Fauna selvatica (danni causa da)Fonte: Cod. Civ. Articolo 2043
14 Aprile 2014
Nozione BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE Secondo la prevalente giurisprudenza i danni cagionati da animali selvatici vanno esclusi dall'ambito di applicazione dell'art. 2052 c.c., dovendo essere ricondotti, in assenza di specifiche disposizioni, all'art. 2043 c.c., con conseguente onere in capo al danneggiato di dimostrare, oltre al nesso di causalità e all'evento dannoso, il comportamento colposo attivo o omissivo ascrivibile all'ente pubblico (Cass. civ., 6 ottobre 2010, n. 20758; Cass. civ., 20 maggio 2010, n. 12437; Cass. civ., 4 marzo 2010, n. 5202; Cass. civ., 20 novembre 2009, n. 24547). La norma fondamentale in materia è costituita dalla l. n. 157/1992, il cui art. 1 ha previsto che «la fauna selvatica italiana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale». Con questa disposizione la fauna selvatica è passata dal regime delle res nullius a patrimonio dello Stato, che risulta quindi proprietario in senso tecnico della stessa, essendo questa stata inclusa tra i beni patrimoniali indisponibili di cui all'art. 826 comma 2 c.c. A seguito dell'entrata in vigore della legge quadro sulla caccia (l. 27 dicembre 1977 n. 968) la dottrina maggioritaria ha sostenuto l'applicabilità della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. in capo alla P.A. per gli incidenti stradali causati da animali selvatici. A fondamento di tale affermazione è stato posto il c.d. principio del cuius commoda eius et incommoda, al fine diassicurare la corretta composizione degli interessi confliggenti – per cui la scelta costituzionalmente rilevante della protezione della natura non può ricadere, nelle sue conseguenze dannose, solo su singoli danneggiati – sia la realizzazione del criterio della gestione economicamente razionale del rischio – che richiede l'adozione di una regola di responsabilità capace di minimizzare i costi dell'evento dannoso (in tal senso, l'applicazione dell'art. 2052 c.c. predisporrebbe un sistema efficiente di assicurazione sociale del rischio creato). Tuttavia, tale tesi dottrinale è fortemente contrastata dalla giurisprudenza di legittimità, che invece esclude l'applicabilità dell'art. 2052 c.c.per tali ipotesi di danni, riconoscendo la pretesa risarcitoria per l'eventuale violazione del dovere di neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c., a causa della difficoltà di ravvisare in questa ipotesi i presupposti della sorveglianza nonché del rischio legato al vantaggio dato dall'uso dell'animale caratterizzanti l'art. 2052 c.c. Infatti, in relazione alla fauna selvatica, stante lo stato di completa libertà in cui si trova, non è ipotizzabile una potestà di governo sugli animali. Ne consegue che la pubblica amministrazione, a cui non è riconosciuto il potere-dovere di inibire il libero spostamento della fauna, non assume la veste di dominus in senso tecnico, e non può quindi essere assoggettata a responsabilità secondo i criteri previsti dall'art. 2052c.c. L'applicazione dell'art. 2043 c.c. comporta la conseguente complessità probatoria legata alla necessità di dimostrare la colpa della P.A. nella causazione del danno (cfr. ex multisCass. civ., sez. III, 04 marzo 2010, n. 5202). In proposito, la giurisprudenza ha riconosciuto la responsabilità dell'Amministrazione proprietaria della strada (o dell'ente concessionario), ai sensi dell'art. 2043 c.c., per mancata predisposizione dell'apposita segnaletica di pericolo di attraversamento da parte di animali selvatici vaganti, o delle altre misure idonee ad evitare collisioni fra automobilisti e selvaggina, quali l'apposizione di recinzioni laterali e di pali della luce, nonché per mancata manutenzione della strada (Cass. civ., 21 novembre 2008 n. 27673; Cass. civ., 28 marzo 2006 n. 7080; Cass. civ., 25 novembre 2005 n. 24895). Il differente regime di responsabilità dei danni cagionati dalla fauna selvatica rispetto a quelli causati dagli animali domestici è stato ritenuto costituzionalmente legittimo dalla Consulta, la quale ha affermato che «nel caso in cui il danno è arrecato da un animale domestico (o in cattività), è naturale conseguenza che il soggetto nella cui sfera giuridica rientra la disponibilità e la custodia di questo si faccia carico dei pregiudizi subiti da terzi secondo il criterio di imputazioneex art. 2052 c.c., laddove i danni prodotti dalla fauna selvatica, e quindi da animali che soddisfano il godimento dell'intera collettività, costituiscono un evento puramente naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario e solidaristico di imputazione della responsabilità