Imposta di successione: eliminata l’aliquota fissa in favore di quella progressiva
13 Gennaio 2017
L'Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale Lombardia con la quale, ritenuta infondata la pretesa dell'Amministrazione finanziaria di inserire nella base imponibile della successione anche il valore delle donazioni immobiliari eseguite in vita dal de cuius, è stato dichiarato in parte illegittimo l'avviso di liquidazione d'imposta principale di successione notificato agli eredi.
La Suprema Corte osserva che già prima dell'apertura della successione in esame, l'art. 69, comma 1, L. n. 342/2000, recante aliquote fisse in ragione della parentela, aveva determinato il venir meno del sistema impositivo delle aliquote progressive ex art. 8, comma 4, D.lgs. n. 346/1990. Quest'ultima disposizione limitava espressamente il cumulo delle donazioni «ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell'art. 7», vale a dire le aliquote progressive di cui alla tariffa allegata al D.lgs. n. 346/1990 al fine di stabilire una forma di “riunione fittizia” nella massa ereditaria dei beni donati in modo da individuare l'aliquota da applicare per calcolare l'imposta sui beni relitti. «Il sistema della “riunione fittizia”, in altri termini, operava in funzione antielusiva, così da evitare che il compendio ereditario venisse sottratto all'imposizione progressiva mediante preordinate donazioni in vita».
La Corte chiarisce, dunque, che, fermo restando che il “cumulo” non produceva alcun effetto impositivo sul donatum ma soltanto effetti determinativi dell'aliquota progressiva, «si ritiene logica e coerente conseguenza che, eliminata quest'ultima in favore di un sistema ad aliquota fissa sul valore non dell'asse globale ma della quota di eredità o del legato, non vi sia più spazio per dar luogo al coacervo» né, una volta differenziate le aliquote di legge in base al criterio primario del rapporto di parentela, può residuare alcuna ratio antielusiva. Deve, pertanto, ritenersi che anche prima della formale abrogazione dell'art. 7, comma 1, 2-quater, D.lgs. n. 346/1990, l'art. 8, comma 4, citato fosse stato implicitamente abrogato «per incompatibilità applicativa di una disposizione per effetto della formale modificazione del regime impositivo di riferimento contenuto in un'altra disposizione». Per questi motivi la Corte ha rigettato il ricorso.
Fonte: Ilfamiliarista.it |