Omesso versamento di tributi e crisi di liquidità
14 Luglio 2017
La crisi di liquidità può escludere la sussistenza dell'elemento psicologico dei reati di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis d.lgs. 74 del 2000) e di omesso versamento di IVA (art. 10-ter d.lgs. 74 del 2000)?
Nell'attuale panorama socio-economico, distinto da una profonda recessione, si è originato un ampio dibattito, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, circa i rapporti tra crisi d'impresa e diritto penale tributario. Tra i diversi interrogativi, ci si chiede, in particolare, se l'omesso versamento di ritenute o dell'imposta sul valore aggiunto da parte dell'imprenditore in difficoltà finanziaria sia una scelta sempre punibile ai sensi del D.Lgs. n. 74/2000 oppure possa essere considerata una condotta inesigibile o necessitata, che incide sull'elemento soggettivo dei predetti reati.
Secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorre l'allegazione e la prova della non addebitabilità all'imputato della crisi economica che ha investito l'impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (cfr. da ultimo Cass. pen., sez. III, 14 giugno 2017, n. 29544; conf. Cass. pen., sez. III, 29 ottobre 2015, n. 43599; Cass. pen., sez. III, 25 febbraio 2015, n. 8352; Cass. pen., sez. III, 15 maggio 2014, n. 20266).
Per escludere la volontarietà della condotta è, dunque, necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell'inadempimento alla obbligazione verso l'Erario a fatti non imputabili all'imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (cfr. Cass. pen., Sez. III, 4 aprile 2014, n. 15416; Cass. pen., Sez. III, 7 febbraio 2014, n. 5905; Cass. pen., Sez. III, 4 febbraio 2014, n. 5467). In altre parole, occorre la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale (sul punto cfr. Cass. pen., sez. III, 17 luglio 2014, n. 42003, Pacchiarotti, dove è stata esclusa la rilevanza esimente di una crisi di liquidità dell'impresa, in presenza di cospicue immobilizzazione finanziarie indicate nel bilancio della società ancorché oggetto di difficile smobilizzazione, valorizzando il dato saliente riguardante la stessa scelta pregressa di operare tali immobilizzazione in un momento che, in quanto caratterizzato dal mancato pagamento dei crediti vantati dalla società, poteva oggettivamente rivelarsi critico quanto agli adempimenti tributari cui la stessa società era comunque tenuta), dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili. Trattasi, a ben vedere, di una valutazione parecchio rigorosa che investe l'idoneità di tutte le possibili condotte riparatrici, tenendo conto in concreto degli strumenti effettivamente a disposizione del contribuente e delle specifiche modalità con le quali la condizione di crisi economica si è manifestata. Sul piano processuale, sarà onere del contribuente dimostrare non solo l'aspetto della non imputabilità della crisi economica ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell'imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto, come ad esempio il ricorso al credito bancario (cfr. Cass. pen., sez. III, 15 gennaio 2015, n. 1725).
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