civile ex art. 2043 c.c.» (C. cost., 4 gennaio 2001, n. 4). Legittimazione passiva In forza della l. 157/1992, i danni cagionati dagli animali selvatici a persone e a cose sono imputati, previo giudizio di colpevolezza, alle Regioni, alle quali sono state trasferite le funzioni concernenti la tutela della fauna e la disciplina della caccia. Depone in tal senso un indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l'ente preposto alla tutela risarcitoria dei terzi danneggiati dagli animali selvatici è la Regione, in quanto - come titolare del potere di controllo e gestione della fauna selvatica - è obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la stessa arrechi danni a persone o cose e, in caso di violazione di tale obbligo, diventa responsabile, ex art. 2043 c.c., dei pregiudizi che ne sono derivati in capo a terzi, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme (cfr. Cass., 14 febbraio 2000, n. 1638; Cass., 13 dicembre 1999, n. 13956) Tale conclusione muove appunto dall'assunto che «sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la L. 157/1992 attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l'emanazione di norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma 3 l. 157/1992) e affida alle medesime i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando alle province le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna selvatica ad esse delegate ai sensi della L. n. 142 del 1990 (art. 9 comma primo)» (cfr. da ultimo Cass., 16 novembre 2010, n. 23095; Cass., 13 gennaio 2009, n. 467). In ogni caso non sarebbe mai configurabile una responsabilità concorrente o esclusiva dell'ente provinciale, poiché, quand'anche la regione avesse delegato i relativi poteri e funzioni alla Provincia, essa rimarrebbe responsabile in quanto «la delega non fa venir meno la titolarità dei poteri di gestione e deve essere esercitata nell'ambito delle direttive dell'ente delegante» (Cass., 1 agosto 1991, n. 8470). Secondo altro orientamento, sostenuto da una parte della giurisprudenza di merito, la responsabilità aquiliana per danni da fauna selvatica andrebbe ascritta esclusivamente alle Province, sul rilievo che ad esse spetta l'esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione della fauna, nell'ambito del loro territorio, in forza dei compiti rilevanti di volta in volta attribuiti dalle singole leggi regionali. Il più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità si pone in una posizione mediana rispetto alle posizioni suesposte, ritenendo che la responsabilità extracontrattuale debba essere imputata all'ente — sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione — a cui siano stati concretamente affidati, anche in attuazione della legge n. 157/1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione, tutela e controllo della fauna ivi insediata. Tale soggetto è infatti meglio in grado di prevedere, prevenire ed evitare gli eventi dannosi del genere di quello del cui risarcimento si tratta (Cass. civ., 6 ottobre 2010, n. 20758; Cass. civ., 8 gennaio 2010, n. 80). In proposito «la responsabilità aquiliana per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all'ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc, a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che derivino da delega o concessione di altro ente (nella specie della Regione). In quest'ultimo caso, sempre che sia conferita al gestore autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l'attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all'esercizio dell'attività, e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni» (Cfr. Cass., sez. III 8 gennaio 2010 n. 80). Se l'incidente si è verificato in una zona protetta facente parte di un Parco Nazionale o di una riserva naturale, i soggetti deputati alla gestione ed al controllo degli animali selvatici sono rispettivamente l'Ente parco e l'Ente locale individuato dalla normativa regionale (Cass. civ., 20 novembre 2009, n. 24547). Qualora vi sia un concessionario della riserva di caccia, la legittimazione passiva spetta a quest'ultimo (Cass. civ., 12 agosto 1991, n. 8788). Quanto a incidenti cagionati da animali vaganti sulle autostrade, la giurisprudenza più recente si è orientata nel senso della configurabilità di una responsabilità da custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c., attesa la sussistenza di effettivi poteri di disponibilità e controllo in capo alla P.A. o al soggetto concessionario (Cass. civ., 19 maggio 2011 n. 11016). Giurisdizione Le Sezioni Unite hanno sancito che spetta al giudice ordinario la cognizione della domanda promossa dal