Appeal mediazione: tra intento deflativo e riduzione delle spese

Giovambattista Palumbo
17 Maggio 2017

Visto il successo della mediazione (che ha portato un abbattimento di circa il 50% del contenzioso rispetto al quale costituisce adempimento obbligatorio), la “manovrina” ha alzato la soglia degli atti mediabili da 20.000 a 50.000 Euro. Il successo dell'istituto è stato fino ad oggi probabilmente dovuto anche al fatto che si potevano così evitare le spese legali (spesso superiori all'importo oggetto di contestazione) e l'alea del contenzioso, beneficiando anche della riduzione delle sanzioni. Bisognerà ora vedere se lo stesso appeal vi sarà per cause di maggior impatto economico.
La disciplina

L'istituto del reclamo e mediazione, previsto dall'articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 ed introdotto dal D.L. n. 98/2011, è stato esteso, ad opera del D.Lgs. n. 156/2015, a tutti gli enti impositori (e non più, come invece nella precedente versione, solo all'Agenzia delle Entrate). Il recente D.L. n. 50/2017 ha peraltro aggiunto, espressamente, il riferimento, oltre appunto agli enti impositori, anche all'agente della riscossione (art. 10, comma 2).

A partire dal 2016, quindi, chiunque volesse impugnare in giudizio un accertamento (anche degli enti locali) di importo pari o inferiore a 20.000 euro, pena l'improcedibilità del ricorso, doveva prima esperire il tentativo di accordo con l'ufficio.

Visto il successo dell'istituto (che ha portato ad un abbattimento di circa il 50% del contenzioso rispetto al quale costituisce adempimento obbligatorio), la recente “manovrina”, adottata con il D.L. n. 50/2017, per gli atti notificati a decorrere dal 1° gennaio 2018, ha alzato la soglia degli atti “mediabili”, portandola da 20.000 a 50.000 Euro (art. 10, comma 1).

Non sono comunque mediabili gli atti di valore indeterminabile (essendo però prevista la reclamabilità degli atti relativi al classamento e all'attribuzione di rendita catastale, pur essendo questi di valore indeterminabile).

Per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito invece dalla somma di queste. Dato che il processo tributario è strutturato secondo le regole proprie del processo impugnatorio il valore della controversia va comunque determinato con riferimento a ciascun atto impugnato ed è dato dall'importo del tributo concretamente contestato dal contribuente con il ricorso, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate.

Da ciò deriva che:

  • qualora un atto si riferisca a più tributi il valore deve essere calcolato con riferimento al totale delle imposte che hanno formato oggetto di contestazione da parte del contribuente;
  • in presenza di impugnazione cumulativa avverso una pluralità di atti, la necessità di uno specifico e concreto nesso tra l'atto impositivo e l'istanza di mediazione impone di individuare il valore della lite con riferimento a ciascun atto impugnato con il ricorso cumulativo.

Relativamente alle controversie aventi ad oggetto il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, il valore della controversia va invece determinato tenendo conto dell'importo del tributo richiesto a rimborso, al netto degli accessori.

Nel caso in cui, poi, l'istanza di rimborso riguardi più periodi d'imposta, occorre fare riferimento al singolo rapporto tributario sottostante al singolo periodo d'imposta e pertanto il valore della lite è dato dall'importo del tributo richiesto a rimborso per singolo periodo di imposta.

L'istanza va notificata:

  • a pena di inammissibilità, entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell'atto che il contribuente intende impugnare;
  • nel caso di rifiuto tacito opposto a una domanda di rimborso, l'istanza può essere proposta dopo il novantesimo giorno dalla domanda di rimborso presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d'imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto (cfr. art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992). La notifica dell'istanza di mediazione produce innanzitutto l'effetto di interrompere il decorso del termine di decadenza per l'impugnazione dell'atto.

Il ricorso non è comunque procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica, entro il quale deve essere conclusa la procedura di cui al presente articolo. A tale termine si applica anche la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.

Laddove la mediazione si concluda favorevolmente, il contribuente dovrà dunque versare l'importo concordato (o la prima rata, in caso di pagamento dilazionato) entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione dell'accordo. In tali ipotesi, le sanzioni tributarie saranno ridotte al 35% del minimo previsto dalla legge.

