Tributario

Il punto sull'imposta di sbarco

20 Aprile 2017

Con due ordinanze del medesimo tenore il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 3-bis, D.Lgs. n. 23/2011 in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. La disposizione – nella versione precedente alla sostituzione operata dall'art. 33, comma 1, L. n. 221/2015 – prevedeva che i Comuni con sede nelle isole minori o nel cui territorio insistono isole minori potessero istituire con regolamento, in alternativa all'imposta di soggiorno di cui al medesimo articolo, un'imposta di sbarco, fino ad un massimo di euro 1,50, da riscuotere unitamente al prezzo del biglietto da parte delle compagnie di navigazione che forniscono collegamenti marittimi di linea, responsabili d'imposta con diritto di rivalsa sui soggetti passivi. Con la sentenza in commento la Corte costituzionale ha ritenuto la questione inammissibile in quanto, in un settore, quale quello tributario, in cui il legislatore gode di ampia discrezionalità, l'intervento additivo invocato non costituiva una soluzione costituzionalmente obbligata.
Premessa

Con due ordinanze del medesimo tenore il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 3-bis, D.Lgs. n. 23/2011 in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.

La disposizione – nella versione precedente alla sostituzione operata dall'art. 33, comma 1, L. n. 221/2015 – prevedeva che i Comuni con sede nelle isole minori o nel cui territorio insistono isole minori potessero istituire con regolamento, in alternativa all'imposta di soggiorno di cui al medesimo articolo, un'imposta di sbarco, fino ad un massimo di euro 1,50, da riscuotere unitamente al prezzo del biglietto da parte delle compagnie di navigazione che forniscono collegamenti marittimi di linea, responsabili d'imposta con diritto di rivalsa sui soggetti passivi.

Secondo il rimettente, il differente trattamento riservato a chi adoperasse vettori di linea rispetto a chi viceversa impiegasse mezzi diversi non avrebbe trovato ragionevole giustificazione, in quanto nel primo caso l'arrivo sull'isola non avrebbe espresso una capacità contributiva maggiore di quella correlata ad un accesso differente. Anche lo scopo del tributo – ossia, alleviare i Comuni dagli oneri prodotti da coloro che vi sbarchino – non avrebbe giustificato la discriminazione operata dalla norma, dunque arbitraria, eccedendo i margini di discrezionalità riconosciuti in materia al legislatore. Di qui l'illegittimità costituzionale della disposizione nella parte in cui prevedeva la possibilità che i Comuni deliberassero di assoggettare all'imposta di sbarco i soli passeggeri che raggiungevano l'isola con una delle compagnie di navigazione di linea, escludendo coloro che si avvalessero di un altro vettore.

Con la sentenza in commento la Corte costituzionale ha ritenuto la questione inammissibile in quanto, in un settore, quale quello tributario, in cui il legislatore gode di ampia discrezionalità, l'intervento additivo invocato non costituiva una soluzione costituzionalmente obbligata.

L'evoluzione normativa relativa all'imposta di sbarco

L'imposta di sbarco era prevista dal comma 3-bis dell'art. 4 D.Lgs. n. 23/2011.

Si trattava di un comma aggiunto in epoca successiva, essendo stato introdotto nel corpo del citato art. 4 sulla base del disposto dell'art. 4, comma 2-bis, D.L. n. 16/2012, peraltro in duplice spregio alla L. n. 212/2000 (lo Statuto del Contribuente), che vieta espressamente l'istituzione di nuovi tributi o l'estensione ad altri soggetti di quelli esistenti a mezzo di decreto-legge (art. 4) e consente solo una deroga espressa alle disposizioni ivi contenute (art. 1, comma 1).

Il menzionato comma 3-bis attribuiva ai Comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e ai Comuni nel cui territorio insistano isole minori la possibilità di istituire, in luogo dell'imposta di soggiorno (disciplinata dai tre commi immediatamente precedenti), l'imposta di sbarco con regolamento da adottare ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 446/1997.