cittadino per conseguire dalla p.a. il risarcimento dei danni cagionati dall'improvviso attraversamento della sede stradale da parte della fauna selvatica (Cass. civ. S.U., 2 dicembre 2011, n. 25764; Cass. civ. S.U., 24 marzo 2005, n. 6332). In tale ipotesi non può trovare applicazione l'art. 7, comma 3, l. 6 dicembre 1971, n. 1034 (c.d. legge TAR), oggi confluito nell'art. 7, comma 4, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo) «perché detta norma – la quale prevede che quando è chiesto al giudice amministrativo, facendosi valere un interesse legittimo, l'annullamento del provvedimento amministrativo, alla domanda principale d'annullamento può essere cumulata una domanda di risarcimento del danno – non opera allorché, difettando un provvedimento amministrativo, manchi una domanda d'annullamento ed il privato proponga esclusivamente una domanda di risarcimento del danno nei confronti della P.A.». Il cittadino, infatti, lamenta la lesione di un proprio diritto soggettivo, provocata da una condotta illecita (attiva o, più spesso, omissiva) non provvedimentale dell'Amministrazione, consistente nell'inosservanza delle regole tecniche e/o dei comuni canoni di diligenza e prudenza necessari a far sì che il bene pubblico non sia fonte di danno per i privati. Pertanto, la domanda non investe scelte e atti autoritativi dell'Amministrazione, ma un'attività soggetta al rispetto del dovere generale del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. a tutela dell'incolumità dei cittadini e dell'integrità del loro patrimonio. Danni cagionati dallo scontro tra animali e veicoli Nell'ipotesi di scontro tra un veicolo ed un animale, la giurisprudenza è costante nel configurare un concorso tra le presunzioni sancite dagli artt. 2052 e 2054 c.c., rispettivamente a carico del proprietario o dell'utente dell'animale e del conducente dell'autovettura, per cui è fatta salva la responsabilità solidale del proprietario della stessa. La Cassazione del 19 aprile 1983 n. 2717 ha in tal senso osservato che «in tema di responsabilità aquiliana, la presunzione di colpa di cui all'art. 2052 c.c. ben può concorrere con quella di cui al successivo art. 2054, onde dei danni prodotti dall'urto tra un autoveicolo ed un animale la sussistenza e la misura della responsabilità dei rispettivi proprietari deve essere determinata in base alle modalità del fatto concreto»(così anche Cass. civ., 9 dicembre 1992, n. 13016). Onere della prova Sul conducente del veicolo grava l'onere di provare che il danno si è verificato per il comportamento dell'animale, altrimenti rimane operante la presunzione di responsabilità a suo carico, in quanto il nesso di causalità tra condotta di guida e danno deve ritenersi in re ipsa. Nel caso in cui nessuna delle parti fornisca la prova liberatoria richiesta dagli artt. 2052 e 2054 c.c., secondo un primo orientamento, entrambe le parti sono tenute a rispondere in pari misura per l'intero ammontare dei danni, con la conseguenza che il conducente del mezzo è tenuto a rimborsare al proprietario la metà del valore dell'animale e, corrispondentemente, il proprietario deve risarcire al conducente la metà dei danni da questo patiti (Cass. civ., 9 gennaio 2002, n. 200); un altro indirizzo, invece, esclude la responsabilità concorrente delle parti in relazione alla totalità dei danni, ritenendo che, ove il guidatore agisca nei confronti del padrone della bestia, questi risponde integralmente dei soli pregiudizi recati al conducente ed al veicolo. Per contro il guidatore, se richiesto, risponde in toto dei soli danni cagionati all'animale (App. Venezia, 26 ottobre 2000; Trib. Cagliari, 25 febbraio 1985). Qualora invece concorrano, nel medesimo evento dannoso, le due presunzioni di responsabilità, ciascuno dei due soggetti risponde delle conseguenze dell'evento in proporzione alla misura della colpa accertata nel caso concreto (App. Cagliari, 16 aprile 1985). Il concorso tra le due presunzioni ex art. 2052 c.c. ed ex art. 2054 comma 1 c.c., sussiste sia allorché il danneggiato sia un terzo rispetto al proprietario/utente dell'animale ed al conducente dell'autoveicolo, sia quando la persona del danneggiato coincida con quella del conducente. In tale ultimo caso, secondo la giurisprudenza il concorso di responsabilità del guidatore nella produzione del danno da lui subito opera secondo la struttura dell'art. 1227 comma1 c.c. (applicabile anche in materia di responsabilità extracontrattuale, in forza del rinvio disposto dall'art. 2056 c.c.), ossia nei termini di accertamento del fatto colposo del creditore nella causazione dell'evento lesivo, con conseguente diminuzione della