Con il reclamo/mediazione il contribuente che intende presentare ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale deve, in sostanza, anticiparne il contenuto, chiedendone l'annullamento totale o parziale, sulla base dei motivi di fatto e di diritto che intende sottoporre alla valutazione del giudice tributario, con facoltà di inserire nell'istanza anche una proposta di mediazione.

L'organo destinatario, se non intende accogliere il reclamo o l'eventuale proposta di mediazione, formula d'ufficio una propria proposta avuto riguardo all'eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell'azione amministrativa.

L'istituto non determina, comunque, un più gravoso esercizio dell'azione in giudizio per il contribuente, dal momento che, in caso di mancata conclusione positiva della fase amministrativa, la norma considera l'azione giudiziaria già esercitata, richiedendo al contribuente, per l'attivazione del contenzioso, esclusivamente l'ordinario onere della costituzione in giudizio innanzi alla Commissione tributaria provinciale.

A seguito dell'infruttuoso decorso della fase di mediazione, l'istanza produce dunque gli effetti del ricorso giurisdizionale.

Ciò comporta, peraltro, che:

  • i motivi esposti nell'istanza devono coincidere integralmente con quelli del ricorso, a pena di inammissibilità; né è consentito integrare (successivamente all'introduzione del giudizio) i motivi del ricorso;
  • il ricorso depositato nella segreteria della Commissione tributaria provinciale deve essere conforme a quello consegnato o spedito alla Direzione con l'istanza di mediazione, a pena di inammissibilità dello stesso.

Nell'istanza va indicato anche il domicilio presso il quale il contribuente intende ricevere le comunicazioni relative al procedimento, quali, ad esempio, l'accoglimento dell'istanza o il diniego.

Nel caso di adesione alla proposta di una delle parti, il termine di venti giorni per l'effettuazione del versamento delle somme dovute decorre:

  • dalla spedizione dell'atto di adesione da parte del contribuente che l'ha sottoscritto, quando la proposta sia stata formulata dall'Ufficio;
  • dal ricevimento dell'atto di adesione dell'Ufficio, se la proposta era contenuta nell'istanza di mediazione presentata dal contribuente.

Una volta conclusa con la sottoscrizione, la mediazione si perfeziona con il pagamento delle somme dovute.

La procedura di mediazione si perfeziona con il versamento dell'intero importo dovuto, ovvero della prima rata in caso di pagamento rateale, effettuato entro venti giorni dalla conclusione dell'accordo di mediazione.

In particolare, l'accordo di mediazione costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute mediante versamento diretto ovvero - in caso di omesso versamento alle scadenze – per l'iscrizione a ruolo.

La ratio dell'istituto

Il successo dell'istituto è stato fino ad oggi probabilmente dovuto anche al fatto che, per le cause fino a 20.000 Euro, i contribuenti trovavano senz'altro conveniente chiudere anticipatamente il contenzioso con un accordo con l'Amministrazione, evitando così le spese legali (spesso superiori allo stesso importo oggetto di contestazione), l'alea del contenzioso e beneficiando anche della riduzione ex lege delle sanzioni.

Bisognerà dunque ora vedere se lo stesso appeal vi sarà per cause di maggior impatto economico, laddove, anche in caso di accordo, l'impegno finanziario richiesto potrebbe comunque non essere agevole da affrontare.

E non c'è dubbio che l'aumento della soglia avrebbe forse dovuto indurre anche ad un rafforzamento della terzietà dell'organo deputato alla gestione della mediazione.

Il Governo ha infatti ritenuto di non introdurre un organismo terzo di mediazione, confermando il precedente assetto che vede il riesame operato dal medesimo ente (seppur con un diverso ufficio) che ha emesso l'atto.

Per quanto riguarda specificatamente gli enti locali, poi, la norma prevede anzi che l'individuazione degli uffici competenti alla trattazione dei reclami sia rimessa all'organizzazione interna di ciascun ente.

Mentre, quindi, le Agenzie fiscali devono provvedere all'esame del reclamo e della proposta di mediazione mediante apposite strutture, diverse ed autonome da quelle che curano l'istruttoria degli atti reclamabili, per i Comuni (e gli altri Enti impositori) tale previsione si applica compatibilmente con la propria struttura organizzativa.