L'imposta di sbarco poteva essere applicata fino ad un massimo di 1,50 euro e le compagnie di navigazione di linea la riscuotevano unitamente al prezzo del biglietto. La disposizione prevedeva che dette compagnie fossero responsabili del pagamento dell'imposta, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, e degli ulteriori adempimenti di legge e regolamento comunale. La stessa norma contemplava inoltre specifiche sanzioni a carico del responsabile d'imposta per l'inadempimento degli obblighi su di esso gravanti (omessa o infedele dichiarazione, omesso o parziale versamento), con rinvio – quale normativa di chiusura – all'art. 1, commi da 158 a 170, L. n. 296/2006.

Sempre il suddetto comma 3-bis disponeva che fossero esenti da imposta di sbarco i soggetti residenti nel Comune, gli studenti pendolari, i componenti del nucleo familiare di soggetti che risultassero aver pagato l'IMU, parificati ai residenti. Anche nel regolamento comunale potevano essere previste modalità applicative del tributo, nonché eventuali esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo.

Il gettito dell'imposta di sbarco – come quello dell'imposta di soggiorno – aveva destinazione vincolata: era finalizzato, infatti, a finanziare interventi in materia di turismo ed interventi di fruizione e recupero di beni culturali e ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.

L'art. 2, comma 19, D.L. n. 126/2013 – successivamente non convertito – aveva sostituito il censurato art. 4, comma 3-bis, D.Lgs. n. 23/2011. Rispetto alla disposizione che intendeva soppiantare, oltre ad essere prevista la possibilità di aumentare l'importo al di là del limite originario, la nuova norma disponeva che l'imposta di sbarco gravasse sui «passeggeri che sbarcano sul territorio dell'isola minore, utilizzando compagnie di navigazione che forniscono collegamenti di linea o imbarcazioni che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti marittimi verso l'isola». Dunque venivano esplicitamente identificati i soggetti passivi dell'imposta (i passeggeri) e venivano chiamati a corrisponderla anche nel caso di sbarco tramite imbarcazioni che svolgevano il servizio di trasporto di persone per fini lucrativi abilitati ed autorizzati ad effettuare collegamenti marittimi verso l'isola. All'ampliamento della soggettività passiva, conseguiva l'ampliamento dei soggetti responsabili del pagamento dell'imposta con diritto di rivalsa sul contribuente. La novella, infine, individuava ulteriori settori di destinazione del gettito, aggiungendo a quelli precedenti anche il finanziamento di interventi in materia di polizia locale e sicurezza, di mobilità e viabilità nonché di raccolta e smaltimento dei rifiuti.

L'art. 33, comma 1, L. n. 221/2015 ha infine sostituito l'art. 4, comma 3-bis, D.Lgs. n. 23/2011, prevedendo al posto dell'imposta di sbarco un «contributo di sbarco, da applicare fino ad un massimo di euro 2,50, ai passeggeri che sbarcano sul territorio dell'isola minore, utilizzando vettori che forniscono collegamenti di linea o vettori aeronavali che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l'isola». Il contributo ricalca lo schema previsto per l'imposta di sbarco quanto a meccanismo di riscossione, identificazione dei responsabili del pagamento del contributo (estesa a tutti i soggetti che svolgono il servizio di trasporto, anche aereo, a fini commerciali), rivalsa, adempimenti, sanzioni ed esenzioni. I Comuni possono disporre un aumento del contributo fino ad un massimo di euro 5 in relazione a determinati periodi di tempo e possono altresì prevedere un contributo fino ad un massimo di euro 5 in relazione all'accesso a zone disciplinate nella loro fruizione per motivi ambientali, in prossimità di fenomeni attivi di origine vulcanica; in tal caso il contributo può essere riscosso dalle locali guide vulcanologiche regolarmente autorizzate o da altri soggetti individuati dall'amministrazione comunale con apposito avviso pubblico.

Il gettito del contributo è destinato a finanziare interventi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, gli interventi di recupero e salvaguardia ambientale nonché interventi in materia di turismo, cultura, polizia locale e mobilità nelle isole minori.

Occorre in ultimo ricordare che l'art. 1, comma 26, L. n. 208/2015, al fine di contenere il livello complessivo della pressione tributaria, ha sospeso, tra l'altro, l'efficacia delle deliberazioni degli enti locali nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali loro attribuite da legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015. Sia il Ministero dell'Economia e delle Finanze che la Corte dei Conti ritengono che la norma riguardi anche l'imposta ed il successivo contributo di sbarco, la cui istituzione non potrà determinare un aumento della pressione fiscale rispetto al 2015.

