferisce ad una reale privazione della possibilità di allontanamento, per una ragione, forse più concettuale che concreta, che trova fondamento nell'abitudine alla convivenza privata dell'uomo e dell'animale».
  • Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2008, n. 27673 ha precisato che «non può essere accolta una domanda, avanzata nei confronti della Regione, di risarcimento del danno, determinato, nei confronti di un utente della strada, da un esemplare della c.d. fauna selvatica (nella specie, l'incidente stradale era stato determinato dal fatto che un passero si era introdotto nell'abitacolo dell'autovettura in circolazione, tramite il finestrino aperto della stessa), nel caso in cui il danneggiato non abbia dimostrato che il luogo del sinistro stradale fosse frequentato abitualmente da animali selvatici, in modo tale da costituire un vero e proprio pericolo per gli utenti della strada, ovvero fosse stato teatro di precedenti incidenti, in modo tale da allertare le autorità preposte, e da imporre all'ente proprietario della strada stessa l'obbligo di collocare appositi cartelli di segnalazione stradale del pericolo; in tal caso, infatti, il sinistro non può essere riconducibile a comportamenti imputabili alla Regione».
  • Cass. civ. S.U. 27 ottobre 1995 n. 11173 ha affermato che «è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia proposta contro la Provincia di Verona dal privato per conseguire il risarcimento dei danni patiti dalle colture di orzo e frumento di un suo fondo, sito in una "zona rifugio" della selvaggina a causa dei passeri presenti in quantità eccessiva in tale zona».
  • Secondo Cass. civ. S.U. 29 settembre 2000 n. 1050 «il soggetto privato esercente attività d'itticoltura non può vantare, nei confronti della p.a., un diritto al risarcimento dei danni provocati dalla massiccia presenza di uccelli ittofagi appartenenti a specie protette dalla vigente legislazione sulla fauna selvatica, ma un semplice interesse legittimo alla concessione degli indennizzi previsti dalle disposizioni legislative in materia: pertanto, la relativa controversia rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo».
  • Cass. civ., 1 agosto 1991 n. 8470 ha ravvisato la legittimazione passiva della Regione per il pregiudizio provocato dalla nidificazione sul tetto di un fabbricato da parte di uccelli protetti, a seguito dell'istituzione di un'oasi di protezione e rifugio per la fauna stanziale e migratoria. La Corte di legittimità ha infatti precisato che, nella specie, la delega dei poteri alla Provincia non faceva venir meno la titolarità di tali poteri in capo alla Regione e doveva essere esercitata nell'ambito delle direttive impartite dall'ente delegante.

Cervi

Cass. civ. 13 dicembre 1999 n. 13956 ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato la Regione Molise a risarcire i danni subiti a seguito di un urto tra un cervo ed un'autovettura. Ciò in quanto «alle Regioni è stato delegato, in ordine alla fauna selvatica, l'esercizio dei poteri di gestione e di tutela, nonché ai sensi dell'art. 19 della legge n. 157/1992, di controllo, che appartengono all'ente proprietario, ad esse compete anche l'obbligo di predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone o a cose e, pertanto, nell'ipotesi in cui la risarcibilità dei danni alle colture o al patrimonio zootecnico sia stabilita da norme speciali regionali, di ogni altro danno provocato dalla fauna selvatica ed il cui risarcimento non sia previsto da apposite norme la Regione può essere chiamata a rispondere in forza della disposizione generale contenuta nell'art. 2043 cod. civ.».

Lupi

La responsabilità della Regione, in quanto proprietaria e custode di tutte le specie protette ed esistenti nel suo territorio, nell'ipotesi di danni cagionati a terzi da un branco di lupi.

Caprioli

  • Cass. civ. sez. III 7 aprile 2008 n. 8953 ha affermato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'Economia e Finanze, che era stato chiamato in giudizio per i danni subiti da un motociclista al quale era stata tagliata la strada da due caprioli. Ad avviso della Corte «nonostante la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge n. 157 del 1992 attribuisce alle Regioni l'emanazione di norme in materia di gestione e tutela di tutte le specie di fauna selvatica, sicché le Regioni sono obbligate ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi e sono responsabili dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose».
  • Cass. civ., 25 novembre 2005 n. 24895, con riferimento ad uno scontro fra l'autovettura del danneggiato ed un capriolo, ha confermato la responsabilità sia della Regione, per omesso esercizio dei poteri in materia faunistica ex legge n. 157/1992, sia della Provincia proprietaria della strada, evidenziando che la colpa degli enti pubblici era ravvisabile nella circostanza che, nonostante la zona dell'incidente fosse densamente popolata di animali selvatici, non era stato installato alcun avvertimento per segnalare il pericolo ed indurre così l'utente a prestare la massima attenzione ed a procedere con prudenza.

Daini

  • Cass. civ., 22 aprile 1999 n. 3991 ha confermato la condanna della Provincia al risarcimento dei danni cagionati ad un soggetto che, a bordo della propria autovettura, era stato investito da un daino, che aveva improvvisamente attraversato la strada provinciale nella zona di un Centro sperimentale di protezione selvaggina (nella specie, l'ente locale aveva omesso di approntare specifici segnali della presenza di animali quali i daini, di prevedibile originario radicamento in quei territori).
  • Cass. civ., 20 novembre 2009 n. 24547, con riguardo allo scontro tra un automobilista e un daino, ha ritenuto non imputabile alla Regione la mancanza di una segnaletica indicante il pericolo di attraversamento di animali selvatici vaganti, in quanto l'incidente si era verificato in un'area ricadente nel perimetro di un Parco Nazionale e di una riserva naturale.
Sommario