Prima casa: tra IVA e applicazione delle agevolazioni

La Redazione
09 Agosto 2017

Caso peculiare giunto all'attenzione dei Supremi Giudici che, con l'ordinanza n. 19214/2017, si sono espressi in tema di agevolazioni prima casa.

Con l'ordinanza n. 19214/2017 i Giudici della Corte hanno esaminato un caso riguardante le agevolazioni prima casa.

Nel dettaglio l'Agenzia ricorrente riteneva legittimo l'avviso di liquidazione IVA e irrogazioni di sanzioni notificate al contribuente, quest'ultimo – acquirente di un fabbricato – aveva fruito dell'aliquota IVA agevolata del 4% prevista per le cessioni di case di abitazione non di lusso adibite a c.d. "prima casa", aveva poi rivenduto l'immobile prima del decorso dei cinque anni previsti dalla normativa, senza provvedere al riacquisto, entro il successivo anno, di altro immobile da adibire a prima casa.

L'Ufficio, dunque, aveva liquidato la maggiore imposta pretesa nella misura pari alla differenza fra l'imposta calcolata in base all'aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota agevolata, irrogando inoltre una sanzione amministrativa pari al 30% della differenza medesima.

I giudici di prima istanza ritenevano legittimo il ricorso del contribuente, il provvedimento era frutto della illegittima applicazione di una normativa entrata in vigore successivamente alla violazione in esame e manifestamente più sfavorevole al contribuente rispetto a quella vigente al momento della violazione.

L'Amministrazione finanziaria porta la controversia in secondo grado dove però non trova accoglimento.

La questione arriva così dai Supremi giudici, le censure che le Entrate sollevano riguardano anche la giusta interpretazione da dare alla nuova normativa intervenuta in materia.

L'art. 41-bis, comma 5, D.L. n. 269/2003 ha modificato il comma 4 della nota II-bis all'art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al d.P.R. n. 131/1986 sostituendone il secondo periodo, nel testo precedente veniva sancito che:

  • se si tratta di cessioni soggette all'imposta sul valore aggiunto, l'ufficio del registro presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti una penalità pari alla differenza fra l'imposta calcolata in base all'aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota aumentata del 30%;

il nuovo testo invece prevede che:

  • se si tratta di cessioni soggette all'imposta sul valore aggiunto, l'ufficio dell'Agenzia delle Entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l'imposta calcolata in base all'aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall'applicazione dell'aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30% della differenza medesima.

La precedente formulazione giustificava la sottrazione delle conseguenze della revoca dell'agevolazione IVA al meccanismo tipico di tale imposta: non potendo l'ufficio del Registro procedere al recupero dell'IVA, il maggior tributo veniva richiesto come penalità.

Dalla Corte viene evidenziato come tutto ciò ha portato a degli effetti paradossali, che comportavano disparità di trattamento: l'acquirente decaduto dalle agevolazioni si ritrovava a conseguire degli ingiustificati vantaggi fiscali.

Sono sorte perciò delle esigenze di interpretazione sistematica, legate alla effettiva ratio dell'intervento riformatore, che hanno lasciato emergere una evidente continuità normativa di fondo, rappresentata dalla persistente e mai mutata volontà del legislatore di far conseguire l'effetto logico suo proprio di rendere la cessione soggetta all'imposizione ordinaria.

Alla luce di siffatta disamina deve ritenersi che, nella fattispecie in esame, l'Ufficio abbia correttamente interpretato il quadro normativo di riferimento, non si può perciò ravvisare alcuna violazione del principio del favor rei sancito dall'art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997, avendo esso provveduto a liquidare la differenza d'imposta e ad applicare la sanzione del 30%. Per tali motivi il ricorso merita accoglimento e la sentenza della CTR cassata.

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