Le caratteristiche del tributo

Come accennato, la norma censurata consentiva ai Comuni delle isole minori o in cui insistano le isole minori di istituire l'imposta di sbarco in alternativa all'imposta di soggiorno. Entrambe gravavano sui flussi turistici, attingendo però due diverse categorie di visitatori: la prima gli escursionisti giornalieri, la seconda i turisti pernottanti.

La ragione della loro istituzione sembrerebbe coincidere e desumersi dalla comune finalizzazione del gettito, in ambedue i casi vincolato a finanziare interventi in materia di turismo, di fruizione e recupero di beni culturali ed ambientali ovvero di sevizi pubblici locali: in sostanza, tali imposte si giustificavano per i costi ulteriori, sia in termini di impatto ambientale che di sostenibilità dei servizi pubblici locali, che i Comuni sono costretti a sostenere per la presenza dei turisti sul loro territorio.

Proprio perché “secondogenita” rispetto all'imposta di soggiorno, quella di sbarco risultava essere frutto di una valutazione maggiormente meditata da parte del legislatore, che avrebbe inteso rimediare ad alcune perplessità e colmare le lacune evidenziatesi con riferimento all'altra – in modo da ovviare alle problematiche in precedenza manifestatesi e tradottesi in un significativo contenzioso – in particolare identificando espressamente nelle compagnie di collegamento marittimo di linea il «responsabile del pagamento dell'imposta» – da riscuotere unitamente al prezzo del biglietto – e sanzionandone gli inadempimenti.

Al di là della matrice comune, dell'influenza dell'esperienza pregressa nella disciplina del nuovo tributo, dell'alternatività e dell'identità di destinazione del gettito, le due imposte hanno caratteri essenziali diversi.

Soffermandoci su quella oggetto dell'odierna questione, l'opinione largamente prevalente identifica il presupposto dell'imposta di sbarco nell'approdo del passeggero su isole minori realizzato con una specifica modalità, vale a dire tramite vettore che rende un collegamento marittimo di linea (per tale intendendosi il trasporto effettuato indistintamente al pubblico, con carattere di sistematicità e regolarità, in base a un orario ed un tragitto predefiniti). Risultava dunque escluso lo sbarco realizzato attraverso diverso vettore, pubblico o privato che fosse. La limitazione così apportata – per esigenze di massima semplificazione – al presupposto su cui assideva l'imposta si riverberava inevitabilmente sui soggetti passivi, la cui platea si restringeva ai soli passeggeri che approdavano sull'isola utilizzando una compagnia di navigazione di linea. Quest'ultima, come accennato, assurgeva a responsabile d'imposta, obbligato in solido al pagamento del tributo salvo diritto di rivalsa sui soggetti passivi, soddisfacendo – come in generale la solidarietà tributaria – l'interesse del Fisco alla semplificazione dei propri rapporti con i contribuenti e, soprattutto, l'esigenza di garantire una sicura e rapida riscossione del tributo.

Così ricostruita nei suoi tratti strutturali, non sembra revocabile in dubbio la natura tributaria dell'imposta di sbarco. In effetti, anche a voler prescindere dal nomen iuris impiegato dal legislatore, risultavano integrati tutti gli elementi di identificazione dei tributi come enucleati dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. 10 aprile 2015, n. 58): la matrice legislativa e la doverosità della prestazione imposta, che comporta l'ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico, in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti; il collegamento della prestazione con la pubblica spesa (nella specie evidenziato dal vincolo di gettito) – che deve essere destinata a “sovvenire” – in relazione ad un presupposto economicamente rilevante, idoneo a porsi come indice di capacità contributiva (vale a dire l'effettiva manifestazione di ricchezza connessa ad una spesa, quella turistica, priva di connotati di indispensabilità).

Pur riconoscendone la natura tributaria, non è mancato in dottrina chi ha ricostruito la struttura dell'imposta in termini differenti da quelli fin qui illustrati, in particolare identificando il vero soggetto passivo nel vettore di linea ed il presupposto dell'imposta nell'emissione del biglietto di trasporto verso un'isola minore, onde l'imposta di sbarco non sarebbe altro che un'imposta specifica sui servizi di linea verso le isole minori sotto forma di maggiorazione in cifra fissa del prezzo.