La scelta, evidenzia la relazione illustrativa al provvedimento, "risulta da un lato coerente con l'autonomia gestionale e organizzativa tipica degli enti locali; dall'altro evita di imporre un vincolo ad enti impossibilitati a rispettarlo (ad esempio a causa della ridotta dimensione)".

A determinare quale struttura deve gestire la fase di esame di reclamo e di mediazione, visto il riferimento alla struttura organizzativa, dovrebbe essere dunque il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi.

Come detto, quindi, non si è ritenuta necessaria la scelta un “organo terzo” che decida sul reclamo. Ma una simile scelta non appare opportuna in campo tributario, dove peraltro si tratta di diritti indisponibili.

Il reclamo/mediazione ha infatti la funzione di provocare un tentativo di risoluzione obbligatorio del contenzioso, inaugurando una fase pregiurisdizionale con chiaro intento deflativo.

La procedura di mediazione deve ritenersi sostanzialmente finalizzata a evitare il “rinvio” ai giudici tributari delle contestazioni che possono essere risolte in sede amministrativa, attraverso un esame volto ad anticipare l'esito ragionevolmente atteso del giudizio, tenuto conto della situazione di fatto e di diritto sottesa alla singola fattispecie.

I criteri di valutazione dell'istanza

Accertata l'ammissibilità dell'istanza e verificata l'impossibilità di procedere a un annullamento dell'atto impugnato, l'Ufficio dovrà valutare, anche in assenza di proposta formulata dal contribuente, la sussistenza dei presupposti per la mediazione e cioè:

  1. incertezza delle questioni controverse;
  2. grado di sostenibilità della pretesa;
  3. principio di economicità dell'azione amministrativa.

Tale valutazione preventiva deve essere condotta in particolare con l'intento di addivenire alla mediazione ogniqualvolta, in previsione di una sentenza di primo grado sfavorevole o parzialmente sfavorevole, non siano ravvisabili i presupposti per la prosecuzione in appello del contenzioso.

In assenza di prassi amministrativa e di pronunce della Suprema Corte, la proposta di mediazione sulla questione giuridica può essere motivata sulla base della presenza di un orientamento delle Commissioni tributarie di merito, favorevole alle posizioni espresse dal contribuente, se del caso tenuto conto altresì degli altri due criteri della sostenibilità della pretesa in giudizio e dell'economicità dell'azione amministrativa.

La giurisprudenza da prendere in considerazione è essenzialmente quella della Commissione tributaria provinciale e della Commissione tributaria regionale nelle cui circoscrizioni ha sede l'Ufficio, a condizione che sia condivisa, o che comunque non possa essere utilmente contrastata con ricorso per cassazione.

Un momento fondamentale è chiaramente rappresentato dal contraddittorio tra le parti. Non sono richieste a tal fine forme particolari per l'invito, che può essere comunicato al contribuente anche tramite posta elettronica ordinaria.

L'esito del contraddittorio – che si svolge possibilmente nell'ambito di un solo incontro – viene descritto in un apposito verbale.

Al contraddittorio il contribuente può partecipare personalmente, oppure conferire procura al proprio difensore, fatti salvi i casi in cui il contribuente intenda parteciparvi personalmente.

La differenza rispetto ad altri istituti deflativi

Si sottolinea infine che reclamo e mediazione sono istituti molto differenti da quelli già esistenti. In primo luogo il reclamo non è assimilabile ad un semplice ricorso gerarchico, dato che instaura una fase amministrativa, che, almeno in prospettiva, si identifica già con la potenziale lite processuale.

Il reclamo possiede inoltre elementi di differenziazione anche rispetto al procedimento di autotutela tributaria.

Se è vero infatti che il reclamo condivide con l'autotutela i presupposti (vizi d'illegittimità o ragioni d'infondatezza) e l'oggetto (la richiesta di annullamento totale o parziale dell'atto), tuttavia, a differenza dell'autotutela tributaria, che si inquadra tra le attività amministrative di secondo grado a contenuto discrezionale, il riesame in sede di reclamo, pur essendo sempre in una dimensione amministrativa, ha comunque una proiezione propriamente processuale (tanto è vero che viene disciplinato nel D.Lgs. 546/1992 sul contenzioso tributario).