somma spettante a titolo risarcitorio. A differenza che nella normale applicazione dell'art. 1227 c.c., però, il concorso del fatto colposo del creditore, conducente dell'autoveicolo, si presume, ai sensi dell'art. 2054 comma1 c.c. (Cass. civ., 25 gennaio 2011, n. 1736). Diverso è il caso in cui il sinistro si sia verificato mentre l'animale era al traino di un veicolo e pertanto ne costituiva parte integrante. In tale ipotesi deve applicarsi il comma 2 dell'art. 2054 c.c., che prevede una presunzione a carico dell'altro conducente, il quale sarà liberato da responsabilità sia attraverso la prova che la responsabilità appartiene interamente al primo conducente, sia che è parimenti di quest'ultimo in misura superiore alla metà (Cass., 9 dicembre 1992, n. 13016), anche qualora si tratti di danni cagionati dall'improvviso imbizzarrimento dell'animale (Cass., 16 agosto 1960, n. 2383). Alle stesse conclusioni deve giungersi nell'ipotesi in cui l'animale venga utilizzato di per sé come veicolo, senza alcun ausilio di mezzi meccanici. Difatti, non vi è ragione, in caso di sinistro, di disapplicare la presunzione di responsabilità concorrente prevista dall'art. 2054 comma 2 c.c. Secondo il Tribunale di Massa Carrara, 27 luglio 1993, «nell'ipotesi di scontro stradale tra autoveicolo e cavallo da sella condotto da cavaliere in sella possa applicarsi - oltre alla generale presunzione di cui all'art. 2052 c.c. -, sia pure in via analogica, la presunzione di pari colpa prevista dall'art. 2054 c.c. a carico di conducenti di veicoli tra loro collidenti, considerando che detto animale - pur privo di carretto - qualora venga condotto da soggetto in sella, e non da terra con le redini, si inserisce - al pari di un velocipede- nel pubblico traffico stradale quale veicolo, sia pure lato sensu, utilizzato per la circolazione nelle vie pubbliche». Il legislatore ha previsto una disciplina speciale per i danni all'agricoltura arrecati da animali selvatici, che costituisce un'area ben delimitata di responsabilità aggravata della pubblica amministrazione, non essendo ammessa la prova liberatoria del caso fortuito, salva l'eventuale limitazione legale dei danni risarcibili. A riguardo, l'art. 10, l. n. 157/1992 demanda ai piani faunistico-venatori di competenza provinciale la specificazione dei «criteri per la determinazione del risarcimento in favore dei conduttori dei fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi vincolati per gli scopi di cui alle lettere a), b) e c)» (ovvero nelle oasi di protezione, destinate al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica; nelle zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa a scopo di immissione; nei centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, ai fini di ricostituzione delle popolazioni autoctone). Si prevede, inoltre, all'art. 26, la Costituzione a cura di ogni regione di un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti «per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall'attività venatoria». Si ricorda, infine, la disciplina relativa ai parchi naturali, che si articola essenzialmente, oltre che nelle leggi istitutive dei parchi storici, nella legge quadro sulle aree protette del 6 dicembre 1991 n. 394, nonché nelle leggi regionali istitutive dei parchi naturali regionali e nei regolamenti adottati dagli Enti parco. In tali disposizioni normative sono previste varie forme di compenso o indennizzo. Casistica Cani
Cinghiali
Uccelli
Cervi Cass. civ. 13 dicembre 1999 n. 13956 ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato la Regione Molise a risarcire i danni subiti a seguito di un urto tra un cervo ed un'autovettura. Ciò in quanto «alle Regioni è stato delegato, in ordine alla fauna selvatica, l'esercizio dei poteri di gestione e di tutela, nonché ai sensi dell'art. 19 della legge n. 157/1992, di controllo, che appartengono all'ente proprietario, ad esse compete anche l'obbligo di predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danni a persone o a cose e, pertanto, nell'ipotesi in cui la risarcibilità dei danni alle colture o al patrimonio zootecnico sia stabilita da norme speciali regionali, di ogni altro danno provocato dalla fauna selvatica ed il cui risarcimento non sia previsto da apposite norme la Regione può essere chiamata a rispondere in forza della disposizione generale contenuta nell'art. 2043 cod. civ.». Lupi La responsabilità della Regione, in quanto proprietaria e custode di tutte le specie protette ed esistenti nel suo territorio, nell'ipotesi di danni cagionati a terzi da un branco di lupi. Caprioli
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