La decisione della Corte

La norma indubbiata assideva l'imposta sullo sbarco nelle isole minori a mezzo di compagnie di navigazione di linea, identificate come responsabili del pagamento dell'imposta, da riscuotere unitamente al prezzo del biglietto.

Il rimettente ha dedotto l'illegittimità della norma nella parte in cui – riguardo alle isole minori – prevedeva la possibilità che i Comuni deliberassero di assoggettare all'imposta di sbarco, in alternativa all'imposta di soggiorno, i soli passeggeri che raggiungevano l'isola con una delle compagnie di navigazione di linea, con esclusione di coloro che si avvalessero di un diverso vettore.

Il risultato a cui il petitum mirava era senz'altro quello di estendere il presupposto d'imposta ed i soggetti passivi da essa gravati oltre il perimetro previsto dalla norma censurata, fino a comprendere lo sbarco realizzato con qualsiasi vettore, senza al contempo prevedere per esso una fattispecie di solidarietà tributaria che facilitasse ed assicurasse la riscossione dell'imposta ed a prescindere dal pagamento del prezzo di un biglietto, visto che sarebbero risultati attinti dal prelievo anche i diportisti ed il trasporto a titolo gratuito o di cortesia.

Il tutto in difformità dal regime contemporaneamente previsto per lo sbarco a mezzo di compagnia di navigazione di linea e dallo schema seguito sia dal primo tentativo di modifica della disposizione censurata – non andato a buon fine per la mancata conversione del D.L. n. 126/2013 – sia da quello connotante il «contributo di sbarco».

Tuttavia, la Corte non ha ravvisato l'inammissibilità in ragione del risultato perseguito, eccentrico rispetto al quadro normativo contemporaneo e successivo e destinato a vigere solo per un triennio, ma per la mancanza di rime costituzionalmente obbligate nell'addizione prospettata.

Tale soluzione non convince appieno.

In senso contrario sembrerebbe potersi rilevare che, anche alla luce delle esenzioni contemplate – da interpretare estensivamente, come pare suggerirsi in dottrina – in uno con la possibilità riconosciuta ai Comuni di prevederne di ulteriori, l'imposizione si mantenesse comunque nell'ambito dei flussi turistici, ancorata alla relativa spesa indice di capacità contributiva, e permanesse la giustificazione di fondo della stessa, vale a dire i maggiori costi, sia in termini di impatto ambientale che di sostenibilità dei servizi pubblici locali, gravanti sui Comuni in ragione della presenza dei turisti sul loro territorio. Ciò indipendentemente dal fatto che lo sbarco fosse realizzato a mezzo di compagnia di navigazione di linea o tramite diverso vettore. Dunque, una volta che il legislatore ha concepito l'imposta di sbarco, si potrebbe legittimamente concludere che, quantomeno nella prospettazione del rimettente (Corte Cost. 20 ottobre 2016, n. 225), l'addizione fosse a rima obbligata, in quanto non avrebbe dovuto «essere operata una scelta tra più soluzioni, tutte praticabili perché non costituzionalmente obbligate» (Corte Cost. 3 marzo 2013, n. 44), non essendo individuabile un'opzione alternativa altrettanto rispettosa del principio della parità di prelievo a parità di presupposto d'imposta economicamente rilevante (Corte Cost. 11 ottobre 2012, n. 223), quest'ultimo da identificare nella generica spesa turistica e non nel costo del biglietto (esborso che potrebbe mancare).

Le ragioni della disciplina del tributo

Tanto avrebbe potuto indurre la Corte a diversamente opinare e scrutinare la questione nel merito, sviluppando quanto correttamente colto in ordine all'«esigenza di assicurare l'effettività dell'imposizione attraverso strumenti funzionali al controllo ed alla certezza della riscossione».

Nell'assunto del rimettente, la norma censurata, identificando il presupposto d'imposta esclusivamente nello sbarco sull'isola tramite vettore di linea, avrebbe violato gli artt. 3 e 53 Cost., realizzando un'irragionevole disparità di trattamento, anche sotto il profilo della capacità contributiva, tra chi si fosse avvalso di tale mezzo e chi ne avesse utilizzato uno differente.