Mentre poi il riesame dell'atto in autotutela è facoltativo, laddove l'art. 2, comma 1, del D.M. n. 37/1997 afferma che l'Amministrazione “può procedere”, la doverosità del riesame caratterizza invece il reclamo.

Se infatti la legge prevede l'onere per il contribuente di chiedere l'annullamento dell'atto per illegittimità o infondatezza della pretesa, pena l'inammissibilità dell'eventuale successiva impugnativa dell'atto davanti al giudice tributario, l'Ufficio destinatario del reclamo, dal canto suo, è obbligato a riesaminare l'atto.

In conclusione

È vero che l'impostazione “ufficiale” è che il reclamo/mediazione sia espressione di un potere di autotutela dello stesso ente impositore, da stimolare ed incoraggiare, allo scopo di indurre l'amministrazione finanziaria a rivedere i propri errori prima dell'intervento del giudice; ma è anche vero che questo serve in realtà solo a cercare di giustificare perché non è affidata ad un organo terzo, ma ad una diversa articolazione della medesima amministrazione (peraltro alla stessa struttura che ha emesso l'avviso impugnato e non ad un organo gerarchicamente sovraordinato come avviene nel resto d'Europa).

Del resto, come detto, le motivazioni che possono indurre a cercare l'accordo possono essere anche diverse (rectius: sono diverse) dalla mera valutazione di legittimità dell'atto.

L'ottica è dunque completamente diversa da quella dell'autotutela (e dalla considerazione di “indisponibilità” dell'obbligazione tributaria).

Del resto, per espressa indicazione di Prassi, qualora non vi siano margini per la riduzione della pretesa (e dunque anche nel caso in cui l'atto venga considerato legittimo e potenzialmente anche vincente), l'Ufficio potrà comunque concludere un accordo di mediazione che confermi integralmente il tributo contestato con l'atto impugnato, con conseguente beneficio della riduzione delle sanzioni irrogate.

L'ottica dunque è meramente deflativa del contenzioso.

In senso inverso, infine, si evidenzia che per le stesse motivazioni per cui la mediazione non può essere considerata un surrogato di autotutela, non è neppure vero che l'autotutela può essere assimilabile ad uno strumento deflativo del contenzioso (se non come conseguenza di fatto in termini di cessata materia del contendere).

Mentre infatti, nel diritto amministrativo, con l'autotutela vi è spazio per la discrezionalità della pubblica autorità a scegliere tra le diverse opzioni e tra i diversi interessi confliggenti (quello pubblico originario, quello pubblico successivo, quello privato del destinatario dell'originario atto illegittimo e quello dell'eventuale controinteressato), invece, in campo tributario, l'annullamento dell'atto illegittimo comporta soltanto la riparazione dei principi costituzionali di uguaglianza e capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost.

L'autotutela tributaria investe quindi atti posti in essere dall'ente impositore nell'esercizio di un'attività legislativamente vincolata (principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria), che incide su posizioni di diritto soggettivo del contribuente.Tale carattere vincolato si estende quindi anche alla successiva fase del riesame, condividendone anzi la stessa ratio e la stessa natura.

Il potere di autotutela partecipa, in pratica, della vincolatezza propria della funzione impositiva. La conferma, infine, della differenza tra autotutela e reclamo/mediazione è data anche dal seguente ragionamento.

I funzionari dell'Agenzia delle Entrate che provvedono alla conclusione dell'adesione, della mediazione o della conciliazione godono, per legge, di una responsabilità limitata, in sede di giurisdizione dalla Corte dei Conti, ai fatti e alle omissioni commessi con dolo.

La previsione normativa (D.L. n. 78/2010) è stata probabilmente predisposta per spingere i funzionari a non temere di concludere accordi deflativi, liberandoli dalla paura di fare errori, a titolo comunque di colpa grave, di cui poi rispondere davanti alla Corte dei conti.

Tale limitazione di responsabilità, invece, non esiste nel caso di autotutela, proprio per la sua natura di attività vincolata.

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