Condizioni di applicabilità del dazio antidumping

La Redazione
07 Luglio 2016

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13770/2016, ha affermato che l'applicazione del dazio antidumping ricorre in presenza di condizioni predeterminate, l'esenzione non è applicabile se la produzione dei beni oggetto di importazione sia cessata da tempo.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13770 depositata nella giornata di ieri, ha fornito chiarimenti in materia di dumping.

È necessario ai fini di una migliore comprensione chiarire l'ambito di applicazione del tema in oggetto.

Per dumping si intende la procedura di vendita di un bene o di un servizio su di un mercato estero ad un prezzo inferiore rispetto quello di vendita del medesimo prodotto sul mercato di origine. Conseguentemente i dazi antidumping consistono in misure che hanno lo scopo di evitare turbative della concorrenza derivanti dall'immissione nel mercato europeo di merci ad un prezzo ritenuto eccessivamente basso, rispetto a quello praticato nelle normali transazioni all'interno di tale mercato.

Venendo al caso oggetto di disamina dei Supremi Giudici, vediamo che la questione verte su un accertamento avente ad oggetto la falsa dichiarazione di origine all'importazione di accessori dichiarati di origine di Taiwan in cui veniva comunicata la sospetta origine di altro paese (in questo caso cinese), la società contribuente era indicata tra quelle che avevano effettuato operazioni di importazioni con esportatrice a cui era stata revocata l'esenzione dal dazio antidumping.

Sia la CTP che la CTR affermavano che non sussistevano i presupposti per la contabilizzazione dei dazi, ravvisando la violazione del principio di irretroattività delle disposizioni tributarie, sancito dall'art. 3, comma 1, della L. n. 212/2000, in ragione del fatto che la verifica era iniziata solo dopo la revoca dell'esenzione dal dazio antidumping.

La ricorrente Agenzia delle Dogane ha ritenuto, dal canto suo, che il giudice di appello avesse errato nel ritenere che la rettifica della dichiarazione fosse stata effettuata sulla scorta del provvedimento di revoca dell'esenzione dal dazio antidumping alla società esportatrice, sostenendo che la rettifica si basava invece sulle risultanze istruttorie trasfuse, dalle quali era evidente che la esportartice taiwanese non rispettava più i requisiti per poter beneficiare dell'esenzione.

La Corte ha già avuto modo di esprimersi sul punto affermando che "gli accertamenti compiuti a posteriori dagli organi esecutivi della Commissione per la lotta antifrode hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziali e, quindi, possono essere posti a fondamento dell'avviso di accertamento per il recupero dei dazi sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni, spettando poi al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria" (e quindi l'effettiva sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolato).

Nel caso oggetto dell'esame della Corte ci sono stati diversi interventi da parte del Consiglio dell'Unione Europea, in primis il Regolamento CE n. 584/1996, con il quale il Consiglio ha imposto un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni prodotti (oggetto della presente questione). Altro Regolamento CE a cui la Corte ha fatto riferimento è il n. 763/2000, il quale ha sancito che le misure antidumping relative alle importazioni originarie della Cina sono state estese anche alle importazioni del prodotto in esame spedite da Taiwan.

Infine poi con il Regolamento n. 803/2009 si è proceduto al riesame dell'esenzione per tener traccia di alcune pratiche di elusione, nel corso dell'indagine è emerso che la società aveva da tempo cessato la produzione e importava i prodotti dalla RPC; si legge nel Regolamento "poiché la vera produzione è cessata da diversi anni, non c'è motivo di ritenere che questa situazione non sia duratura".

All'esito dell'inchiesta è stato approvato quest'ultimo Regolamento con il quale è stato istiutito un dazio antidumping definitivo sulle importazioni dei prodotti in questione originari della Repubblica popolare cinese (RPC) e della Thailandia.

Alla luce di tutto quanto su esposto ne consegue che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, "l'Amministrazione non ha fatto alcuna illegittima applicazione retroattiva del Regolamento n. 803/2009, ma ha rilevato che per il periodo in contestazione l'esenzione non era applicabile in concreto. La CTR ha falsamente applicato i richiamati Regolamenti CE, trascurando di considerare il presupposto che la produzione dei beni avvenisse in Taiwan, e di attribuire il giusto rilievo all'esito della inchiesta della Commissione, che ne aveva accertato l'insussistenza a far data da alcuni anni addietro ".

Per meglio specificare laddove l'Amministrazione abbia rettificato i dazi dovuti poichè i beni importati in Italia non sono stati prodotti dalla società taiwanese (la quale ricordiamo aveva cessato da tempo tale attività), l'Amministrazione non ha applicato il Regolamento che abrogava l'esenzione ma ha compiuto un accertamento su condotte anteriori.

In conclusione i Giudici della Corte specificano che il caso esaminato è del tutto estraneo all'ambito di applicazione delle disposizioni contenute nell'art. 3 della L. n. 212/2000 e che quindi nessun principio di irretroattivtà è stato leso.

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