Il principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost. è inteso dalla giurisprudenza costituzionale come specificazione settoriale del più ampio principio di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Ciò comporta che «ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione. In ordine ai principi di cui agli artt. 3 e 53 Cost., la Corte è, dunque, chiamata a verificare che le distinzioni operate dal legislatore tributario, anche per settori economici, non siano irragionevoli o arbitrarie o ingiustificate» (Corte Cost. 11 febbraio 2015, n. 10). Cosicché «in materia tributaria, il principio della discrezionalità e dell'insindacabilità delle opzioni legislative incontra il limite della manifesta irragionevolezza» (Corte Cost. 15 maggio 2015, n. 83), anche nell'individuazione delle situazioni significative della capacità contributiva.

Se, dunque, l'indagine si deve concentrare sulla ragionevolezza della scelta del legislatore (nella specie, di identificare il presupposto dell'imposta nel solo sbarco a mezzo di vettore di linea), sembra utile rammentare che il sindacato della Corte si deve «arrestare in presenza di una riscontrata correlazione tra precetto e scopo che consenta di rinvenire, nella "causa" o "ragione" della disciplina, l'espressione di una libera scelta che soltanto il legislatore è abilitato a compiere» (Corte Cost. 28 marzo 1996, n. 89).

Si trattava pertanto di indagare in ordine alla “causa” della disciplina del tributo in esame.

Anzitutto, abbiamo già detto in precedenza che l'imposta di sbarco è stata concepita come alternativa a quella di soggiorno. Il rilievo non sembra inutile ai fini dello scrutinio di ragionevolezza, poiché il Comune non si trovava di fronte ad un unico strumento a disposizione per colpire i flussi turistici ed ottenere da essi un contributo al soddisfacimento degli oneri da essi derivanti, onde avrebbe potuto comunque optare per l'imposta di soggiorno ove quella di sbarco, per come delineata dal legislatore, fosse stata ritenuta insoddisfacente.

Quest'ultima si riferiva alle compagnie di linea, che offrono un trasporto effettuato indistintamente al pubblico, con carattere di sistematicità e regolarità, in base a un orario ed un tragitto predefiniti. Di tratta dunque di un servizio stabile, che assicura un certo numero di tratte non limitate soltanto ad alcuni periodi dell'anno.

Tali connotati sembrerebbero da un lato fondare l'idea che la massa dei turisti si avvalga di tale trasporto per raggiungere l'isola (circostanza che pare confortata anche dalle rilevazioni della dottrina in merito agli sbarchi a Capri) – dunque, fosse attinta dal tributo – e dall'altro ridurre il novero dei vettori e facilitarne l'individuazione.

Essi, peraltro, erano identificati come responsabili «del pagamento dell'imposta» vale a dire a ciò tenuti solidalmente con l'obbligato principale – ottenendo in via anticipata, unitamente al pagamento del prezzo del titolo di viaggio, le somme da rimettere al fisco – ed assoggettati allo specifico regime sanzionatorio previsto dalla norma in caso di inadempimento agli obblighi dichiarativi e di versamento.

La facilità di identificazione dei vettori, il meccanismo per la riscossione del tributo da parte dei soggetti passivi e l'utilizzo della figura del responsabile d'imposta, con ciò che conseguiva in termini dichiarativi e di versamento, sembrerebbero deporre nel senso che la ragione della disciplina indubbiata andava identificata nella maggiore facilità, controllabilità e coercibilità dell'adempimento dell'obbligazione tributaria, ossia, in ultima analisi, nella certezza ed effettività dell'imposizione.

Non avrebbe risposto a tale ratio l'addizione sollecitata dal rimettente, che avrebbe implicato l'abbandono del descritto sistema per il trasporto realizzato da soggetti diversi dalle compagnie di navigazione di linea.

Anzitutto, infatti, all'estensione del presupposto impositivo non si sarebbe accompagnata la facile identificazione dei vettori, tra cui potenzialmente includere qualsiasi soggetto pubblico o privato che disponesse di un mezzo utile allo sbarco.

In secondo luogo, non necessariamente l'approdo avrebbe dovuto essere preceduto o comunque correlato al pagamento del prezzo di un biglietto, visto che il presupposto d'imposta si sarebbe esteso anche ai diportisti e al trasporto gratuito o di cortesia.

Infine, non avrebbe operato alcun istituto di solidarietà tributaria, con la conseguenza che in virtù della previsione normativa gli unici obbligati sarebbero restati i passeggeri.

Peraltro, sarebbe potuto risultare insufficiente rimettere a regolamenti comunali la valutazione circa l'eventuale predisposizione degli strumenti di coinvolgimento dei vettori sia perché alcuni di essi – per ciò che s'è poc'anzi detto – avrebbero inevitabilmente finito per non esserne riguardati sia perché non si sarebbe ovviato al rischio di quanto già palesatosi a proposito dell'imposta di soggiorno in termini di incertezza e di contenzioso, senza che nel caso di specie potesse attendersi l'adozione di una disciplina generale, come previsto dall'art. 4, comma 3, D.Lgs. n. 23/2011 – e mai accaduto – per l'alternativa imposta primogenita.

In conclusione, i rilievi precedenti avrebbero pregiudicato facilità e sicurezza della riscossione e dunque l'effettività della stessa imposizione, apparentemente ovviabile solo attraverso l'apprestamento di un sistema di controlli e di riscossione il cui costo avrebbe rischiato di erodere grandemente il gettito del tributo – viceversa destinato ad alleviare i costi correlati ai flussi turistici – considerato l'ammontare esiguo a cui assurgeva il prelievo. D'altra parte, un incremento eccessivo di quest'ultimo avrebbe potuto scoraggiare il turismo nelle isole minori, penalizzandone l'economia.

Non sembra dunque casuale che l'evoluzione successiva della disciplina del tributo in questione abbia mantenuto l'impianto originario (salvo un contenuto aumento della soglia limite dell'imposizione) – da cui avrebbe dirazzato l'addizione per il tempo (poco più di un triennio) della sua vigenza – limitandosi ad estendere parzialmente il presupposto d'imposta esclusivamente fino a coinvolgere lo sbarco tramite alcune ulteriori circoscritte categorie di mezzi di trasporto.

Sebbene sia innegabile che la scelta concretamente operata dal legislatore – e successivamente parzialmente emendata tenendo conto delle esigenze indicate – abbia esonerato dall'imposta tutta una tipologia di sbarchi (da quelli elitari con l'elicottero a quelli dei croceristi, per rimanere nell'ambito dei più eclatanti per onerosità economica o numerica) sintomatici di un'identica, se non maggiore, capacità contributiva e comunque idonei ad incrementare i costi che il gettito del tributo in considerazione era destinato a sovvenire, gli argomenti sinteticamente esposti avrebbero dovuto indurre la Corte, che dimostra di averli presenti, ad escludere nel merito la manifesta irragionevolezza ed arbitrarietà della norma nel contenimento del presupposto impositivo al solo sbarco effettuato con le compagnie di linea e nella limitazione dei soggetti passivi ai passeggeri che di queste si avvalessero, traendone le debite conclusioni in punto di infondatezza della questione.

Bibliografia di riferimento

R. ALFANO, L'imposta di sbarco per le isole minori: caratteri e peculiarità nell'analisi delle prime esperienze applicative, in V. FICARI e G. SCANU (a cura di), “Tourism Taxation” – Sostenibilità ambientale e turismo fra fiscalità locale e competitività, Torino, 2013;

A. FANTOZZI (a cura di), Diritto tributario, Torino, 2012;

L. LOVECCHIO, Le novità per la fiscalità locale: imposta di sbarco, di scopo e riscossione tramite privati abilitati, in Corr. trib., 2012;

G. PIZZONIA, Dalla alternatività fra tributi ai tributi alternativi. Note critiche sulla nuova imposta di sbarco nelle isole minori, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2012;

S. SERVIDIO, Il Comune non può estendere il presupposto dell'imposta di sbarco, in Azienditalia – Fin. e Trib., 2015;

L. TOSI, La fiscalità delle città d'arte, Padova, 2009.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario